La stagione più truce della mafia, quella dei corleonesi di Totò Riina, come sfondo alle confuse vicissitudini di Arturo, palermitano convinto che la sua esistenza (fin dalla nascita) sia strettamente connessa alle vicende mafiose. Un modo per far capire - con raffinati sottintesi - quanto la vita di ognuno, in Sicilia, hon possa prescindere dalla presenza in loco di Cosa Nostra. L'idea sulla carta era ottima, ma per sposare dramma e commedia ci vuole mano felicissima, e l'esordiente Pif non l'ha ancora. Il suo film ricostruisce sommariamente una storia di stragi e delitti senza riuscire a dare consistenza ai protagonisti, lasciandoli muovere in una sceneggiatura che fatica...Leggi tutto a focalizzarne il carattere preferendo puntare sulla trovata ad effetto (Arturo adolescente con il mito di Andreotti), penalizzati da una regia inevitabilmente immatura, cui manca del tutto la capacità di organizzare con omogeneità e gusto il materiale a disposizione. Così il film diventa impalpabile, sicuramente lodevole nei suoi intenti educativi (si pensi al finale, col pellegrinaggio di Pif padre alle tombe dei "caduti") ma enormemente più ambizioso rispetto al modesto risultato. E anche dal punto di vista della recitazione siamo sotto agli standard, così come poco integrati nella vicenda appaiono i filmati di repertorio con effetto "Forrest Gump". Soffocato da un'invadente fuori campo. Il cinema dov'è?
Il tema mafioso con tutta la leggerezza di una commedia ricca di battute, sospesa sull'ingenuità di un personaggio quasi benignano, non è una novità. Ma Pif aggiunge agli ingredienti l'aspro sapore di una serie di filmati di repertorio. La deflagrazione si percepisce; la polvere di quegli anni bui è ancora depositata ai nostri piedi. Questo, però, non basta a farne un film rotondo: la vicenda sentimentale che dovrebbe delineare il racconto è inespressiva (come una Capotondi svogliata), la voce del protagonista fastidiosa, la qualità del lavoro registico si attesta sullo scolastico. In sostanza, manca mestiere.
Se La vita e bella è stato un esempio di come con leggerezza si possa far conoscere la tragedia delle deportazioni nella II Guerra Mondiale, questo è un altro esempio di come, sempre attraverso l'ingenuità della fanciullezza si possa parlare del mostro mafia. Un raro esempio di cinema in equilibrio tra storia e "sorridente" leggerezza. Per chi ha senso civico e sente il "peso" della storia, un mirabile tributo a tutti quei "Santi Laici" visti nella vita di tutti i giorni. Deve essere visto!
MEMORABILE: Il finale, con Pif che "presenta", negli anni, al proprio figlio tutti gli eroi che sono caduti sotto i colpi della mafia: da brividi! E da applauso!
Pierfrancesco Diliberto centra il bersaglio: realizza un film su temi importanti utilizzando un tono leggero e scanzonato (anche se la cosa non è una novità). La pellicola scorre che è un piacere e il pubblico si diverte ma è anche obbligato a riflettere su un fenomeno, la mafia, che certo non è di competenza della sola città di Palermo. Diliberto come regista si limita a svolgere il suo compito diligentemente, senza grandi colpi d'ala e anche come interprete non colpisce particolarmente, però è simpatico e funzionale alla storia.
Devo ammettere che sono entrato in sala con molti dubbi sul film e ne sono uscito veramente soddisfatto: il regista (qui anche attore) mette in scena una vicenda tenera e romantica, anche se come sfondo c'è la Sicilia vittima di Cosa Nostra e dei suoi terribili attentati. Un film da vedere e rivedere, con un tocco di leggerezza: mirabile prima prova di Pierfrancesco Diliberto con un cast valido.
MEMORABILE: L'arrivo del bambino vestito da Andreotti alla festa di Carnevale.
Il rischio di sbagliare clamorosamente era altissimo, l’equilibrio più che sottile, riuscire a far anche ridere trattando della mafia e della stagione più feroce di Cosa Nostra sembrava impossibile e invece Pif è bravissimo. Inventa, interpreta e dirige un film per tutti, per non dimenticare quel che è successo e per onorare chi ha servito lo Stato al punto da sacrificare la propria vita. Un’opera prima notevolissima che emoziona come poche altre. "Fuori la mafia dallo Stato". Assolutamente imperdibile.
Lunga storia d'amore tra Flora e Arturo. La storia però avviene a Palermo e il periodo è quello buio dei tanti assassinii di mafia. Una commedia per raccontare una tragedia. Opera prima di Pif che riesce a creare un punto di vista ordinario, soprattutto sui protagonisti di quegli anni, facendo scendere dai piedistalli tutti per innalzare solo quelli che quei piedistalli meritano. Non si scava nelle motivazioni, nelle collusioni, si mostra solo la povertà dei potenti, da una parte e dall'altra. Bene la visione ai minori, se ben accompagnati.
Tra serie riflessioni sulla mafia e il suo potere quasi infinito e ironia allo stato puro, questo sorprendente film di Pif è davvero interessante. Molte trovate azzeccate - vedi ad esempio quella della venerazione di Andreotti (una scena divertente ma al contempo di un'amarezza disarmante) - un tono equilibrato nel trattare la storia ma soprattutto buonissima regia e un'altrettanto valida interpretazione di Pif. Non era facile fare un film del genere, ma stavolta la sfida può dirsi vinta. Assolutamente consigliabile.
Oltre trent'anni di vita palermitana visti attraverso gli occhi di Arturo, da sempre innamorato della compagna di classe Flora: bambino fan di Andreotti, ragazzo che tenta la via del giornalismo e finisce nello squallore di una tv privata, uomo finalmente consapevole. Vicende buffe intrecciate strettamente agli omicidi e alle stragi di mafia, che avvengono in un clima in cui è difficile distinguere fra la rassegnazione passiva e l'omertà complice. Originale forma di cinema di impegno civile, suscita il sorriso ma riesce a commuovere.
Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif tenta un'impresa rischiosissima sulla carta: una commedia sulla mafia che diverta ma nello stesso tempo faccia riflettere, intenerire e commuovere, ma nello stesso tempo senza essere stucchevole. Scommessa vinta! Il film è un raro esempio di opera importante, dotata di intelligenza e grazia, ben scritta, diretta e benissimo interpretata (molto curata la scelta di tutti gli attori). E' nato un talento cinematografico.
In questa sua opera prima Pif ci offre uno spaccato sulla mafia visto con i suoi occhi (prima da bambino e poi da grande) alternando momenti dissacranti ad altri ironici e ad altri ancora un po' noiosi. La sua voce fuori campo risulta a volte un po' irritante e logorroica, ma fondamentalmente è il suo stile di raccontare le cose come fa in tv. Bene la recitazione di Rosario Lisma e di Barbara Tabita, mentre Pif e la Capotondi se la cavicchiano. Bravissimo il piccolo Alex Bisconti. Commozione in agguato.
MEMORABILE: Quando Pif e la Capotondi portano il figlio a visitare le lapidi di coloro che sono stati uccisi dalla mafia.
Bella prova d'esordio di Pif che riesce a mantenere un registro alternante tra commedia e dramma, senza eccedere troppo nell'uno o nell'altro. Conservando lo stile personale che lo ha reso celebre in tv, confeziona una pellicola delicata ed emozionante che arriva dritta allo stomaco. Nel piatto panorama delle produzioni italiane odierne, una bella sorpresa.
Pif descrive l’argomento che più gli sta a cuore col suo taglio morbidamente incisivo. Pregio di raccontare una stagione di mafia per non dimenticare e umanizzare uomini che han dato la vita per la legalità. Quanto alle componenti tecniche, la regia e l’interpretazione sono alquanto acerbe e a volte si palesano pause. Un buon omaggio finale e qualche immagine di repertorio che vale più di mille trovatine.
Convincente esordio di Pif che trasporta in vesti cinematografiche il suo stile semi-documentaristico con camera a mano e vocina fuori campo per narrare, attraverso il vissuto di Arturo (e pare anche un racconto semi-autobiografico), gli anni in cui Cosa nostra diffondeva terrore e annichiliva, radeva letteralmente al suolo ogni piccolo pensiero di rivolta. Una commedia leggera, un po’ buffa, per ricordare fra un sorriso e una lacrima tutti gli eroi che nel corso degli anni hanno combattuto (e combattono) contro un mostro potentissimo.
Idea interessante, pellicola mediocre. Si resta a galla quando si evita di strafare (la peripezie scolastiche) ma non appena si cerca l'impennata l'inesperienza del regista fa crollare il film a picco, dall'orrida citazione iniziale a Senti chi parla al brutto doppio finale (tra ripensamenti amorosi nella folla alla Viaggio in Italia e stucchevoli postilla didattica). Cast passabile, nonostante il fastidio arrecato dalla Capotondi e dalla voce over del protagonista. Notevole il candore didattico e morale, ma il buon cinema è un'altra cosa.
Al suo primo "vero" film Pif non sbaglia, scegliendo l'argomento che forse più gli sta a cuore e girando interamente nella sua amata Palermo. Il regista ha il merito e soprattutto l'idea geniale di trattare un tema scottante in maniera tutta sua, senza essere né troppo feroce, né superficiale ed esponendo il tema della mafia nella maniera più accessibile. Davvero convincente la prova del piccolo Bisconti e piccola parte per Gioè nei panni di un giornalista.
MEMORABILE: "Ma quale mafia e mafia, a chisti ci piaci riri siampri minchiati, seconnu miaaa è tutta na questione ri fiilm".
Pif, dopo una prima scena in cui ci fa temere di assistere a un "testimone" versione cinema, prende in mano la situazione e con molto garbo ci cala nella Palermo contemporanea. L'idea dell'amore fra i ragazzi non certo una novità, ma si apprezza il non calcare la mano sullo sdolcinato, e anzi una sceneggiatura che lascia interdetti in positivo. Con leggerezza si toccano temi delicatissimi e l'intento di far riflettere ma sopratutto ricordare senza perdere di vista la commedia conduce a un risultato molto apprezzabile.
L'esordiente Pif si impegna con coraggio e sensibilità in un argomento da sempre complicato. L'idea di affrontare il triste percorso degli attentati mafiosi con gli occhi di un adolescente si rivela particolarmente azzeccata. Nella seconda parte ci si perde un po' nel sentimento e la Capotondi salva l'incerta interpretazione del buon Diliberto: il risultato finale rimane comunque più che buono.
Tanto rumore per nulla: che altro dire di un film strapubblicizzato con la mafia nel titolo, ma che dedica alla mafia sì e no 20 minuti scarsi di girato? Pif infatti si limita semplicemente a innestare nella storia degli anni più tragici di Palermo quella personale del suo alter-ego Arturo, con esiti spesso forzati e un tantino ridicoli, per non dire onanistici. E dire che l'incrocio tra commedia e film impegnato non era impossibile, a patto di lasciare da parte un po' di ego! Da lodare alcune scelte registiche e il buon cast di contorno.
MEMORABILE: "...Arturo Giammaria, vestito come Gobbo di Notre Dame!"; Gli incontri tra Arturo e il giornalista; In negativo: Jean Pierre.
"Buona la prima" per Pif che confeziona un eccellente lavoro sulla più grande tragedia nazionale. Buon gusto, intelligenza, assenza di retorica caratterizzano la sceneggiatura. Diliberto (Pif) dosa con assoluta credibilità, da regista di esperienza, il lato ironico con quello drammatico degli eventi, facendone risultare un film che scorre liscio senza momenti vuoti. Complimenti e avanti così!
MEMORABILE: Compito di un genitore è proteggere il figlio dal male, ma anche di farglielo riconoscere
Commedia particolare in cui con garbo e sottile ironia si affronta il tragico tema della mafia. La storia d'amore dei due protagonisti è il contorno per denunciare le malefatte e le connivenze dell'apparato mafioso. Ogni tanto si sorride ma soprattutto si riflette; splendido il finale e il macchiettismo sulla figura di Andreotti.
Sorprendente film di formazione, che racconta la storia di Arturo, bambino palermitano cresciuto in mezzo alle guerre di mafia anni 70-80. Senza presunzione né didascalismi (tranne il finale), con un gusto per il paradosso molto originale nel nostro cinema (ed efficace), Pif inquadra un tremendo pezzo di storia italiana camminando su un filo pericolosissimo: protagonisti bambini, temi politici, comicità, satira. Il rischio-disastro era altissimo, invece funziona benone. Film personalissimo; vedremo come va con temi meno legati al vissuto dell'autore.
La bravura di Pif non nasce certo oggi con questo film. La sua capacità comunicativa è da tempo nota grazie al piccolo schermo. Ma grazie a questa opera si lancia finalmente anche nel mondo dei Grandi. Non è un'autobiografia, ma sicuramente c'è tantissimo di personale in questa commedia amara che ci porta a riflettere sugli anni passati e su quelli presenti. Grandissimo cast siciliano scelto con particolarità e intelligenza. Bella la colonna sonora e fotografia sontuosa affidata a Roberto Forza, già coinvolto in film del genere come I cento passi.
MEMORABILE: L'intervista a Dalla Chiesa; Il sillogismo di Andreottiana memoria in base al quale il piccolo Arturo deduce che in Sicilia non c'è criminalità.
Pif? Quello delle Iene? Un film sulla mafia? I presupposti erano pregiudizi, ma a fine visione ci si ricrede. La commedia è garbata e molto divertente, usa modi delicati per argomenti delicati, dona momenti di riflessione talvolta fragorosamente potenti e inaspettati. Si esagera però con la voce fuori campo e il finale arriva retoricamente forzato, quando ormai il messaggio era già stato recapitato e recepito. Ora vediamo cosa succederà con un’opera seconda, ma il giudizio è positivo.
Opera prima da regista per l'onnipresente (ormai in tv ogni due minuti) Pif. Il film tratta in modo molto leggero (la trama in sé è povera povera) la storia di un giovane palermitano cresciuto negli anni delle più note stragi mafiose degli anni 70-80-90. Detto che il personaggio di Pif è davvero indigeribile e che la prima parte con la "divinizzazione" di Andreotti è inutile, l'esperimento risulta abbastanza riuscito. Da elogiare la sequenza finale con il "tour" tra le lapidi degli eroi che hanno combattuto la mafia.
La prima regia di Pierfrancesco Diliberto in arte Pif fa intravedere una certa raffinatezza da parte del neo regista nell'affrontare una tematica complicata come quella della mafia. Il film si muove su due linee d'onda, quella (innocentemente) comica e quella drammatica. Non si sfocia mai nel banale ma l'impressione, a volte, è che la storia d'amore su cui si basa il film sia troppo un "corpo estraneo" rispetto al resto della vicenda. Qualche difettuccio c'è, ma nel complesso il film è bello e soprattutto originale nell'esposizione.
Non male, mi aspettavo di peggio. Un tema serio e importante come la mafia viene affrontato in modo leggero ma non banale. Sembra di assistere a una sorta di Forrest Gump italiano. Pif può essere un bravo regista o sceneggiatore, ma come attore lascia a desiderare. Comunque un film consigliabile.
M'è parso l'ennesimo paradigma d'un cinema italiano che vorrebbe ma non può, potrebbe ma non sa, questione ancor più aperta sul versante commedia, dove si fu maestri. Così Pif mescola con innegabile delicatezza le carte Allen, Moretti, Verdone, aggiornando il gusto delle strisce Peanuts a tematiche brucianti, che sarebbe stato arduo declinar con maggior gusto e misura. La patina ombelicale però risulta troppo preponderante (la "devastante" cornice della love story con la Capotondi) mentre, dopo Il divo, ogni tormentone andreottiano pare a dir poco svilito.
MEMORABILE: Il destrorso e sciovinista direttore omosex dell'emittente locale.
Pif esordisce alla regia con un originale e intelligente modo di raccontare il fenomeno mafioso. Attraverso il curioso percorso di crescita del piccolo Arturo (che diviene addirittura fan di Andreotti), i fatti salienti del periodo più nero dei delitti di mafia (gli anni ’70 e ’80) vengono raccontati tra satira e ironia, con la capacità di denunciare e far riflettere col sorriso sulle labbra, senza tralasciare il rigore documentaristico (affidato agli autentici filmati d’epoca). Un esempio di cinema italiano da incoraggiare e far conoscere.
Buon film grazie al canovaccio che vuole essere ironico senza rinunciare alla riflessione; grazie alle scelte di ambienti, costumi e fotografia che enfatizzano bene il contesto temporale degli eventi. Meno convincente la regia e nella media la parte attoriale che comunque conta su discreti caratteristi. Coinvolgente e originale il finale.
Pif, come altri illustri predecessori, arriva dalla tv al cinema come un sasso nella stagnante acqua della celluloide nostrana. Il risultato, pur con le inevitabili pecche dell'opera prima, è uno splendido film che riesce a far sorridere e riflettere incastrando la vita del protagonista a quella di una città che convive sempre più a fatica con il suo nemico mortale. Molte le citazioni più o meno velate che conferiscono spessore filmico alla narrazione. Fa piacere che una volta tanto i contributi ministeriali siano andati nella giusta direzione.
Pif ha talento e si vede in questa sua opera prima, coraggiosa e originale. Non un capolavoro, ma comunque un'abile operazione di testimonianza e denuncia contro la mafia, che sa alternare sapientemente dramma e ironia. La maturazione della coscienza civile del protagonista avviene attraverso un percorso di formazione che è scandito dalle drammatiche stragi mafiose, in un contesto di omertà e indifferenza descritto con toni amaramente grotteschi. Commuovente ed educativo il finale davanti alle targhe delle vittime della mafia. Istruttivo.
Pellicola particolare, ove il regista Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) si immerge nell'analisi della delicata tematica delle criminalità organizzata siciliana. Il film è ben costruito grazie a una certa originalità nel trattare gli avvenimenti: si passa da momenti molto seri a situazioni buffe (su tutte il travestimento di Arturo da Giulio Andreotti), ma il risultato è più che positivo e non appesantisce la vicenda. Bravo anche Pif in versione attore (si vede solo nella seconda parte). Riuscito nell'intento, buono nel complesso.
MEMORABILE: Arturo da bambino che ritaglia le foto di Andreotti.
Esordio eccezionale di Pif alla regia cinematografica. Prendendo un po' dal suo vissuto e un po' dalla sua fantasia, confeziona un film geniale, che segue in alcuni tratti lo stile dei suoi servizi in tv riuscendo ad alternare con risultati ottimi momenti di comicità a momenti drammatici. Azzeccatissimi i personaggi di contorno, non male anche i baby-protagonisti in una bella ricostruzione degli anni 80 e 90. Un periodo terribile per l'Italia raccontato con satira intelligente.
MEMORABILE: La mafia non esiste... per me è tutta questione di film...
Pif, seguendo l'impostazione del suo programma in tv "Il testimone", ci racconta la Palermo dagli anni '60 ai '90 dominata dalla mafia, con un'alternanza tra momenti comici e quelli di tristezza. Diliberto se la cava bene alla regia e anche nell'interpretazione, affiancato dalla dolce Capotondi. Il film funziona e parecchie gag risultano davvero divertenti e geniali, soprattutto quelle su Andreotti. In definitiva un ottimo esempio di commedia, ma anche una forte denuncia sociale con numerosi momenti intensi e drammatici che portano a dubbi e riflessioni.
MEMORABILE: Il finale con Pif che mostra al figlio i monumenti alle vittime della mafia; Bagarella invaghito dalla cantante Spagna canta "Easy Lady"!
Bravo Pif; bravo davvero perché portare sullo schermo un film con una storia simile non era affatto facile, soprattutto se vuoi impostarlo come una commedia e non come un film drammatico. La mafia uccide solo d'estate fa riflettere ma anche ridere e soprattutto è adatto anche ai più piccoli. Suggestivo l'inserimento di filmati originali d'epoca. Per essere un'opera prima è davvero notevole.
Buona prova alla prima regia per il cinema di Pif, che ci mette dinanzi alla visione della vita vissuta da lui e da altri suoi coetanei durante gli anni peggiori per il capoluogo siciliano. La mafia è il filo conduttore della vita del giovane giornalista Arturo,il quale, da sempre innamorato della sua amica Flora, desidera diventare un giornalista ed è fin da piccolo affascinato dalla figura di Andreotti. Ottima interpretazione del ragazzino Arturo; un po' fiacca quella di Pif, che quando parte con i suoi monologhi a lungo andare stanca.
Personale è, piaccia o no, politico: il battito d’ali delle farfalle sul nostro stomaco scatena un uragano malavitoso che determina l’anatomia di una regione e l’autopsia della Storia – e viceversa. Il cuore nero ha una macchia rossa che si espande a tutto raggio e diametro, in una o giottesca ancorché moebiusiana, dove il flusso di una regia dagli eccezionali superpoteri diventa anche caldo anticiclone attoriale e alta tensione storiografica. Sulla cresta dell’onda del romanzo criminal-sentimentale è mercoledì leonino per il cromosoma attoriale Y, marinasumiana Capotondi in testa.
Pif, nonostante sia all'esordio, dimostra di avere le idee chiare e dirige con maestria un film che dosa bene ironia e dramma. Il punto di vista paradossale di Arturo, un bambino particolare (tra l'altro ottimamente interpretato), fan di Andreotti, è centrato e la narrazione scorre liscia. Il secondo snodo della vicenda ci propone il Pif "originale", abbandonate le velleità giornalistiche, ancora alle prese con la mafia, sempre però raccontata in modo quasi dimesso, tale da fare sorridere e riflettere allo stesso tempo. Da vedere.
Non tanto un film sulla mafia quanto un omaggio lieve e accorato a chi ha dato la vita nella lotta alla Piovra. Così, gli intrighi e le stragi palermitane ritornano con nomi veri e fatti reali attraverso lo sguardo naif ma niente affatto sciocco di un bambino la cui vita, impegnata tra scuola e primo amore, procede accanto a eroi come Chinnici o criminali come Riina. Una favola, insomma: un modo per sorridere e ricordare al contempo, un po’ per sdrammatizzare (e qui sta l’ambiguità) e un po’ per non dimenticare (e qui sta il valore). Piacevole.
Commedia amara dall'idea vincente (raccontare la mafia con gli occhi di un bambino) e dal risultato finale mediocre. Sia chiaro: il film non è mediocre. Lo sono, purtroppo, alcune idee forzate come la storia d'amore con la Capotondi (particolare che la obbliga a recitare: peccato), l'insistenza della voce fuori campo che finisce per diventare quasi fastidiosa, la persistente satira su Andreotti (dopo un capolavoro come Il divo il paragone è inevitabile) e, infine, la regia acerba. Un lavoro nel complesso gradevole, ma dal potenziale superiore.
È il giusto trattamento, pervicacemente antiretorico, per un soggetto del genere: un racconto di formazione calvinianamente leggero, ma inaspettatamente profondo (e pienamente politico), capace di celiare con la giusta misura su fatti in apparenza impossibili da affrontare con distacco. Può piacere o meno, ma è certamente originale, sia nelle forme che nel contenuto. La complessa figura di Cristiana Capotondi, divisa dal protagonista per estrazione sociale e destino familiare, è forse la meglio scritta dell'intero film.
Qua e là si ridacchia, qua e là ci si commuove, qua e là si resta assai perplessi. Esistono, però, idee buone e divertenti, esistono momenti sinceri e commoventi e questo salva un film che presenta momenti stentati, nella trama e nella recitazione. Lo stesso protagonista calca troppo nelle situazioni da imbranato, alla ricerca del sorriso dello spettatore, quando un risultato migliore sarebbe stato ottenuto limitando la pressione sull'acceleratore. Destano perplessità alcune caratterizzazioni (il direttore della tv!) e il finale amoroso e pretestuoso, incollato male con il nastro adesivo.
MEMORABILE: Riina e il telecomando. Dimostrazione, peraltro, che il film funziona più negli sketch e nei bozzetti, che come film in sé.
Molto originale, dallo stile moderno e attuale. Certamente parlare di un simile argomento, evidenziarne la drammaticità e al tempo stesso far sorridere è impresa molto difficile e si è molto a rischio di perdere il bandolo della matassa e di rendere meno credibile il messaggio. Pif riesce invece a far cosistere impegno e divertimento confezionando un ottimo esordio. Bella la maniera in cui unisce il racconto con i filmati di repertorio e bello il taglio "youtuber" di certe scene.
Una commedia difficile da concepire e da articolare ma che riesce nell'intento di conquistare il pubblico. La storia del protagonista e della sua famiglia si sovrappone a una ricostruzione dettagliata (anche grazie all'utilizzo di toccanti immagini di repertorio) di un periodo storico in cui la mafia siciliana massacrava chiunque gli si ponesse di fronte. Tutto s'intreccia alla perfezione come in un grande romanzo da leggere dall'inizio alla fine tutto d'un fiato. Tenero e spietato allo stesso tempo.
Si riesce a parlare di un argomento pesantissimo e delicatissimo come la mafia con leggerezza: non è un film pesante, ma allo stesso tempo non è nemmeno sprezzante! E' un film che fa sorridere, fa anche ridere in certi passaggi; ma non perché crea macchiette, semplicemente perché è ben fatto, nella sua leggerezza. Leggerezza che non cela un messaggio di fondo comunque importante, comunque bello. L'idea potrebbe sembrare ingenua per certi versi, ma il film è riuscito e ben realizzato. Sorprendente, visto il livello medio del cinema italiano odierno.
MEMORABILE: La Sicilia ha bisogno dell'Europa, l'Europa ha bisogno della Sicilia.
Applausi a Rai Cinema per avere creato questo film-documentario, testimoniante la necessità di combattere sempre la Mafia senza timore. La vicenda ripercorre le turpi azioni compiute da “Cosa Nostra” quali gli omicidi senza scrupoli di uomini del calibro del generale Dalla Chiesa e di magistrati che si opposero a viso aperto alla causa mafiosa a partire da metà anni ‘70. Cristiana Capotondi è impeccabile, con un Pif che comunque non è da meno; ottime sono anche sceneggiatura e regia. Da vedere assolutamente e da diffondere anche ai più giovani.
Facendo astrazione dei temi trattati (per quanto possibile visto le reazioni di rabbia e impotenza dati dal rapporto di vicinanza con gli eventi), il film alterna spunti comici spiazzanti a passaggi scolastici poco fluidi. In sostanza da considerarsi riuscito nel riuscire a rendere omaggio al sacrificio umano senza retorica, cercando di raccontare i buoni dall'interno. Passino le sbavature sentimentali perché resta un'operazione a suo modo sincera, diretta con garbo (e qualche insicurezza), senza anteporsi ai fatti. Bravi alcuni interpreti e ottimo l'apporto scenografico.
MEMORABILE: Arturo che entra vestito da Andreotti; Riina alle prese col telecomando.
Ottimo esordio alla regia per Pif, che gira una commedia mista a dramma di grande interesse e di buona sensibilità. Le vicende sentimentali e lavorative del protagonista sono la scusa per mostrare trent'anni circa di storia della mafia, seguendo la sua scia di sangue. Sorrisi, amore e dramma sono perfettamente bilanciati. E c'è tempo anche per commuoversi. Personale e coerente la regia, ottimo tutto il cast. Un tema di grande serietà, trattato con la giusta leggerezza. Per non dimenticare. Uno dei migliori film italiani degli ultimi dieci anni. Da vedere assolutamente.
Il regista ha una valida idea: raccontare in maniera cruda (vedasi le immagini di repertorio) vent'anni di stragi siciliane buttandola sul ridere per stemperare i toni; ne vien fuori un graffiante docu-film che nella prima parte verte sulla satira caustica infarcendola di una love story infantile a senso unico (in realtà abile pretesto per inserire frammenti di storia della malavita, costituenti il tema centrale), mentre nella seconda si tinge di una vena di ineluttabile malinconia dirigendosi verso un finale movimentato quanto struggente. Lodevole modo di fare cinema italiano.
MEMORABILE: La geniale intro comparativa; Il vestito di carnevale; L'amalgama conclusivo di video dell'epoca e scene girate ad hoc.
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DiscussioneZender • 4/11/19 07:38 Capo scrivano - 48839 interventi
E' il problema di quelli che hanno il nome troppo corto (Elio, Lillo...). Si crea troppa confusione, se mettiamo solo Pif purtroppo, e a quel punto invertire ha poco senso. Lasciamo così.
Ho visto il film e devo dire che sono rimasto perplesso dai pallinaggi, spesso molto alti. Come messaggio sociale, tanto di cappello, ma come film, francamente...