il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

I LUOGHI COMUNI
del cinema italiano
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  • Film: Con la grazia di un Dio (2023)
  • Luogo del film: Il “caruggio” dove Maurizio (Romano) incontra lo spacciatore Massimo (Ottobrino)
  • Luogo reale: Vico dei Cartai, Genova, Genova
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  • Film: Parthenope (2024)
  • Multilocation: Università degli Studi di Napoli Federico II
  • Luogo reale: Corso Umberto I 40, Napoli, Napoli
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Yohana Allen

    Yohana Allen

  • Patricia Viterbo

    Patricia Viterbo

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Rambo90
Lineare ma costruito bene sulle efficaci performance dei due protagonisti. Douglas bravissimo a sembrare un attimo tronfio e subito dopo fragile, Hackman che lavora abilmente di sottrazione. È prevedibile come si arrivi a una serie di scontri verbali ma la regia gestisce bene gli spazi, anche con qualche inaspettato movimento di macchina nella bella scena finale. Essenzialmente un film di attori, aiutati da una sceneggiatura semplice ma buona.
Commento di: Pumpkh75
Potpourri esotico, avventuroso e infingardo con un cast che dà di che disquisire (Fassari fa pratica per i Cesaroni, Phelps è un guascone che non vedi l’ora soccomba, la Ayala parebbe più indicata per un video dei Kaoma) e che dentro la vacuità della storia fa venire in mente di tutto, da Fulci a Banana Joe passando per Indy e D’Amato, risultando più particolare che riuscito. Gli orrori non mancano (indovinato l’assalto nella vasca da bagno) ma nell’insolazione generale la sensazione è che Avallone, avesse potuto, ne avrebbe fatto tranquillamente a meno. Whisky, suda e rondadòr.
Commento di: Puppigallo
Biografia sbrigativa di un campione con problemi comportamentali, arrogante, strafottente, ma che giocava un tennis tutto suo, servizio compreso. Divertiva il publico con tuffi, reazioni e, soprattutto, vinceva. Si favorisce la parte adolescenziale, fino ai 18 anni (anche perché Wimbledon l ha vinto a 17!). E nel complesso risulta vedibile. Ma si ha però la netta sensazione che potesse essere curato meglio, non limitandosi alla superficialità dei suoi comportamenti, all'ira e agli amorucoli. Se, alla fine, il personaggio più interessante è il manager monetizzatore, qualcosa non va.
Commento di: Siska80
Pur di aiutare la famiglia in condizioni precarie, una bella fanciulla diventa l'amante di un boss, ma... Per essere una pellicola piuttosto antica, è innegabile che sia diretta in maniera dinamica seguendo giusti tempi narrativi. Certo, il plot è abbastanza interessante (non tanto perché racconta della solita ragazza che si sacrifica per gli altri, quanto per il modo attraverso il quale ella mette da parte persino la dignità), ma il risultato globale non raggiunge la sufficienza soprattutto per colpa di una recitazione non sempre convincente. Buona la soundtrack.
Commento di: Reeves
Uno dei migliori film diretti da Umberto Lenzi, teso e sorprendente fino all'ultimo, ottimamente recitato da un Jean Sorel ambiguo e predatore e da un gruppo di donne una più ambigua dell'altra. Scene di vero e proprio pop dell'epoca, come la festa in discoteca infarcita di zoom e i titoli di testa in negativo. Una spruzzata di Blow up grazie a un filmino in superotto che poteva essere decisivo.
Commento di: Herrkinski
Per un reportage, una giornalista si mischia ai barboni, terrorizzati da un serial-killer che si aggira nei bassifondi. Esordio del regista di Riposseduta, è una commedia agrodolce in cui la Blair - in quegli anni interprete di tanti prodotti discutibili - risulta in forma e convincente nel ruolo; altalenante il resto del cast, su cui spicca Zany nella parte del tipico ciccione petulante e un po' ingenuo. Il sub-plot del maniaco lascia il tempo che trova e viene risolto nel finale con un twist piuttosto anomalo, ma il focus del film è sulla storia romantica e sulle gag dei barboni.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Tra un John Waters edulcorato e un Almodóvar più pacato, l'esordio di François Ozon prova comunque a stupire con qualche trovata niente male. Già l'incipit colpisce non poco: un uomo entra in una casa inquadrata dall'esterno dalla quale si sente cantare in coro un "tanti auguri a te" evidentemente a questi rivolto. Seguono spari in sequenza. Che è successo? Non ci viene detto, perché si comincia subito col solito "Qualche mese prima...". E si parte da principio: gruppo di famiglia con madre (Dandry), padre (Marthouret), figlia...Leggi tutto ribelle (Marina De Van) e figlio (Adrien De Van, i due sono fratelli anche nella realtà). Si capisce quanto fatichino a condurre una vita normale, soprattutto perché Sophie e Nicholas, i ragazzi, dimostrano di avere qualche problema di identità sessuale. E c'è persino il sospetto che il topino con gabbietta portato a casa da papà non porti influssi positivi, in famiglia. Può essere? Dal momento che il film è condotto con piglio a tratti surreale sarebbe sciocco dubitarne.

Esordisce Nicholas nel creare scompiglio: "Sono omosessuale". Lo dice a tavola, di fronte a tutti compresa la appena assunta domestica spagnola (Sanchez) e il suo partner (Deido), invitati a cena per sostituire un'amica di famiglia che ha dato buca. E proprio all'ultimo arrivato la madre chiede di raggiungere Nicholas in camera per vedere se riesce a farlo "ragionare"... Una situazione grottesca, accresciuta da quello che l'incaricato deciderà di fare per svolgere un compito che non si capisce perché dovrebbe spettare a lui. Fosse solo quello... Pure Sophie perde la brocca e, di notte, apre la finestra e si butta giù. Il tutto mentre mamma cerca di mantenere un contegno nell'accettare in qualche modo quanto accade e papà pensa solo a leggere il giornale e a far le parole crociate, rispondendo alle domande di sua moglie utilizzando proverbi, detti popolari o cercando di smorzare l'apprensione della donna con inutili frasi di circostanza. E' forse il personaggio meno banale del lotto, nella sua smaccata banalità, quello che più degli altri fa capire, attraverso un disarmante disinteresse nei confronti dell'intera famiglia, quanto il presunto self-control possa far più danni di quanto non si creda.

Nel frattempo Sophie è sempre più intrattabile anche nei confronti del suo boyfriend il quale, invece, si mostra comprensivo e cede solo per un attimo con la domestica esuberante in quella che resta la scena più "oltre" del film e che probabilmente gli fece guadagnare il divieto ai 18 (una "prestazione" inattesa con tanto di fallo di gomma in bella mostra). Giusto una provocazione che dichiara l'apparentamento provvisorio a un cinema trasgressivo, tuttavia "smontato" da una mancanza di vere idee forti e da una regia che ancora dimostra di non saper bene come gestire materiale simile.

I balbettamenti e le fasi di transizione occupano troppo spazio in attesa che si scateni qualcosa di divertente in scena, e anche la misteriosa, ampia congrega gay che si chiude in camera non riserva chissà quali sorprese. Per cui si chiude il cerchio riavvolgendo il nastro e svelando cosa accadde nell'incipit. Qualche sorpresa il finale la riserva, anche se poi l'epilogo non si fa certo ricordare e svela un qualunquismo di fondo che porta a riconsiderare quanto pensato di positivo su di un'opera comunque sufficientemente bizzarra da regalare qualche risata acida. Ma poi vien voglia di rivedere POLYESTER o LA SIGNORA AMMAZZATUTTI, che in tema di famiglie disfunzionali si erano spinti molto più avanti, anche se senza la raffinatezza di Ozon...

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Si parla di critica teatrale, nella Londra del 1934. E il più fulgido, inflessibile, orgoglioso rappresentante della categoria è Jimmy Eskine (McKellen, doppiato da Carlo Valli), che dalle colonne del Daily Chronicle da quasi mezzo secolo bacchetta attori e addetti ai lavori senza pietà arricchendo i suoi articoli di frasi tranchant. Nina Land (Arterton), attrice altrove ammirata, sa già che la sua ultima performance verrà presa di mira da un uomo che non le ha mai perdonato nulla. Sogna un giorno di poterlo convincere, ma intanto, quando quello prende posto in...Leggi tutto platea, lo guardano tutti con timore reverenziale, in attesa di sapere se... “intingerà la penna nell'arsenico”, come si chiede una spettatrice a rappresentazione conclusa.

La critica è feroce, come sempre, e al Chronicle qualcuno inizia a essere stanco di certi giudizi sprezzanti e in fin dei conti offensivi. Nina cerca di parlargli, lui l'affronta, insieme parlano: forse potrebbero avere l'uno bisogno dell'altro. Il perché ce lo spiega una trama che interseca tra loro le vicende di diversi personaggi che un po' artatamente costituiscono l'ossatura di un soggetto tutto sommato valido, ricavato da un romanzo ("Curtain Call" di Anthony Quinn, solo omonimo del grande attore) e si vede.

Le notazioni curiose, le relazioni che si stabiliscono tra figure che lentamente si scopre quanto siano interconnesse sembrano poter sortire ottimi risultati, ma la regia di Anand Tucker indugia troppo su un Ian McKellen che gigioneggia nel delineare il carattere oltremodo cinico del protagonista. Bravo, indubbiamente, calato bene nel personaggio eppure compassato quanto il film. Tra un disegno di maniera degli ambienti luccicanti e una fotografia patinata, il film si perde in riprese spesso didascaliche, che vorrebbero evocare grandi scenari ma non si distinguono dalla media corrente, non scadenti ma mai incisive, al punto che spesso il film rallenta eccessivamente e si sgonfia del tutto, senza mai tentare di far montare un briciolo di tensione per quanto potrebbe accadere, rifugiandosi in una messa in scena che sa da romanzo d'appendice, pur se nobilitata dalla qualità di un film che il suo budget ce l'ha.

THE CRITIC è melodrammatico in alcuni punti, piuttosto deludente nella resa della figura che si vorrebbe come partner d'eccezione: Gemma Arterton non sembra azzeccare granché la performance limitandosi al compitino, schiacciata dalla tracotanza di McKellen, che svela il tallone d'Achille del suo Jimmy Eskine quando al parco va a rimorchiare ragazzetti per soddisfare le proprie tendenze omosessuali sapendo di esporre in tal modo il fianco a possibili ricatti. Ma non è in quella direzione che il film si muove, concentrandosi invece sulle macchinazioni ordite dall'uomo per rientrare nei ranghi dopo un inatteso accantonamento dovuto ai suoi più volte segnalati, spregevoli eccessi nell'esercizio critico. Finale che scivola via senza sorprese per un film che si spegne lentamente, pur restando parzialmente godibile e curioso per il cinismo riprovevole di chi si sente comunque parte di un mondo che si comporta allo stesso modo da sempre.

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Ennesima riproposizione dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie in chiave di gioco di ruolo che si trasforma (ma va!) in tragica realtà, con aggiunta di ampi spunti da SIGNORI, IL DELITTO E' SERVITO (vale a dire la resa cinematografica di "Cluedo", il celebre gioco da tavolo regolarmente citato nei dialoghi e pure nei nomi, visto che c'è un signor Green).

Davvero niente di più abusato, nel giallo su piccolo e grande schermo, e pure la soluzione è già vista e...Leggi tutto stravista. Ormai la tendenza è quella di trasformare il classico della Christie in variante sempre più incline allo scherzo o al gioco di società. Ecco allora che Mystery Island (niente più che l'isola immaginata nel romanzo della Christie) diventa la sede ideale per invitare chi paga (in gran parte sono persone interessate a investire o che hanno già investito in quel business) a vivere un intreccio giallo costruito appositamente per sfidare i partecipanti a indovinare l'assassino.

La baronessa Jane Alcott (Burrows), presenza fissa in molte edizioni distintasi negli anni per non aver mai azzeccato la soluzione corretta, è finalmente riuscita a invitare sull'isola, per una vacanza all'insegna del mistero, la sua amica Emilia Priestley (Henstridge), brillante psichiatra che lavora per la polizia e che lei è certa possa superare tutti risolvendo l'enigma ideato dagli autori. Ben presto siamo sul posto, dove le due donne sono accolte da un maggiordomo con l'occhio bendato che mostra loro la splendida villa annunciando che ci sarà a breve un omicidio. Il cadavere, però, scopriremo a sorpresa essere quello di John Murtaugh (Getman), il misteriosissimo proprietario della tenuta che nessuno immaginava potesse essere lì; e non c'è niente da scherzare perché non si tratta affatto della consueta messa in scena: l'uomo è morto davvero! Inutile dire che non sarà l'unica vittima e che spetterà soprattutto a Emilia, insieme al detective (Weber) giunto lì per capire cosa sia successo, indagare sullo strano caso.

Lentamente verranno alla luce ricatti, sotterfugi e tutto ciò che ci si aspetta in film simili, nei quali la fantasia è l'ultimo dei requisiti richiesti e ci si limita a elaborare una storiella che componga un giallo facile facile in grado di garantire in coda il suo piccolo colpo di scena. E anche se i sospettati sono meno di dieci, l'influenza della Christie è da subito pesantissima e palese. Purtroppo un cast debole, soprattutto nei due protagonisti (la psichiatra e il detective), toglie presto senso all'operazione: si tira avanti tra una rivelazione e l'altra in attesa che si sciolgano tutti i nodi e si arrivi velocemente alla classica riunione di gruppo in cui ai sopravvissuti verrà svelata la verità.

Un film televisivo che non fa nulla per nascondere la propria natura e che col cinema non ha quasi nulla a che spartire. Al di là della recitazione fiacca generale, è anche la regia a non saper rendere interessante alcun passaggio: sembra la pallida replica di una delle tante (piccole) variazioni sul tema, scritta anche con discreta competenza, misura e buon garbo, ma dalla resa inconsistente e anonima, priva di figure in grado di donarle personalità (difetto peraltro riscontrabile in quasi tutti questi stinti epigoni del classico christieiano). Gli si perdona qualcosa giusto perché di film televisivo si tratta, ma come sempre quando si affronta un gioco che muta in tragedia l'artificialità del tutto emerge scopertamente...



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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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