Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
A distanza di trent'anni dalla pubblicazione del suo romanzo, Trumbo passa dietro la macchina da presa per trarne un film sulla follia della guerra che sgomenta e lascia disorientati: potente nelle parti realistiche in b/n in cui sentiamo i pensieri di Johnny, soldatino della grande guerra ridotto a un tronco umano senza vista, senza udito e senza voce, erroneamente ritenuto insensible e privo di coscienza, commovente nelle rievocazioni del passato, meno convincente nelle sequenze oniriche in cui parla con Gesù. Nel complesso un'opera imperfetta ma unica, originale, imperdibile.
Biopic sul direttore dell'FBI, J. Edgar Hoover, figura ambigua e controversa. La storia ripercorre più la sfera privata che quello che potrebbe interessare di più: la sua partecipazione a eventi storici. Non è fra i migliori film diretti da Clint Eastwood. Leonardo Di Caprio superlativo (soprattutto in versione originale). Ottima la fotografia. Discreta la colonna sonora.
Non solo cartomante e chiromante, ma anche podomante e così la procace matrona cerca di sedurre il visconte, facendogli imprimere mano e piede su lastre rivelatrici: idea sfiziosa che rimanda al processo fotografico, accrescendolo di proprietà rivelatrici profonde, che poi Cohl, al solito, interpreta con il disegno e la fluidità caricaturale della sua animazione. Insomma, un cortometraggio composito e sottile, capace di piacevole umorismo, di leggera fantasia ma anche di spunti intriganti sul concetto di rappresentazione.
Visionaria, pittorica e grottesca fiaba horror erotica lettone, con remininscenze jiresiane, suggestioni svankmajeriane e pulsioni borowczykiane e zulawskiane. Il ragno del titolo prima è piccino e mosso a passo uno, poi umanoide e pronto a ghermire la bella Vita che, invitata a posare per il misterioso artista Albert, verrà avviluppata in una ragnatela fatta di incubi e quadri che si animano. Nudi mai volgari. Da vedere.
Tipica commedia d'inizio '90 con protagonista bambino pestifero e rigorosamente biondissimo, che non si discosta minimamente dal già povero filone, perdendosi nella noia totale. La storia è classica, scontata in tutti i suoi aspetti e in tutte le scene, ogni tanto strappa qualche sorriso e si lascia guardare leggera per tutta la durata. L'unico lato degno è la presenza di Walter Matthau, di gran lunga il migliore di tutti, anche se pure il giovane protagonista se la cava. Il finale dolciastro e ampiamente scontato non migliora la situazione. Per famiglie, ma resta mediocre.
Rispetto al coevo Piccolo Cesare appare più moderno sia a livello registico che recitativo, ma ne condivide il difetto di voler condensare troppi eventi in un minutaggio relativamente breve. Trampolino di lancio per Cagney, che si imporrà come una delle facce più iconiche del genere e buon cast di contorno in cui a deludere è proprio l'iconica Jean Harlow, femme fatale di scarso spessore. La tanto reclamizzata violenza oggi appare poca cosa (quasi tutte le uccisioni avvengono fuori campo), ma all'epoca contribuì in maniera determinante all'introduzione del famigerato Codice Hays.
Favoletta moralisticheggiante sulla differenza di classe sociale azzerata dall'improvviso tracollo finanziario del benestante, il film di Fabrizio Maria Cortese si riallaccia a una tradizione che in Italia ha ampie radici con le quali si sono cimentati un po' tutti i nostri commedianti, da Pozzetto ad Abatantuono. Il gioco è sempre lo stesso: trasferire il ricco nell'ambiente del povero per vedere come si comporta alle prese con le difficoltà di ogni giorno,...Leggi tutto col lavoro che manca e con ristrettezze economiche di ogni genere.
In questo caso la famiglia che vive nel lusso più sfrenato è quella di Edoardo Mariani (Ruffini) e sua moglie Giovanna (Spada), genitori di tre figli che dire viziati è poco. D'altra parte è talmente caricaturale, il disegno di ogni singolo personaggio della famiglia, che sembra a tratti di avere a che fare con una parodia, nonostante nel film ben poco si rida: papà è sempre impegnato col telefonino, mamma lo accusa di ignorarla ma poi pensa alle corse dei cavalli, i due figli maggiori (perché la piccola, dolcissima, è l'unica che pare conservare una sufficiente dose di umanità) frequentano compagnie di ragazzi ultrasnob che guardano con disprezzo chi svolge lavori meno finanziariamente gratificanti; come Rosa (Cucinotta) ad esempio, collaboratrice scolastica (bidella non si dice più) nella scuola della giovane Emma Mariani (Savignani) nonché moglie di Ottavio Crocetti (Memphis), ex compagno di classe e grande amico di Edoardo, dal quale quest'ultimo si era staccato dopo averlo visto baciare la donna di cui s'era innamorato e alla quale aveva chiesto di consegnare una musicassetta con le musiche che lei preferiva (erano gli Anni 80, come ben si vede nel prologo).
Ora Ottavio lavora come giardiniere nel golf club frequentato da Edoardo dove bazzica pure Mimmo Versi (Tognazzi), traffichino che gestisce gli investimenti milionari di Edoardo. Quando Mimmo viene arrestato, Edoardo capisce che per lui, truffato senza pietà fino all'ultimo euro, si prospetta un lungo periodo nero all'insegna della povertà più nera, dalla quale Ottavio si offre di sottrarlo offrendogli di stabilirsi in una sua piccola casa nel paesello dove vive (siamo in Basilicata, nel potentino). Tutto ciò che prima era la norma diventa un miraggio e ovviamente i poveri, che nel film sono sempre e solo di buon cuore, faranno capire agli amici cosa significa vivere una vita dura in un appartamento piccolo e cadente, invece che in una moderna villa nel verde.
Insomma, il canovaccio è elementare e per sorreggerlo serviva almeno una sceneggiatura in grado di dargli per quanto possibile degna forma. Invece, benché questa sia stata scritta dal regista con Federico Moccia (qualche timido spunto azzeccato nel disegno dei ragazzi si vede), c'è poco da stare allegri. I personaggi sono tutti altamente stereotipati, con Memphis che con la sua aria da cane bastonato incapace di sorridere si mostra oltremodo comprensivo nei confronti dell'amico in difficoltà, Ruffini costretto a fare buon viso a cattivo gioco e la Spada nel ruolo di partner incapace di sopportare la vicinanza dell'altra madre (la Cucinotta), al contrario sempre pronta ad aiutarla.
Di banalità in banalità si toccano tutti gli argomenti più tipici del campo (dal bullismo in chiave femminile a scuola, reso in maniera davvero sconfortante, fino all'amore) senza che emerga una storia capace di appassionare il minimo indispensabile. La famiglia Mariani, dopo aver messo in mostra tutto il peggio di sé, passa progressivamente al prevedibile tenero idillio con chi ha avuto il merito di accoglierli e aiutarli. A salvare un film scritto senza inventiva e diretto con poca grinta ci deve pensare il cast, se non altro ben scelto e discretamente diretto (per una volta anche nelle giovani leve), che mostra di trovarsi a proprio agio nelle parti assegnate e che nel complesso permette di sorvolare parzialmente sulle carenze delo script. A corredo la piacevole colonna sonora di Stefano Caprioli, che dà ritmo e armonia quando (spesso) mancano.
Nel rievocare la storia dei gangster Frank Costello e Vito Genovese, amici fin dall'infanzia e ritrovatisi l'uno contro l'altro (o quasi) nella seconda parte della loro vita, l'idea è quella di farli impersonare dallo stesso attore. Non uno qualsiasi, naturalmente, ma Robert De Niro, vale a dire incontestabilmente il più grande, nel genere. Non solo: alla sceneggiatura troviamo Nicholas Pileggi, l'uomo che con Martin Scorsese scrisse addirittura QUEI BRAVI RAGAZZI e CASINÒ...Leggi tutto, ovvero due dei più amati noir di sempre. Perché allora il film non raggiunge nemmeno lontanamente le vette di quei classici? Non si può dare la colpa solo a Barry Levinson, la cui regia comunque non si segnala per virtuosismi o per particolare efficacia (e non è la prima volta, purtroppo), ma certo se c'è da cercare un responsabile...
Già la scelta di utilizzare De Niro per due figure dal carattere tanto diverso non si rivela troppo felice: nonostante il make-up diverso, a volte il rischio di confondersi esiste; un po' per il modo di recitare, in entrambi i casi facilmente riconoscibile, un po' per le espressioni e i tratti somatici che dietro le apparenze emergono prepotenti e un po', per noi italiani, pure per via del doppiaggio, con il pur bravissimo Stefano De Sando che fatica a differenziare le due voci. Ma al di là della possibile confusione, è anche una certa monotonia nel modo di recitare che nega al film la necessaria varietà.
La struttura è quella di ogni gangster movie, con i tempi che si mescolano e la rievocazione del passato che torna soprattutto attraverso la composizione di immagini tratte da fotografie in bianco e nero. Poi frequenti balzi in avanti, con Costello che racconta quanto accaduto nel periodo analizzato, immediatamente susseguente a quella che era parsa un'esecuzione in piena regola: qualcuno spara a Frank e lo centra in testa mentre sta per entrare in ascensore. Com'è possibile, ci si chiede, che sia allora lui a fare da narratore fuori campo? Siamo in zona VIALE DEL TRAMONTO? No, semplicemente il colpo per miracolo non ha leso parti vitali del cranio e Frank torna presto in sella più vivo che mai, pronto a fronteggiare colui che fu un tempo suo inseparabile amico e che - lo si scopre in pochi minuti - è il mandante del tentato omicidio.
Vito, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, aveva dovuto riparare in Italia lasciando il campo libero a Frank: gli aveva ceduto l'intero potere consegnandogli di fatto le chiavi del racket a New York, ma una volta tornato pretende che quanto un tempo donato gli venga restituito. Frank è leale, solo spiega che non sarà un'operazione facile e che ci sarà da decidere come spartire il tutto: i tempi sono cambiati, ora l'antiproibizionismo è stato sostituito da una ben più feroce caccia al narcotraffico...
La prima parte è di assestamento, votata in gran parte alla ricostruzione della vicenda e a un attendismo non entusiasmante. E' nella seconda che per fortuna il film si riprende, delineando bene la figura di Frank Costello (il vero protagonista) e mostrandocene l'aspetto decisamente più umano e sornione, rispetto all'intransigente carattere impulsivo di Vito, uomo d'azione che non accetta le mezze misure. Il fulcro della storia, che si svilupperà meglio nella seconda parte, è ben studiato e a suo modo interessante, ma è intaccato da divagazioni superflue, flashback e flashforward che appesantiscono aggiungendo poco e disperdendo l'attenzione, mentre in ogni caso i ritmi sono bassi e pochi gli interventi davvero ficcanti (si ricorda l'eccellente break in cui Vito attacca in auto il suo tirapiedi che gli racconta come sono nati i mormoni, in cui si rivede l'eco dei tempi migliori). La tensione accumulata per un finale molto ben preparato si stempera in un poco di fatto che lascia l'amaro in bocca... Il titolo? The Alto Knights è il nome del locale che compare come punto di riferimento nelle diverse epoche.
Un film televisivo come lo era il simile THE DAY AFTER, che però dava l'impressione di poter contare su più mezzi e un cast superiore. Gli inglesi, però, nell'ipotizzare un terrificante attacco atomico (una minaccia, soprattutto in quegli anni, ben presente), superano in ferocia e cinismo gli americani, confezionando una seconda parte realmente agghiacciante.
Scandito da didascalie che annotano i giorni (e gli anni, perché l'arco di tempo analizzato è ampio) in cui l'apocalisse...Leggi tutto procede, il film di Mick Jackson lascia montare il clima di tensione internazionale attraverso i tanti notiziari che si ascoltano, spesso sullo sfondo di scene che raccontano altro. Di tanto in tanto le news si prendono il centro dell'attenzione - così da spiegare meglio l'acuirsi della crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica partita da uno scontro in Medio Oriente (l'Iran come credibile focolaio primigenio) - e mostrano le diverse reazioni della popolazione alle notizie: qualcuno le prende sottogamba, altri ne capiscono da subito la grave portata.
Esiste anche una coppia che sembrerebbe guadagnarsi il ruolo di protagonista, due giovani in procinto di sposarsi dopo che lei (Meagher) ha scoperto di essere incinta, ma sono cronache effimere di un quotidiano di scarso spessore, perché il racconto procede coralmente, abbracciando l'intera di città di Sheffield, in Inghilterra, che sostituisce quindi la Kansas City di THE DAY AFTER. Assistiamo all'improvviso proliferare di manifestazioni (pro e contro la guerra), alle prime cacce di scorte alimentari che conducono verso il progressivo esaurimento della merce nei supermercati, agli avvisi del governo che cominciano a spiegare come ci si deve comportare in caso di catastrofe nucleare, all'attrezzamento dei bunker, sempre in un clima che punta a mostrare tuttavia la relativa normalità del quotidiano.
Nel frattempo le notizie dal fronte si fanno sempre più cupe, si moltiplicano le esercitazioni, si verificano i primi incidenti diplomatici e si capisce come si stia correndo a gran velocità verso il baratro. Poi il fungo atomico, improvviso, che si staglia nel cielo lasciando attoniti. E tutto cambia, come facilmente previsto da ogni studio.
Costantemente supportato da immagini di repertorio mescolate a filmati che ricostruiscono la catastrofe e i suoi effetti, il film mostra da qui la sua seconda natura, quella documentaristica, che ha il preciso scopo di atterrire, sperabilmente di dissuadere dall'utilizzo dell'arma nucleare. La forza di THREADS stra soprattutto nel modo in cui comunica il messaggio, senza arretrare di fronte a immagini scioccanti, di devastazione e silenzio, di fuoco e di cenere. Non c'è di fatto nulla di nuovo in quello che si racconta ma cambia il come; la continua mescolanza e interconnessione tra fotografie, approccio documentaristico, fiction, bianco e nero, colore, diventano un caleidoscopio di orrori che non risparmia nessuno.
Se però nella forma il valore dell'opera trova punte anche altissime, relativo è il coinvolgimento. Forse perché ormai assuefatti da sviluppi simili che portano ad analoghe, inevitabili conseguenze, attendiamo che esse si concretizzino senza grandi sorprese. A lungo andare l'imbarbarimento programmatico, illustrato anche con la dovuta glacialità, procede in modo piuttosto piatto. Nessuna precisazione sull'andamento della guerra nel mondo, poche notazioni di carattere medico: si sceglie la via di una narrazione che privilegi l'emozione senza però riuscire troppo a comunicarla.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA