Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Imprescindibile classico del noir, che agli impermeabili e al detective tenebroso aggiunge un delizioso tocco hitccockiano che a metà film rimescola le carte. Protagonista bella e libera in un mondo di uomini che vorrebbero possederla senza riuscirci, compreso chi sta indagando sulla sua morte. Traduzione imbarazzante, a partire dal titoloe passando per i nomi dei protagonisti; viene perfino sostituita nel finale la splendida "Vitae summa brevis" di Dowson con parole di D'Annunzio. Resta comunque magistrale l'intreccio e superba la prova degli attori.
Il primo film dedicato ai geneticamente mutati non segue il percorso del fumetto Marvel originale: manca la Bestia e Uomo ghiaccio si vede solo di sfuggita, mentre personaggi vari che appariranno in seguito sono già presenti. Tra questi ultimi spicca Wolverine, non a caso affidato a un attore di spicco come Jackman, bravo e soprattutto giovane. La storia è poca cosa, un fumettone nell'accezione povera del termine, come se il film volesse essere un episodio pilota per sondare I gusti del pubblico. Si salvano gli effetti speciali e alcune battute simpatiche, ma nel complesso è noioso.
Quando il buio non è solo notte ma verità retrattile che imprime le sue impronte digitali raschiate su coscienze in allarme. L’indagine è un rito esistenzialista, noir filosofico in cui la verità è al più una chimera e la giustizia un’eco stanca, dove non importa il colpevole ma il concetto stesso di colpevolezza che ricade su tutto e tutti a prescindere e a trascendere. Il cinema di Moll brucia come una sigaretta lasciata a spegnersi nel posacenere della coscienza: il cast pare uscito da un'antologia del dolore represso che rischia sempre volentieri di surgelare il carico psicogeno.
Chi conosce e ama Dylan sa quanto il periodo "inquadrato" da Mangold sia decisivo per la creazione dell'enigma mi(s)tico del menestrello renitente. Va dato atto al film che, non potendo sciogliere per manifesta inferiorità la genialità che sta dietro la creazione artistica, sa gettare però una luce calda ma non condiscendente sulla problematicità dei rapporti umani e professionali che il carismatico innovatore della scena folk intrattenne con maestri (Guthrie, Seeger), colleghi (Baez, Cash) e affetti (Sylvie). Magari non una pietra rotolante ma certo non un film che soffia nel vento.
Grandissimo film (purtroppo andato a scomparire con il passare degli anni) in cui ciò che fa la differenza sono le prove attoriali (da brividi) di tutto il cast. Distruzione del sogno americano in cui i nostri protagonisti prendono parte a una vera lotta alla sopravvivenza in cui ciascuno si ritaglia uno spazio tra le migliori prove attoriali di sempre. Ad accompagnare il tutto sono un'ottima sceneggiatura di Mamet composta da dialoghi strepitosi e una sapiente regia di Foley. Intelligente, cinico, forse a tratti troppo teatrale, ma senz'altro un esempio di altissimo cinema.
In sostanza una commedia sexy anni ’70 ante litteram, ma senza nudi: praticamente una pistola scarica. Cosa ne resta? Un'esile trama colma di macchiette dalla comicità pecoreccia. In fondo non si era partiti male: Gina Mascetti, irriducibile tenutaria di un bordello chiuso dalla Merlin, era una figura gagliarda. Purtroppo ci abbandona presto, parzialmente compensata da Lia Zoppelli, lasciando il film a boccheggiare ripetitivo e inconcludente in una fumosa lotta per l’eredità tra due salumai e un grottesco barone siciliano (incomprensibile UFO buttato in mezzo alla Romagna).
Il mondo della boxe continua a offrire grandi storie di redenzione e coraggio, quasi sempre condite – come in questo caso – da uno spirito popolare che ben si addice a uno sport diverso da tutti gli altri. THE FIGHTER racconta la storia (vera) di Micky Ward (Wahlberg), peso welter con un fratellastro ingombrante, Dicky (Bale), più vecchio di nove anni e, tempo prima, pugile a sua volta, già idolo di Lowell (Massachusets) per aver messo K.O. nientemeno che Sugar Ray Leonard. Ma poi per lui ci fu il ritorno a una dimensione molto più umana, fatta di eccessi e di una...Leggi tutto caduta nella tossicodipendenza (crack, per l'esattezza), che lo portò a dedicarsi anima e corpo all'allenamento di Micky, ancor più forte di lui e con la testa a posto.
La vita in una famiglia in cui la madre Alice (Leo) e il padre (McGee) devono tenere a bada ben nove figli (gli unici maschi sono Micky e Dicky) è stressante, e per Micky lo è ancora di più avere di fianco un fratello decisamente fuori di testa come Dicky, la cui psiche è stata con tutta evidenza distrutta dall'abuso di droghe. La madre, diventata la manager di Micky, gli procura incontri che non sempre sembrano poter essere i migliori e, quando uno di questi finisce male, Micky, nel frattempo messosi insieme con una bella barista del posto, Charlene (Adams), capisce che è arrivato il momento di cambiare vita, anche a costo di entrare in contrasto con la famiglia.
Una storia ben organizzata, diretta con mano esperta da David O. Russell, che rende al meglio l'atmosfera popolare nella quale sono inseriti i personaggi, tutti caratterizzati con gusto e sana veracità. Tra questi svetta Christian Bale, autore di una performance memorabile (giustamente premiata con l'Oscar per il miglior attore non protagonista, statuetta identica a quella guadagnata da Melissa Leo, brava ma assai meno incisiva): la naturalezza con cui dà vita al fratello su di giri e un po' scemo è in ogni situazione davvero rimarchevole e rappresenta il valore aggiunto di un film cui comunque anche Wahlberg fa onestamente la sua parte. Spesso malinconico, disilluso, Micky è il volto buono del campione che non sempre sa quale sia la scelta giusta da fare, con la dolce Amy Adams a tenergli ottimamente testa per dare la necessaria tridimensionalità al personaggio.
Discretamente rappresentati gli incontri di boxe: lontani dal drammatico spettacolarismo di un ROCKY, convincono per il lavoro fatto sulle immagini, che assomigliano a quelle di una ripresa televisiva con tanto di piccoli disturbi; un passo originale in direzione del realismo per chi è abituato a vedere la boxe da casa. Si aspetta con trepidazione l'ultimo incontro, ma si capisce quanto i match non siano mai troppo centrali, all'interno di una storia che punta a raccontare altro e lo fa seguendo le coordinate del cinema americano più classico, confezionato senza sbavature e forte di una sceneggiatura solida, che individua bene gli snodi importanti scandendo al meglio il ritmo. L'ambientazione Anni Ottanta e Novanta è restituita con rigore e aiutata come sempre dalle musiche (“Dance Hall Days” dei Wang Chung, “Here I Go Again” dei Whitesnake, “Back in The Saddle” degli Aerosmith e molte altre, oltre a una “I Started a Joke” dei Bee Gees cantata in auto dai due premi Oscar).
Non un sequel questa volta ma, visto anche un Keanu Reeves a mezzo servizio (e anche meno), uno spin-off, che s'intrufola nel mondo di John Wick sfruttando tangenzialmente l'idea del Continental (la catena di hotel di lusso in cui è proibito uccidere) e con più decisione quell'estetica laccata e raffinata mescolata all'azione turbolenta che sono marchi indelebili della saga. Reeves lo s'infila come marchio di garanzia certificato, presente molto di sfuggita (e semimuto) in una scena nella prima parte e in modo più decisivo e importante nell'ultima, quando...Leggi tutto agisce da “mediatore”.
Il prologo è poco centrato, con siparietti banalmente melodrammatici in cui padre e figlia si divertono sulla spiaggia e il carillon con la ballerina che appare insistentemente imponendosi come immagine simbolo del film. Quando poco dopo subentra l'azione esplosiva, con l'arrivo - nel castello dove i due vivono - di un manipolo di uomini in nero armati fino ai denti al servizio del losco Cancelliere cui dà il volto Gabriel Byrne, si rientra finalmente nel mondo "vero" di John Wick, nel quale da sempre si spara, si trucida, si bombarda, si vola e ci si mena a più non posso. Ma ancora il film non decolla: tutto troppo già visto, piatto... Bisogna aspettare la fatidica didascalia che ci riporta al presente (o meglio al 2019, a cavallo tra gli eventi del terzo e quarto capitolo) e l'entrata in scena della De Armas (la stessa bambina dell'incipit ormai diventata una donna, Eve Macarro) per cominciare a ingranare.
Le prime fasi sono tuttavia ancora un lungo percorso di iniziazione durante il quale la protagonista si allena a diventare una "ballerina" della Ruska Roma, scuola di danza - gestita da un donnone carismatico (Huston) - dove in realtà ci si trasforma in "guardie del corpo" molto particolari, con chiara licenza di uccidere. L'ha portata lì il buon Winston (McShane), il direttore del Continental di New York che l'ha aiutata dopo che nell'agguato iniziale il padre di lei era morto. Non le ci vorrà molto prima di incontrare sulla sua strada un uomo che sul braccio porta lo stesso simbolo di quello che Eve aveva visto sul braccio degli assassini di papà, al castello. Partirà alla volta di Praga, dove ha scoperto che le stanze del Continental ospitano un altro killer affiliato alla stessa “setta”, e da qui si ritroverà nello splendido paesino austriaco di Hallstatt (il nome esatto viene mantenuto anche nel film), dove si rifugia il Cancelliere, l'uomo a cui Eve ha giurato vendetta.
Tutta la seconda parte del film è ambientata sotto la neve nel magnifico borgo, i cui abitanti verranno sterminati allegramente dalla "Ballerina" in quella che si trasformerà in breve nella consueta carneficina esagerata. Il livello dell'azione salirà a livelli parossistici e tutto rientrerà con decisione, dopo una sparatoria selvaggia in un'armeria che ci aveva fatto pregustare la violenza selvaggia e sanguinaria tipica della saga, nei consueti binari dello spettacolo brutale di indicibile ferocia: un delirio di corpi maciullati, bucherellati, accoltellati, impiccati, fatti esplodere e massacrati a ritmo di videogame. Il finale coi lanciafiamme alza ulteriormente l'asticella e - almeno al cinema - le scene valgono il prezzo del biglietto.
La De Armas non ha modo di brillare granché al di là della prestanza fisica, gli altri fanno quel che devono e la regia tiene viva l'attenzione senza concedere un attimo di tregua (memorabile anche un comico scontro ravvicinato con piatti spaccati in testa). Gli appassionati della saga gradiranno, pur se qui latita parzialmente quella poesia rafforzata da una sorta di misticismo che si accompagnava a uno stile esteticamente elegantissimo e alla grandiosità scenografica, ritrovata in questo caso solo grazie ai suggestivi scenari sul lago ad Hallstatt.
Ad attirare ogni attenzione non può che essere la livida Vienna del dopoguerra, fotografata con un bianco e nero sublime da Robert Krasker (meritatissimo l'Oscar). L'abilità del regista Carol Reed nel coglierne scorci architettonicamente straordinari, allargandoli con grandangoli che ne abbracciano la ricchezza delle decorazioni o le prospettive impossibili (si pensi alle riprese sotto la ruota del Prater), riempie gli occhi, rendendo difficile non distrarsi da una storia che al contrario non ha nulla di troppo eccezionale, un noir spionistico convenzionale retto da un Joseph...Leggi tutto Cotten corretto ma niente più.
Nel film Cotten è Alga Martins (in originale Holly Martins, chissà cosa è saltato in testa ai nostri traduttori), scrittore di romanzi d'avventura di poche pretese, chiamato nella capitale austriaca dal suo amico d'infanzia Harry Lime per un lavoro di cui nulla è dato sapere. Né si saprà in seguito, dal momento che Martins scopre come Harry sia appena stato trovato morto dopo essere stato investito da un'auto. L'uomo presenzia al funerale di Harry e viene messo al corrente dalla Polizia che il suo caro amico non era esattamente uno stinco di santo. Non glielo conferma però l'amante di questi, Anna Schmidt (Valli), ancora innamorata dello scomparso, che non tiene per nulla in considerazione le chiare avance di Martins.
Martins prova come può a indagare su alcune circostanze poco chiare relative alla morte di Harry. Ad esempio viene a sapere che, oltre alle due persone che avevano portato via il corpo, sul luogo dell'incidente era presente un terzo uomo (da cui il titolo), la cui identità sembra a tutti sconosciuta. Anzi, gli altri due negano sia mai esistito, questo terzo uomo... Intorno a questa figura misteriosa ruota una storia che non manterrà poi il segreto troppo a lungo, svelando progressivamente la soluzione. Nel frattempo alla Valli viene concesso ampio spazio per dare corpo a una figura melodrammatica che l'algida attrice è brava a non far scadere nel melenso.
E' chiaro poi che la comparsa in scena di Orson Welles diventa d'improvviso centrale, contribuendo a dare varietà alla vicenda e permettendo al grande uomo di cinema di confezionare per se stesso un celeberrimo monologo (inutile citare una volta di più la frase sull'Italia che in un'epoca di orrori e odio seppe far nascere Leonardo e il Rinascimento al contrario della Svizzera, alla quale il placido benessere permise di donare al mondo solo... l'orologio a cucù!). Ma ancora e sempre a lasciare meravigliati sono gli scenari studiati in ogni inquadratura soprattutto per i tanti esterni, ancor più fascinosi quando girati di notte, con contrasti di luce che ne mettono in risalto le forme e i particolari.
Si respira modernità nella caratterizzazione di molti personaggi, ambigui e beffardi, meno nello sviluppo della storia, penalizzata da una regia piuttosto compassata che si sviluppa arenandosi in pause non richieste e lungaggini inutili (e l'invadente chitarra acustica di Anton Karas in colonna sonora, quando dilaga, diventa snervante), con l'uso però della lingua tedesca che, non comprensibile al protagonista, ne restituisce in molti casi lo spaesamento. Molte le scene passate alla storia del cinema, ma ancora una volta più per la loro resa grafica (l'inseguimento nelle fogne, la caccia notturna al "terzo uomo", il finale lungo il viale alberato del cimitero) che per il significato delle stesse all'interno del film. Comunque un classicissimo da conoscere.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA