L'Everest negli anni è diventato un business. Dal giorno della prima ascensione del 1953 il monte è diventato meta di decine di spedizioni, moltiplicatesi negli anni fino a trasformarsi in autentici viaggi organizzati. Ed è a questi che fa riferimento il film di Kormákur, costruito non tanto sulla difficoltà tecnica del percorso per arrivare alla vetta ma sui rischi estremi riconducibili al tempo e alla mancanza di ossigeno. Differentemente da quanto ci si aspetterebbe non sono i passaggi sui crepacci o sulle scalette (in un paio di occasioni si capisce quanto fossero potenzialmente spettacolari) ad aumentare la drammaticità quanto piuttosto le variabilissime condizioni climatiche, che in pochi...Leggi tutto minuti possono rendere arduo ogni spostamento. Ci vuole naturalmente un po' prima di entrare nel vivo dell'azione. Ci vengono presentati i personaggi della tragica ascesa – realmente avvenuta – del 1996 (il Rob di Jason Clarke in primis, poi il Beck di Josh Brolin e lo Scott di Jake Gyllenhaal): Rob e Scott sono le guide di due spedizioni diverse che decideranno di unire gli sforzi per raggiungere insieme la vetta, Beck è lo scalatore a pagamento lì come altri per ambizione personale. Sono tutte performance da apprezzare all'interno di un cast indubbiamente scelto bene ed efficace (Keira Knightley compresa, pur nella figura statica della moglie di Rob, rimasta a casa e incinta), che si muove sotto un'ottima direzione e una regia che sa rendere con bravura l'atmosfera dei diversi campi posti sul percorso, dove si instaura un inevitabile cameratismo. Il vero pericolo si comincia ad avvertire solo nella seconda parte del film, quindi successivamente al raggiungimento della vetta, conquistata con relativa facilità. E' la discesa il momento in cui l'improvvisa drammatizzazione precipita i gruppi, separatamente, nel terrore. Nuvoloni neri e tempeste di neve, ma ancora l'approccio si rivela piuttosto differente da quanto visto finora in tema: nessun particolare effetto speciale o ripresa ardita, solo la forza dei paesaggi nepalesi reali, l'inquietudine e i silenzi, le rocce che spiccano maestose dalla neve, le comunicazioni sempre più compromesse con il campo base, l'impossibilità di organizzare i soccorsi in tempo utile, il volo ballerino di un elicottero che arriva dove l'aria rarefatta rischia di sbatterlo giù a ogni colpo d'elica. Visivamente affascinante, il lavoro dell'islandese Kormákur lo è però meno dal punto di vista della spettacolarità, come detto, e con una durata che arriva alle due ore la cosa si avverte. Forse ci voleva un lavoro maggiore nella ricerca delle inquadrature, ma anche così, con un'impronta più classica e uno straordinario lavoro sul sonoro, EVEREST resta una ricostruzione apprezzabile e gradevole.
Spettacolare ricostruzione della drammatica spedizione del 1996 sulla vetta più alta del mondo. Secondo l'ormai collaudato copione di successo delle produzioni americane del genere catastrofico (il regista però è islandese), l'evento tragico viene preparato partendo, con eccesso di liricità, dalle diverse situazioni umane e familiari dei protagonisti per poi culminare in una narrazione epica di grande coinvolgimento emotivo ma di impostazione molto tradizionale.
Raccontare il dramma di Everest 1996 per immagini, condensando le vite di numerose persone e il dramma di quella tragica scalata non era certo cosa semplice. Vicenda discussa e ricca di scontri (a partire dai due libri biografici che già la raccontavano), ha sempre animato discussioni suscitando sgomento e polemiche. Il film comunque è riuscito e si avvale di ottime riprese; normale che il lato emotivo prevalga su quello didascalico e inevitabile che non ci sia stato il tempo necessario per approfondire ogni personaggio.
Arrivare a toccare la vetta della montagna più alta del mondo spinge molti a compiere questa prodezza sfidando le dure leggi della natura. La lista dei morti sull'Everest è lunga; Kormákur prende a esempio quella di una spedizione avvenuta nel 1996 con tragici esiti. Funzionale al racconto la buona riuscita nel far comprendere al sedentario spettatore le difficoltà dell'ascesa e della dura vita dell'alpinista, ma l'eccessiva durata e qualche enfatizzazione lacrimevole smorza in definitiva i toni.
Un po' troppo costruito e recitato, questo drammone della montagna, alla fine, è ridotto a pellicola dove la gente muore (come è tristemente giusto che sia) per mancanza di ossigeno, congelamento, stupidità, cocciutaggine e così via. Gli attori comunque se la cavano, c'è qualche bella panoramica, o veduta dalle cime; e la carenza di ossigeno è piuttosto ben resa. Il resto non rimane più di tanto impresso nella memoria, compreso il collegamento radio col morituro. Naturalmente, c'è spazio anche per un piccolo miracolo. Discreto.
MEMORABILE: L'attraversamento del ponte, dove uno dei protagonisti potrebbe lasciarci subito le penne; La respirazione con polmoni distrutti e poco ossigeno.
Le riprese in montagna sono bellissime e del resto non poteva non essere così con un protagonista come l'Everest. Forse si nota invece qualche artificialità in alcune ricostruzioni in studio. Gli attori si impegnano ma forse nessuno veramente buca lo schermo (giusto il grande Josh Brolin regala qualche emozione in più). In definitiva un film che mi ha interessato per tutta la sua non breve durata ma non mi ha completamente conquistato, e non nemmeno capire bene perché. Imperdibile comunque per gli amanti della montagna.
Alcune concessioni al mainstream lacrimoso non disinnescano la carica emotiva di una lotta per la sopravvivenza ad altissima quota superiore forse nella fase preparatoria (che meglio valorizza paesaggi e scenari) che nel disastro vero e proprio, ma abilissima sia nel tenere alta l'adrenalina che nel descrivere l'innata propensione autolesionistica dei suoi personaggi. Un ritratto più viscerale della sofferenza non avrebbe guastato, ma per chi non conosce i fatti ispiratori c'è un finale meno consolatorio del previsto. Credibile prova del cast.
Spettacolare ricostruzione cinematografica della disastrosa spedizione sull'Everest avvenuta nel 1996. Ovviamente il pezzo forte del film sono gli scenari mozzafiato ricostruiti molto bene, sia in studio che sulle Alpi. Nonostante si sappia già come va a finire, "Everest" riesce a creare ansia e tensione e un forte senso di claustrofobia. Come ogni buon film americano non può mancare la scena d'amore eccessivamente melensa, ma ci si passa sopra. Ottima la prova degli attori.
Avvincente cronaca di una sventurata spedizione sull'Everest, diretta con piglio quasi documentaristico ma senza tralasciare la componente emozionale (verso la fine potrebbero spuntare varie lacrimucce). I paesaggi mozzano il fiato, la tensione è palpabile in più di un'occasione e le storie dei protagonisti coinvolge. Bene il cast, costituito da attori in parte, anche se i personaggi in alcuni casi possono sembrare impalpabili (per esempio a Worthington tocca davvero poco da fare). Notevole.
Vorrei che fosse soltanto per motivi etici, ma credo c'entri anche il fatto che il mio spirito sportivo rivaleggia con quello di una ciabatta, comunque è raro riescano a coinvolgermi le vicende di chi rischia la buccia (e mette in pericolo quella di altri) per il gusto della sfida oltre i limiti imposti da natura e buon senso. Pur girata con professionalità, questa pellicola non fa eccezione, limitandosi solo a sfiorare gli aspetti discutibili di questo tipo di turismo estremo che sta riducendo la cima del mondo ad una discarica. Le belle riprese delle vette giustificano comunque la visione.
Everest per certi versi sembra quasi muovere i passi dalla capacità descrittiva di uno dei suoi partecipanti: Krakauer. Sotto altri punti di vista galleggia sull'ennesimo dramma della montagna, su un figlio che ha da nascere, su una Keira che non se ne capisce l'importanza e su un cast fin troppo inutilmente ricco. Nel genere montanaro preferisco il precedente svizzero, ma va detto che talune inquadrature sono decisamente emozionanti. Un po' freddo, un po' meccanico con qualche picco di forzate lacrime. Non eccezionale.
Film fedele alla realtà di una montagna che non fa sconti a chi pretende di conquistarla, specie se errori umani e sfighe climatiche riducono i margini di sicurezza. Discreta la fase preparatoria, affiatato il cast ma ci vuole troppo a entrare in azione e la parte centrale ne risente. Comunque da apprezzare la sobrietà di racconto e la volontà di non edulcorare la realtà dei fatti.
Ricostruzione di una spedizione himalayana del 1996. Il film ha i suoi punti di forza nella ricostruzione ambientale e nella caratterizzazione dei personaggi. Gli attori sono stati ben scelti e rendono bene i patemi dei personaggi, spesso uomini comuni alle prese con un’esperienza che è quasi diventata un “pacchetto” turistico. Non manca una velata critica a tale sistema, che tende peraltro a degradare un ambiente in passato incontaminato. Forse il film non ha quel pathos che ci si aspetterebbe ma si tratta di opera godibile e ben realizzata.
Nulla di sorprendente ma di certo solido intrattenimento. Tutto quello che infatti uno si aspetta da una pellicola del genere si ritrova anche qui. La ricostruzione tocca stavolta alla spedizione commerciale che si avventurò nel 1996 alla conquista dell'Everest con esiti disastrosi. Ci sono quindi personaggi che coprono tutto l'arcobaleno delle personalità umane (il buono, il dolce, il complesso, il selvaggio etc...), momenti di lotta con la natura e altri più intimi. Ben filmato e con un ottimo ritmo, il film emoziona qua e là e si lascia guardare.
A metà tra il documentario e la fiction si barcamena ma non riesce a trovare una sintesi plausibile sia sul piano tecnico che su quello psicologico. Una spedizione sull'Everest nel 1996 intrapresa con spirito turistico di alto bordo sottovalutando la forza e l'imprevedibilità degli elementi si concluderà in modo drammatico. Ovviamente non manca qualche bella immagine (cartolina dall'Himalaya) che distrae dalla disuguaglianza narrativa e dalla patina mélo di alcune parti. Discreto il cast, ma non ci rende del tutto partecipi della forza degli eventi.
Ennesima tragedia realmente accaduta e raccontata dal cinema a modo suo. Il buon cast di partenza viaggia sotto al minimo sindacale e il montaggio approssimativo rende il tutto abbastanza caotico e difficile da seguire. Insomma, una pellicola deludente, soprattutto se confrontata con altre simili (Alive per esempio) che partivano con budget inferiore e un cast semi sconosciuto. In realtà, oltre ai difetti tecnici, la vera grande pecca del film è quella di essere troppo impersonale e di non riuscire ad arrivare (quasi) mai al cuore dello spettatore.
Davvero ben realizzato a livello formale e molto fedele ai fatti reali, Everest può vantare uno dei cast più altisonanti degli ultimi anni. Peccato che la scrittura dei personaggi e dei dialoghi (come accade sovente in questo genere di film) non sia all'altezza dell'estetica. A spiccare su tutti è senza dubbio Brolin, mentre sua moglie (Robin Wright) è abbastanza sprecata in un ruolo troppo marginale. Il ritmo ogni tanto latita ma si fa seguire fino alla fine. Non male.
Notevole dramma survivalista che, grazie a un ottimo cast e a una seconda parte efficacemente cruda, si fa ricordare nonostante certe convenzionalità narrative e dialoghi non sempre incisivi. I personaggi sono sufficientemente tratteggiati (il pubblico simpatizza a prescindere dall'affinità che si ha con certi sport estremi) e gli effetti visivi talvolta sbalordiscono. Nonostante il setup si prenda tempi parecchio lunghi, piccole parentesi adrenaliniche (Brolin che rischia di cadere nel crepaccio) spezzano strategicamente la lentezza, prima dell'intensa tranche conclusiva. Non male.
MEMORABILE: I ponti sospesi; Rob e Doug senza ossigeno; Il toccante dialogo telefonico fra Rob e sua moglie; Le condizioni di Brolin alla fine dell'avventura.
Se visto con la superficialità di una serata qualunque, resta un’opera decente e discretamente coinvolgente, assimilabile a tante altre e passabile, una volta. Con un certo spirito critico, invece, gli interrogativi che salgono alla mente sono pochi, ma di estrema chiarezza. Mettere a repentaglio l’incolumità propria e degli altri (soccorritori in primis) per pura e semplice vanagloria personale, sfidando i limiti imposti dalla Natura, è consentito? Il mondo è pieno di persone che cercano il senso della vita semplicemente rischiandola e Kormákur ce lo ricorda.
Una spedizione semi turistica del 1996 verso la montagna più alta del mondo in questa pellicola che mostra paesaggi impareggiabili, una velata critica a quegli alpinisti della domenica che ambiscono a scalare l'Everest e infine situazioni estreme che conducono al coinvolgimento. Discreto cast ma che alla fine giunge sufficientemente al compitino finale. Vedibile ma senza grandi aspettative.
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Della serie "l'everest non perdona" queste foto fanno vedere le conseguenze dell'ascesa per Weathers il personaggio interpretato da Brolin, che ebbe naso e mani congelate e successivamente amputate/ricostruite.
Ho anche imparato che le ascese sull'Everest si concentrano in 2-3 settimane di maggio, per motivi climatici, e per tale ragione si creano code e perdite di tempo nei passaggi chiave. La sfiga e la stupidità umana fanno il resto.
DiscussioneRaremirko • 1/08/17 22:02 Call center Davinotti - 3863 interventi
Il film mi è discretamente piaciuto, tiene bene e gli attori convincono, anche se, non so dire bene, la montagna non è che la si veda in modo troppo particolareggiato...
Girato in parte anche in Italia settentrionale, convince ed è ispirato a fatti veri.
Visto ieri sera, il film mi è piaciuto come racconto di finzione, ma la ricostruzione dei fatti del 1996 è piuttosto infedele, come ha notato lo stesso Krakauer (purtroppo il sito dell LA Times che ha pubblicato l'intervista non è più raggiungibile dall'Europa, almeno per ora).
Concordo sul valore straordinario del libro scritto dal giornalista americano, una puntuale e impressionante descrizione non solo e non tanto della salita, ma dei meccanismi psicologici, individuali e di gruppo, che si sono verificati.