il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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  • Film: Quanto basta (2018)
  • Luogo del film: La casa dove abita Arturo (Marchioni)
  • Luogo reale: Via Campobasso 6, Roma, Roma
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  • Film: Svaniti nella notte (2024)
  • Luogo del film: Lo slargo dove Pietro (Scamarcio), tornato dalla Grecia, prende la corriera per andare a Bari
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Andrea Rambotti

    Andrea Rambotti

  • Francesca Semenza

    Francesca Semenza

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Daniela
In una cittadina di provincia, la scomparsa di una intera scolaresca sembra un mistero irrisolvibile, dato che i bambini si sono allontanati dalle rispettive case tutti in uno stesso momento e da allora si sono perse le loro tracce... Spunto originale sviluppato attraverso una narrazione frammentata in segmenti che assumono di volta in volta il punto di vista di vari personaggi ripercorrendo gli stessi eventi per poi confluire in un finale in cui l'horror, già anticipato da alcuni segnali, irrompe sulla scena per un finale di notevole impatto. Bella conferma del talento di Cregger.
Commento di: Galbo
Ambientata alle Hawaii alla fine del XVIII secolo, la serie racconta le vicende che portano alla riunificazione delle isole dell'arcipelago, divise in vari regni. Azione e violenza si susseguono in uno spledido contesto naturale, ma è evidente il tentativo di raccontare la complessa civiltà locale in uno dei momenti di massimo fulgore, affidandosi alle storie di donne e uomini profondamente legate alla stessa in momenti di forte cambiamento per l'iniziale invasione dell'uomo occidentale, prima assente a queste latitudini. Ottimo il lavoro del cast, con un carismatico Jason Momoa.
Commento di: Jena
In pratica John Wick versione femminile. La cosa potrà interessare i fan della saga, ma per chi si era scocciato già al secondo episodio la noia dilaga, visto che le situazioni sono praticamente identiche: solito desiderio di vendetta (qui almeno hanno ammazzato i genitori e non il cane), solite infinite scene di lotta e massacri in cui l'eroina piglia mazzate d'ogni genere senza problemi e accoppa i cattivi a centinaia, solito assurdo mondo parallelo popolato da sicari, solite atmosfere chic. La Armas non convince granché come killer ammazza tutti, dirige Len Wiseman... ah ecco.
Commento di: Giùan
Medico in attesa di colloquio in clinica privata ricorda gli anni di servizio in un villaggio contadino e l'amore per la buona contadina Soledad. Se l'espediente della narrazione in flashback serve a Gavaldon come cornice di polemica sociale contro una medicina attenta solo al denaro venendo meno al giuramento di Ippocrate, per il resto il film è un a tratti turgido melò rurale forse più nelle corde dell'"Indio" Fernandez. Robustissimo comunque il cast, dal tormentato medico di de Cordova al torvo ma dignitoso spaccone dello spiritato Armendariz, alla spigolosa dignità della Inda.
Commento di: Anthonyvm
Co-produzione ispano-americana che, nonostante un sensazionalistico guscio horror sbandierato nel titolo inglese, si rivela piuttosto una tragedia thriller in bilico tra noir extraconiugale e revenge-movie, macabrizzata nella seconda parte dalla figura del giustiziere sfigurato alla Vincent Price (che infatti era stato considerato per il ruolo). Limpida serie B low-budget, ingenua e dozzinale nella presentazione, ma non priva di una certa efficacia drammatica e di un vago fascino sordido, nonché discretamente avvincente a dispetto dei tempi dilatati. Buona la prova di Barry Sullivan.
Commento di: Tomslick
Concettualmente il film avrebbe mille spazi nei quali infilarsi per ragionare sul libero arbitrio. Il grande Steven Spielberg preferisce - come al solito - dare sfogo all'avventura: nasce così un calderone nel quale begli effetti speciali e un considerevole comparto attoriale supportano benissimo la miscela di azione, fantascienza e giallo che si viene a creare.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Lorraine Warren (Farmiga) scheggia uno specchio - già maledetto - durante una delle tante visite col marito a case infestate. E se anche il danno non produrrà sette anni di guai, è inevitabile immaginare che, da donna incinta (di Ed/Wilson, naturalmente), Lorraine non avrà un parto facile. Le capiterà di tutto, infatti, pure di vedere mostri appesi alle pareti mentre è lì a urlare quando le dicono di spingere. La bimba nascerà, a quanto pare morta; o così almeno giudicherà superficialmente il medico, perché invece quando...Leggi tutto Lorraine la prenderà in braccio... eccola riprendere vita. Bislacco, quanto meno, ma ai Warren succede un po' di tutto da sempre, per cui...

Lo specchio crepato, intanto, viene regalato a una giovane cresimanda dai nonni e, fin da subito, fa intuire che recherà con sé disgrazie di ogni tipo. Anche gettarlo via con la spezzatura non è detto che basti. Come potrà quello specchio ritornare in contatto coi Warren? Semplice, attraverso Padre Gordon (Coulter), frequentatore dei due coniugi “acchiappafantasmi” (come qualcuno scherzosamente li definisce, visto che siamo in pieni Ottanta) e pure della sfortunata famiglia Smurl, ai quali lo specchio è finito in dono. I Warren, però, hanno deciso di ritirarsi, dopo centinaia di casi affrontati; si dedicano ormai solo a incontri e convegni durante i quali raccontare le proprie macabre esperienze. Epperò tira la giacchetta di qua, tirala di là, i nostri ritorneranno in ballo per risolvere il dramma dello specchio maledetto, e questa volta la lotta sarà davvero senza quartiere. Anche troppo, considerato che lo scontro finale con le entità demoniache si rivelerà veramente interminabile e solo a un primo esame relazionabile al genere di riferimento. Pare quasi più un western, combattuto a sprangate tra macerie, porte che sbattono, gente che urla, sangue, fughe e chi più ne ha più ne metta.

Va bene che la saga non è mai stata accostabile all'horror solo suggerito, a quello psicologico o delicatamente ricamato, ma qui si esagera; dimenticando che, insomma, l'atmosfera qualcosa dovrebbe ancora contare. Nella prima parte, a dire il vero, sembrava che si volesse percorrere la strada che già discreti frutti aveva dato nel capitolo precedente, sempre diretto da Chaves; ma quello aveva un occhio più puntato alla patina rilucente che, qui, una fotografia meno scintillante non garantisce allo stesso modo. E anche la presenza molto più ingombrante che in precedenza di Judy (Tomlinson), la figlia dei Warren e medium a sua volta, non sembra aggiungere granché: cresciuta, è alle prese con il fidanzato ex poliziotto (Hardy) che ci tiene a fare bella figura con coloro che dovranno nelle sue intenzioni essere i futuri suoceri. “Avrai capito che non siamo proprio una famiglia normale”, gli dice Ed, e il povero ragazzo non impiegherà molto per arrivare a comprenderlo.

La professionalità con cui l'operazione è condotta è quella di sempre, ma la storia è fiacca e poco degna di apparire come il "rito finale" di una saga tanto influente, conclusa oltretutto con la solita coda romantica nella quale Ed e Lorraine ci mostrano quanto si amino e il loro legame sembri fatto per durare in eterno. Baci, abbracci, corse in moto nelle campagne mentre Van Morrison canta la suadente "Comfort You": pare quasi la parodia di una rom com...

La componente horror è affidata ai soliti jumpscare, associati a qualche discreta idea spaventevole (il filo del telefono che scompare in una porta sul buio, quello elettrico che si fa corda per una tragica impiccagione...) e a suoni e rumori in crescendo quando ci si avvicina allo spavento, mentre la colonna sonora si preoccupa principalmente di sottolineare l'ambientazione eighties con Howard Jones (“Things Can Only Get Better”), i Cult (“She Sells Sanctuary”), David Bowie (“Let's Dance”)... Nella stessa direzione è da registrare la presenza di vhs (pure utilizzate in un video "rivelatore") e musicassette.

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Lo si intuiva già in PIOVE, che il pugliese Paolo Strippoli avrebbe continuato a imporsi con uno stile personale, virtù appannaggio di pochi. Scelto l'orrore (più psicologico che grafico) come ambito in cui esprimere al meglio la propria arte, il regista trova nel grigio plumbeo delle montagne friulane il clima ideale in cui immergere la sua nuova storia di paura e mistero. E lo fa studiando con cura le location (siamo a Tarvisio e dintorni, anche se la cittadina immaginaria prende il nome di Remis), individuandone alcune...Leggi tutto di ideali che inquadra con il talento di chi ben conosce il mestiere e sa come valorizzarle, in una luce cupissima che la fotografia stinge fin quasi fino ad annullare ogni barlume solare. Nulla di nuovo in questo. Né nella storia, a dire il vero, che attinge da fonti eccellenti e mescola qualcosa dello straniero che raggiunge terre di imperscrutabili culti pagani in WICKER MAN a quelle comunità apparentemente amiche ma invece sotterraneamente ostili (se non le segui) che rimandano alle mogli di Stepford o alle vette gemelle.

Sergio Rossetti (Riondino) si introduce nel mondo a parte di Remis da "straniero" ignaro, alieno, turbato da foschi pensieri derivati dalla morte di suo figlio. Preda di crisi improvvise, attacchi d'ira, pianti, è stato assunto, lui ex campione di judo, come nuovo insegnante di educazione fisica nel liceo cittadino. Il primo impatto non è dei più rosei: attacca senza un vero motivo i suoi alunni, si mostra intransigente, burbero, e quando incontra Matteo Corbin (Feltri) son dolori, per il ragazzo: esentato dalle lezioni, viene ugualmente messo in fila da Sergio con gli altri. Ma lui è diverso, e ce lo ricorda più di una volta Mia Martini con "Almeno tu nell'universo", regolarmente tagliata al momento del fatidico ritornello, che chiunque sa come completare comprendendo di conseguenza il palese riferimento.

Matteo è l'angelo di Remis; lo chiamano così perché possiede un potere inimmaginabile: quando lo abbracci, ogni tuo dolore interno svanisce. Se ne accorge anche Sergio, il quale verrà una notte accompagnato da Michela (Maggiora Vergano) nella strana "chiesa" locale, un edificio a facciata triangolare (location suggestiva, soprattutto nelle sue forme esterne) in cui il padre di Matteo, Mauro (Pierobon), accoglie e mette in fila tutti coloro che necessitano dell'abbraccio di suo figlio. I prescelti entrano e, al cospetto anche di Don Attilio (Citran), avvicinano "l'angelo" stringendosi forte a lui. Sergio non ci può credere ma è vero: riacquista pure lui il buonumore, perfino la capacità di scherzare come un tempo. Ma chi è davvero Matteo? Cosa nasconde il suo passato? Perché è costretto dal padre a sottoporsi costantemente agli abbracci di tutti gli sfortunati del paese?

Da uno spunto in fondo semplice, dalle tinte nere polanskiane, un film tutto giocato sulle pause e i silenzi, riempiti da una colonna sonora di grande fascino (di Bisozzi e Tomat), delicata, inquietante al punto giusto e calzante. Tecnicamente il film ha punte pregevolissime, momenti in cui si coglie appieno la voglia di percorrere strade nuove e coraggiose; però frequentemente s'inceppa, si autocompiace di scene prolungate senza un vero motivo alla ricerca di un'autorialità ad ogni costo che finisce col danneggiare pesantemente il risultato. Smarrendosi tra le troppe ambizioni di un cinema italiano che di rado, in questi casi, accetta di fare i conti con il pubblico. In questo Strippoli si avvicina allo spirito dei fratelli D'Inncocenzo: grandi qualità, tecnica e senso del cinema eccellenti penalizzati spesso da un ermetismo eccessivo.

Qui le due ore e più si sentono tutte e si ingrana troppo tardi, confidando in una seconda parte che finalmente accelera e ti trascina nel vortice oscuro, ma che esplode davvero solo nell'ultima mezz'ora. Senza che peraltro si raggiungano vette eclatanti. I personaggi, esclusi il protagonista e il giovane Angelo con i suoi turbamenti, entrambi ben delineati, vivono soprattutto grazie alla bravura degli attori (il solito impeccabile Citran, sovrano del cinema a Nordest, ma il migliore è Pierobon), mentre certi espedienti lasciano il tempo che trovano (inquadrature rovesciate, grandangoli...).

Risulta meno godibile di PIOVE forse anche per un budget limitato che in questo caso più si fa sentire, restituendo una certa sensazione di povertà (nella recitazione di alcuni, nelle scenografie interne, talora nella messa in scena...). Le potenzialità di Strippoli sono evidenti e non si può dire che il film non sappia distinguersi e colpire, anche per come si rifiuta di aderire alla regola del jumpscare o dell'effetto speciale gratuito; ma una regia più ficcante, meno estatica, e una decisa accelerazione, magari sfoltendo il film dalle scene superflue, avrebbero garantito un risultato migliore.



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David Lowery, che dirige e scrive da sé il suo film, recupera sorprendentemente l'icona più tradizionale e ingenua che possa esistere del fantasma (quella col lenzuolo bianco e i buchi per gli occhi) calandola all'interno di una storia che è al contrario ambiziosa, sorprendente, e creando in tal modo un contrasto spiazzante, che fa sorridere e insieme stupisce per il coraggio. L'obiettivo è quello di immaginare, per il fantasma protagonista, una sorta di esistenza parallela a quella dei due protagonisti, che in verità tali non sono dal momento che...Leggi tutto molto poco restano in scena rispetto a lui. Si vedono soprattutto nella prima parte, quando passano ore felici nell'appartamento che diverrà (o forse già lo è) la sede unica del fantasma.

C (Affleck) e M (Mara) sono sposati e hanno deciso di trasferirsi da quella casa. Lei - dicendo una frase a cui prestare attenzione perché avrà importante significato in un secondo tempo - racconta di come da piccola, avendo subito un gran numero di traslochi, lasciava sempre un bigliettino nascosto, nelle abitazioni dalle quali si doveva trasferire, per essere certa di trovare qualcosa di suo nel caso vi fosse tornata. Poi il primo segnale di una "presenza", lì, una notte in cui qualcuno fa cadere presumibilmente un oggetto sul pianoforte della stanza vicina. Inspiegabile, ma ci si passa sopra. Quello che cambierà le loro vite è invece l'incidente in auto di lui, di cui vediamo solo le conseguenze: il corpo senza vita contro il volante.

In ospedale il riconoscimento di C. Il lenzuolo bianco che lo ricopre viene abbassato e rialzato, ma poco dopo, lasciato solo, il cadavere si rialza (o almeno così pare a noi, perché da qui in avanti la presenza del fantasma non sarà visibile ad altri che allo spettatore). Non si preoccupa, una volta in piedi, di togliersi il lenzuolo bianco lungo e a strascico, che quindi resterà il suo "abito" per l'intero film. Il fantasma come lo hanno sempre immaginato i bambini insomma, o come si usa disegnarlo nelle strisce comiche. Eppure, inquadrato sotto la luce giusta, immobile e ieratico, non fa affatto ridere. Si piazza nelle diverse stanze dell'appartamento e non si sposta quasi mai, limitandosi a osservare quel che accade in casa. Il tempo si sfalda sotto i suoi (e i nostri) occhi lambendo epoche diverse, perdendo la sua linearità, confondendosi in una sorta di fiume in costante cambiamento (come cantavano i Genesis di Gabriel).

Rallentando il ritmo fin quasi a bloccarlo, rifiutandosi di tagliare dove cinematograficamente sembrerebbe logico farlo, Lowery trova una sua poetica che gli ha fatto guadagnare begli elogi dalla critica, riuscendo oggettivamente a creare un film con pochi paragoni, nella lunga storia del cinema. Sono tanti i motivi che esisterebbero per premiare un'opera tanto singolare, ma anche tanti quelli che la rendono di difficile fruizione, estremamente statica e ripetitiva, si può dire quasi muta, da quanto limitato è il numero di dialoghi.

Affleck e la Mara (più lei di lui) presenziano relativamente, perché l'unica costante è l'imponente figura del fantasma ripresa come il soggetto di un quadro medievale, anche per le scenografiche pieghe del lenzuolo. Di nuovo ironico eppure carico di mistero il rapporto con il fantasma alla finestra della casa dirimpetto, straniante il silenzio che confina il protagonista ai margini quando la casa è occupata da altri. Nel complesso intrigante, curioso, a tratti alienante, il film, tuttavia, sembra pretendere di dire anche con ciò che non dice, lasciando perplessi per l'impianto narrativo quando si comincia a saltabeccare tra presente, passato e futuro. Al di là della bella idea di partenza e della qualità delle riprese, però, sembra più che altro un furbo esercizio di stile.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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