Quotato thriller di Fritz Lang che vede protagonista un composto professore universitario (Robinson) rimasto a casa dopo la partenza di moglie e figli per una vacanza. Con gli amici del club scherza sulla sua prima serata da scapolo, ma i piani di divertimento rientrano dopo una breve considerazione sull'età ("siamo solo dei maturi barbagianni"). Non pare proprio insomma il tipo da darsi alla pazza gioia, nonostante abbia appena notato anche lui come gli altri quanto bella sia la donna ritratta nel quadro esposto in una vetrina lì nei pressi. Uscendo, e proprio mentre è nuovamente in contemplazione del dipinto, riflessa sul vetro appare come per magia quella stessa donna, tale Alice (Bennett), che...Leggi tutto lo invita a casa per mostrargli qualche altro schizzo dell'autore. Come rinunciare? Una volta lì, però, mentre i due stanno alzando un po' il gomito, in casa entra qualcuno che, inferocito, urla contro la donna e attacca il professore, il quale vistosi sbattuto sul pavimento e quasi strozzato, reagisce piantando delle forbici nella schiena dell'assalitore, uccidendolo. E ora? Denunciare tutto alla polizia con gli ovvi drammi conseguenti da cui forse mai più poter uscire o tentare di risolvere la cosa in autonomia, semplicemente occultando il cadavere? Dopotutto per Alice era una conoscenza meno che superficiale: non ne conosceva nemmeno il nome, nessuno sapeva che di tanto in tanto si frequentavano... Ma si sa che accade in questi casi: salta fuori un ricattatore (nello specifico la guardia del corpo della vittima) e c'è da capire come risolvere pure il nuovo problema. Una storia tutto sommato semplice, di quelle che oggi siamo abituati a prevedere con estrema facilità. Nel 1944 le cose stavano però diversamente, e anche per questo il film ha assunto cogli anni la statura del classico, cui la solita, eccellente performance di Edward G. Robinson offre un contributo non indifferente. La regia di Lang è efficace, non perde mai di vista l'obiettivo e senza manierismi vi punta dritta, sviluppandosi come deve fino all'imprevedibile, beffardo finale, anticipato da una chiusura al contrario assai telefonata (anche in senso letterale). La Bennett sa inquadrare bene la sua interpretazione tra la malizia e l'innocente stupefazione, le figure di secondo piano incidono poco (tranne nel caso del laido ricattatore, che ha un bel duetto con Alice). Forse valutato dalla critica oltre i suoi effettivi meriti, resta comunque un solido esempio di cinema d'epoca capace di oltrepassare la barriera temporale proprio per la quintessenzialità del suo approccio, come accade in molti film di Hitchcock (nei quali però si avverte la ricerca di qualche espediente registico in più). Godibile, nel finale costringe a una virtuale, breve rilettura di quanto fin lì visto alla luce della nuova rivelazione. Più ironia che vera tensione, nonostante i tentativi di farla montare con espedienti che diventeranno abituali nel cinema a venire.
Noto e bello. Molto elegante, ma senza cadere mai nell’ostentato. Sapienti inquadrature. Grandissimo Robinson (che abbina espressività e compostezza), la cui figura è costruita in modo dettagliatissimo (perfino nell’accurata trascuratezza delle bretelle) e indimenticabile la Bennett, specialmente per come è vestita nella prima mezzora, che è la parte che più mi ha entusiasmato, insieme al sopralluogo.
Lo stesso cast che comparirà un anno dopo ne La strada scarlatta dà qui vita ad un noir asciutto e coinvolgente. Direzione classica, secondo i canoni di Fritz Lang; forse manca un po' di pepe, di continuità di tensione, ma i dialoghi comunque pungono e quello che colpisce lo spettatore è lo scivolare inesorabile del protagonista in un tunnel sempre più complicato.
MEMORABILE: I dialoghi tra Robinson e l'amico che gli svela le indagini della polizia.
Asciutto, preciso, raffinato. Una specie di Quando la moglie in vacanza in ambito noir-poliziesco, con detectives che ricorrono a tecniche da RIS ante-litteram. Robinson conferma la sua versatilità vestendo i panni di un professore timido, pacato e insieme risoluto. Momento clou l’ironico finale a sorpresa, in cui entra quella circolarità rivista in svariati film successivi, da Satiricosissimo a La casa delle ombre lunghe.
Girato con indubbia classe, vanta attori decisamente in parte, su tutti, il protagonista e il procuratore distrettuale, anche se, sia la donna del ritratto, che il ricattatore, fanno comunque bene la loro parte. E' tutto basato sui dialoghi e sui piccoli, grandi errori commessi dai due complici. La pellicola scorre piuttosto bene e, dopotutto, riesce ancora a mascherare, nonostante qualche inevitabile ingenuità, le rughe del tempo. Peccato per il finale in stile Mago di Oz, che se non altro giustifica la metamorfosi di un uomo pacato e abitudinario.
MEMORABILE: L'irruzione di Claudio...Bim Bum Bam Patatrac! Ciao ciao Claudio; Il panciotto lasciato come garanzia; Il boy scout; Gli indizi.
Ottimo noir firmato da Fritz Lang che, pur affidandosi al cinema di genere, continua a sviscerare i temi a lui cari: il caso, l'assassino potenziale che è in ogni uomo e così via. Lo fa con la solita arguzia ed eleganza, coadiuvato da un ottimo cast (con Robinson che giganteggia come sempre) e da una bella confezione. Molto criticato il finale (che per alcuni è una scappatoia troppo semplice per spiegare quanto visto fin lì) e che tuttavia è quanto di più logico e funzionale ci possa essere, visto il protagonista della storia.
I difetti maggiori del film risultano essere, in finale, la sostanza e la forma eccessivamente datati. Probabilmente all'epoca colpì, ma oggi l'ingenuità del protagonista nell'archittettare il piano (ed è pure un professore di psicologia) e l'espediente finale, che non svelo, risultano essere piuttosto prevedibili e forzati. Sin dal primo segmento Lang mette in chiaro l'indirizzo della pellicola: Freud e la psicoanalisi (topos del genere noir, per non dire "iniziatore"). Da questo punto di vista: niente male il soggetto. Regia nella norma.
Sceneggiato da Nunnally Johnson, che ne è anche il produttore (è lo sceneggiatore del Furore diretto da John Ford). Gli interpreti sono ineccepibili ma, almeno per me che non ho sospettato niente fino alla fine, mi era sembrato uno strano Fritz Lang da come faceva muovere gli attori e descriveva gli avvenimenti; un modo di filmare comunque affascinante che solo interpreti di alto livello potevano però sostenere senza far apparire il tutto quasi "ridicolo" (eccetto le indagini descritte accuratamente). Poi il finale e la comprensione.
MEMORABILE: Esistono solo tre modi per risolvere la cosa con un ricattatore: o continui a pagarlo, o chiami la polizia, o lo uccidi.
Un mediocre borghese commette un omicidio e scopre che il confine tra norma e trasgressione è molto labile. O forse no. Caposaldo del noir classico, il film ha una densità di messaggi per inquadratura da far perdere la testa. Mille le intuizioni che diverranno luogo comune poi, a partire dal far partecipare il colpevole all'indagine, vedendosi prima quasi scoperto, poi scagionato. Il finale è celeberrimo. Come spesso accade, tragicamente invecchiato il doppiaggio italiano.
Mi verrebbe da esclamare: "55 anni e non sentirli". La pellicola di Fritz Lang è pregna di tensione, di situazioni fortemente drammatiche e soprattutto tiene incollati allo schermo. La struttura della trama è priva di buchi o forzature (fondamentali aspetti per un pellicola di questo genere). Il finale poi è uno sberleffo allo spettatore. Un po' come "Il delitto di Roger Ackroyd". Più di una volta mi è parso, poi, di assistere a un film di Alfred (sì, proprio lui).
Siamo tutti dei potenziali assassini e, quando meno lo aspettiamo, un qualcosa accade. Il destino è beffardo, il destino è crudele, il destino può tutto. Capolavoro noir del Maestro Fritz Lang: attori indimenticabili, regia impeccabile, un nero da antologia. Il film è giocato nel contrasto tra conscio e inconscio, sogno e realtà, risveglio (quello che accade) e non risveglio (quello che poteva accadere) puntando direttamente sui movimenti dei protagonisti, il professore, esperto criminologo (ma solo nella teoria) e la sua complice disposta a tutto.
Quante tracce può lasciare un delitto! Lo scoprono, ahiloro, un uomo e una donna che fanno fuori l'amante di lei e poi nascondono il corpo sperando di farla franca tra polizia e ricattatori. Un bel thriller, tutto in punta di ragione, dove ciascun personaggio si muove con strategie razionali per poi cadere sistematicamente preda del caso. Un film sul destino come beffa verso il cervello umano, insomma. Ma poi arriva il colpo di scena finale che toglie logica al tutto: anzi no, che conferma proprio l'illogicità del tutto: una diabolica sciarada.
Paradigma assoluto della femme fatale, declina tutte le implicazioni archetipiche e letali del caso, oltre ad essere uno dei film di Lang d'impostazione "freudiana" più godibili: nonostante la sceneggiatura sia innervata d'induzioni psicoanalitiche riesce a eludere lo schematismo mettendo a punto soluzioni e incastri sorprendenti. Eccellente Robinson: un manuale vivente di prossemica attorale. Regia puntualissima e ispirata. Il beffardo (e pur logico) finale - imposto (?), discusso, non compreso... - è più liberale e meno bacchettone di quello paventato come "originale".
Ottimo noir ad incastro ricco di suspence e di atmosfera, tra decine di indizi disseminati qua e là al seguito di un delitto cruento. Abile la messa in scena del maestro Lang che non risparmia allo spettatore colpi di scena, coinvolgendolo nella visione. E quando tutto sembra perduto ecco la provvidenza che risolve al meglio le cose, con la sua ineluttabile incidenza. Un classico da riscoprire.
Un ottimo Edward G. Robinson e una bellissima Joan Bennet (moglie del regista), i protagonisti di questa favola noir raffinata ed elegante (ma asciutta e senza fronzoli), come solo il tocco di Fritz Lang può creare. Un delitto "casuale" e successivi coinvolgimenti rendono la vita praticamente impossibile ad un tranquillo professore di criminologia, sino a spingerlo al suicidio. Senonché... Psicologia a servizio del cinema...
Un noir elegante e raffinato sia nella forma che nel contenuto. Cosa succede quando un normalissimo borghese si vede protagonista di un fatto delittuoso? Divertente e avvincente nello svolgimento e nel crollo (attraverso le loro stesse mani) degli alibi costruiti dai complici. Il livello tecnico è poi impeccabile: non un'inquadratura fuori posto, tutte funzionali allo svolgimento della vicenda. La Bennet è meravigliosa. Il finale è indubbiamente sorprendente, anche se un po' calante rispetto alle aspettative di chi scrive.
MEMORABILE: Il ritorno sul luogo del ritrovamento del cadavere.
Lo stile registico di Fritz Lang è sempre impeccabile e mai banale. Un gangster movie di tutto rispetto (forse siamo ai livelli del miglior Hitchcock), con molti risvolti, con un Edward G. Robinson ed una Joan Bennet veramente in parte. Affascinante.
Film holliwoodiano gotico, "noir" classico con la sua violenza improvvisa, momenti di brivido, scene da commedia quasi sempre in interni o esterni notturni, spesso con la pioggia battente (che ricorda Il grande sonno). Ha i suoi anni ma è di un'altra classe rispetto ai film moderni, con violenza e tensione continua, provocazioni inutili, scene esplicite. La storia è ingegnosa, la scelta degli interpreti e la recitazione perfetti, il finale invece è quello che è: tutto sommato poco verosimile.
Lang in questo noir ci mostra la storia dalla parte dei criminali, la vicenda di un uomo che suo malgrado si trova coinvolto in un delitto. La tensione sale durante le indagini e gli indizi che portano a lui, diventando un incubo. Due ottimi interpreti, Edward G. Robinson e Joan Bennett, per un film incentrato sulla legittima difesa. Notevole è proprio l'andamento onirico di questo thriller, per come inaspettatamente si conoscono i due protagonisti davanti a una vetrina, e per come si arriverà al finale, spesso criticato ma adeguato.
Noir di portentosa efficacia, scorrevole e oliato un po' in tutti i suoi passaggi, colmo di atmosfera, intrigante, notevolmente nobilitato dalle prove recitative del cast, in particolare la deliziosa e misteriosa Bennett e il professore di Robinson, sagomato in una memorabile figura di contegnosa e pacata onorabilità che non si scompone troppo di fronte all'ineluttabile che incastra e spinge alla perdizione. Certo, non del tutto inappuntabili alcuni minimi particolari che si potevano facilmente rendere più credibili, ma non si fanno notare.
MEMORABILE: Il finale, che ho trovato degno dei più riusciti numeri di Dylan Dog; Il sopralluogo, dove emergeranno dettagli che si erano già messi in preventivo.
Come in Mulholland drive, la dimensione onirica è un campo delle sensazioni, un desiderio utopistico, fulmineo e profondo, consciamente irraggiungibile e inconsciamente realizzabile. Meraviglioso noir in cui Lang prende in causa almeno due temi portanti della sua opera: il labile confine fra bene e male insito nell’essere umano e l’innocente braccato nella morsa del destino. Ampissimo sfogo per i topos del genere contornati da una messinscena raffinata, un comparto attoriale solidissimo e una femme fatale velenosa e affascinante. Bellissimo.
Scritto e diretto stupendamente e dotato di uno straordinario magnetismo che ripone nell’angoscia la sua arma vincente. Siamo appena nel ’44 e i mezzi a disposizione sono quelli che sono, ma era e rimane ancora oggi un grande esempio di cinema che molti registi farebbero bene a riscoprire e prendere come esempio.
Fritz Lang prende le misure del noir prima di firmare l'anno successivo uno dei capolavori del genere come La strada scarlatta. Il cast elargisce momenti di altissimo cinema (Robinson su tutti) ma alcuni passaggi della storia sono poco plausibili, mentre la sceneggiatura rimane troppo legata al momento storico e perde negli anni senso e sensibilità. La donna del ritratto resta un gran film girato da un maestro, ma capolavori coevi come La fiamma del peccato o Il grande sonno giocano in un altro campionato...
MEMORABILE: Robinson che mostra il graffio sul braccio al Procuratore e si autoaccusa dell'omicidio per finta.
Ottimo film firmato Lang, che lega il mistero con la tentazione, rispettivamente rappresentati dal sogno e dalla donna, la quale è al tempo stesso "motore" e "rischio" per l'uomo in via di pensionamento. La regia è abile a ricreare tramite numerosi espedienti la dinamica del sogno. Buone la fotografia e l'ambientazione, anch'essa funzionale allo svolgimento della trama.
Atipico noir di Lang, tendente inizialmente al giallo per acquisire diverse sfumature intriganti (tra le quali persino la commedia) in un plot che riesce a essere teso e coinvolgente, soprattutto nella seconda parte. Ottimo il lavoro sul carattere del protagonista (ben interpretato da Robinson), fulcro di tutta la vicenda e che ben funziona da simulacro per l'uomo medio americano tranquillo e di mezza età (e quindi di immediata identificazione per lo spettatore). Bene il ritmo e la colonna sonora.
Noir famoso e celebrato, poggia su una sceneggiatura che dipinge magnificamente i personaggi e che crea dialoghi di ricchissimo spessore umano e culturale. La regia di Lang si muove divinamente negli spazi, sfruttando egregiamente i chiaroscuri e dando solidità all'opera. Robinson (come spesso capita) è un mostro di bravura e calamita l'attenzione quasi esclusivamente su di sé. Un buon film, indubbiamente, che non raggiunge l'eccellenza per un finale molto deludente (anche se originale per l'epoca).
Un incontro casuale con una donna trascina un tranquillo professore di criminologia in un vortice di delitti, menzogne e ricatti, apparentemente senza via d'uscita. Nel biennio 1944-1945 Lang dirige due film con lo stesso validissimo trio di attori: si tratta di capolavori con la stessa atmosfera cupa ed opprimente che sfociano in finali del tutto diversi. Questo de La donna del ritratto può sembrare frettoloso ma la sua unica colpa consiste nell'essere stato troppo imitato in seguito. Per il resto, un noir dal ritmo serrato che non concede tregua con Robinson ai massimi livelli: imperdibile.
Non avrà l'importanza storica di M, ma si tratta di un ottimo noir di Lang, dalla trama non particolarmente intricata né misteriosa ma affascinante e dotato di alcune magistrali sequenze di suspense che più di una volta fanno venire alla mente Hitchcock (c'è anche un omicidio via forbici che ricorda necessariamente Delitto perfetto). Ottima fotografia, bei dialoghi e personaggi interessanti. Il finale, favolistico e moralista, suona un po' come una presa per i fondelli verso il pubblico, ma forse era proprio questo l'intento. Da vedere.
MEMORABILE: Il delitto con le forbici per legittima difesa; Le peripezie di Robinson con un cadavere da far sparire sul groppone; Il colpo di scena finale.
Fritz Lang condanna un mancato adulterio trasformandolo nel peggiore degli incubi (in ogni senso). "La donna del ritratto" è un film davvero magnifico, non lascia un attimo di respiro e fa dell’attesa, del desiderio e del panico i suoi principali motori comunicativi. Ma è anche un film fatto di immagini e atmosfere perfette; con una fotografia profonda, tagliente e una colonna sonora dal sapore drammatico. Robinson e Bennett in perfetto stato di grazia. Un capolavoro.
Thriller diretto splendidamente da Lang, che non rinuncia ad affrontare il tema a lui molto caro del labile confine tra bene e male, all'interno però di una storia ad alto tasso di tensione, sorretta da una sceneggiatura ben calibrata nei dialoghi e molto attenta nel descrivere le indagini della polizia. Ottimi Robinson e la Bennett, convincente il procuratore distrettuale di Massey, Duryea entra in scena tardi ma lascia ugualmente il segno. Il finale è di quelli destinati a dividere, ma risulta decisamente coerente e meno buonista di quanto possa apparire di primo acchito.
MEMORABILE: La prima apparizione della Bennett e il suo confronto con Duryea; L'omicidio e l'occultamento del cadavere; Il finale.
Gli scenari notturni sono di una bellezza innegabile, con momenti di quasi pittoresca sensibilità gotica (complice l’oscura fotografia di Milton R. Krasner). Lang insiste sull’ambiguità dei personaggi e sul loro universo nascosto e inconfessabile, accentua il lato psicologico e affronta il tema dell’adulterio in chiave thriller. La suspense è densissima e la coppia Robinson/Bennett genuinamente collaudata. Discutibile, ma comunque riuscita, la chiusa finale.
Colpo di genio di Fritz Lang, il quale dirige un noir molto originale che coinvolge lo spettatore dall'inizio fino al finale a sorpresa. Ottime le interpretazioni e il doppiaggio italiano (Augusto Marcacci doppia Edward G. Robinson, che interpreta Richard reso con Riccardo). I tre interpreti principali reciteranno l'anno successivo in un altro noir dello stesso regista, più convenzionale. Lang ha qui il merito di avere rielaborato il romanzo su cui si è basato conferendo un tocco di classe al film, anche e soprattutto nel finale.
MEMORABILE: Verso la fine del film, una donna chiede a Riccardo un fiammifero. "Ah no, no, fossi matto"!
America 1943: un distinto professore di psicologia, sposato e con figli, rimane ammaliato dal ritratto di una ragazza bruna esposto in una vetrina; ciò lo condurrà a commettere un delitto per legittima difesa, fare molte gaffe con un amico poliziotto che dirige l'inchiesta e persino progettare l'eliminazione di un sordido ricattatore ma... Bel film con un'ottima regia di Fritz Lang; bravi Robinson e Joan Bennett. Ancora una volta il regista tedesco emigrato a Hollywood indaga nei meandri della psiche umana. Assolutamente imprevedibile il finale. Ottima la fotografia in bianco e nero.
MEMORABILE: L'ultima scena tra Joan Bennett e il ricattatore.
Un noir ben fatto firmato Lang, che vede un uomo medio americano coinvolto involontariamente in un omicidio. La vicenda è intrigante soprattutto nella prima parte a sfondo giallo, mentre nel secondo tempo troviamo qualche momento di pausa. La trama si risolleva con un finale degno e senza dubbio riuscito. In ogni caso resta ben reaizzata la caratterizzazione dei personaggi, soprattutto il protagonista. Non ai livelli del miglior Hitchcock ma un prodotto che merita una visione.
Fritz Lang ha maneggiato diversi generi e è andato sempre alla grande. Questo vale anche per il noir, come in questo esempio, un film di grandissima tensione, per certi aspetti anche piuttosto moderno se non fosse per la recitazione chiaramente d'altri tempi. La pellicola inchioda alla poltrona e si nota la mano sapiente di un grande regista, gli attori sono tutti in parte e la tensione è centellinata perfettamente. Finale difficile da commentare: ad alcuni potrebbe piacere, altri potrebbero rimanere delusi. Comunque un'opera ben studiata, assolutamente da vedere.
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Perchè distrugge la tensione quando questa sta raggiunguendo il punto più alto. Sembra uno dei quei finali che le produzioni imponevano ai registi di allora per sdrammatizzare la violenza o la tensione di un film. Comunque l'inquadratura che introduce il colpo di scena in questione è memorabile.
Adesso ho capìto. La prima volta che ho visto il film ho avuto un'impressione analoga alla tua. Ma alla seconda visione (pochi giorni fa), mi è parso un tributo alla verosimiglianza. Mi spiego meglio: il "deus ex machina" (l'incontro con la Bennett) è inverosimile, per cui il "finale" lo rende un po' meno inverosimile.
Dvd Sinister - restaurato in hd - disponibile dal 06/09/2019.
CuriositàDaniela • 15/09/19 18:37 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Il soggetto è tratto dal romanzo "Once Off Guard" dello scrittore statunitense J. H. Wallis: il finale del libro era tragico e fu Lang ad imporne uno diverso, inizialmente contro il parere dello sceneggiatore Nunnally Johnson.