THE WILD BUNCH è una splendida cornice mancante del quadro. La prima e l'ultima sparatoria, che praticamente aprono e chiudono il film, sono un grandioso esempio di cinema del movimento e della violenza, lunghi minuti (quindici in tutto) in cui Peckinpah profonde il suo innegabile talento rallentando le immagini, alternando i campi con un gran senso dello spettacolo, girando primi piani improvvisi, stacchi sui particolari, terra e sangue che si alzano tra l'eco degli spari. Favoloso. Ma THE WILD BUNCH, ahinoi, dura più di due ore. Due ore di faticose prolissità, di sguardi che dovrebbero esprimere chissà cosa e invece si spengono nell’inespressività di un William Holden poco adeguato al ruolo...Leggi tutto di cowboy e negli occhi a palla del poco ficcante Ernest Borgnine. L’azione spesso latita, la sceneggiatura non concede sprazzi di brillantezza e se pensiamo che l'anno prima Leone aveva diretto C’ERA UNA VOLTA IL WEST (forse più reazionario ma stilisticamente avanti dieci anni) c'è per una volta da essere orgogliosi d’essere italiani. THE WILD BUNCH gioca la carta dell’amoralità, cerca di rinnovare il western distruggendo l'immagine positiva del caro vecchio John Wayne, ma non è sufficiente stravolgere alcuni i comuni per dar vita a un buon film. Nell’insipida melassa che lega principio e conclusione le impennate sono poche, i colpi di scena ancor meno e l’aver scelto come antagonista di Holden un attore a lui somigliante può addirittura creare confusione, nei meno attenti. Fotografia e musiche nella norma, storia condotta stancamente, psicologia dei personaggi mal approfondita. Non c'è quasi nulla (ad eccetto delle due sparatorie citate) che giustifichi lo status di classico western assegnatogli dalla critica. Forse la concorrenza è peggio?
Probabilmente il capolavoro di Sam Peckinpah, sicuramente uno dei suoi film più famosi. Girato col suo classico stile basato su ralenti e violenze comunque mai fini a se stesse (anzi, funzionali al racconto), un western che rompe con la "tradizione" tipica di John Ford: qui gli eroi non sono tali ma solo persone legate da un forte legame di amicizia che tra alcuni di loro è stato infranto. Come sempre nei film di Peckinpah si respira una forte aria di nostalgia per un West che sta cambiando.
Western atipico dove non ci sono punti fermi (i cattivi sono anche buoni e i cosiddetti buoni un tempo erano cattivi, ma non tutti). Spiazzante perchè tende a smontare la classica figura del bandito e del pistolero. Qui si insiste sull’aspetto umano con notevoli risultati, visto che di ogni personaggio (anche di quelli secondari) viene descritta la personalità, facendone emergere le debolezze. La prima sparatoria è molto cruda. Bella la figura del nipote schizzato del vecchio che fa cantare gli ostaggi. Dialoghi piacevoli e non sempre secondari. Nota di merito per la mitragliatrice.
MEMORABILE: Le ultime parole del nipote crivellato del vecchio: "E ora vado a tirare la coda al diavolo"; Esplosione del ponte con pistoleri a cavallo sopra.
Peckinpah ha il merito di avvicinarsi a Leone presentando personaggi ed atmosfere "sporche" e controverse. Concede poco alla melassa di stile Fordiano e mette in ridicolo le istituzioni (l'esercito). Un western che, per ritmo e dialoghi, è quasi un noir. Ma con diverse incongruenze e prolissità. Molto scalpore (troppo) fu dovuto alla lunghezza delle sparatorie, messe in risalto anche per l'assenza di musiche nel film. Più interessanti alcuni caratteri e i loro difetti. È comunque un film sopravvalutato. Come originalità è meglio La sparatoria.
Il film che celebra il tramonto del western classico tra polveri e fiumi di sangue è diretto con maestria dall'ultimo autentico maestro del genere, Sam Peckinpah. Da un breve racconto di Walon Green, Peckinpah mette in scena una vicenda cruda, violentissima, con personaggi votati alla sconfitta e alla morte. Splendido il montaggio, sopratutto all'inizio e nella sparatoria finale, diventata un vero e proprio classico. Cast insuperabile
capitanato da Holden e Borgnine. Un classico.
MEMORABILE: I quattro superstiti, dopo aver crivellato di colpi Mapache si guardano, sorridono e la decisione è presa. Sta per partire il massacro finale...
Eccezionale riflessione sulla violenza e sui suoi rapporti con l’uomo (tema prediletto del regista) per uno dei più straordinari western di tutti i tempi oltre che uno dei capolavori assoluti della storia del cinema. Merito dell’immensa regia di un grandissimo Peckinpah, di una sceneggiatura di forte impatto emotivo e di un montaggio frenetico come non mai che era uno dei marchi di fabbrica del regista. Indimenticabile il finale nichilista.
Una delle migliori opere di Sam Peckinpah, è nello stesso tempo un western atipico e classico. Atipico perchè propone un'originale inquadramento psicologico dei personaggi, la cui personalità non è nettamente definibile in termini di buoni e cattivi, ma presenta più di una sfumatura; classico in quanto dotato di sequenze che rientrano nel pieno della tradizione western (duelli, sparatorie eccetera) realizzate con immagini di grande impatto ed uso spregiudicato della violenza.
Il film che mette la pietra tombale del western, con buona pace dei dannunzismi leoniani di C'era una volta il west; una folle vena nichilista accompagna le gesta dell'ultima banda del west cinematografico. Un trittico di scene madri di grande levatura artistica congiungono questa passeggiata verso la morte nell'amato, povero, disperato, umano Messico. Nella scena finale del massacro, gli indigeni stanno come separati da ciò che succede, quasi monito vivente alle assurdità di chi si è separato dalla natura.
MEMORABILE: La morte dello scorpione per mano dei bambini all'inizio del film, simile al finale di Oro Hondo.
1914: l' epopea del selvaggio West è oramai agli sgoccioli; gli eroi nobili e senza macchia alla John Wayne hanno ceduto il posto a un manipolo di cinici e sanguinari pistoleri pronti a tutto pur di mettere le mani sull'oro. Ma che non esiteranno a riscattarsi eroicamente morendo contro l'esercito di un generale-dittatore in difesa del popolo oppresso in una battaglia atroce e visionaria (uno dei massacri più violenti della storia del cinema, sequenza davvero memorabile). Peckinpah, come dimostrerà in questo ed altri suoi film, era un romantico travestito da cinico.
Prolisso, ma le dilatazioni del racconto hanno un fine: o la caratterizzazione di un personaggio, o una divagazione dolce, o un cielo indimenticabile, o una grande frase: insomma quasi sempre, quando il film s'allarga, non lo fa a vuoto. Di tutte queste parentesi la più straordinaria è il sorprendente, dolce scambio di sorrisi fra il generale messicano e il bimbo che gli porta il dispaccio, momento piccolo di grande cinema. Il celebrato massacro finale, troppo leoniano, mi è invece parso pesante: molto meglio l'attraversamento del fiume sul ponte e ciò che gli sta attorno. Grandissimo Holden.
MEMORABILE: "Tutti sogniamo di tornare bambini, anche i peggiori fra noi... Forse i peggiori lo sognano più di tutti".
Non solo il miglior western di sempre, ma anche il film per eccellenza. Un punto di riferimento per una schiera di registi che da lì a venire hanno preso questo lungometraggio ad esempio, cercando invano di copiarlo o anche solamente omaggiarlo. Nel West di Peckinpah anche i criminali più incalliti cedono alla tentazione della ricchezza di fronte alla prospettiva di perdere un amico. Da pelle d'oca il laconico "Why not?" con cui Borgnine e Holden si incamminano per andare a salvare Angel. Da antologia la sparatoria finale, una lezione di montaggio.
MEMORABILE: La "camminata" finale dei quattro banditi. Insuperabile.
Uomini disperatamente fuori tempo. La banda di Bishop non è fatta di ladri gentiluomini. Sono rapinatori e assassini, si fanno largo armi in pugno in un mondo che cambia e prepara nuove, più sottili forme di prepotenza. Non è (più) questione di buoni o cattivi. In un mondo senza regole una regola vale se può essere imposta con la forza, che appartenga alle società ferroviarie, a un caudillo messicano o a un capobanda carismatico che crede solo in un personale concetto di onore. Il film definitivo sulla fine del mito della frontiera.
MEMORABILE: "Tutti sogniamo di ritornare bambini. I peggiori di noi lo sognano più di tutti".
Storico western geriatrico, più affine a Ford di quanto si pensi. Americano, americanissimo; ma non un difetto bensì un pregio in questo caso. Nessuno come loro sa entrare nella propria terra, ovviamente. E così è anche un film che ribalta l'epopea cinematografica precedente. Mapache, con la sua corte dei miracoli, è un cattivo indimenticabile. Inutile sottolineare che le scene d'azione e il montaggio son eccellenti, ma in Italia si era già visto qualcosa.
Basterebbe dire che tutti i registi action di oggi (da John Woo a Walter Hill) hanno studiato a memoria questo capolavoro. Ma il Mucchio Selvaggio è anche una riflessione sul conflitto tra il passato (con le sue colpe) e il progresso (con le sue vittime), tra la morale individuale dei banditi (che si fanno scudo di donne e bambini, ma sono pronti a morire per l’amicizia e la parola data), che fa sembrare scemenze per marmocchi i film di Sergio Leone (anche se pochi ebbero il coraggio di ammetterlo). Una delle più grandi opere d’arte di sempre.
La risposta Usa alla rivoluzione del western italiano è l'esaltazione romantica di cinismo e violenza come linguaggi universali, non solo dei banditi ma perfino di bambini che torturano giulivi formiche e scorpioni: al posto del mito (Leone) si torna a John Wayne seppure in versione cattiva. Oltre due ore noiose e prevedibili che nella loro prolissa prevedibilità fanno rimpiangere la ricercata lentezza leoniana. Un'opera sopravvalutata grazie alla notevole sparatoria finale ad effetto che annulla nello spettatore la memoria di tutto il resto.
Grandissimo western, violento e con personaggi caratterizzati in modo insolito. Partono come odiosi rapinatori e finiscono per diventare personaggi con loro ideali (giusti o sbagliati che siano) di fondo. Le scene d'azione hanno un montaggio innovativo per i tempi (e ancora oggi imitato) e la regia di Peckinpah è davvero perfetta. Se aggiungiamo che cast è composto da veri e propri fuoriclasse come Holden, Borgnine e Ryan, allora ecco perché posso tranquillamente dire che sto parlado di un capolavoro assoluto.
Andiamo, Vamos, sono le parole che preludono a momenti decisivi in questo film. Una regia perfetta e attori giusti e in forma danno vita a una storia molto interessante dove i confini tra buoni e cattivi sono confusi o addirittura si mischiano e si scambiano, in un luogo e in un momento che favoriscono le migliori e le peggiori pulsioni dell'essere umano. Sulle formiche e sugli scorpioni, vince il fuoco. Tanta violenza e sangue, ma non gratuiti, fatta eccezione per le fucilate degli avidi stupidi, che da stupidi comunque finiranno. Ottimo.
MEMORABILE: L'assalto al treno è girato alla perfezione.
Semplicemente il più grandioso western mai realizzato, pietra miliare della storia del cinema, dopo il quale il cinema non sarà più lo stesso. Un gruppo di spietati delinquenti, senza morale, non esita ad andare incontro alla morte in nome dell'unico sentimento in cui credono: l'amicizia.
Assieme a Gangster story di Penn, il capolavoro di Peckinpah ha cambiato il volto del cinema, attraverso la decisa visualizzazione della violenza accompagnata da una riflessione rigorosa sui suoi meccanismi. Sarebbe veramente riduttivo definire semplicemente un western questa epopea - a tratti realmente epica - di fuorilegge, sbandati e perdenti che, in un mondo violento quanto loro, riescono a redimersi solo attraverso la violenza. Truce ma intriso di amara e beffarda ironia. Il massacro finale rimane un must, ineguagliato fra ralenti e accelerazioni.
La grandiosa, roboante ecatombe finale è tarda ricompensa per aver resistito per oltre due ore ad un’opera pomposa e torpida che di innovativo ha poco o nulla: l’iperviolenza era già stata proposta, in maniera ben più feroce, dagli esempi italiani – altro che «bambinate», come li stronca impunemente certa critica parruccona e miope -, mentre l’obliquità e le sottigliezze psicologiche dei personaggi da grandi classici anche di poco anteriori (I professionisti). Da apprezzarsi l’alta tecnica registica di Peckinpah e un Holden rugoso e deperito, doppiato dal timbro autorevole di Emilio Cigoli.
MEMORABILE: Il branco di bambini idioti che uccidono lo scorpione e le formiche; Sanchez che fa fuori l’ex fidanzata; l’ecatombe in cui non si salva nessuno.
Un gruppo di scalcinati e perdenti fuorilegge inizia con una carneficina per l'unica cosa a cui sembrano tenere, il denaro e finisce con una carneficina per l'amicizia. Tutto ciò che sta in mezzo è il lento intreccio dove non più sporchi cowboy e sceriffi ma perfidi, ricchi potenti generali, capi-popolo e politici truffaldini e criminali, portano avanti la nuova società americana e messicana, spietata e corrotta. La messa in scena di un'insensata violenza è emblema dell'autodistruzione sociale. Western crepuscolare e decadente per antonomasia.
Una delle vette di Peckinpah, può esser considerato paradigmatico della bipolare percezione cui il suo cinema ci "costringe". Una lunga elegia crepuscolare interrotta da una violenza capace di esser catartica senza mai diventare liberatoria. Unico erede diretto del Padre Ford (John), Sam continua a cantare l'amicizia e lo spirito di sacrificio del Maestro, in un contesto morale però in cui quei valori non hanno più nulla di "provvidenziale" e il nichilismo pare già una risposta coerente al marcio che avanza. Vera e propria Guernica del cinema western.
Come trama non merita certo la fama mondiale che detiene, ma per le due sparatorie si eleva ben più delle fatidiche otto miglia e quella finale è una pietra miliare che ispirerà altri registi nei loro momenti migliori. La buona analisi, più che sui protagonisti o sui rivali dei medesimi, concerne l'esercito regolare di una nazione in rivolta: la relativa ferocia va di pari passo con l'alcolemia e spesso si avvale della consulenza di militari giramondo provenienti da altri stati reazionari. Più di tutti mi è piaciuto Borgnine, nel ruolo dell'olandese.
Western crepuscolare, non solo cronologicamente: si respira un'aria di disfacimento e, quanto agli eroi, i giovani sono troppo ingenui e gli anziani stanchi, logorati dalla vita. Se ai professionisti di Brooks viene data un'occasione di riscatto nel fare la scelta giusta, qui l'unico sbocco è una carneficina, insensata perché equivale ad un suicidio. Il famoso ralenti che accompagna l'interminabile sequenza, tante volte imitato in seguito, è ambiguo per sua natura perché esalta il "bel" gesto, ma anche furiosamente romantico. Indimenticabile, come i volti dei suoi protagonisti.
MEMORABILE: Lo scorpione e le formiche; Il coltello alla gola di Angel.
In primo luogo un western dovrebbe avere come protagonisti cowboy singoli, o al massimo coppie: il gruppo di fuorilegge non attrae, non viene permeato da quel fascino da pistolero esperto e vissuto proprio di Eastwood o di Nero. In secondo luogo è un western troppo complesso: ci sono così tanti personaggi e situazioni che sembra che Peckinpah a volte se ne dimentichi qualcuno. Nonostante qualche sorprendente inquadratura la regia non è impeccabile (quel maledetto zoom!) e la colonna sonora spiacevole. Insomma, non di certo un gran film.
Un capolavoro assoluto del cinema mondiale. Peckinpah è un regista fenomenale nell'uso del ralenti e del montaggio alternato con il maggior numero di fotogrammi in Technicolor. Un film che non ha nulla a che vedere con lo spaghetti western come da molti sostenuto; per le qualità tecniche non ravvisabili nei prodotti nostrani, l'etica rigorosa, la messa in scena della violenza non fumettistica, le annotazioni storiche sul militarismo reazionario dei rivoluzionari anticamera del nazismo e gli echi fordiani che si sublimano nella fine di un'epoca.
MEMORABILE: La sparatoria inziale e finale; Holden malconcio che risale a cavallo dopo aver esortato i suoi a restare insieme; L'assalto al treno.
Dal genio di Sam Peckinpah un capolavoro western crepuscolare e nichilista. Immensi Holden, Borgnine, Oates e Johnson che danno vita ad antieroi sporchi, ubriaconi e fuorilegge in cerca di redenzione. Schiacciati da un mondo capitalista e brutale, l'unica salvezza per il mucchio selvaggio è per forza di cose un gesto politico, l'autodistruzione per la causa della rivoluzione messicana. Finale con un'esplosione di violenza incontrollata tra ralenti e montaggio frenetico che è entrato nella storia del cinema.
Peckimpah inferisce un colpo mortale al mito del western americano, assimilando il nichilismo del western italiano e facendone epica. I mercenari che braccano la banda non sono migliori di loro (anzi, ne rappresentano una versione più stupida) e in questo poema di guerra non ci sono buoni. La morte è un destino comune e accettato, rispetto al quale l'unico spazio di manovra è farne fuori il più possibile prima che sia il proprio turno e l'unico gesto rivoluzionario possibile è farlo gratis.
MEMORABILE: "Anche il più figlio di puttana tra di noi vuole apparire un eroe agli occhi di un bambino".
Vero e proprio punto di rottura rispetto al tradizionale western americano, è un buon film, ma non esageriamo con i superlativi. Certo il massacro finale è entrato di diritto nella storia del cinema e anche l'inizio, con un'altra cruenta sparatoria, è notevole; in mezzo però abbiamo una storia tirata troppo per le lunghe. Gli attori sono bravi e la regia di Peckinpah è formidabile nelle sequenze d'azione (anche l'assalto al treno è degno di nota), ma poco ispirata nelle fasi di raccordo. In definitiva gli preferisco alcuni prodotti italiani.
L’idea di Peckinpah prende forma in via definitiva e quale migliore esempio per poterla apprezzare appieno. Sparisce definitivamente quella patina edulcorata che aveva caratterizzato il genere a favore di un universo di personaggi ognuno in lotta per la sopravvivenza. Reietti, prostitute e feccia di ogni sorta si animano operosi per salvare la pelle in un mondo dipinto senza rose e fiori, per quello che realmente è stato, in cui è visibile soltanto qualche lontano e sporadico sprazzo di umanità.
Un notevole western in cui Peckinpah mette in mostra tutta la sua bravura registica con punte in certe sequenze: la sparatoria iniziale, la "corte" di Mapache, il passaggio del fiume, l'attacco di Villa, il massacro finale. Indimenticabili i volti (e qui la lezione di Leone è evidente) e il cinismo sottostante, dove anche i bambini sono esseri ignobili. Bisogna però dire che la sceneggiatura cincischia un po' per poi perdersi nel finale, con l'unico scopo di mostrare la più cruda violenza. Certo scopo riuscito, ma forse il soggetto meritava di più.
Gruppo di banditi farà una rapina per i messicani. Western poco polveroso che agli indiani sostituisce le guerre civili e nel quale i cattivi (o buoni quando hanno gli ideali) pensano solo all'oro. Regìa ancora moderna con montaggio all'avanguardia e spettacolare quando serve (bene anche i flashback). Holden è il capo acciaccato di una brigata non tanto giovane ma che sa accettare l'idea di non avere ritorno. Poca epicità anche nel finale, con critica agli avvoltoi di turno.
MEMORABILE: Il ponte saltato; La rapina al treno silenziosa; Il bagno nella tinozza di vino.
Per molti uno dei migliori western di sempre. Buono ma non entusiasmante. La seconda parte, zeppa di azione, sparatorie, violenza, inseguimenti, è veramente gustosa e di livello. La prima, da molti ritenuta significativa nel descrivere la psicologia dei vari personaggi, è in realtà non così profonda ma fin troppo lenta e scarna e si tende a perdere l'attenzione verso lo schermo. Questo incide anche sulla durata del film, che supera di molto le due ore, ma la sparatoria finale vale l'attesa.
Sam Peckinpah gira un western innovativo, tra i più violenti della storia del cinema, con qualche scena al limite dello splatter. La violenza esplode improvvisa come spesso piace al regista. Anche il montaggio è particolare e innovativo. Fotografia straordinaria. La storia però a volte diventa troppo confusionaria e alcune scene sono lentissime, finendo per generare sbadigli. Alla ricerca del capolavoro, Peckinpah ha un po' esagerato in tutto. Quasi buono ma eccessivo.
Lungo e prolisso non per la dilatazione dei tempi ma a causa di una focalizzazione eccessiva su alcune situazioni in realtà trascurabilissime, che non conferiscono niente di più a una pellicola che dà il meglio di sé nelle sequenze d'azione. Curioso il modo di presentare i personaggi, i quali sembrano completamente privati di un carattere, quasi come fossero fantasmi che si muovono in un mondo di violenza.
Peckinpah dirige una cruda parabola sulla violenza che risiede nell'indole umana, esasperando le sequenze sanguinarie (classico l'effetto ralenti durante le sparatorie, con schizzi di rossissima emoglobina in gran copia) e gettando un'occhiata amara sul futuro (che vuol dire sul presente), col vecchio West che sfuma nell'era moderna, tra automobili e macchine volanti, mentre sui sorrisi dei bimbi che torturano scorpioni in teatrini sadici si riflettono coloriture serradoriane. Non tutto funziona (i flashback mal montati, il ritmo zoppicante nella tranche centrale), ma l'insieme vale.
MEMORABILE: Gli scorpioni nel formicaio; La sparatoria iniziale; I messicani non sanno manovrare la mitragliatrice; Il messicano torturato; Il massacro finale.
Il capolavoro di Peckinpah, sporco e progressista, che attraverso una raffinata stigmatizzazione della violenza si fa testamentario del genere tutto. Abolite le necessarie dicotomie tra buoni e cattivi, e le loro conseguenti iniezioni di morale, le chirurgiche visioni di Sam si spostano su nevrotiche fughe, sguardi senz'anima e due polverosi scontri a fuoco che aprono e chiudono il film. Un grande saggio povero di testosterone e dipinto di centinaia d'inquadrature che si rincorrono come frammenti in rovina di un mondo troppo idealizzato. Forse il western più sincero di tutti.
MEMORABILE: I bambini che seviziano gli animali; La rapina al treno; Il gran lavoro di editing di Lombardo.
Un gruppo di violenti fuorilegge alle prese con l'ultimo "lavoro" in un'epoca che volge alla fine. Non esiste pensione per chi assalta treni o per chi caccia taglie; resistono solo alcuni valori da banditi, e la volontà di finire con chi si comincia: ecco che la lunga cavalcata di Peckinpah ci porta al parossistico, iconico, finale intriso di sangue. Film che setta nuovi standard per il genere e per l'industria, a partire da un montaggio frenetico che nelle sparatorie arriva all'inserto subliminale.
La fine dell'Epica e l'epica della Fine. Un poema visivo che dissacra e celebra l'onore, la virilità, la violenza, la rivoluzione e il coraggio di seguire le proprie idee fino all'ultimo, oltre ad essere un omaggio all'era dei leggendari fuorilegge del West. Certamente in Italia molte ''innovazioni'' nel campo risalgono a prima del 1969, ma il coraggio di Peckinpah di smitizzare fino in fondo (ma neanche troppo) a Hollywood, negli anni Sessanta, il più ''sacro'' dei generi americani, è sempre da celebrare. Cast sublime di attori e volti brutti, sporchi e cattivi ma meravigliosi.
Una banda di criminali fallisce il colpo della vita e durante la guerra civile messicana si mette al servizio dell'esercito regolare contro Pancho Villa. Salvo complicazioni... Requiem del western classicamente inteso per mancanza di manicheismo. I buoni non ci sono più e chi crede tali coloro che obbediscono a un personale senso dell'onore e dell'amicizia fa soltanto il gioco dell'autore. Poetico e commovente quanto più mostra di non esserlo, si avvale di un cast interamente all'altezza e di una regia di alta scuola. Memorabile. Ultimo film di Albert Dekker prima del suicidio.
MEMORABILE: Borgnine sorride al destino di eroismo che suo malgrado lo attende. Poi l'inizio della fine.
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DiscussioneDaniela • 8/11/17 16:14 Gran Burattinaio - 5944 interventi
x Il Dandi
non ricordavo la sequenza che citi, a differenza di quella famosissima richiamata da Buio-
Si tratta della sequenza con i titoli di testa: per la precisione, i bimbi osservano due scorpioni attaccati da formiche rosse di specie non riconosciuta, ma comunque appartenente alla sotto-famiglia delle ponerine.
Le scene con i bimbi disposti attorno ad un piccolo recinto sono inframmezzate con quelle dell'arrivo in città della banda cappeggiata da Pike che si appresta a rapinare la banca con l'espediente del travestimento da soldati. La sequenza poi prosegue, seguendo i banditi a cavallo, e ci mostra un predicatore che cita la bibbia mettendo in guardia contro il vizio (anche qui viene fatto l'esempio dello scorpione)
Uno degli incipit più straordinari di tutto il cinema di Pechinpah ed anche uno dei più elaborati, per la presenza di fermo-immagini ed elaborazioni grafiche che accompagnano i credit dei titoli.
In realtà ci aveva già pensato Walter Hill con il suo remake odierno non dichiarato, Ricercati ufficialmente morti
Ben venga il sanguigno (e sanguinario) Mel
DiscussioneDaniela • 1/10/18 23:19 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Il film di Hill contiene vari omaggi/citazioni al capolavoro di Pechinpah (in particolare per quanto riguarda la carneficina finale), ma ritengo non possa esserne considerato un remake, sia pure non dichiarato.
M'ha, non ne sarei cosi tanto sicuro, credo di conoscere bene i due film in questione, e se leggo un po' di commenti davinottici credo di non essere l' unico a pensarla così. Difatti ho scritto remake NON dichiarato, e lo è, eccome se lo è ( e non solo per il massacro finale), Powers Boothe se non è l' ombra spietata di Mapachi e la polvere, il sangue, la puzza di Texas in Messico insanguinato, il mucchio di balordi, allora ditemelo voi cos'è
HomevideoRocchiola • 15/09/20 08:03 Call center Davinotti - 1318 interventi
Rivisto il BD Warner Director’s Cut su nuovo schermo da 55 pollici. Benché si tratti di un’edizione ormai risalente al 2007, devo dire che ha retto abbastanza bene alla prova del tempo. Il video è decisamente pulito ed anche su uno schermo di grandi dimensioni presenta una grana di fondo del tutto naturale mai troppo invasiva. La definizione è abbastanza soddisfacente per quasi tutta la durata del film anche se alcuni sfondi potevano essere un pochino più incisivi. Forse i neri potevano essere più profondi e contrastati ma nel complesso per un film di quest'epoca il livello è ottimo.
Rivisto in blu-ray, tutto doppiato mi pare totalmente coperto dalle voci d'epoca, a parte i dialoghi messicani sottotitoli. Mi pareva in dvd ci fossero pezzi in v.o.s.i. o mi sbaglio ?