Rilettura in chiave fantascientifica della favola di Pinocchio, il film di Spielberg parte da un'idea a lungo cullata dallo scomparso Stanley Kubrick (e adattata da un racconto di Brian W. Aldiss) per dare alla favola collodiana una parvenza di credibilità scientifica. David non è un burattino di legno ma un robot che sogna di diventare bambino per poter farsi amare dalla propria madre (adottiva) come un figlio vero. Il percorso che dovrà fare per tentare di raggiungere il suo sogno è un evidente omaggio alle peregrinazioni di Pinocchio. Ma in A.I. non è questo che conta. La sceneggiatura (scritta lo stesso Spielberg) è assolutamente secondaria rispetto allo straordinario lavoro del regista,...Leggi tutto che recupera in parte le atmosfere stranianti di INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO (segnatamente il finale) per realizzare un'opera “magica”, quasi sospesa in un tempo che non c'è, resa impalpabile dalle azzeccate musiche di John Williams “in punta di pianoforte” e da luci e immagini eccezionali. Ma il miglior assist al capolavoro spielberghiano viene dal protagonista Haley Joel Osment (il bambino de IL SESTO SENSO), un viso angelico meraviglioso dotato dell’inespressività più espressiva mai vista al cinema. Immagini intense, emozionanti, incantate (anche felliniane, nella lunga parentesi con Jude Law nel bosco e alla “fiera della carne”) per un’opera in cui finalmente gli effetti speciali (ottimi) sono funzionali e mai invadenti. C'è qualche cedimento (il film dura due ore e mezza) ma nel complesso il tentativo di Spielberg di creare un lavoro fuori dai canoni rapirà buona parte di coloro che riusciranno ad entrare nello spirito "giusto". Potrà irritare gli animi più pragmatici, seriosi o avversi allo stile americano del regista, ma il film è di quelli che lasciano col fiato sospeso.
il capolavoro si nota nell'idea alla base del progetto stesso: fondere la favola più famosa del mondo con la passione fantascientifica cercando di coglierne i significati e gli aspetti che della fantascienza fanno un genere in bilico tra pura fantasia e qualcosa che con il passare degli anni e con il progredire della scienza potrebbe davvero accadere. Ovviamente romanzando il tutto. Musiche ottime e scene che commuovono. Si repira un'aria sofisticata e si seguono ritmi spettacolari. Film geniale dalla sceneggiatura attenta.
Aleggia lo spirito di Kubrick e il film assume la forza del capolavoro. Se poi aggiungiamo Spielberg il gioco è fatto. Infatti A.I. è un film straordinario, lento e riflessivo, ben lontano dal futuro action-thriller di Minority report. Ricalcando le orme di un pinocchio robotizzato, Osment si confermò uno dei bimbi-attori più dotati che si siano mai visti. L'impianto grafico di colori, luci e movimenti di macchina si abbina perfettamente allo spirito della pellicola, per niente "Hollywoodiana". Non capolavoro assoluto, ma splendido.
In questo caso faccio prima a dire ciò che non mi ha convinto: Jude Lawcignolo, robot amante, discreto personaggio ma forzato (sembra messo lì più per sfruttare l’attore). La parte finale, che per quanto affascinante (quando l’astronave attraversa la metropoli surgelata), sembra un po’ tirata, forse perchè ci si arriva stremati e saturi di informazioni (pellicola molto lunga). Il resto è grande cinema. Bravo il protagonista, effetti superlativi e momenti fantastici (robot e madre, la discarica, la fiera della carne). Un grande esempio di cinema spettacolarprofondo.
Film che non ha ricevuto il trattamento critico che meritava, A. I. è uno strano ma affascinante ibrido tra i mondi di due grandi registi, Kubrick e Spielberg. Ovviamente, essendo diretto dal secondo, se ne vede maggiormente la mano e quindi prevalgono i toni di favola tragica per adulti nonché l'immaginario futuristico (e speriamo non futuribile) popolato da robot in cerca di anima. Ottima la prova di tutto il cast; alcune scene sono un vero spettacolo per gli occhi.
Prodotto da un Kubrick appena scomparso il quale, leggenda vuole, aveva affidato all'ex ragazzo prodigio l'onere e l'onore di dirigire il film. Spielberg confeziona un film sì molto influenzato dalla classica struttura duale kubrickiana (è nettamente diviso in due parti, più un prologo e un epilogo) ma non si fa fagocitare: la prima parte è un calco in perfetto stile Kubrick mentre la seconda è il "solito" baraccone-luna park alla Spielberg. È nell'epilogo (che purtroppo allunga il film di molto) che tenta una fusione tra i due stili. Da vedere.
Controverso. Onesta prima parte, da film melò d'altri tempi, seconda un po' troppo confusionaria e cacofonica, terza (col lunghissimo finale) straordinaria. In pratica, riassumendo all'osso, è un film sulla determinazione e la caparbietà dei sentimenti, dell'amore, com'è giusto che sia e come dovrebbe sempre essere. Le cose che non vanno ci sono e non si devono trascurare, ma comunque sia questa pellicola ha forza narrativa e qualità registiche da vendere (buon Spielberg non mente...).
Nemmeno io sono così contro questo film, anche se ha troppi finali e William Hurt sembra dormire. Ma è la sua stravaganza a farmelo gustare come se Spielberg, perdendo un po' le redini, avesse lasciato scorrere un qualche cosa di autentico di sè e un onesto amore per l'infanzia. Che infatti lo ricambia andando a vedere i suoi film. Non è riuscito, anzi è un film fallito ma di quei fallimenti che si fanno rivedere. ottimo Jude Law. Osmond è bravissimo ma è un... alieno.
Mix di fantascienza, drammatico e sentimentale. Spielberg riesce sempre a mal mescolare gli ingredienti giusti e a far sì che il film non sia ottimo. I troppi sentimentalismi nuociono al film, troppo lento all'inizio ed un po' più ritmato verso la fine. Forse (sicuro) Kubrick avrebbe fatto di più.
Film che doveva forse essere di Kubrick, ma il grande (e invidioso) Spielberg ha deciso, in suo onore, di renderlo proprio. Un'opera lenta ma emozionante, in certi tratti. Bravo Osment e bravissimo Jude Law. Il finale è quasi imbarazzante ma il tutto comunque è contornato di fascino infantilista e adoloscenziale.
Partendo da un soggetto di Stanley Kubrick (il quale per tanto tempo sognò di realizzare questo film) che riprendeva un racconto di Brian Aldiss, Spielberg dà vita ad un film diseguale e discontinuo come non mai. A tratti affascina ed emoziona, a tratti infastidisce e annoia. Qualche trovata non manca ma più spesso è chiassoso, puerile, usuale quando non addirittura, a mio avviso, ridicolo (vedi gli alieni del finale) nonchè particolarmente melenso (l'incontro con la madre). In definitiva tanto rumore per nulla e, almeno per me, una cocente delusione.
Kubrick+Spielberg+Collodi. L'equazione irrisolvibile porta alla storia di David, piccolo HAL9000 umanoide che vuole diventare umano, ET terrestre che vuole tornare a casa, burattino del futuro che vuole l'amore di una famiglia. I temi sono tanti e complessi, impossibili da maneggiare. Certo, non è del tutto riuscito il finale, che avrebbe chiuso poeticamente (non razionalmente) il film. Tutti notano le incoerenze (tante) di un film spezzato in 3 parti. Io sottolineo la potenza visiva e la capacità di narratore fiabesco di Spielberg. Comunque da vedere.
Si passa da immagini suggestive, a momenti leggermente fiacchi. Da citare tutte le scene subacque, anche se a mio avviso la pellicola è stata eccessivamente sopravalutata. Cast altalenante: Law non mi è piaciuto, Osment allucinante. Quindi arriva alla sufficienza, ma non va glorificato.
La storia di Pinocchio virata nella robotica, con un automa bambino che vuole diventare un bimbo vero e tornare dalla mamma. Una favola dolce e malinconica, con tutti gli ingredienti giusti, dal sentimento all'avventura, e una buona dose di fantascienza di vario tipo. Il film attraversa varie fasi di azione e ritmo, fino agli ultimi dieci minuti mielosi-amari: ma sempre riesce a tenere agganciati alla visione tutti gli spettatori. Raffinatissimo come sempre l'occhio di Spielberg, con alcune sequenze notevoli. Bravissimo il piccolo protagonista.
L'aspettativa verso il connubio Spielberg-Kubrick rimane in parte delusa ma è comunque un film notevole che non si presta a critiche superficiali (del tipo "se l'avesse fatto Kubrick... se ì mi nonno..."). Se la prima parte sembra introdurci ad un interessante confronto/scontro tra umano e artificiale, la seconda (l'abbandono, il cinico Colosseo robotico, Rouge city) appare troppo slegata e insistita. Nell'epilogo finale tanti lacrimoni ma di alta qualità. Bravi gli attori, mitico Terry l'orsetto parlante, fotografia e musiche non tradiscono.
MEMORABILE: L'orso giocattolo sale sul letto dove David ha coronato il sogno di una vita. Scena difficilmente riscontrabile in altri film (forse giusto in Big Fish).
Basta un alito, un sospiro, da parte del signor Kubrick, per donare ad un soggetto quell'aura di magnificenza degna della sua intera opera. Spielberg assimila, omaggia, rielabora, rimpolpa, impeccabilmente, o quasi, palesemente influenzato dalla verve kubrickiana (ma pomposo nella durata). Sarebbe riduttivo liquidare il film con "una moderna rilettura della favola di Pinocchio", giacchè pervaso da un alone mistico, fuori dallo spazio-tempo, persino eccessivamente ricco di spunti. Resta un dilemma, almeno da parte mia, alieni o robot evoluti? ****1/2
Trasposizione futuristica della favola di Pinocchio. La pellicola pone al centro dell'attenzione diversità e sentimenti. In ogni sua forma. E lo fa prendendo spunto dai soliti dubbi di carattere etico, morale e religioso: l'essenza vitale (intesa come anima) e la sua replicabilità. Come ogni film di Spielberg non si lesina sugli effetti speciali, davvero incredibili in alcune sequenze, ma quello che lascia a bocca aperta è la recitazione di Osment. I suoi movimenti, le sue espressioni. Angosciano davvero come fosse vero. Il resto è solo contorno.
Una pellicola combattuta tra tantissimi pregi quante palesi mancanze. Da un lato non si può far a meno di notare come il progetto originale di Kubrick (una fanta-rivisitazione della universale favola di Collodi), messo nelle mani di uno Spielberg, ha perso purtroppo tutte le sue immense potenzialità metafisiche, vanificate da uno scontato approccio "new age"; dall'altro invece non gli si può negare la grandiosità degli effetti di grafica computerizzata, la vertigine dello spazio/tempo ed una commovente nostalgia per l'infanzia ed il rapporto materno.
MEMORABILE: La felicità del protagonista nel poter rivivere eternamente lo stesso identico ultimo giorno trascorso in compagnia della mamma.
Spielberg stilisticamente e tecnicamente non si discute: da questo punto di vista il film è davvero magnifico. Impossibile negargli una spiccata magia nel raccontare gli avvenimenti, una forza narrativa notevole, oserei dire invidiabile. La camera che si muove stupendamente e secondo me, cita ed omaggia per 3 o 4 volte Kubrick, realizzando inquadrature che richiamano molto lo stile del Maestro. Poi la storia, insomma, ha il suo fascino e la fotografia di Kaminski è assolutamente una delle più belle che abbia mai visto.
Film diviso in due parti ben distinte che denotano l'ispirazione del maestro inglese e la voglia di stupire, visivamente parlando, di Spielberg. Tutto sommato la storia del Pinocchio moderno non dispiace ma è, personalmente, troppo artefatta ed infarcita di messaggi etici e morali non del tutto convincenti. Deludente.
Un film del genere, per i temi che affronta, non poteva che finire nelle mani di Steven Spielberg. L'elaborazione della perdita, l'egoismo umano e la riflessione sull'artificio e sull'anima, sono trattati discretamente, mentre la nostalgia e il sincero amore per l'infanzia trovano nell'immagine finale un lasciapassare per i ricordi. Per arrivarci però il regista ci esaspera un pochino, con un'ultima parte troppo slabbrata (ma affascinante). C'è da mordersi le mani pensando a cosa avrebbe potuto tirare fuori Kubrick da questo soggetto...
Il soggetto lascia trasparire la genialità eclettica di Kubrick: una rilettura in chiave fantascientifica della favola di Pinocchio come metafora dell'evoluzione e del destino dell'umanità. La prima parte ha le carte in regola per essere etichettata come un capolavoro. Purtroppo, nel secondo tempo, Spielberg prende le redini senza mantenere la dovuta profondità e distanza emotiva, generando scene che non sono in sintonia col resto della storia (vedi la sequenza del colosseo). Bravo Law in un ruolo bizzarro, ottimo Osment, giustamente "robotico".
MEMORABILE: La scena finale con relativo omaggio a 2001 e l'orsetto robotico che si arrampica sul letto.
Mi viene da piangere se penso a quale capolavoro sarebbe potuto emergere dalla regia del maestro Kubrick e quale, invece, è stato il risultato sotto lo stampo commerciale tipico dello Spielberg sentimentale. In effetti la prima parte non è affatto male: le tematiche, numerose, interessanti, interconnesse, kubrickiane, sono degnamente presentate nella prima ora di film; tuttavia poi la qualità della pellicola scende a Rouge City e, con qualche saliscendi, scema definitivamente in un pessimo finale. Insomma, il lodevole è di Kubrick, il mediocre di Spielberg.
MEMORABILE: Negativamente memorabili: i segugi (un misto fra Daft Punk e Power Rangers) e i loro veicoli; L'insoddisfacente, sentimentale, patetico finale.
Spielberg non smette mai di meravigliarci. Il film, diviso idealmente in due parti, è la storia dell'uomo che vuole spingersi oltre e riscoprire l'umanità anche nelle macchine. Quello che ci viene offerto può essere un futuro prossimo dove l'intelligenza artificiale può sostituire quella umana. Non è un'opera facile perché va a sondare un altro luogo della fantascienza che il regista non aveva ancora affrontato. A tratti durissimo (il rodeo) e a tratti tenero come lo sguardo di un bambino. La verità è che il futuro fa ancora paura.
Si capisce bene fin dall’inizio dove voglia andare a parare e probabilmente non era necessario dilatare così tanto i tempi. Tra il sentimentale e il drammatico, ma con l’obiettivo comune di suscitare compassione per il protagonista. Pesca molto dal Pinocchio di Collodi, trasformato da Spielberg in chiave moderna, ma annoiando a più riprese malgrado sia visivamente impeccabile e affascinante. Un lavoro imponente e importante stringato al dramma sentimentale quando poteva usufruire di un’ariosità narrativa ben più ampia.
La provocazione è grande, ma anche la presunzione umana, la presunzione di sostituirsi a Dio. È questo che mi sembra il film di Spielberg: una grande provocazione (non so se questa era anche l'intenzione di Kubrick). Una provocazione affascinante, sviluppata molto bene, tanto bene che nel lungo viaggio di David si arriva a perdere di vista il perché; come anche nella favola di Collodi gli avvenimenti arrivano a prevalere sul tema di fondo. Nell'uno e nell'altra ci pensa il grillo parlante-Teddy a ricordarci che abbiamo una coscienza.
MEMORABILE: "...ma in principio Dio non creò Adamo perché questi lo amasse?" Hurt-Geppetto rispode alla domanda: "un essere umano saprà amare un mecha-bambino?"
Un vero peccato che l'opera (che poggiava su un'idea di base più che notevole) si perda nei meandri della più scontata favoletta per piccini (con tanto di esplicito rimando collodiano) - con scene totalmente avulse dal contesto (la sagra del macello dei robot) - che ha dell'incredibile. La realizzazione tecnica è indiscutibilmente buona, con un uso sensazionale degli effetti speciali, ma nonostante ciò si percepisce l'assenza di pathos. Purtroppo si ha la il pensiero fisso di cosa sarebbe riuscito a girare Kubrick. Mediocre, ma con punte straordinarie.
MEMORABILE: L'abbandono; In cerca di risposte; La fata turchina.
La triade madre-figlio cyborg e fratellastro disabile nella prima mezz'ora funziona bene e poteva ricavarsi qualcosa di più che buono con questo confronto sviluppandolo nel puro ambiente domestico. Ma poi, ecco il tracollo; la maschera del bambino sintetico ben calzata fino a quel momento scivola verso una baracconata di effetti speciali in parte imitazione di Blade runner con toni fiabeschi, un parallelismo con Pinocchio poco riuscito e una tendenza al lacrimoso-soporifero-tedioso. Dispiace constatare l'occasione perduta, viste le premesse.
MEMORABILE: L'aspetto del bambino perfettamente credibile nel suo essere "artificiale" e il suo incontro con i "cloni" di se stesso allineati come manichini.
Il Pinocchio di Spielberg è un film palesemente diviso in tre atti: il primo funziona egregiamente (Black mirror gli dovrà molto), il secondo invece vorrebbe forse richiamare - con risultati modesti - le atmosfere di Blade runner, il terzo è infine quello più fiabesco. Ci sono varie incongruenze ma questo non è (e non vuole essere) un film di fantascienza quanto piuttosto una favola moderna e come tale è assolutamente riuscita. Gli effetti visivi, nonostante i vent'anni trascorsi, sono sorprendenti e tutti gli attori sono in forma. Da vedere.
La fantascienza è un genere tendenzialmente freddo, ma Steven Spielberg riesce ad ammantarla di sublime poesia e a farci scappare anche una lacrimuccia finale, dimostrandosi ancora una volta regista di sensibilità superiore. Il film dura tanto e ha i suoi momenti lenti ma è avvolto da un'aura di magia in cui è bello immergersi, anche se predomina uno sguardo pessimista al futuro che ci aspetta. Film che fa riflettere. Bellissimi gli effetti speciali e splendido il cast.
Un buon film che soffre di tre difetti importanti: l'eccessiva lunghezza, tipica di un certo Spielberg, i momenti di bassa marea, punti morti che infiacchiscono sia il ritmo narrativo che l'interesse dello spettatore e infine l'aver fatto pesare tutto sulle spalle di un bambino. Law non viene concepito come balia a tempo piano, quindi alla fine si paga dazio. Al di là della distopia di base il lavoro del regista prende la sua forza da un'emotività che non cessa col finire della vita biologica e che dà luogo a un finale dai molti perché.
MEMORABILE: L'orsacchiotto Teddy; La ricerca della fata turchina.
Nel futuro, gli androidi più evoluti possono provare sentimenti, come l'amore verso la mamma di un bimbo androide, adottato da una coppia il cui figlio malato è stato ibernato in attesa di una cura... Opera che racchiude il meglio ed il peggio di Spielberg: spettacolare dal punto di vista della messa in scena, alterna momenti emozionanti ad altri sentimentali fino alla melensaggine, risultando a tratti persino noioso. Difficile immaginare come sarebbe stato il film se diretto da Kubrick, ma si può scommettere su un apologo di maggior rigore rispetto a questo piuttosto deludente.
Rivisitazione fantascientifica del "mito" di Pinocchio, sospesa fra la tenerezza e la cupezza, fra la meraviglia e il quotidiano, fra la satira e la metafora. L'insieme riesce ad ammaliare (merito anche degli effetti visivi, invecchiati davvero bene) e a commuovere (l'abbandono di Haley Joel Osment non lascia indifferenti), nonostante certi passaggi sprofondino nell’irritante sentimentalismo al saccarosio (soprattutto il finale). Viene spontaneo domandarsi cosa ne avrebbe tirato fuori Kubrick, ma il soggetto pare così favolisticamente spielberghiano che già questo risultato appaga.
MEMORABILE: L'orsacchiotto semovente; Le cattiverie del "fratellino" umano; Jude Law in veste "lucignolesca"; La caccia ai Mecha; La fiera della carne; La fata.
Coppia di genitori acquista un bambino artificiale. La favola di Pinocchio viene rivisitata in chiave fantascientifica anche se all’inizio sembra horror: Osment è inquietante, così come lo sono le dinamiche competitive con l’altro figlio. Il segmento alla ricerca della fata turchina mal si sposa con la fiera e con l’animato Dr. Know (pessima scelta, come l’orsetto del resto). L’ultima parte nella suggestiva Manhattan, tra la glaciazione e la successiva clonazione, si fa contorta. In soccorso arriva anche la voce fuori campo e il finale sui sogni è efficace, in pieno stile Spielberg.
MEMORABILE: Sott'acqua immobile; L'abbraccio alla madre dopo l’imprinting; La fiera della carne; I cloni dei bambini in vendita; La giornata con la madre.
Rilettura del Pinocchio di Collodi che doveva essere di Kubrick ma che finisce nelle mani di Spieberg. Parte bene, con una prima mezz'ora algida e ben narrata che fa presagire grandi cose. Poi si trasforma in una favoletta scontata piena zeppa di melensaggini varie e contraddistinta da una lunghezza davvero eccessiva. Visivamente spettacolare, certo, ma sembra che Spielberg abbia perso per strada tutti i sottotesti metafisici che avrebbero elevato l'opera.
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