In certi momenti, guardando questa pellicola, si può arrivare quasi a invidiare chi al cinema non va ormai praticamente più. Per fortuna, ogni tanto... puf, compariva qualche bella scena in grado di rivitalizzare momentaneamente il tutto (la macchina della verità, il cambio facce, le plurivincite). Ciò non toglie che ci siano un mare di attori famosi (insopportabilmente brillanti) in linea di massima mal sfruttati (simpatico il finto Messicano). Anche Pacino è piuttosto sprecato, mentre Il piano è a dir poco fantascientifico. Nel complesso mediocre ma vedibile.
MEMORABILE: Frase rivolta ai protagonisti: "Siete personaggi analogici in un mondo digitale. Siete andati".
Giunto al terzo episodio, il ciclo dei simpatici ladri capitanati da Danny Ocean non ha più molto da dire e si incarta su se stesso; gli episodi si assomigliano gli uni agli altri e si fa fatica a distinguere il thirteen dal twelve e dall'eleven. Anche gli attori sono mal sfruttati e se si scrittura il grande Al Pacino lo si deve utilizzare meglio. Plauso alle musiche belle e coinvolgenti. Film inutile.
Catalogabile come film di genere, stancamente alla ricerca di nuovi scopi per il gruppo di amici, ladri galantuomini, nonché per dare un po' di visibilità ai due protagonisti. Ambientazione e fotografia accattivanti ma i soldi sembrano l'unico motivo che manda avanti la baracca, tanto che i tutti trasecolano quando gli riferiscono di uno sciopero in Messico a causa di stipendi da fame e che puntualmente il loro ego ipertrofico spinge a finanziare per farlo cessare. Ma chi si credono di essere? Perché tirare in ballo Zapata? Dimenticabile!
Arrivati al terzo capitolo Soderbergh e compagni si ritrovano a corto di idee. Più o meno tutto era stato detto nei film precedenti, quindi una sensazione di deja-vu accompagna la visione. Non c'è più la sottotrama sentimentale e i dialoghi risultano meno brillanti del solito, mentre il piano criminale è talmente complicato e inverosimile che risulta poco coinvolgente e finisce solo per confondere lo spettatore. Confezione al solito impeccabile, così come la recitazione del cast, in questo caso sprecato.
Ocean's thirteen è una buona macchina di intrattenimento in cui i numerosi attori famosi sembrano ritrovarsi per prendersi una pausa dagli altri impegni cinematografici. In questo episodio però il giochetto è a tratti improbabile (la trivellatrice del canale della manica che provoca il finto terremoto... mai si era arrivati a tanto. Ci mancava solo lo Space Shuttle per fare ombra); insomma, hanno tutti un po' esagerato. È un film tutto al maschile ad eccezione di Ellen Barkin, che peraltro se la cava. Al Pacino sprecato.
Il livello continua ad abbasarsi (la vogliamo smettere o dobbiamo arrivare a Ocean's 1480?). Ogni capitolo infatti aggiunge sempre di meno alla saga, che diventa sempre più ripetitiva e persino odiosa, da un certo punto di vista. Il cast quasi non cambia. Altro pollice verso.
Per smaltire un po' il grande attaccamento al denaro, alle ambizioni sfrenate, alla voglia di potere e di fama personali, Danny Ocean si commuove davanti alla tv in un programma dove si dà una casa a chi più ne ha bisogno; in aggiunta si "punisce" pure Benedict con una beneficenza forzata. Assieme all'ingresso di Al Pacino, furbo di tre cotte che tanto furbo non è, sono queste le novità nel nuovo sequel che si ripete ancora una volta in un fantasmagorico colpo al casinò. Insomma, alla fine questi ladri diventano giustizieri gentiluomini. Lussuoso.
MEMORABILE: Al Pacino: "Io non voglio le doglie, voglio il bambino".
Terza avventura per Danny Ocean e la sua cricca in questa vuota quanto redditizia operazione commerciale. L'intelaiatura è la stessa del primo capitolo e denota evidenti segni di logorìo e ripetitività. Anche le tante facce presenti sono le solite con l'aggiunta di un Al Pacino professionale ma abbastanza dimesso. Il piano della banda è così cervellotico da risultare confusionario e poco comprensibile a primo impatto. Inoltre in certi trabocchetti non cadrebbe neanche un ragazzino sprovveduto... Fiacco anche il colpo di scena con Vincent Cassel.
Per carità, tutto chiaro in partenza: gioco, giocatori, regole, e persino (pour cause, dato il tema) i trucchi da baro. Il fatto è che il caper-movie è anch'esso un genere (sebbene ingiustamente negletto), i cui fans gradiscono la liturgia e in fondo, pagato il tributo del caso, non vedono il motivo di inventare chissà cosa. Se poi il tutto è servito in confezione extra-lusso, come lamentarsi? (Sommessamente aggiungiamo: meglio del secondo)
Meglio del secondo, senza dubbio peggio del primo. Ocean's Thirteen si piazza così a metà tra un filmetto incasinato e un capolavoro. La banda guidata da Danny Ocean è questa volta costretta a vedersela contro Al Pacino e avrà dalla propria parte persino l'acerrimo nemico Terry Benedict. Si sorride e ci si diverte.
Il film diverte e intrattiene con leggerezza, azzecca anche due scene sorprendenti (lo sguardo di Pacino al dileguarsi dell'elicottero e la tutina mimetica di Vincent Cassel) e Soderbergh dimostra di saper maneggiare cotanto materiale senza spercare comprimari e riservandosi un meritato divertimento con una regia glamour e brillante adatta "alla serata". L'unico appunto può riguardare la sceneggiatura forzata, che non sorprende mai (se non col padre di Matt Damon), con colpi di scena un po' blandi.
Nonostante sia innegabile il mestiere con cui è girato, questo terzo capitolo è francamente inutile. Coralità eccessiva che non giova alla bravura individuale e sceneggiatura più svogliata dei due suoi precedenti. Il plot non rinuncia a nessuno dei personaggi già incontrati e questo è un grande errore (visto lo spazio a loro disposizione) e ovviamente ne aggiunge altri: Pacino e la Barkin, con quest'ultima decisamente più frizzante del primo il quale, a volte, stenta addirittura a tenere i tempi giusti. Colonna sonora come sempre molto suggestiva.
MEMORABILE: Danny a Bank: "Sei già sotto di mezzo miliardo! Che fai, ti giri su un fianco e ti lasci morire?"; Le citazioni da Il padrino.
Eccola di nuovo, la dozzina di ladri glamour e infallibili. Dopo il primo trascurabile sequel, Soderbergh ritorna sui suoi passi e ripropone il remake dell’originale, amplificando il piano ordito in maniera talvolta forzata e irreale ma recuperando quel divertimento organico che sembrava smarrito nei meandri di Amsterdam. Positivo il colpo di ramazza inferto alla coppia Roberts/Zeta-Jones, ottimi gli ingressi di Pacino e della sempre succulenta Ellen Barkin. Non arriva alle vette del primo, ma è comunque più che sufficiente.
Spesso definito come il canto del cigno della serie, il peggiore dei tre, lo ritengo invece senz’altro superiore al secondo per l’evidente maggiore dose d’ironia diffusa lungo l’arco del film tramite alcuni picchi (tutta la produzione dei dadi messicani, il relatore trattato male) e le numerose battutine brevi che a un primo ascolto possono non essere recepite nella loro totalità. Al Pacino, inoltre, infonde linfa vitale, mentre appare in stanco calo Pitt; in ripresa Clooney. Azzeccato anche il finale.
MEMORABILE: L'aumento salariale dei lavoratori messicani.
È normale che una serie arrivata al terzo episodio tenda a perdere colpi e così scopriamo che il film non ha l'impatto del capostipite e rispetto al secondo... non sfigura. È da considerarsi un buon risultato? Direi di sì, ma solo tenendo conto che, appunto, è un terzo capitolo; se invece dovessi tener conto della mancanza di crescita psicologica dei protagonisti (anzi, per Pitt parlerei di regressione) e del fatto di avere un Pacino - seppur frenato - in squadra allora mi riterrei insoddisfatto. **! di stima, ma nulla più.
Ultimo capitolo di una fortunata (ed avvincente) trilogia. Soderbergh realizza una pellicola ridondante di attoroni da blockbuster, sulla stessa linea degli altri due film. Un nuovo colpo, stavolta forse il più "fantascientifico" rispetto agli altri proposti, ma comunque denso di buone trovate e con una sceneggiatura stesa bene. Il cast a cinque stelle fa il resto. Non il migliore, ma comunque interessante e godibile.
Terzo episodio ancor più comicarolo e caotico nella trama (trattasi di vendetta stavolta), molto divertente come sempre, con dialoghi brillanti e situazioni simpatiche (su tutte il critico maltrattato ripetutamente). A impreziosire il cast questa volta c'è il buon villain di Al Pacino, mentre la Barkin non convince più di tanto. Alcune trovate sono già viste, ma nel complesso il mix di eleganza, commedia e rischio funziona ancora.
Non parliamo certo di Kubrick, ma film si inserisce perfettamente nella trilogia con esiti migliori del secondo capitolo: i personaggi appaiono meglio descritti, la storia è più avvincente e divertente, l'aggiunta di Al Pacino e Ellen Barkin dà più freschezza al tutto. Soderbergh chiude magistralmente una buona trilogia d'intrattenimento puro, cinema che sa divertire mostrando anche una buonissima qualità nella scrittura e nella messa in scena. Brad Pitt leggermente in disparte rispetto ai precedenti capitoli.
MEMORABILE: Le situazioni sentimentali dei due protagonisti sempre celate o decontestualizzate; Don Cheadle motociclista; "Hai stretto la mano a Sinatra".
Stavolta il cattivo è Al Pacino, e ovviamente non si può dire che lo interpreti male; casomai il problema di questo terzo capitolo è che i personaggi iniziano ad essere troppi, aggiungendosi anche la (brava) Barkin, divertente vittima di un afrodisiaco che le fa perdere la testa per Matt Damon. Trattandosi di una vendetta, e non di una rapina per necessità come l'11 e il 12, il film è più disteso e lascia spazio a parecchie trovate comiche. Il lieto fine è assicurato, con Garcia e Cassel nuovamente beffati e l'allegra combriccola sempre vincente.
Ocean riunisce di nuovo il suo "clan", questa volta però non per arricchirsi ma per vendicarsi. Purtroppo fiacco. Storia abbastanza intricata se non addirittura sfilacciata: coinvolge poco. Scarsa verve. Divertimento? Pochissimo. La new entry Al Pacino non incide granché. Come al solito si salvano la bellissima ed efficace regia di Steven Soderbergh e la fotografia. Discreta la colonna sonora.
Dopo il solipsismo sconfinatamente borioso del secondo episodio, Soderbergh recupera la misura del divertimento del reboot conducendo la sua manica di rambler gamblers (per citare Dylan) alla riscossa nel cuore degli spettatori. E se nell'insieme qualcosa fisiologicamente non si tiene per troppa abbondanza, i singoli assi nella manica garantiscono spasso continuo. Da segnalare la fotografia "las vegasiana" dello stesso regista, il parrucchino rosso di Bank/Pacino, la Barkin stordita dall'afrodisiaco e naturalmente lo sciopero messicano. Ci (ri)vediamo quando ci (ri)vediamo.
Anche per lo zeitgheist di Soderberg scatta inevitabilmente il rien ne va plus e non sarà un caso se l'ottavo oceano sarà navigato da altri: le strategie di inganno a multiplo fondo rispondono ormai a meccaniche e dinamiche tutte forzature e macchinosità esasperate che condannano a morte ogni sospensione dell'incredulità e arrivano a soffocare anche la residua briosità comedy che ha sempre caratterizzato il brand e il suo cast, che qui trasuda a ogni minuto il suo non crederci più. Su come viene vergognosamente buttato ai rovi Pacino, poi, meglio lasciar parlare i tristi misfatti.
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