Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Per un po' la trama riesce a reggere, anche se piena di luoghi comuni per il genere e la pellicola si segue con interesse; però quando i nodi vengono al pettine le cose diventano difficilmente credibili e il film si perde in "trovate" tese a sorprendere lo spettatore, che però sanno di presa in giro. Peccato, perché poteva trattarsi di un prodotto discreto (pur molto derivativo), ma la sceneggiatura non risulta avere idee per tutta la durata della proiezione. Cast buono ma sprecato.
Documentario che racconta quarant'anni di dittatura comunista in Albania partendo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il tutto viene mostrato senza una sola parola di commento, ma affidandosi esclusivamente alle immagini di repertorio. La scelta, rischiosa, si rivela azzeccata poiché sa mostrare benissimo ciò che vuole e permette allo spettatore di riflettere, ancora una volta, su come le dittature siano simili e usino gli stessi strumenti per sottomettere il popolo e creare consenso. Rovescio della medaglia? La mancanza di un taglio personale, ma il film è comunque riuscito.
A seguito della morte del fratello gemello, Dante perde contatto con la realtà. Intanto, intorno a lui, diverse persone vengono barbaramente assassinate. Chi è il colpevole? La soluzione sembra semplice e a portata di mano, ma la sceneggiatura si "diverte" a ingarbugliare tutto sin dall'inizio oscillando con i soliti andirivieni tra sogno e realtà. Tra l'altro qui c'è di mezzo pure una mente non proprio lucida e quindi il pasticcio è servito. Riesce comunque a creare un minimo di interesse, ma la soluzione finale affossa ancor di più un film e una storia parecchio claudicanti.
Può un horror creare inquietudine in piena luce? Di recente Midsommar aveva fatto questa scelta, in modo più magniloquente che in questa piccola produzione australiana, dimostrando il lato diabolico della luce: se il buio è il posto della paura, la luce è quello dell'inganno. Nitida e abbacinante mostra con chiarezza, ma in realtà nasconde... la verità. Una verità misteriosa. Su questo gioca il film, spettrale e straniante come un sogno che turba, nei suoi momenti migliori. Si è come smarriti col gruppo di teen protagonisti tra una desolata spiaggia bianca e il mare. Suggestivo.
Quattro persone fra quattro mura e Polanski costruisce una storia più terrificante di qualsiasi horror: l'orrore dell'ipocrisia, dell'esserci senza esserci veramente (conta solo il telefono, una pentola, o l'Africa... o se stessi). Anche l'amore per i figli, in realtà, è amore per se stessi, essere umiliati e umiliare, sopraffare, distruggere gli altri un una carneficina che non ha uno scopo se non apparire migliore degli altri. Da vedere per capire che, alla fine, a ognuno interessa solo il proprio ombelico e che interessarsi agli altri, a parole, serve solo ad apparire migliori.
Discreto film per famiglie. Le scene migliori sono quelle in cui il protagonista umano suona la chitarra e canta; il suo passaggio da tossicodipendente a persona ricca e famosa è però sin troppo repentino e soprattutto è merito del gatto: vedere questa bestiola agghindata con sciarpette ed esposta al pubblico come un fenomeno da baraccone lascia perplessi e infatti il film non regge la prova di una seconda visione: rivedendolo dopo avere appreso cosa successe poi nella realtà (è un film biografico e la curiosità è lecita) la melassa di cui la pellicola è colma viene presto a noia.
Da una storia realmente accaduta Richard Linklater ricava un film costruito in forma di falso documentario, senza che però le interviste alle persone che hanno avuto un ruolo nella vicenda prendano mai il sopravvento sull'azione. Presenziano semmai, nel ruolo di narratori, così da spiegare quello che non è a quel punto più necessario mostrare in scena.
La storia è quello di un personaggio anomalo e singolare, Bernie Tiede (Black), autentica incarnazione del bene: disponibile con tutti, espansivo senza mai essere invadente, generoso, perfetto per il...Leggi tutto lavoro che si è scelto, quello di lavorante alle pompe funebri specializzato nel truccare e "vestire" i cadaveri (esemplare la presentazione del suo lavoro in aula universitaria, dove è stato invitato), ma anche pronto a consolare i parenti dei defunti, a cantare con bella voce ai funerali, a vendere le bare al "negozio"... Chi l'ha assunto ne è entusiasta, chi lo conosce ne parla solo bene o benissimo. Un uomo apparentemente senza un difetto, incapace di arrabbiarsi con qualcuno, impeccabile non solo dal lato professionale.
All'esatto opposto sta invece Marjorie Nugent (MacLaine), fresca vedova ormai anziana: intrattabile, scorbutica quando non perfida, odiata da chi le sta intorno, ricchissima quanto insopportabile. Bernie la vezzeggia come tutte le altre "clienti" senza mai sembrare untuoso o falso, e la donna, sulle prime diffidente, finisce con l'apprezzare, al punto di decidere di trascorrere con lui molto del suo tempo, speso in grandi viaggi intorno al mondo all'interno di un rapporto di sincero affetto.
Ambientato a Carthage, nordest del Texas, un film piuttosto diverso da quanto siamo abituati a vedere. Non tanto nella forma (il mockumentary è ormai espediente narrativo diffuso) quanto nella delineazione dei caratteri e specialmente di quello di Bernie, che giustamente si guadagna il titolo in qualità di assoluto protagonista (molto più della MacLaine, qui in un ruolo da "spalla" e non certo per l'intera durata); è un personaggio lunare, al quale Jack Black riesce a dare la giusta dignità attraverso un'interpretazione calibrata, contenutissima, insieme tenera e a suo modo enigmatica. Matthew McConaughey, nel ruolo del procuratore distrettuale Danny Buck, comincia in sordina, si confonde tra i tanti intervistati sul caso ma lentamente acquista importanza, pur rimanendo comunque ai margini (tranne nella fase processuale e in quella immediatamente precedente). E ha comunque modo di mostrare le sue indubbie qualità.
Linklater, che aveva già ricavato il meglio da Jack Black in SCHOOL OF ROCK, si conferma regista interessante, anche se qui avrebbe dovuto innervare il suo lavoro con una maggiore iniezione di energia, perché il film spesso rischia di scorrere piatto, rallentato ulteriormente dalle cantate in chiesa e da ritmi sonnacchiosi che a lungo andare rischiano di farsi stancanti. Fortunatamente nella seconda parte il film cambia registro e le tecniche di "difesa" di Bernie risultano gustose da seguire, con gli intervistati che si interrogano su come porsi di fronte a quanto accaduto e a un concetto di giustizia che viene letto differentemente da quanto la logica sembrerebbe suggerire. Un modo non banale di porsi di fronte ai fatti che porta colpevolmente a simpatizzare contro chi non lo meriterebbe. Dunque una riflessione che coinvolge nel contempo i comportamenti di uno stato non qualsiasi come il Texas, con tutto il suo carico reazionario. Debole registicamente, imperfetto ma con più di una freccia al proprio arco (stranamente non grazie a Shirley MacLaine, meno incisiva dello sperato).
Senza pretendere di dire nulla di nuovo né stupire con immagini d'impatto (la fotografia presenta toni fin troppo smorzati), UN ALIBI è un giallo molto ben organizzato, scritto e recitato correttamente, che trova nel soggetto e nella sceneggiatura la sua forza. Certo, la costruzione a flashback è il solito rimescolamento di carte al quale sembra non si possa ormai rinunciare, ma per una volta è strutturata in modo da farci entrare bene fin da subito nel complesso ingranaggio che la regola.
L'apertura è già sul delitto, preceduto da qualche...Leggi tutto sequenza che ci mostra parte della giornata in cui si verifica, ovvero il compleanno di quella che sarà la vittima, Lucie (Martins). Le cose col marito Max (Demolon) non sembrano andare per il meglio, ma la coppia si prepara comunque a ricevere tre cari amici invitati lì per festeggiare. Quando però Tom (Choirat), Maude (Hesme) e Pierre (Derangèr) arrivano, la scena che si presenta loro di fronte è agghiacciante: Max è seduto e tiene tra le braccia il cadavere disteso della moglie. Non è stato lui, dice, ma i tre capiscono immediatamente che la polizia ci metterà ben poco, per incriminarlo e metterlo sotto custodia. Per questo Tom, convinto come gli altri che non possa essere lui il colpevole, lancia l'idea: l'alibi glielo forniranno loro; diranno che erano insieme fuori di casa, quando la donna è stata uccisa. Come però si può immaginare, sostenere in quattro lo stesso alibi non è impresa da poco.
Partendo da questo assunto, la trama inserisce il detective di turno, una donna (Petit), avviando le ricostruzioni a ritroso. La prima ci mostra i quattro protagonisti tre mesi prima, fornendo qualche elemento per rimettere lentamente le tessere del mosaico al loro posto e cominciare a ricostruire la storia correttamente. Alternando il passato e i ritorni al presente, con le indagini che proseguono, ciò che realmente accadde prende forma, anche se, come si può immaginare, i falsi indizi e le trappole sono all'ordine del giorno. Molto ruota intorno alla domanda chiave: è davvero Max il responsabile della morte di sua moglie? Un sospetto che si trascinerà ovviamente a lungo, senza però che ci si dimentichi di inserire altre strade possibili in un quadro d'insieme davvero ben strutturato.
La regia si limita a svolgere il proprio compito senza incidere, ma la piacevolezza del racconto e le buone interpretazioni di tutto il cast permettono di sorvolare sugli aspetti meno esaltanti del film, incuriosendo chi guarda e preparandolo a un finale che promette colpi di scena multipli. La plausibilità del tutto è relativa, ma in film così è la norma e non c'è troppo da stupirsene. Conta il gioco e come viene condotto, con qualche modesto approfondimento psicologico e la capacità di confezionare nel complesso un giallo moderno che il suo dovere lo fa fino in fondo, senza lasciare nulla di aperto, per una volta. Ottimo Pascal Demolon nel ruolo più sfaccettato, piuttosto anonima la colonna sonora, in linea con una parte tecnica non strabiliante ma che ben serve un risultato, almeno per gli appassionati del genere, soddisfacente.
Esagitata commedia francese che cerca di regionalizzare in qualche modo le produzioni americane analoghe, in cui lo spirito distruttivo tipicamente giovanile si mescola a gran bevute di alcol e dosi massicce di stupefacenti al fine di creare un'atmosfera di divertimento contagioso (che a dir la verità ben di rado si concretizza). Qui la particolarità sta nel fatto che a fare gruppo, inizialmente, sono quattro quarantenni che vent'anni prima (nel prologo) avevamo visto gestire il BDE, ovvero, per l'appunto, il Bureau des Etudiants del titolo originale (correttamente tradotto...Leggi tutto in italiano). Dopo aver scelto strade diverse, ancora si ritrovano una volta all'anno per una sorta di "zingarata" comune, in cui lasciano andare i freni inibitori e si scatenano.
Chi ha più problemi è Bob (Youn), il quale proprio quel giorno avrebbe una tradizionale festa ebraica da celebrare in famiglia da cui non sa come sganciarsi. L'occasione si presenta mentre è in giardino col (ricchissimo) suocero (Melki): suona la sveglia del cellulare e Bob finge sia la telefonata di qualcuno che - per conto del tennista Nadal - vuol comprare lo chalet che il suocero spera di vendere. Quest'ultimo, convinto che Bob vada lì come agente immobiliare per realizzare la vendita, lo dispensa dalla festa ebraica e gli presta pure il Range Rover per potersi presentare al meglio da... Nadal. Chiamati invece a raccolta gli amici - ai quali dice di aver fatto i soldi e di essere il proprietario dell'auto e pure del lussuosissimo chalet con doppia piscina dove si sistemeranno - Bob si mette in marcia.
I quattro cantano a squarciagola mentre ascoltano la radio in auto, si vestono da Biomen (sorta di Power Rangers giapponesi) e si scontrano subito con un gruppo studentesco della loro università di allora, con i quali tuttavia finiranno presto con fare in qualche modo comunella invitandoli a una gigantesca festa di gruppo allo chalet. Alcol a fiumi, i soliti allucinogeni nei pasticcini consumati senza saperlo, tuffi in piscina (pure nudi) e una giornata all'insegna della trasgressione e del caos più rovinoso (inutile dire come verrà ridotta la preziosa abitazione). A tutto ciò si aggiungono una famiglia di circensi bonariamente insultati dai quattro che cova propositi di vendetta e le telefonate del suocero, che pretende ragguagli sulla trattativa.
In un film in cui si fa a gara a chi urla di più, sembra che conti solo fare caciara, senza che la sceneggiatura la assista con battute che conferiscano un briciolo di gusto al tutto. Pur con un buon cast a disposizione (gli altri tre del gruppo sono la Noguerra, Jean-Baptiste e Desagnat), che avrebbe potuto facilmente giocare sulla simpatia, il film prosegue cercando solo di mettere più attori possibili in movimento, con accenni di zuffe, gente appesa con lo scotch al soffitto (la donna inviata dal suocero a capire cosa stia accadendo allo chalet), scherzi di ogni tipo, salti dalla funivia bloccata, momenti di rivalsa (Desagnat, che interpreta il tipo che non ha mai saputo dire di no a nessuno in vita sua, scopre entusiasta la grande forza del gesto del dito medio mostrandolo mille volte a chiunque) e un finale che se non altro regge.
Purtroppo la gran parte dei personaggi esterni ai protagonisti e al suocero è in gran parte insopportabile e l'unica trovata appena buffa è quella della sfera trasparente usata per una sfida alla “Giochi senza frontiere” con gli studenti giovani: all'interno della stessa Dessagnat vomiterà copiosamente rimbalzando incessantemente tra gli avanzi di cibo! Non il massimo del buon gusto, ma...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA