il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

IL CARCERE MINORILE DEL SAN MICHELE
abbandonato, ma non dal cinema
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364273 commenti | 69109 titoli | 27181 Location | 14366 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Ricchi a tutti i costi (2024)
  • Luogo del film: La spiaggia dove, nella scena finale, Anna (Finocchiaro) rivela al marito e ai figli che la nonna no
  • Luogo reale: Son Bou: Platja de Son Bou, Spagna, Estero
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  • Film: Race for glory - Audi vs. Lancia (2024)
  • Luogo del film: L'hotel dove Fiorio (Scamarcio) incontra Walter Rohrl (Bruch) e lo convince a provare la 037
  • Luogo reale: Albergo storico Cascata del Toce, SS 659, Formazza, Verbano-Cusio-Ossola
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Antonino Sabatino

    Antonino Sabatino

  • Bruno Tabarroni

    Bruno Tabarroni

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Maxx g
Questa volta non c'è il Natale sullo sfondo ma la scomparsa di Adele (Ilaria Occhini), il cui spirito però aleggia sulla casa. Nella casa si alternano moltissime persone per l'estremo saluto prima del funerale. Il film cerca di aggiungere spessore ma raggiunge forse qualcosa alla fine, mentre nel mezzo c'è davvero poco. C'è molto di surreale ma non basta Monni a cercare di sollevare il tutto. Merita una visione se non altro per chiudere il cerchio, ma senza grandi aspettative. La Ferilli appare fuori posto, valida la Cenci, poco utile Vito.
Commento di: Mtine
Da una premessa apparentemente assimilabile a tanti altri thriller, un film che prende sempre più inesorabilmente la piega dell'horror. Ma non saranno tanto la trama o la soluzione finale a colpire, né i jumpscare della prima parte del film nelle non riuscitissime sequenze oniriche: a rimanere impresso è l'uso intelligente della metafora, il ricorso a escamotage narrativi rivolti al bambino ormai diventato adulto che sta guardando il film e la scelta di suggerire gli snodi del racconto, anziché spiegarli. Curiosamente complesso nella sua semplicità, tutto sommato molto riuscito.
Commento di: Maxx g
Film basato su un'opera di Shakespeare, ha il punto di forza in Al Pacino e Jeremy Irons, anche se entrambi appaiono sacrificati, in qualche modo (ma per il primo gioca a suo favore il doppiaggio). La storia, e soprattutto Venezia, sono rappresentate in maniera efficace, ma il tutto appare quasi senza troppa convinzione, quasi di maniera. Qualche momento particolare c'è, ma nella somma totale qualcosa avrebbe potuto dare molto di più. Comunque il film merita di essere visto, specie pensando alla fonte da cui si parte.
Commento di: Digital
Gran bell’horror che riesce a tenere sulla corda fin dal principio con una tensione che progressivamente si fa sempre più attanagliante. Impostato a capitoli, il film presenta numerose sequenze raccapriccianti con il sangue che fuoriesce copioso. Non c’è niente che non funzioni: gli attori offrono performance mirabili (Brolin e la Garner in primis), la regia è ragguardevole e la confezione impeccabile. Sicuramente stiamo parlando dei uno dei migliori horror degli ultimi vent’anni. Grande esempio di cinema!
Commento di: Kinodrop
Franco Maresco intervista Letizia Battaglia alternando riflessioni su temi esistenziali, con la rievocazione della Palermo martoriata dalle stragi di mafia, ma anche oggetto di un nostalgico sentimento di appartenenza. Un breve documentario che getta una luce piuttosto parziale sulla poetica e sulla vicenda giornalistica della reporter impegnata e indomita. Molto lontano dall'essere esaustivo (rispetto al successivo dello stesso autore), suscita comunque un primo grado d'interesse per l'attività e il pensiero della Battaglia, amareggiata dai tempi e tuttavia speranzosa per il futuro.
Commento di: Noodles
Commedia di stampo teatrale; si tratta in effetti di un film più leggero rispetto al consueto standard bergmaniano, sebbene i dialoghi mostrino come sempre una sensibilità non comune dietro l'apparente divertimento e nonostante in realtà si rifletta sull'istituzione del matrimonio e sulle donne. Insomma, la profondità come sempre non manca ma è ammantata di una maggiore fruibilità. Il film si avvale, manco a dirlo, di un eccellente cast. Semplicemente perfetto Jarl Kulle nei panni di un Don Giovanni serio e mortificato. Opera particolare nel panorama del regista svedese, da vedere.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Tra i tanti triangoli sentimentali proposti al cinema, uno dei più insoliti. Eppure per nulla improbabile, perché da sempre l'amore prende direzioni autonome, non direzionabili a proprio piacimento. Qui Marc (Fourastier) vive con Suzanne (Bonnaire), una coinquilina deliziosa, charmant, dal sorriso radioso, ma non è interessato a lei: è omosessuale, e quando in piscina un altro ragazzo, Lucien (Blaine), salva Suzanne che si è sentita male mentre nuotava, se ne innamora; nello stesso momento in cui lui invece si innamora di Suzanne, che per chiudere il cerchio...Leggi tutto ha sempre guardato con interesse Marc. E' tutto sbagliato, insomma, un corto circuito non sanabile che si trascina generando imbarazzi, equivoci, lunghi silenzi da gestirsi non si sa come e che il regista Michael Béna (cameo hitchcockiano fuori dalla cabina telefonica da cui chiama Suzanne) drammatizza escludendo le musiche dal film, alla Rohmer.

I dialoghi si fanno quindi ancora più gravi, vicini alla realtà in quelle frasi spezzate che si perdono in uno spazio sospeso, lo stesso che divide i protagonisti e che trovano in Marc la figura che meglio di tutti incarna quel non saper come rapportarsi a un mondo che non capisce e non lo capisce, che lo porta a piangere sotto la doccia confondendo le sue lacrime nell'acqua, che cerca conforto in Suzanne senza però stabilire troppo un legame che possa definirsi importante nemmeno con lei. Lucien pare meno contorto nei suoi ragionamenti, ma non riesce a far breccia in Suzanne, che pure non lo respinge mai se non quando le avance si fanno troppo insistenti arrivando troppo oltre.

C'è poi la voglia di cambiare posto, città, la fuga in direzione di qualcosa che possa cancellare radici fragili, infelici. C'è una complessità psicologica che non può non rispecchiare quella del suo autore, regista di qualità alla sua unica prova dietro la macchina da presa (morirà di Aids di lì a poco), già inevitabilmente alle prese con un dolore e una consapevolezza dati dalla propria condizione. Ne è uscito un film rarefatto, impalpabile, delicato, che però, da una situazione di stallo che non trova sbocchi, non riesce a progredire per raggiungere una concretezza che gli darebbe una forma decisa.

La presenza di personaggi esterni non ben inquadrati nel quadro generale (a cominciare da Clothilde, l'amica di Suzanne) lasciano aperte tutte le porte senza arrivare a chiuderne nessuna nel consueto finale aperto alla francese, che ti arriva lì d'improvviso, come un passaggio a livello che passato il treno non s'alza più, senza una ragione. Lasciandoti a ripensare a quei tre, alla forza di scene indubbiamente azzeccate lasciate a bagno in un liquido che muove tutto con scarsa decisione, magari proprio come l'acqua di quella piscina che diventa l'unica valvola di sfogo per tutti e tre, momento di riunione che per qualche minuto scaccia una solitudine opprimente, mista a una tristezza ineludibile. Però poi, quando manca una storia e tutto verte all'indefinito, non è facile proseguire fino alla fine, nemmeno se la durata si contiene sotto l'ora e mezza (titoli di testa e coda compresi)...

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Seconda avventura a Cinecittà World per i paesani di Pellizzano in trasferta. Che poi, vista la quantità di romani presenti nel cast, bisognerebbe forse chiamare trasferte quelle in val di Sole, non queste... Di nuovo le attrazioni del parco di Cinecittà vengono abbondantemente pubblicizzate (i titoli di testa assomigliano a un vero e proprio spot), così come si sprecano le panoramiche del parco dall'alto. L'ambientazione meno originale e suggestiva rispetto alle verdi vallate del Trentino, tuttavia, non inficia sul risultato finale, che invece rende più...Leggi tutto “confidenti” gli attori, più a loro agio in un contesto familiare come quello romano.

Rispetto al capitolo precedente si perde però Massimo Ceccherini, che dei nuovi acquisti era quello che più aveva reso vivace e brillante l'operazione; a “sostituirlo” troviamo Alessandro Di Carlo nel ruolo di sceicco fasullo, la rediviva Gegia in quello di Jasmine (la di lui moglie) e l'attraente, davvero splendida Samira Lui come accompagnatrice dei due. E' allo "sceicco" che Madame Leroy (Cléry), la proprietaria al 51% del parco, ha venduto le proprie quote, lasciando a Don Donato (Salvi) e soci il 49%. Non proprio una bella notizia per i nostri, che stavano già organizzando di rimettere in sesto la chiesetta del posto (ci pensa Don Gabriele/Garbotti) e a organizzare una bella festa di Capodanno con Johnny Depp versione Jack Sparrow (Rodi)...

Il rapporto con lo sceicco e i suoi uomini, che cominciano a vendere tappeti in loco facendo irritare il gruppo di Pellizzano, diventa uno dei leitmotiv del film, per il resto adagiato sui soliti rapporti spinosi tra coppie. La Gina (Stafida) infatti, tutta presa dal figlio che le sta per nascere, trascura il povero Edoardino (Milano); Luna (Murgia) sogna di farsi mettere incinta da Luigi (Dianetti) e per questo lo ha trasformato in una sorta di sex toy; Olivia (Marchione) si ritrova tra i piedi la figlia adolescente (Guarino) e per lei ignora Ragusa (Di Renzo); Angelo (Mattioli) - gemello del vescovo, qui presente solo in un paio di telefonate da Pellizzano – non fa che urlare dietro alla sua giovane compagna Zara (Massera), che risponde da par suo in un romanesco esasperato. Piccole sottotrame che movimentano una storia minimale in grado di offrire poco ma che conferma il rinnovato affiatamento tra i protagonisti, aiutati di nuovo dalla regia spigliata di Raffaele Mertes.

Le gag affiorano piuttosto a fatica e in minor numero rispetto al precedente episodio (al quale questo è ovviamente strettamente collegato), Mattioli - che di fatto qui non si sdoppia - si prende spesso la scena strabordando e facendoci rimpiangere quando si conteneva di più nella parte del vescovo (meglio inserita la Massera, un vero torrente in piena). Salvi, al contrario, sembra aver trovato la misura perfetta per il suo ruolo e convince più di tutti, con le tre attrici solide in personaggi che ormai conoscono a menadito. E alla fine, senza che si possa gioire granché per il risultato (soprattutto pensando al deprimente finale “horror” con truffe annesse), con una Cléry solo di passaggio e una Gegia eccessivamente invadente, la trasferta romana sembra concludersi qui. Se non altro, comunque, si respira più vita rispetto agli ultimi stanchi capitoli in Val di Sole...

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“Gli inizi” ci vengono a dire il vero raccontati con qualche flashback a mo' di documentario nella primissima parte del film: una missione spaziale con a bordo i quattro (non ancora) eroi è finita male e il loro DNA ne è uscito modificato con le conseguenze che tutti sappiamo: Johnny (Quinn) si accende a piacere come una torcia, Ben (Moss-Bachrach) è un'enorme massa pietrosa antropomorfa, Reed (Pascal) si allunga a piacimento e Sue (Kirby) può farsi invisibile e spostare giganteschi volumi di materia attraverso una forza che viene visualizzata da...Leggi tutto uno spettro cromatico appena percettibile. Insieme si sono presi l'incarico di proteggere il mondo e – lo vediamo in un veloce riassunto - hanno sconfitto svariati nemici che avevano l'ambizione di dominarlo.

Ora Sue è incinta di Reed e proprio quando si avvicina l'ora del parto una nuova minaccia si avvicina alla Terra: annunciato dal “metallico” Silver Surfer (Garner), qui in versione femminile tanto per variare un po', sta per giungere a noi il temibilissimo Galactus, il divoratore di mondi la cui statura colossale è forse l'effetto meglio reso del film. Per arrivare a parlarci, i nostri devono compiere un viaggio spaziale attraverso una sarabanda di coloratissimi effetti speciali entro cui sfreccia Silver Surfer. Una volta al suo cospetto, Galactus pone le sue condizioni: la Terra sarà salva (e lui quindi eviterà cortesemente di papparsela) se gli verrà consegnato il magico figlioletto nato da Sue e Reed, destinato a suo dire a un futuro incredibile. Non sia mai! Consegnare il loro pupo in cambio di qualche miliardo di anime è improponibile, per i Fab Four: va escogitato un sistema diverso, per salvare il mondo! Tornati con le pive nel sacco e presi a male parole da interi popoli che pretenderebbero di sacrificare non senza una certa ragione il nascituro, i Quattro cominceranno a studiare un sistema di teletrasporto che potrebbe salvare capra e cavoli.

Non molto da segnalare in un film che azzera quasi del tutto le esibizioni della neo coppia di genitori (Reed ha un paio di buoni momenti nella lotta finale e poco altro, Sue anche meno), lasciando a Ben Grimm la maggior parte delle scipite gag e consegnando alla Torcia Umana il compito di far risplendere gli effetti speciali. Che quando c'è lui funzionano, a dire il vero, ma ancora meglio colpiscono quando a fare sfracelli tra i palazzi di New York arriva Galactus il quale, secondo modalità  “godzillesche”, sfascia grattacieli e auto lungo il cammino. Davvero un essere gigantesco, del quale la regia riesce a restituire le inusitate dimensioni trasformandolo nel vero polo d'attrazione del film.

Quando invece c'è da passare alle scene di semplice quotidianità o quando i protagonisti devono elaborare una strategia difensiva casca il palco: Reed con la sua espressione perennemente corrucciata da grande studioso si contrappone all'ingenuità di Johnny e alle sdrammatizzazioni di Ben, mentre Sue pensa al bambino e mostra gli splendidi occhioni azzurri senza che mai si rinvenga tra le pieghe della storia qualche spunto interessante. Il protezionismo nei confronti del piccolo Franklyn, insidiato dal tremendo Galactus, diventa centrale, con dialoghi "familiari" stucchevoli e i Quattro tratteggiati spesso come bamboccioni privi di qualsiasi spessore drammatico, ai confini del cartoon.

La qualità dell'umorismo è modesta quanto i dialoghi e i lunghi passaggi in astronave tra fiumi di colori e torrenti di fuoco sono un riempitivo uguale a troppo di ciò che si può trovare in qualsiasi film con futuristiche esplorazioni planetarie. Insomma, dare smalto al quartetto su grande schermo si conferma operazione non facile, nonostante le potenzialità per farlo esistano. Si è comunque ristabilita, rispetto al primo film, una medietà che permette di godersi lo spettacolo senza troppi rimpianti, aiutati dal solito ritmo vivace che in produzioni simili diventa asset fondamentale.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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