Nel soave scenario di un albergo termale svizzero di gran lusso, gli scampoli di quotidiano per un gruppo eterogeneo di personaggi; su di essi svettano naturalmente i due protagonisti, immense icone cinematografiche che da sole impreziosiscono la nuova opera di Paolo Sorrentino, quella cui spetta l'ingrato compito di replicare i fasti della GRANDE BELLEZZA. Al rutilante, eccessivo, ambizioso quadro di allora il regista contrappone un lavoro di estrema delicatezza, immerso tra i rilassanti e verdi paesaggi alpestri cui la strepitosa fotografia rende onore e che lo stile raffinatissimo di Sorrentino inquadra con slancio poetico e un lirismo...Leggi tutto inarrivabile anche per la gran parte dei migliori "tecnici" del campo. E' in questa cornice magnifica che ogni parola, ogni dialogo pare assumere toni quasi surreali e ogni facile considerazione acquista spessore perché inserita in un contesto magico. E' soprattutto Michael Caine, la cui sempre apprezzata vena ironica trova finalmente modo di esprimersi al meglio, a donare sfumature dolci ed estrema maturità al personaggio principale e di riflesso al film: direttore d'orchestra e compositore di successo in pensione, è sostanzialmente un apatico risvegliato dall'arrivo lì della figlia (Weisz) lasciata dal suo partner, incidentalmente figlio del grande amico di papà ospite anch'egli della spa (Keitel). Ma a rendere vivo e armonico il microcosmo portato in scena da Sorrentino sono le molte figure che dallo sfondo di tanto in tanto si spostano in primo piano o animano scene solo apparentemente slegate, al contrario funzionali all'eccentrico ritratto d'insieme: dall'attore rimasto famoso solo per aver interpretato un robot (Dano) alla provocante Miss Universo (Ghenea), dalla silenziosa "escort" dell'albergo all'escursionista che approccia la figlia parlando del proprio orologio fino ad arrivare nientemeno che a Diego Maradona (naturalmente un sosia), ingombrante presenza ripresa con simpatico piglio caricaturale. Per quanto valorizzato dall'indubitabile caratura dell'attore (Keitel) appare invece meno centrato il personaggio del regista alle prese col suo "testamento" cinematografico, sul posto insieme al suo cast per le ultime rifiniture allo script: rispetto ai dialoghi più ragionati e pesati che s'incontrano, questi si rifugiano in banalità che appesantiscono, in considerazioni di maniera. Molto meglio quelli tra padre e figlia ad esempio (eccellente la Weisz), o anche lo stesso Keitel quando interagisce con Caine o con una ritrovata Jane Fonda. Per quanto altalenante nella sua riuscita, il film si fa ricordare per alcuni momenti efficacissimi contrappuntati da scelte di colonna sonora perfette, a conferma di un'attenzione ai particolari davvero non comune. Ma su tutto si eleva lo stile di un regista che ha acquisito una consapevolezza e una tecnica sopraffine da sposare a uno straordinario senso dell'arte, a una potenza espressiva che gli permette di affrontare senza complesso alcuno anche sequenze dai risvolti involontariamente comici (la "direzione" delle mucche al pascolo), trovando proprio nella sottile traccia ironica uno dei punti di forza. A dispetto del titolo, un bel ritratto di terza età che attraverso considerazioni e passi semplici sa rendere bene la condizione di svogliatezza e impotenza che affligge molti.
Ancora il solito Sorrentino, sublime narratore del vacuo, si avvale dell'estetica, nascondendo sotto al suo tappeto poco altro che polvere. Questa volta il tema è la senescenza (seppure blasonata e super-borghese), dove evidentemente i crucci sono sempre gli stessi di tutti. Tante banalità, inframmezzate da qualche dialogo brillante, confermano la bravura di un regista che costruisce su poco.
Un considerevole passo indietro per Sorrentino, che sembra essere più interessato alla sceneggiatura rispetto alla forma, nonostante alcune inquadrature siano davvero bellissime. Il risultato, rispetto al passato, è di esplicare rispetto al suggerire e questa scelta non permette una riflessione profonda sulle tematiche cardine (il senso della vita, l'amicizia, l'arte e il talento). Ottima la direzione degli attori, con Caine e Keitel veramente affiatati. Straordinaria la colonna sonora. Un buon film, senza dubbio, ma da Paolo mi aspetto sempre l'eccellenza.
MEMORABILE: L'incredibile grande bellezza di Madalina Diana Ghenea; Le scommesse fra Keitel e Caine; Lo sfogo di Rachel Weisz,
Difficile da inquadrare, ma senz'altro un film notevole, intenso e poetico. La strepitosa coppia Caine e Keitel, amici da una vita in vacanza in un super hotel termale sulle Alpi Svizzere, si confronta sul passato e sulla propria condizione di anziani, circondati da un campionario umano che va da Miss Universo a un attore americano in crisi e a Maradona. Bellissima la fotografia, con grande cura dei dettagli. Molte le interpretazioni possibili, prevale comunque un senso di inadeguatezza alla vita che accomuna tutti, giovani e anziani.
La frammentarietà diventa una delle cifre narrative di Paolo Sorrentino. Una sceneggiatura minimale abbinata ad immagini che sovente rimangono impresse nella memoria per qualità estetica e che valorizzano un'ambientazione che alterna aperture paesaggistiche (le passeggiate dei protagonisti) ad impressioni claustrofobiche (gli interni alberghieri). Il magnifico contrappunto musicale fa da sfondo alle considerazioni mai banali dei dialoghi e alla prova dei protagonisti, tra i quali spicca un Michael Caine in stato di grazia. Post felliniano.
Scene di ordinaria vecchiaia con due protagonisti, uno che non vuole cedere e l'altro che vuole chiudersi in sé. Due ore di compiacimento estetico in cui si alternano meccanicamente luoghi comuni e motti dei due artisti pseudo filosofi a situazioni e a personaggi inutili. Se c'è qualcosa di meno insignificante, si tratta di una citazione (Fellini in primis); qualche bella scenografia (da videoclip) e sceneggiatura imbarazzante, vacua e prevedibile. In mancanza di una vera regia, i due attori mettono avanti la propria immagine iconica. Presuntuoso.
MEMORABILE: Musica valida ma in stile videoclip; Caine che dirige... le mucche (?!); La levitazione; Il Maradona "spiaggiato"; La bellissima Ghenea.
Il raggelante pre-traguardo della vita: Youth si aggancia al passato per parlarci dell'anticamera della morte in maniera diretta e senza fronzoli. Un Sorrentino maturo che sa regalare emozioni con immagini vivide e inquadrature studiate. Il verde della giovinezza perduta è lo stesso della natura che circonda l'albergo sulle Alpi in cui il film è ambientato. Una pellicola pregna di riflessioni evidenziate da una colonna sonora di rara bellezza. Una Jane Fonda strepitosa in un film che sa toccare temi delicati con autenticità.
Dopo i fasti de La grande bellezza, Paolo Sorrentino tenta di consolidare il tutto con questo film che, nonostante un'ottima fotografia e la straordinaria bravura di Michael Caine e Harvey Keitel, annaspa un po'. Qualche momento ironico non manca, ma la noia a fasi alterne prende il sopravvento. Cameo interessante di una bravissima e un po' sboccata Jane Fonda.
Deplorevole accozzaglia di sciocchezze passate per verità cucinate da un furbo mestierante che spalma di belletto una sceneggiatura farcita di luoghi comuni. Recitazione trombona, lungaggini e noia. Cinema formato esportazione di cui non andar fieri. La scena in cui Caine dirige le vacche è da cult dei senza vergogna. Cinema delle vanità. Caine e Keitel stanno a Hanks e la Wright di Forrest Gump. Resta la bellezza della Weisz, quella sì davvero grande.
Diversamente dal film precedente, privato dell'architrave romano e di un logos retroflesso verso l'età dell'oro della parabola umana che ne costituiva l'essenza, questo film collassa. Onirismi fini a se stessi, dialoghi puerili da far rivalutare l'Argento (Dario) più confuso, un didascalismo disarmante che neanche il peggior Giordana. La contaminazione tra elementi alti e bassi, pregio della poetica di Sorrentino, non trova sintesi. Il finale metafisico ricorda drammaticamente le commedie celentanesche degli Anni Ottanta. Salvo il volto di Caine.
Soporifero elogio della rassegnazione retorica nell'attesa della morte, frammentato e dispersivo, opulento e annacquato. Il tema è intriso di una presunta ricerca verso una catartica giustificazione alla malinconia della vita, seppur di due uomini di successo (tre se contiamo il mastodontico sosia di Maradona). Michael Caine è diretto in modo sconcertante, reso immobile e volutamente inespressivo, mentre Harvey Keitel è risucchiato suo malgrado in dialoghi di cui non rimane traccia. Bellissima la colonna sonora.
Come affrontare e accettare il decadimento del corpo senza perdere la voglia di vivere? Cosa ci mantiene in vita? I ricordi, l'amore, l'amicizia “generosa” o forse la passione per quel che ci piace e anima davvero e che sola ci muove, in ogni età. Questo e tanto altro ancora nel film intimista di Sorrentino, nel quale per una volta la sostanza supera la forma. La scrittura è infatti notevole, i dialoghi acuti e illuminanti. Michael Caine è sublime, la sequenza di brani musicali originale e sorprendente. Da rivedere prendendo appunti.
Et voilà, il cinema di Sorrentino: tecnica sopraffina elevata allo stato dell'arte, qualche vagonata di trash (il concerto per mucche degno di uno spot Milka, un videoclip onirico d'insincera tamarraggine, frusti citazionismi felliniani); l'umanità nel catalogo degli stereotipi; apatie esistenziali e sconfinamenti nel miracolistico. La forma vampirizza il contenuto, l'appagamento epidermico paga lo scotto alla banalità degli assunti. E un dubbio: ma non l'aveva già fatto questo film? L'America esulta; noi credevamo che al cinema italiano spettassero sorti più veraci. Stupendi Caine e Keitel.
Sorrentino alleggerisce l'impianto rispetto ai suoi film precedenti, ma il risultato è altalenante. Il ritmo lentissimo non giova alla trama, che presenta sì momenti che muovono al sorriso o alla commozione, ma che in sostanza è troppo debole per reggere un lungometraggio. La visione vale grazie alla coppia Caine-Keitel (entrambi superbi) e alla breve partecipazione di Jane Fonda. Ma tolta la recitazione sembra solo un esercizio di stile.
Alla messa in scena della grande vacuità romana, Sorrentino contrappone una sceneggiatura essenziale, sì, ma incisiva. Alternandosi tra le comparse di questo racconto (lo siamo un po' tutti, secondo le parole di Keitel), si puntella su considerazioni solo apparentemente banali, arricchito da un mestiere piuttosto evidente (quando vuole è capace di emozionare). Inquadrature, fotografia, recitazione, ritmo e un'incantevole colonna sonora riportano in primo piano una forma dalle parti del sontuoso. Si direbbe un'opera di maturità.
Disdicevole è sprecare il proprio talento. Qui Sorrentino lo fa a piene mani, commettendo i soliti peccati. La storia quasi non c'è, ma questo è il meno: il problema principale sono i dialoghi quasi sempre banali ed imbarazzanti. Roba che fa sembrare perle di saggezza le massime dei ciocciolatini. Ed il rapporto padre-figlia? Meglio tacere. In più anche i personaggi e le situazioni non brillano ma si rivelano spesso inutili e, in qualche caso, un po' volgarotti (e gratuitamente). Ormai la tecnica non basta più: meglio trovarsi uno sceneggiatore. Ottimo Caine ma anche il talentuoso Dano.
Cinema di alto livello, che sbanda in alcuni tecnicismi gratuiti da primo della classe e in un'ironia generalmente poco efficace, ma offre un'estetica sopraffina, un cast impeccabile (tra tutti, Dano è colui che sorprende maggiormente) e scelto con grande oculatezza e soprattutto una sorprendente finezza nei dialoghi e nel tratteggio dei personaggi, elemento che fa passare in secondo piano i difetti e che rende la visione fruibile e appagante nonostante un soggetto che si potrebbe riassumere in un paio di righe.
Era da molti anni che non vedevo al cinema Harvey Keitel; Paolo Sorrentino, pur non dandogli il ruolo del protagonista, mi ha accontentato. Non lo dico per scherzo, Keitel è davvero il migliore del cast, tanto che surclassa Micheal Caine, mai così vecchio e canuto. La prova dell'intero cast è buona, ma bisogna abituarsi ai ritmi lenti del regista, altrimenti si sbadiglia. Il regista di Keitel sembra un Tarantino vecchio e stanco, la sua scena con Jane Fonda è da oscar (ma solo quella). Rachel Weisz sottotono.
Credo che il Maradona panciuto con Marx tatuato sulla schiena sia un buon indizio per commentare il film; se poi si aggiunge la direzione del concerto montano, l'introduzione di Hitler e lo schiaffo durante la cena, forse si può capire quanti Sorrentino ci siano in un unico regista. Bravo a raggruppare notevoli cast (e a dirigerli), a scegliere le musiche, a creare immagini che rimangono impresse... cosa manca allora? Difficile esprimerlo, ma la sensazione dell'artificiosamente costruito, inserendo furbizie qua e là, fa capolino. Notevole, comunque. Finale non all'altezza.
Dopo i fasti felliniani, Sorrentino sale sulle Alpi e si appropria dell'albergo-sanatorio de "La montagna incantata" di Thomas Mann; ma anziché prenderne ad esempio le riflessioni colte e profonde, dormicchia su brandelli di dialoghi banalissimi sulla terza età (amori, rimpianti, paure e solitudine), servendosi di puerili metafore (il cannocchiale...) e vacui preziosismi d'autore (flash onirici, attimi grotteschi, vedute panoramiche e lentezze varie). Sulla bravura di Caine e Keitel non si discute, ma per accertarsene basta rivedere uno qualsiasi dei loro vecchi film.
Esplorazione sul tema vecchiaia, sul bagaglio di ricordi, dubbi, paure, rimpianti e rimorsi di chi arriva alla terza età. Un excursus in varie tipologie di personalità: dal regista che non ha più nulla da dire ma vuole dire lo stesso a un ex calciatore in decadenza fisica. Il film scorre bene e tratta in maniera interessante i temi proposti; talvolta la regia condisce il tutto con tocchi felliniani e indugia moltissimo su frammenti fugaci e frasi irrilevanti. Splendida e impeccabile la fotografia di Luca Bigazzi.
MEMORABILE: L'apparizione di tutti i personaggi femminili del regista; Dano vestito da Hitler e la bambina che gli riconosce un film diverso da Mr. Q.
Classico tentativo di monetizzare l'Oscar, offre dialoghi banali e due attori appiccicati con lo scotch (meglio allora Dano) nonché una Weisz incompiuta, come se Sorrentino trovasse difficoltà a gestire attori che non conosce. Qua e là si vedono sprazzi della classe del regista ma anche cadute nel trash (il sogno sulla Faith, il binocolo, la coppia nel bosco). Insomma, dice poco e appare finto o tronfio: ogni volta che Paolo diventa Paul Sorrentine mi delude.
Arrivato all'età sporgentesi su caliginosi orizzonti privi di speranza alcuna e di capolinea biologico come mnemonico, al Gambardella 2.0 non resta che commutare il venefico cinismo in un dimesso disincanto a prova di riscatto e grida d'ayoutho. Così il cinema del Sorre giunge a travagliate nozze con la (mimesis della) senilità, in un continuo ancorché irrisolto braccio di ferro e(ste)tico tra austerità e pacchianeria, rigore e abbruttimento televisivo (parodiato ma anche sposato), incipriato nichilismo e nauseabonda smanceria, aerea asciuttezza e imperdonabili bordate del kitsch più pecione.
MEMORABILE: Il rovescio del mare in una stanza che diventa qua inondazione panica; L'aspro confronto con la fu-vamp.
La location bucolica ed elitaria si dimostra freddina per raccontare l’amicizia e la vecchiaia dei protagonisti, tanto che all’inizio l’apatia prende il sopravvento. Meglio la seconda parte, più incentrata sui personaggi, dove Sorrentino mette da parte inquadrature forzosamente ricercate. Anche i personaggi di contorno stentano: se Maradona che palleggia si accetta, meno il buddista che lievita fino al rifiuto per un Hitler inguardabile. Dano il migliore e Caine insufficiente come movenze da direttore. Finale accettabile ma senza colpire al cuore.
"La cosa migliore del film è la Ghenea": mi ritrovo a scrivere quello che direi de I soliti idioti. Deludente, peccato perché le potenzialità c'erano, la prima mezz'ora funziona e affascina pure a parte qualche caduta di stile e qualche momento spaccone e assurdo (le vacche, il videoclip). Ho sempre seguito e difeso il regista, però a Sorrentino va data la macchina da presa ma tolta la penna. Fresco vincitore agli EFA, già a Cannes avevo trovato superiori sia Garrone che Moretti.
Un affresco decadente sull'ineluttabilità dell'avanzare del tempo con conseguente invecchiamento psichico e fisico. Sorrentino realizza una pellicola fatta di momenti riflessivi e immagini molto ben curate; il risultato è indubbiamente positivo e i dialoghi offrono molti spunti di riflessione. Ottimo accompagnamento musicale e grande interpretazione di Caine, che spicca su Keitel.
Tutto ciò che ne La grande bellezza si poteva leggere (forse per partigianeria cinematografica verso l'autore) come latenza giustificata da un gusto visivo originale, qui perde ogni sostanza necessitante, avviluppandosi attorno a un centro di gravità nemmeno provvisorio. Tutto è leccatamente posticcio e il talento di Sorrentino si fa persino cialtronesco in taluni momenti di malintesa ostentazione trash (il coro delle vacche, l'obeso sosia del Pibe). Occhieggia progressivamente, quasi contro la volontà registica, un barlume d'affetto per le sue figurine.
MEMORABILE: Le scommesse di Keitel e Caine sull'anziana coppia che non spiccica una parola a tavola; Il volto di Rachel Weisz.
Dopo La grande bellezza Sorrentino riprova a proporre un film dove a parlare dovrebbe essere solo la bellezza delle immagini, spesso oniriche e visionarie come nella migliore tradizione di Terrence Malick. Ma se nel film che gli è valso l'Oscar c'era una base più che solida e una sceneggiatura davvero intrigante, per Youth c'è solo il nulla assoluto sia come sceneggiatura che come dialoghi. Una non-storia che letteralmente spiazza e irrita allo stesso tempo. Un'occasione davvero sprecata, visto anche l'ottimo cast a disposizione.
MEMORABILE: Dano che fa colazione vestito da Hitler tra lo stupore generale; Il rifiuto di Caine all'emissario della regina.
Il decadentismo sorrentiniano avanza impetuosamente. Veramente scoraggiante lo scenario che ci propone in questo film dove tutto sembra pervaso da una sorta di malinconia e rassegnazione davanti all'ineluttabilità della morte. La fotografia è eccezionale, anche i dialoghi ma manca una vera storia che emozioni, con i due personaggi che non ricordano il passato e che si abbandonano all'apatia esistenziale.
Dopo La grande bellezza Sorrentino con molto coraggio ci riprova e mette in scena un altro lunghissimo ed esasperante film dai tempi eccessivamente dilatati. Purtroppo l'eccessiva frammentarietà dell'azione e i dialoghi in fondo abbastanza semplici lo rendono qualitativamente ben al di sotto del precedente. Attori impalpabili.
Ricchi e famosi si annoiano in una casa di cura di lusso, e noi ci annoiamo insieme a loro. Niente da dire sulla capacità del regista, del resto già ampiamente dimostrata in precedenza, di impaginare immagini di grande impatto visivo. Racconta certo bene, potendosi oltretutto avvalersi di un cast di prestigio (non del tutto ben sfruttato), ma racconta banalità che non acquistano maggiore consistenza solo per il fatto di essere così elegantemente presentate, anche se non mancano furbate e cadute di stile. Rimandato a settembre con la troppa pretenziosità.
MEMORABILE: Il concerto con le mucche: umorismo non si sa quanto e se volontario
Notevole e imperfetto, presuntuoso ma riuscito, in ogni caso è troppo dire che Sorrentino è l'erede di Fellini? A mio parere non credo e lo dimostra in questo buon film con le sue inquadrature ricercate, con le sue scene barocche piene di personaggi improbabili e patetici. Certo ci sono dei virtuosismi un po' vuoti, talvolta qualche spezzone proprio non riuscito (non mi sono piaciuti i momenti con colonna sonora da discoteca), ma c'è anche tanta tanta bellezza che racconta dolcemente la vecchiaia e l'insormontabile incomprensione padre-figlio.
MEMORABILE: "Sa cosa l'aspetta là fuori? La giovinezza".
Tremendo polpettone parafilosofico che dietro la scusa dell'esistenzialismo a buon mercato erge una cattedrale estetizzante nel nulla. Prima pellicola di Sorrentino in cui la forma, già andata eutrofizzandosi da Il divo in avanti, esonda completamente, schiacciando il contenuto. Si arriva alla fine con tremenda fatica: l'ultimo impulso è quello di dimenticare. Il trend, sfortunatamente, proseguirà con i due capitoli di Loro.
Due vecchi amici, un compositore e un regista, in vacanza in un hotel sulle Alpi riflettono sulla vita, passato e futuro. Non male come film, ma come al solito con Paolo Sorrentino si tende ad amare più la cornice che il dipinto: stilisticamente quasi perfetto. La storia non è propriamente originale ma risulta comunque interessante. Mediocre la colonna sonora.
MEMORABILE: Il colloquio fra Mick e Brenda; L'ex calciatore che palleggia con la pallina da tennis.
L’albergo alpino dove soggiornano i due vecchi protagonisti sta nello spazio-tempo sospeso di un presente in cui si parla sempre di passato e futuro e altrove, un mondo a parte dove lentamente si depositano le ansie dell’età. Film di grande intensità proprio in questa rarefazione esistenziale e misteriosa, che tuttavia non riesce a volare a causa di un’ossessiva ricerca stilosa alla “maniera Sorrentino”, tanto preziosa quanto algida, con la sensazione della volontà di inanellare scene da antologia. Buon lavoro, tarpato dalla esibita bravura.
Per non giovani. Macabro in ambiente lindissimo, che richiama il sanatorio e il laboratorio autoptico, inseriti in un contesto d’alpestre bellezza. Guizzi d’umorismo colto (il divo che cita Novalis) e fine (le scommesse). Ma con alti e bassi, come in quel Maradona: mal reso il sogno della squadra, bello nel dialogo in piscina. Le troppe simmetrie richiamano Marienbad, le immagini leccatissime danno l’idea che si sia voluto fare un capolavoro d’ogni scena. Fino al 65’ marcia, indi cala e cala (pur mal fellineggiando), come squadra che poi perde male ai supplementari (dura circa 120’).
L’aria di montagna non sembra giovare molto al cinema di Sorrentino, la cui fantasia rimane ingabbiata nel busto della Mitteleuropa. Dialoghi sorprendentemente sciatti, carenza di guizzi anche se le invenzioni visive non mancano. Il confronto tra giovani e anziani si palesa per incroci sporadici, confronti sussurrati. Il film si incentra sul rapporto tra due anziani ospiti dell’albergo (Caine e Keitel) e sulle loro minzioni, anche se non mancano accenni a storie laterali. Non necessaria la presenza del personaggio di Maradona. Il miglior Sorrentino si trova ad altre latitudini.
MEMORABILE: Il coito nel bosco, sotto osservazione; Il bagno di Miss Universo.
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Pe me in assenza di preaccordi, Maradona potrebbe adire per via legali.La scelta della colonna sonora si è rivelata indispensabile per alleggerire il tema trattato.La comprerò presto.
Zender ebbe a dire: Io trovo vergognoso che la suddetta parte sia stata coperta coi credits. Se uno vuol leggerli per bene al cinema, avvicinandosi come si fa d'abitudine, ci fa pure la figura del maialone, sembra che sia lì per rimirare il ragguardevole lato B della signorina... d'accordo che la cosa può anche aiutare a trarre d'impaccio chi si avvicina proprio per quello. "Ma cosa dici cara? sto guardando chi è lo sceneggiatore, no?".
Per questo Zender, mi commuovo dal ridere non dal piangere ci manchrebbe, il maialone poi:))
I film italiani, ritenuti non meritevoli di alcun premio a Cannes, si stanno ampiamente ripagando sul piano degli incassi al botteghino:il film di Sorrentino ha già incasso oltre due milioni e seicentomila euro in soli cinque giorni...
Ma questo è il minimo.
Youth sembra sia già stato venduto a 75 paesi stranieri...Un botto commerciale clamoroso a livello mondiale....
Graf ebbe a dire: Youth sembra sia già stato venduto a 75 paesi stranieri...Un botto commerciale clamoroso a livello mondiale....
Agevole vendere dopo l'Oscar ma sarei curioso di sapere quanti sono andati a vederlo perchè a me ha profondamente deluso.
Mi ritrovo con le recensioni di Cotola e Macbeth e ho visto più di una scena e dialoghi consegnati al trash. Pure la fotografia poco memorabile, esterni spesso sovraesposti.
Grazie Capa. In effetti è un film che mi ha deluso molto per la sua impalpabilità e poiché come dici anche tu ho trovato più di un pizzico di trash e banalità soprattutto nei dialoghi.
Spero che in futuro Sorrentino cambi tipologia di film e si faccia scrivere o si scriva una sceneggiatura più concreta.
Comunque credo che visto il tipo di film sia andato bene dal punto di vista commerciale. Ormai Sorrentino è un nome e l'oscar lo ha aiutato molto in questo.