Un’opera scioccante, originalissima, giustamente premiata con il Leone d'Oro a Venezia nel 1961 (ex-aequo con LA NOTTE di Antonioni), che impressiona per la capacità di comprendere passato e presente in un tempo senza fine e in un luogo (l'albergo barocco con il giardino di fronte) che diventa un teatro tortuoso dove gli attori protagonisti (Giorgio Albertazzi e Delphine Seyrig) si muovono come burattini, spesso immobili o con lo sguardo perso nel vuoto. La macchina da presa, con movimenti lenti e avvolgenti, li segue indugiando nel frattempo sulle colonne, gli stucchi, le enormi porte intarsiate, le prospettive dei corridoi. Definire L’ANNO...Leggi tutto SCORSO A MARIENBAD un film datato pare improprio, quasi una contraddizione, perché il capolavoro di Alain Resnais non ha tempo ed è lento, lentissimo, allo stesso modo in cui lo sarebbe se girato oggi. Per creare un'atmosfera tanto sospesa, quasi impalpabile, non poteva che essere realizzato così. Velocizzarlo corrisponderebbe a snaturalizzarlo, ucciderne le cerebrali implicazioni allegoriche. Fin dai titoli di testa capiamo che stiamo per andare incontro a un'opera sperimentale, quando tra le lugubri partiture d'organo di Francis Seyrig (che domineranno l'intera pellicola lasciando pochissimo spazio ad altri strumenti) si inserisce la voce di Albertazzi che compare e scompare tra le note, ripetendo ossessiva le frasi che commentano poeticamente l’albergo e la sua struttura. Poi piani sequenza estenuanti, volti gelidi, bocche che parlano mentre il commento fuori campo le copre, movimenti surreali dei protagonisti... e l'indimenticabile gioco dei fiammiferi che ritorna nel film più volte; come ritornano le frasi, i pensieri, ciclicamente tutto.
Attenzione, questo film potrebbe sembrare l'epitome della pretenziosa bufala da festival, ma non fatevi ingannare dall'apparenza: per certi versi lo è. Robbe-Grillet scrive un altro dei suoi puzzles concettosi, Resnais lo filma fra barocchismo ed espressionismo da film muto (magari, invece la voce off di Albertazzi è martellante), e si compiace delle sue belle riprese e di qualche giochino (il dettaglio che "chiude" un'inquadratura e apre la successiva). Parafrasando Kezich su Franco&Ciccio, un Alain è poco, due sono troppi? Però affascinatissima esperienza visiva
Notevole ed interessante film di Resnais, sceneggiato da Robbe-Grillet, che nonostante oggi appaia piuttosto datato, soprattutto per i ritmi molto dilatati della pellicola, a tratti si rivela essere notevolmente affascinante ed ammaliante sia dal punto di vista visivo, sia dal punto di vista narrativo. All'epoca riscosse enorme successo (vinse anche il Leone d'oro a Venezia) e incuriosì molto, come anche oggi, il "misterioso" gioco dei fiammiferi. Merita una visione ma chiaramente non è per tutti i gusti.
Un lento gorgo cinematografico che finisce per ingoiarti. La lunga carrellata iniziale attraverso i corridoi e le stanze del grande albergo, con descrizione ripetuta degli interni, decorati con stucchi, marmi, pietra e la voce che va e viene, fanno sì che lo spettatore incominci a far parte egli stesso del tutto, sentendo sempre più il peso opprimente di quell'ambiente che, col passare dei minuti, si trasformerà in una prigione dell'anima, dei sentimenti più profondi, assumendo l'aspetto di una tetra cattedrale dell'incomunicabilità (lui e lei, così vicini, così lontani). Notevole e originale.
MEMORABILE: "Posso perdere, ma vinco sempre"; Lui a lei: "Evitavate il mio sguardo. Era chiaro che lo facevate apposta e con impegno".
Un sontuoso grand hotel in cui il tempo sembra immobile, o piuttosto ripetitivo (sempre con minime varianti e slittamenti) o sovrapposto: ha un fascino seduttivo e inquietante l'ambiente-mondo-prigione di questo film in cui la cinepresa si aggira lentamente e sinuosamente come la musica d'organo costante. Così come è suggestivo il filo (falso? vero? che importa?) della memoria con cui un uomo cerca di far ricordare a una donna la passione di un anno prima. Eccelsa traduzione filmica del nouveau roman di Robbe-Grillet (qui sceneggiatore).
Il tempo si è fermato, per uno dei capolavori di Resnais. Ipnotica, immobile, senza tempo, la pellicola sconcerta per la trama dove sembra che non accada nulla e in cui invece accade molto, soprattutto nella memoria dei protagonisti alle prese con i ricordi di un (im)probabile incontro. Una serata teatrale in un hotel affascinante che sembra fermo nel tempo. Un film anticonvenzionale, suggestivo, equivoco e geniale.
Compiaciuto esercizio stilistico risolto in modo formalmente perfetto, ma "lungo questi corridoi, attraverso questi saloni, queste gallerie, in questo palazzo d'altri tempi, in questo albergo immenso, lussuoso, lugubre..." lo spettatore rischia di perdersi e poi di annoiarsi. Ma è un film senz'altro unico, di cui poi ci si ricorderà poco o nulla, a parte il gioco dei fiammiferi e le sontuosissime scenografie.
Le percezioni soggettive dell’attimo e della memoria si scompongono in un altrove acronico, fluttuando nel suo dedalo di attese, iterazioni e pluralismi prospettici; un’opera che a visione ultimata suscita interrogativi senza risposta sulla sua natura intima (stream of consciousness? Delusione amorosa? Follia? Sogno? Esercizio stilistico?), ma sa sedurre e rapire con carezzevoli movimenti di macchina, sontuose scenografie barocche e il fascino metafisico dei suoi sfingei personaggi, inesplicati come le regole del gioco dei cerini. Mirifico e unico.
MEMORABILE: “In questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi, silenziosi, deserti...".
Film complicato di non facile intepretazione. Domina la voce fuori campo con la prosa di Alain Robbe-Grillet, si dà molto spazio all'aspetto psicologico ed introspettivo dei protagonisti e meno spazio alla sceneggiatura vera e propria, i dialoghi diretti tra un attore e l'altro non sono molti. Registicamente impeccabile con sequenze direi eccellenti supportate da ottimi attori. Grande gestione dello spazio e del tempo con la mdp che si muove tra gli enormi corridoi di questo albergo, come fosse un occhio che osserva continuamente gli avvenimenti.
Da una sceneggiatura di Robbe-Grillet è inutile aspettarsi una lineare struttura narrativa. Va in scena quella dimensione circolare senza inizio e senza fine che tritura personaggi e situazioni e che sarà la cifra portante di tutto il suo cinema. Resnais vi aggiunge il fascino di un'atmosfera astratta e decadente nello stesso tempo, sinuosamente dipinta dai movimenti della macchina da presa che sfiora ambienti e personaggi per andare sempre oltre, con lo sguardo inesorabilmente perso nel nulla. Volutamente e disperatamente vuoto, ma splendido.
MEMORABILE: La lugubre litania con cui la voce fuori campo di Albertazzi descrive gli ambienti dell'albergo.
Un-due-tre stella, dove i personaggi, quando non sono immobili, parlano ripetendo sempre le stesse frasi, mantra di parole che replicano all'infinito, al pari degli specchi e dei quadri, l'intreccio di saloni, corridoi, viali di una villa escheriana. Film di grande suggestione visiva, popolato da fantasmi della memoria (l'invenzione di Morel di Bioy-Casares forse non è lontana), in cui però l'eleganza sontuosa di Resnais è appesantita dal mattone costituito dai dialoghi di Robbe-Grillet: ipnotici certo, ma tali da indurre catalessi.
MEMORABILE: Il gioco del 7-5-3-1, perde chi resta con l'ultimo cerino (o sigaretta, o carta) in mano.
Spossante mattonata che solo l'assoluta perfezione a livello visivo (ambientazioni comprese) riesce a rendere appena digeribile. Parlare di ritmo narrativo è fuori luogo, ma gran parte delle suggestioni cadono nel vuoto (a colpire nel segno solo il gioco dei fiammiferi) assieme alla ridondante colonna sonora a base di organo e al tutt'altro che evocativo fiume di parole. Il tutto appare sì onirico e insolito, ma anche freddo, compiaciutamente criptico, fastidiosamente intellettuale. Estetica eccellente, ma anche di incommensurabile tedio.
Partendo da Bioy Casares e il suo Morel. Film condanna per molti spettatori (tipo mia madre, che lo fugge come la peste), è invece un bel film, seppure un po' lungo. Le idee di Grillet trovano un regista che sa distillarle. Grandiosi salti spazio temporali, recitazione straniata e/o affettata, da feuilleton. Un'esperienza cinematografica "unicum". Le coordinate "normali"di spazio-tempo sono illusioni mentali e il regista usa la sontuosità per dirci in che prigione Panopticon viviamo. La musica atonale è metafora dell'assenza di riferimenti.
MEMORABILE: Il gioco di Marienbad, che fu breve moda negli anni 70.
Spazi, tempi, persone, parole e risate sempre uguali: interni rococò che brillano di una sinistra astrattezza, esterni decadenti permeati di metafisica dechirichiana. Si è persa la memoria di una gelata estiva: cos'è, al confronto, un incontro di corpi e di menti, una promessa amorosa rimandata all'anno successivo (o forse no), un gioco di fiammiferi a cui il gran maestro vince sempre? Si rimane intrappolati in un incubo di immagini e dialoghi soffocanti, senza mai poter dire cosa stia davvero succedendo. Visione certo faticosa, ma illuminante.
MEMORABILE: Il bicchiere in frantumi, raccolto con lentezza esasperante sotto lo sguardo immoto di tutti gli astanti; La porta era davvero chiusa?
Visione difficile e faticosa ma anche, alla fine, appagante. All'inizio pare di non riuscire a reggere l'ammasso di parole e dettagli visivi senza senso apparente, attori immobili come manichini eccetera; ma se si riesce a "resistere" e a rinunciare al cercare una logica in ciò che si sta vedendo (troppi i simbolismi che affollano la pellicola) si può rimanere affascinati dallo spettacolo cui si assiste. Film "particolare" che pare fatto apposta per tenere lontano il pubblico "medio", impossibile da realizzare al giorno d'oggi. Merita visione.
Un uomo cerca di ricordare a una donna di averla già conosciuta. Opera sperimentale per l'uso continuo dei rimandi temporali, come fosse un flusso di pensieri. Per complicare le cose non tutti i ricordi son lucidi e la protagonista rifiuta le avances. Regia notevole per l'uso degli spazi, per le voci che si sovrappongono alle riprese e per il saper creare un'attesa degli eventi anche nelle fasi statiche. Albertazzi la mette sul serioso e serve per i tempi teatrali dei monologhi ripetuti.
MEMORABILE: Il gioco coi fiammiferi dove non si perde mai; La statua in giardino; Le tre porte per arrivare in camera di lei.
Morandini: "Il sospetto che (...) si riduca a esercizio di stile è forte. Comunque, da vedere e rivedere". 1) Sospetto fondatissimo, anche se è vero che le donne dimenticano, in amori passati, momenti che per gli uomini sono indimenticabili. O che i rivali paiono imbattibili. Ma l'astrusità della narrazione (esaltata dallo scambio dei luoghi) non si autogiustifica. 2) Da vedere? Certo: fatto! 3) Da rivedere? Solo se viene garantito un adeguato guiderdone. Mattonata che mischia Morel e l'amore, cinema e fotografia, passato e presente, realtà e immaginazione. Splendidi i volti dei tre.
Un film diverso da tutti gli altri: 1961, in un grande albergo un uomo incontra una donna e sostiene di averla incontrata l'anno precedente e di aver avuto una storia d'amore con lei ma lei non ricorda. Atmosfera da sogno, splendide inquadrature con ottimi movimenti di macchina. Voce fuori campo e pochi dialoghi. Bravi e intensi gli interpreti. Bel bianco e nero. Un capolavoro.
Allucinante pastiche onirico letteralmente impossibile da seguire se non staccando la mente. Una serie di quadri, alcuni dei quali molto riusciti, senza alcun filo logico, che lascia nello spettatore solo ansia e frustrazione. Il classico film che rischia di suscitare solo irritazione e sentimenti negativi. Azzeccato il gioco delle stecchette. Cast impalpabile. Decisamente evitabile.
Un uomo cerca di ricordare a una donna l'incontro dell'anno precedente, lei nega che ci sia mai stato. "Il sospetto che questo film si riduca a un esercizio di stile è forte" (Morandini cit.). In realtà, benché la narrazione si svolga in dimensioni spazio-temporali labirintiche, non lineari, ad avere voglia e pazienza (non è obbligatorio) si riesce a ricostruire qualcosa: identità di Albertazzi, motivo del primo contatto con la donna, destino dei due. Figurativamente niente da dire: una festa per gli occhi. Regia e fotografia stupende, musica adatta, attori opportunamente straniati.
MEMORABILE: Il gioco delle carte (o dei cerini); La statua con l'uomo e la donna.
Di quei film che vanno visti varie volte, prima di capirne l'anima. E mentre se ne cerca il significato, è bello perdersi nella straordinaria scenografia interna ed esterna e nel criptico simbolismo del racconto, con un andamento ipnotico e una scelta dei dialoghi che rende quest'opera indigeribile per chi da un film cerca solo mero intrattenimento. Chi vuole andare oltre, resterà affascinato. L'albergo è una sorta di teatro e teatrale è giustamente la recitazione. E Giorgio Albertazzi ci si trova infatti benissimo. Straordinari attori per un'opera difficile ma di grande fascino.
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Lucius ebbe a dire: Non sarà forse il suo migliore, ma è quello con il linguaggio filmico più sensoriale.
Eppure Robbe-Grillet ha profondamente influenzato la letteratura europea della seconda metà del Novecento, con il suo modo di scrivere.
In ogni caso ti ringrazio per aver accolto il mio invito, evidentemente non è un film nelle tue corde.Interessante la curiosità postata.
Io spero sempre un giorno di poter vedere il backstage dell'epoca, creduto perso per cinquant'anni.
Di Resnais non ho visto nulla (in videoteca ho Marienbad ma non l'ho ancora visto, mentre cerco da una vita il suo Providence, ma senza successo)
Ma Grillet, almeno per me, e un mezzo geniaccio e il suo Giochi Di Fuoco sfiora il capolavoro!
DiscussioneDaniela • 3/03/14 12:18 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Providence: ecco un film che invece ricordo con molto piacere: meravigliosa partitura per straordinari attori, con una colonna sonora di Miklós Rózsa che è forse fra le sue belle di sempre - scrivo "forse" perché la sua filmografia è tanto densa di titoli che è davvero difficile metterli in fila.
Lo rivedrei molto volentieri ma, come ha osservato pure Buio, non si trova neppure col lanternino.
Zender ebbe a dire: Era ora! Proprio adesso che ero riuscito a registrarlo da Iris. Ma vaff... Speriamo si veda male così mi tengo la registrazione :)
Con un "leggerissimo" ritardo, intervengo sulla questione.
Il master trasmesso da Iris (almeno la registrazione che ne ho fatto io) è in 16:9 invece che nel giusto rapporto 2.35:1, e la cosa si nota assai, specie nei titoli di testa ma non solo.
Quindi Zendy, spero che tu abbia preso il dvd.
Ricordo personale, che potrebbe essere falsato dal troppo tempo passato:
Verso la prima metà degli anni '70 (presumibilmente nel periodo compreso dal '74 al '76), aspettavo di vedere in TV una partita di calcio (non ricordo quale, probabilmente una coppa europea, che di norma veniva giocata di mercoledì sera) che non andò in onda (forse per uno sciopero dei giornalisti?). Ebbene al suo posto fu trasmesso proprio "L'anno scorso a Marienbad" del quale vidi pochi minuti, dopo i quali spensi la televisione.
Ieri sera ho posto "rimedio" a questo fatto, vedendomi una registrazione, che feci anni fa da Iris, alla quale non avevo ancora avuto il coraggio di avvicinarmi.
Caesars ebbe a dire: Ricordo personale, che potrebbe essere falsato dal troppo tempo passato:
Verso la prima metà degli anni '70 (presumibilmente nel periodo compreso dal '74 al '76), aspettavo di vedere in TV una partita di calcio (non ricordo quale, probabilmente una coppa europea, che di norma veniva giocata di mercoledì sera) che non andò in onda (forse per uno sciopero dei giornalisti?). Ebbene al suo posto fu trasmesso proprio "L'anno scorso a Marienbad" del quale vidi pochi minuti, dopo i quali spensi la televisione.
Ieri sera ho posto "rimedio" a questo fatto, vedendomi una registrazione, che feci anni fa da Iris, alla quale non avevo ancora avuto il coraggio di avvicinarmi.
Direi che vedere in questo periodo questo film e L'invenzione di Morel di Emidio Greco abbia un certo significato...