Il miglior film di Haneke, dal capolavoro del premio Nobel Jelinek. La storia della pianista masochista col suo studente/carnefice è magistralmente girata in una Vienna depersonalizzata, con scene di interessante formalità tecnica come quella del bagno al Conservatorio piuttosto che quella al peep-show. La mdp ancora una volta segue e svela ciò che sta dietro alle rigide facciate formali, proprio come i palazzi in cui si svolge, ed entra nel formicaio mentale. Grandiosa Huppert, mediocre Magimel.
Drammatico. Non è solo il genere ove collocarlo, ma il film. Sembra nascere nelle spire di un rapporto madre-figlia morboso (con la pianista succube di una madre oppressiva) e si sviluppa attraverso un progressivo annichilimento della protagonista. Le musiche austere incorniciano questa storia che d'amore ha ben poco, se non un iniziale corteggiamento. Si evidenziano gli atti autolesionistici, le "deviate" voyeuristiche pratiche. La sciatteria della Huppert, tuttavia, confina un po' la problematica. Grottesca la scena nel letto con la madre.
MEMORABILE: La scena in cui annusa i kleenex al peep-show.
Haneke, ispirandosi palesemente a Chabrol (basti pensare che ha scelto una delle attrici preferite del maestro francese), si diverte a scandagliare l'anima corrotta e perversa della borghesia e lo fa attraverso una storia di amor fou. Il risultato è ottimo, grazie ad una regia disturbante al punto giusto, ma tutto sommato piuttosto sobria e ad una Huppert che, come quasi sempre, è semplicemente fantastica.
Film alquanto deludente. Non viene fuori la ragione per cui la protagonista faccia quello invece di quell'altro. Film puntato solo sull'aspetto sessuale senza mostrare le motivazioni di tali azioni. La psicologia dei personaggi trattata malissimo. L'unico aspetto gradevole è all'inizio con la descrizione della protagonista. Si fa fatica a seguirne le tracce. Qualche inquadratura interessante. Per farla breve: non buono.
In precario equilibrio tra sublime e ridicolo, questo film lo salva essenzialmente la bravissima Huppert. Bambina invecchiata, incapace di una sessualità che non si conformi all'umiliante ma, per lei, rassicurante copione del voyeurismo e dell'autolesionismo, trascina un giovane allievo nel suo asfittico universo di perversioni. Il finale riconferma, tristemente, l'incapacità di entrambi di essere liberi, liberi innanzitutto dalle strettoie del rapporto vittima-carnefice. Brava anche la Girardot, adeguato Magimel.
La morbosità del cinema di Haneke trova in questa pellicola, forse, il suo picco. La sconcertante sessualità espressa dalla protagonista (incline all'autolesionismo, alla sodomia e quant'altro) angoscia ed inquieta lo spettatore. Di giorno, rinomata pianista, nonche ricercata insegnante di una prestigiosa scuola, di notte (intesa come "lato oscuro") creatura misteriosa, gelosa, maniacale, lunatica. Stratosferica interpretazione della Huppert. Un'opera ambigua che lascia "tirare le somme" allo spettatore.
Cosa ha provocato il marciume mentale di una distaccata e professionale insegnante di musica? È una delle domande con le quali il film fa riflettere. Dopo un inizio neutrale, la storia assume connotati emotivi ed esistenziali che non lasciano indifferenti, nonostante la pacatezza con cui Haneke traduce in immagini l'omonimo romanzo del 1983. Ed emerge un contesto lacerante e lacerato di un animo inquietante ed inquieto, che non può non avere un amaro epilogo. Un indiretto e preciso messaggio per tutti i genitori: non opprimete troppo i vostri figli.
Tratto da un romanzo, non un'opera di Haneke ma da lui tradotta, a modo suo s'intende, in film, quindi i significati dei perché sono da chiedere semmai a Jelinek e l'opera di Haneke va giudicata tecnicamente come pura pellicola. Haneke gira con uno stile che a me piace e sembra il sunto di tutti i maestri riconosciuti di questa arte con l'aggiunta di cose sue, in più sceglie bene gli attori cui affidare le parti decisive e li dirige al massimo. Così è per questo film che descrive molto bene in immagini i temi scabrosi affrontati nel romanzo.
Solo il gelido Haneke poteva tradurre in immagini (sia pure edulcorate) la contorta Jelinek, uscita dallo stesso humus austriaco: la torbida storia della pianista straziata da turbe erotiche, vessazioni materne e follia schubertiana, ha il volto straordinario di Isabelle Huppert, calata in un ambiente saturo di luce, come se tutto quel chiarore riuscisse a rendere oggettivo e luminoso ciò che di più cupo può riservare la psiche. Un film razionalmente angosciante, sospeso sull'abisso di quell'incubo quotidiano che è il dolore di vivere nella solitudine. Spietato.
Una torbida storia che vede una valida Huppert interpretare una donna lacerata da inquietanti tendenze sessuali e da una evidente sottomissione nei confronti dell'anziana madre. Un film psicologicamente ben studiato che presenta scene adatte in cui emerge il lato morboso del regista.
Film totalmente incentrato sul personaggio interpretato (mirabilmente) dalla Huppert. Una donna algida che nasconde dietro un formale rigore e un notevole autocontrollo, una serie di perversioni erotiche rappresentate dal regista Haneke con il suo personalissimo stile (tutto all'insegna della compostezza e della messa in scena quasi teatrale. Freddamente efficace la fotografia.
Dietro l'impassibile austerità si nasconde un inferno di nevrosi e sadomasochismo. L'idea di base non è nuova, ma il film di Haneke sorprende per la profondità con cui viene esaminato il rapporto vittima/carnefice e la discesa nell'autodistruzione. Una pellicola come un bisturi, fatta per sezionare a fondo e con precisione. Questo è anche il suo limite: il film rischierebbe di cadere nel parossismo se non fosse per l'intensa interpretazione di Isabelle Huppert che lo mantiene sui giusti binari. Un ritratto spietato, severamente austriaco.
Classico film da cultori che non incontra i favori di chi è abituato a un cinema diverso come me. Lo stile del regista è freddo e distaccato, buona la prova del cast. Nonostante sia un po' soporifero non è così malaccio, ma neppure un capolavoro. Giudizio finale: un'occhiata la merita.
Dopo il notevole Funny games (quello del 1997), Haneke si dimostra un regista e soprattutto uno sceneggiatore dal talento sopraffino. Ha il dono di saper raccontare con cura e spessore i rapporti personali dei suoi personaggi e soprattutto le conseguenze che queste relazioni hanno sul comportamento sociale dell'essere umano. Maestosa la Huppert, funzionale la fotografia glaciale. Bellissimo il finale. Un'opera da vedere e rivedere.
Non lasciatevi ingannare dal titolo che suggerirebbe un film di ben altri contenuti. Quella di Haneke è un'opera durissima che ci mostra anche il lato oscuro di un'insegnante di pianoforte, inflessibile e ligia al dovere oppressa dalla figura materna e incapace di esprimere la propria sessualità se non con comportamenti deviati. Le scene che mi hanno colpito e che sarebbe giusto menzionare sono tantissime. Dall'autolesionismo all'autoerotismo vi è una continua ricerca del piacere-dolore per soddisfare se stessi e mai l'altro. Gran film.
Perversioni nascoste di un'insegnante di pianoforte. Sembrerebbe una storia banale se non fosse firmata Haneke, che sa sempre mettere l'occhio sui comportamenti ambigui dell'uomo. La malattia è rappresentata ottimamente dai primi piani della Huppert, con quel suo sguardo da maniaca assetata di sesso.
Un nuovo, riuscitissimo esempio di mala-educacion su celluloide. Una Carrie White invecchiata e inseverita, più interessata alla musica che alla telecinesi ma repressissima e depressissima almeno quanto l'originale. La sua vicenda è narrata con uno stile freddo e intrigante, anche se ad una prima parte in linea con la sua imperturbabilità (a parte i filmini hard, mostrati hard) ne segue una che gioca pericolosamente con l'eccesso, riuscendo abilmente ad evitare cadute di gusto. Ottimo cast e bella fotografia. Aronofsky se ne ricorderà.
Tra i più morbosi di Haneke. La deriva di questa pianista ha i tratti somatici fascinosamente inespressivi e glaciali di Isabelle Huppert. L'autismo sociale e comportamentale visto come una bolla trasparente in cui malattia e perversioni, autolesionismo erotico e voyeurismo vengono amplificati e trattenuti dall'amore soffocante di una madre. Ma quando l'amore muta le sue fattezze, la bolla esplode, cucendo ferite prima aperte, ma aprendone altre ancor più profonde. E non c'è mai pace: meglio fuggire e non affrontare il proprio destino.
Monumentale trattato (anche) estetico narrativo e della recitazione che non arretra neppure di un millimetro nell'indagine interiore di una mente devastata (?) eppure così glacialmente logica. Tutto è calibrato, le sequenze delle lezioni e dell'esame di ammissione ai corsi perfette così come gli interventi sullo stile del grande autore romantico. Unica nota stonata il personaggio maschile, troppo superficiale, non convincente rispetto alla sua bravura nel suonare e al contesto di perfezione del film.
Risultato di una strenua corrispondenza tra le astrazioni di un soggetto di violento realismo psicologico e la precisione chirurgica di una rigorosa messa in scena, l'opera di Haneke scandaglia con la fredda lucidità di uno sguardo impietoso, gli invisibili recessi di una disperazione sociale ed emotiva al di sotto di una superficie di relazioni ordinarie in cui si forma ed emerge l'identità dell'individuo, dove si manifesta chiaro il segno di una disumana insensibilità e l'emergere di un brutale istinto di prevaricazione e affermazione di sè.
MEMORABILE: Il finale sospeso e rabbioso della ferita che la Huppert infligge a se stessa come la violenza repressa di un "coitus interruptus".
La solitudine dell'anima, l'egoismo, l'ossessione, sono gli spunti che turbinano in quest'opera dura e spietata di Haneke. La storia di Erika, insegnante di pianoforte che ha ormai rinunciato a ogni ispirazione, nasconde in realtà un personaggio gelido, infelice, sottomesso alla dispotica madre, tanto quanto alle sue pulsioni sessuali represse e autolesioniste. Totalmente incapace di provare amore inizierà una disperata, depravata discesa in un abisso di umiliazione fino alle inevitabili conseguenze. Straordinaria Isabelle Huppert.
MEMORABILE: "Io non ho sentimenti Walter, mettitelo in testa"; Ll'agghiacciante modo di togliere di mezzo la sua povera allieva Anna.
Gelida visione sulle perversioni di una donna, a distruggere in crescendo tutta la sua struttura di facciata. I rapporti chiave sono due: madre-figlia, insegnante-allievo, ma i ruoli si confondono spesso, in una spietata alternanza tra aguzzino e vittima. Il film tutto è una descrizione, senza ambire a spiegazioni, approfondimenti o conclusioni particolari. Risulterà poco digeribile anche per questa ragione.
L'insegnante di piano borghese e perfettina non è come sembra, dopotutto. Colpa della madre che l'ha sempre soffocata, rendendola poco piu di una bambina quarantenne. E via con una carrellata di perversioni. Embè? Molto bella la rappresentazione della vita borghese e una fantastica interpretazione della protagonista, ma oltre a questo il film non porta veramente da nessuna parte. Haneke si riprende un attimo nel finale dandoci una piccola stilettata che però non basta per rivalutare il film o provare a dargli qualsiasi tipo di interpretazione.
Perversione sessuale e deviazione della psiche sono il piatto forte verso cui si indirizza Haneke per raccontare in modo nudo e crudo una storia che non lascia indifferenti. Peccato che questo stile asettico non approfondisca nessuna questione e lasci allo spettatore una sensazione di incompletezza, oltre al fastidio creato da qualche scena poco interpretabile. La Huppert interpreta con grande stile, ma le carenze sono altrove. Disturbante quanto basta.
Audace e malsano nel proporre il mondo perverso di una signora (con misericordia si può anche definirla così) austera e marziale nella sua patologica solitudine. Gli scempi sessuali concreti o vagheggiati sono la linfa di un film deturpato dalle numerose strimpellate al pianoforte, veri fastidi degni del tasto avanti veloce del telecomando. Non piacerà alle donne: la figura femminile ne esce offesa e umiliata (vedi l'allieva). Incomprensibile il finale, che non finisce; forse non c'erano idee su come chiudere il tutto. Vienna fa da glaciale contenitore.
MEMORABILE: Il lungo e depravato tira e molla nei bagni.
Pazzesco film che esplora la psiche di una protagonista chiusa in sé stessa, dedita all'autolesionismo e all'autoerotismo in maniere inconsuete. La regia appare decisamente distaccata, composta da inquadrature statiche, talvolta immobili piani sequenza che lasciano entrare e uscire i soggetti in campo, come se lo spettatore fosse un voyeur, ma senza possibilità di scegliere dove guardare. Molto convincente la recitazione della coppia madre/figlia.
MEMORABILE: Dentro il peep-show; La crisi di pianto nel letto con la madre; La lettera con le istruzioni; L'infinito mordi e fuggi in bagno.
Professoressa glaciale che umilia i suoi allievi a lezione vive disturbata la sua sessualità repressa. Senza cercare di scavare in eventuali motivazioni psicologiche (sebbene ce ne sia la possibilità, con il rapporto possessivo della madre e un padre non menzionato), viene mostrato brutalmente lo scenario della di lei patologia; il tutto fotografato senza sentimento. Huppert si sporca le mani e Magimel apprezzabile solo per la fisicità. Le ultime derive di coppia scadono in un manierismo che smette di colpire.
Haneke nel suo algido stile gira un film di seduzione ed erotismo, che mischiato con l'innegabile sadismo che avvolge tutta la sua opera dà vita a un film strano, che gioca con il disagio mentale di una attempata professoressa che si infatua del suo studente e lo immette in una spirale di perversione dalla quale finisce risucchiata. Niente di innovativo a parte lo squallore di certe scene difficili da dimenticare, come quella del cinema porno, quella del drive-in o quella del vomito. Va riconosciuta tuttavia una certa coerenza, in questo vuoto.
Insegnante di piano di mezz'età, Erika nasconde dietro un aspetto inappuntabile e modi severi una psiche in preda a turbe sessuali e tendenze masochiste... Messa in scena che rispecchia la dualità della protagonista: il rigore formale delle inquadrature è come una superficie di marmo bianco la cui purezza è contaminata da macchie rivelatrici di sangue, urina, vomito. Film crudele che mette a disagio suscitando sentimenti contrastanti di disgusto e pietà, ma non sfiora mai il ridicolo né cade nella volgarità del banale. Merito di Haneke ma anche della prova superba di Huppert.
Haneke ama mostrare le parti nascoste e perverse dell'essere umano e con questa storia nuda e cruda riesce a toccare le nostri parti più intime, creando scompenso e anche un pizzico di perplessità che non è un malus, in questo caso. La Huppert è semplicemente sensazionale, interpreta uno dei personaggi più complessi della sua carriera e si mette in discussione con una classe e una bravura degne di pochi al mondo. La regia è fin troppo precisa; leggermente troppo lunghe alcune parti relative alle performance musicali e alle inquadrature sui volti, ma questo non grava sul film.
È forse frusto andante affermare che film del genere in mani diverse da quelle che li hanno ideati e girati sarebbero precipitati tutti d'un pezzo nel becero e nel ridicolo, ma tant'è: si tolga la spaventosa scissione psicologica di cui è preda l'inflessibile Huppert, si alzi il velo del gelido distacco che avvolge ogni gesto dei personaggi sullo schermo ed ecco che il film si sbriciolerebbe, la narrazione ridotta a mimica camp. Pur se non il miglior Haneke (un po' lunga la parte confessionale), uno splendido trattato sulla rappresentabilità contemporanea dell'eccesso tabuizzato.
E' un'opera che Haneke dirige da par suo, scegliendo di mettere in piazza un assortimento di perversioni e di turbamenti a cui difficilmente si assiste. La prima parte procede bene, seppure con inutili approfondimenti musicali, e disegna un quadro interessante tra la madre, la maestra e i suoi allievi. Nella seconda parte la continua lotta tra i due e il bisogno di umiliare/rsi diventano pesanti, talvolta fini a se stessi e se non ci fosse la Huppert in scena si scadrebbe in un patetico troppo prolungato.
Haneke discontinuo e imperfetto (ma costantemente sopra la media) firma qui il suo capolavoro. E in buona parte tutto è dovuto alla immensa interpretazione di Isabelle Huppert che affronta questo personaggio estremo con indubbia perizia. Oltre al grottesco c'è evidente sarcasmo che ai più lascia attoniti ma che così inserito diventa pregevole accesso alle tematiche affrontate. Per goderselo appieno bisogna essere scesi nel proprio personale inferno e risaliti con nuova consapevolezza. Senza essere vittime di gesti autolesionistici. Nota di merito per Annie Girardot.
MEMORABILE: Il ferimento dell'allieva; Il Drive In; La ribellione del ragazzo nei confronti dell'ossessiva madre della protagonista; L'agghiacciante finale.
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