Si può discutere del film senza cominciare dalla straordinaria, mimetica performance di Pierfrancesco Favino? Sì, ma significherebbe nascondere ciò che prima di qualsiasi altra cosa si nota sullo schermo. E' talmente prodigiosa l'aderenza - non solo fisica ma anche nei gesti, nelle inflessioni della voce, nelle pause - di Favino allo scomparso leader socialista che si assiste incantati, rapiti dalla sensazione di vedere in scena non l'attore (ai cui noti tratti somatici nulla ci riconduce) ma proprio Bettino Craxi! Il film ne racconta gli anni dell'esilio tunisino senza mai fare il nome non solo del protagonista ma nemmeno di chi gli sta attorno: Stefania diventa Anita, Bobo lo si riconosce dagli...Leggi tutto occhiali, il politico in visita interpretato da Carpentieri non si sa chi sia (Fanfani? Chissà...), il Vincenzo amico fedele cui dà il volto Cederna è ispirato a Balzamo, per l'amante giunta ad Hammamet che dà alla Gerini la possibilità di intervenire in scena (mostrandosi almeno più viva degli altri) si posson fare più ipotesi (anche se una sola, che si sappia con certezza, è quella giunta ad Hammamet). Tutti personaggi che comunque si stingono e sbiadiscono di fronte all'esuberante personalità di un leader in declino ma pur sempre dotato di un carisma con pochi eguali, nella recente storia d'Italia. Ci si attendeva infatti di poterne gustare monologhi più sapidi; che ogni tanto si affacciano, è vero (il migliore è il duetto con Carpentieri davanti a un piatto di spaghetti), ma che nel complesso non affrontano quasi mai nodi politici importanti legati a un preciso momento storico. Frasi spesso scarsamente pregnanti che in bocca ad altri non lascerebbero alcun segno e che solo l'enunciazione stentorea di Favino tramuta in accattivanti arguzie. I problemi maggiori nascono quando (di rado, fortunatamente) si cerca di dare spazio a personaggi poco significanti come il figlio (Filippi) dello scomparso Vincenzo. Giunto lì non si capisce bene con quali reali intenzioni, perlopiù sbarra gli occhi chiari e tace, discute talvolta con Anita, riprende Craxi con la telecamera mentre questi pontifica sulla politica o sui massimi sistemi, ma si ritrova immancabilmente al centro dei momenti più deboli, così come non sono tanto meglio quelli in cui anche Anita deve rapportarsi col padre. L'uomo, lontano dal suo paese, malato, trattato in modo principesco ma privato della sua antica condizione di leader ammirato e rispettato, elargisce massime e sentenze conscio di una situazione per lui difficile da sopportare. Stupisce comunque la scelta di tenere il racconto relativo agli anni della politica attiva del tutto al di fuori del film per concentrarsi esclusivamente sulla permanenza ad Hammamet, mentre colpisce Favino che pur spostandosi claudicante riesce ugualmente a comunicare una fierezza d'animo che eleva la statura del personaggio: Craxi non ci appare mai come un vecchio, nonostante i problemi di salute, ed è la dimostrazione di quanto l'elasticità mentale, soprattutto quando non lascia trasparire la sofferenza, sia in grado di nascondere buona parte delle inadeguatezze fisiche. Eppure la sensazione è che intorno al protagonista la scena si muova troppo poco, cristallizzata tra i verdeggianti giardini della villa e la spiaggia come in una sorta di fiction nella quale si sia innestata a forza un'unica figura potente, dominante al punto che declinando trascina con sé il film addormentandolo sempre più. Una raccolta (senza una storia) di scene che se estratte singolarmente possiedono una forza del tutto estranea al film visto nel suo insieme, aperto e chiuso da flashback d'infanzia vacui quanto il finale posticcio alla clinica milanese; e questo perché il lavoro di Amelio in regia quasi mai emerge, costantemente in secondo piano rispetto a sceneggiatura e interpretazione (si veda anche l'incontro col padre/Antonutti e la conseguente, discutibile parentesi a teatro con Olcese e Margiotta). Ciononostante, e al di là degli evidenti difetti, riesce impossibile non premiare la commovente, monumentale prova di Favino, inscindibile rispetto a una corretta valutazione del film. Di maniera la colonna sonora di Piovani.
Il più posticcio di tutti, ovvero Favino, sommerso da cinque ore di trucco, alla fine risulta il più vero, almeno nella recitazione, nell'incarnare una figura che, volenti o nolenti, era di spicco e rappresentativa della politica italiana. Non è tanto ciò che nella pellicola gli hanno messo in bocca, ma come Favino l'ha fatto uscire, accompagnato da gesti e mimica, a lasciare sbalorditi (dietro c'è l'applicazione di un attore livello). Purtroppo, il resto della baracca, con tanto di figura forzata del ragazzo rancoroso, non lascia quasi traccia. Utile, ma solo a esaltare la prova d'attore.
MEMORABILE: "Erano soldi del partito, ma qualcosa ci restava attaccato alle dita"; In negativo, la scena col padre, decisamente evitabile, ai limiti del ridicolo.
Commentare la prova di Favino, sicuramente ottima, non richiede grande sforzo. Molto più complesso risulta valutare Hammamet nel suo insieme: gli anni tunisini, gli ultimi, di Craxi non devono aver fornito spunti particolarmente interessanti e così si amplifica, romanzando, la figura di un uomo solo, fragile, malato, correndo il rischio, quasi, di risultare eccessivamente compassionevoli. Il ricorso a figure generiche (gli amici, l'amante) rende inoltre poco chiara la visione a chi non conosce già la storia, almeno a grandi linee.
MEMORABILE: La nostalgia del Belpaese rappresentata attraverso i numerosi piatti di pasta.
Cosa voleva fare Amelio? Narrare, non difendere o accusare. E narra, con un Asso che gli si torce contro: si tratta di Favino, quasi prodigioso (con l'aiuto del trucco) nel rendere Craxi ai nostri occhi. Ma è così prodigioso che finisce per "ammazzare" tutti coloro che gli stanno intorno e che quasi spariscono, ad eccezione di Carpentieri (la Gerini si vede poco). Si narrano fatti veri, fatti alterati (Balzamo, che qui si chiama Sartori, sarebbe perito di morte violenta), fatti inventati, fatti che sembrano prefigurare addirittura sviluppi futuri. Ben fatto, ma resta un senso di incompiutezza.
MEMORABILE: "Tua madre sa che mi accontento di poco". In peggio: il bruttissimo finale, nonostante il grande Antonutti.
Vent'anni fa scompariva a Hammamet il socialista Bettino Craxi. Gianni Amelio ci racconta l'attimo prima, il noto esilio tunisino che per qualche anno umiliò la persona e il "personaggio". L'opera è tragicamente deludente. Deludente perché non prende una posizione, resta nel limbo di un gelido racconto ai limiti dello storiografico, di una banale fiction che non riesce mai a essere ficcante nei dialoghi. Accanto al metodo Stanislavskij di Pierfrancesco Favino e il suo maquillage c'è terra bruciata, frutto di un'evidente sottostima registica.
Dal punto di vista drammaturgico, il film fa acqua da tutte le parti, soggiogato dalle cinque ore di trucco cui si è sottoposto il protagonista, accodandosi a un trasformismo che distrae e a volte infastidisce. La bravura di Favino paradossalmente si svende al lato baracconesco, privilegiando l’esibizione ai contenuti, davvero scarsi. Il resto del cast è dignitoso, ma senza brillare, penalizzato da una sceneggiatura tesa al monologo e all’anonimato. Molte scene inutili, dall’insipido sapore onirico.
Non è costruita per essere un'agiografia (se di trattato si parla, è piuttosto una meditazione sull'illusoria e deleteria arroganza dell'individuo, un veleno che lo rende incapace persino di interpretare la realtà attorno a sé), ma a un occhio non imparziale quest'opera di Amelio potrà sembrarlo, almeno per larghe tratte, specialmente nei difficili passaggi di autoassoluzione che il protagonista (un Favino inquietantemente mimetico) affida a conversazioni private e videoobiettivi. Cast di contorno adeguato (ottimi la Rossi e Filippi).
MEMORABILE: La gamba sanguinante; Claudia Gerini in vestaglia; Contestazione in riva al mare; Il finale allucinato.
La figura carismatica di Bettino Craxi viene raccontata nel ventennale della sua morte ad Hammamet e, grazie a una sceneggiatura di Amelio, rivive nei suoi più diversi aspetti umani, come "bestia" morente che ha dentro di sé tutto il fasto del passato. Rivivremo gli ultimi anni di uno statista fra i più odiati dal popolo italiano ripercorrendone la storia e le intenzioni che tuttora si ammantano di un'indecifrabile aura. Bravo il regista a evitare le soluzioni biopic, straordinario Favino che si cala mente e corpo.
Il film diretto da Gianni Amelio racconta gli ultimi anni di vita di Bettino Craxi e lo fa con uno straordinario Pierfrancesco Favino che, con la sua prova attoriale (sembra di veder Craxi recitare), fa il vuoto attorno, oscurando il resto del cast e sopperisce (quando è presente in scena) alla lentezza della pellicola, che talvolta mostra la corda. Si sarebbe potuto osare di più e invece si rimane con un po' di delusione di fondo. Nei ruoli secondari si segnalano un buon Carpentieri e l'ultima prova attoriale di Omero Antonutti.
Per raccontare gli ultimi giorni di Craxi a Hammamet Amelio sceglie un registro intimo, rinunciando a giudizi storici e politici. L'aspetto più apprezzabile del film è certamente la prova di Favino, somigliante a Craxi in modo stupefacente non solo grazie al trucco ma anche per la cadenza e la mimica perfettamente aderenti al vero. A lasciare perplessi sono le scelte narrative che coinvolgono personaggi di contorno, in particolare il figlio del compagno di partito (con tutta probabilità Balzamo), poco convincente soprattutto nella scena finale.
Mezza riuscita per questa inchiesta "fantastica" su un possibile Craxi ad Hammamet; Amelio inserisce una trama suspense nella relazione tra il "Presidente" e il figlio di un fedele vice, suicida. Ma vuoi per la recitazione di Filippi, vuoi per l'artificiosità della trovata, abbiamo un film sbilanciato tra una somma interpretazione di Favino, non solo grazie al trucco ma allo studio attento del Bettino e un film debole, malrecitato, confuso nel suo essere un Quarto potere de noantri. Alcune metafore sono ambigue, la scena con la Gerini imbarazzante.
"Questa spiaggia mi piace perché nei giorni limpidi si vede l'Italia". Così dice il "Presidente". Scene limpide, invece, il film ne offre poche. Colpa di una sceneggiatura confusa, che non vuole riscrivere né giudicare la storia ma non riesce a (e)levarsene. Il film s'impiglia continuamente nella storia, nei discorsi/monologo del protagonista che diventa l'unica (discutibile) fonte di memoria. Narrativamente sciagurato il ruolo del deuteragonista (inventato) figlio del tesoriere suicida (Balzamo). Di Favino si è già detto tutto.
Il classico film che merita una seconda visione: in questo caso poiché è inevitabile che la prima volta ci si perda a bearsi della prova di un Favino mostruoso, per il quale qualsiasi aggettivo sarebbe sminuente. Anzi: per
rendere l'idea si può dire di essere "in presenza" di Craxi. Chi si aspetta completezza ed assoluta veridicità storica, resterà deluso: si affronta l'ultima fase della parabola, quella discendente e crepuscolare. Ed è proprio questa patina di crepuscolarità e drammaticità a renderlo più intrigante. Ma si sente che manca qualcosa per renderlo grande. Forse, rivedendolo...
Tentativo di fornire un'immagine umana a un politico corrotto e umiliato scappato dal paese. Il film avrebbe dovuto semplicemente intitolarsi "Guardate come siamo riusciti a fare un trucco per far somigliare Favino a Craxi". Per il resto non c'è nulla. Dialoghi prolissi e scene che invece potevano essere interessanti non vengono sviluppate. Non viene mai menzionato un nome "reale", tutto viene lasciato sul vago, anche se è palese che si sta vedendo un film su Bettino Craxi.
Leader socialista si autoesilierà in Tunisia. Chiari riferimenti alla storia politica di inizio anni ’90. Amelio non fa nomi (parlando anche di un democristiano irpino...) e ciò pregiudica la parte storiografica. L’attenzione è solo per un grande Favino che riesce a trasmettere la solitudine, la rabbia e l’arroganza del suo personaggio. La parte del figlio del collega è inguardabile (e pregiudica anche il finale), la scena con la Gerini risulta inutile e con Carpentieri non si affonda il colpo.
MEMORABILE: Il congresso all'Ansaldo; Lo scontro verbale con i turisti al porto; L’incontro col padre sul Duomo di Milano.
Un monumentale Favino diretto dal maestro Amelio regala una grande interpretazione inerente gli ultimi sei mesi di vita di Bettino Craxi, statista sopraffino travolto dallo scandalo Mani Pulite, esule in terra tunisina. Tra le riflessioni dell'uomo, i rapporti familiari non sempre idilliaci e una figura, inventata, del figlio squilibrato di un suo adepto, si giunge a una narrazione di valido livello che non denigra o esalta il suo operato, ma lo offre in maniera corretta.
Gianni Amelio dirige un film che è allo stesso tempo un’analisi della vicenda privata e di quella pubblica di un uomo che al di là dei giudizi è stato parte fondamentale della storia italiana. L’imprescindibile contributo di un grande Favino (autore di una prova mimetica e attoriale straordinaria, che mette inevitabilmente in ombra gli altri interpreti) non deve fare dimenticare la bontà generale di un film dalla precisa e acuta sceneggiatura che approfondisce l’uomo e il personaggio storico. Peccato per i pleonastici momenti onirici finali.
Nel ripercorrere gli ultimi mesi di Craxi, Amelio dà vita non a un classico biopic ma a un film in cui aderenza ai fatti e invenzione sono ben combinati. Fra frustrazione e orgoglio, Craxi serba una ruvida imponenza e un’ombrosa dignità, caratterizzandosi come una personalità di rilievo, anche al di fuori della dimensione politica. Curato nei dettagli e nei vari personaggi. Ma apprezzare questo film significa soprattutto plaudire all’interpretazione di Favino, straordinario nel rendere il bagaglio fisico e psicologico: ma con naturalezza, senza far percepire il lavoro che c'è dietro.
Racconto degli ultimi anni di vita di Bettino Craxi nella sua lussuosa prigione d'oro ad Hammamet. Specializzato in film introspettivi, Amelio traccia un ritratto stanco e disilluso dell'ex segretario socialista poco incline, nonostante le intenzioni, a combattere per il riconoscimento della sua verità. È ovviamente scontato affermare che la prova di Favino, nascosto da un trucco perfetto, è suntuosa sia nella voce che nei gesti e cancella tutto ciò che gli gira intorno. Film comunque strano e incompiuto, lento e noioso in alcuni tratti e chiuso pesantemente da un finale senza senso.
Contornato dal notevole prologo congressuale e dal finale vaticinante non all'altezza di Amelio, il "core" nucleare del film è Favino, la cui mimesi perfetta riesce (quasi) nell'impresa di trasformarsi nella nemesi craxiana, vendicandone l'oltraggio (presunto) della figura carismatica. Peccato si respiri spesso un retrogusto d'indulgenza di cui si comprende la necessità "drammaturgica" ma che inquina il film. Flebili o peggio ermetici ed elusivi gli "incontri" (Gerini, Carpentieri...), "indovinate" la moglie Cohen e la figlia Anita/Rossi, turgido e inconcluso il rapporto con Filippi.
MEMORABILE: Il dialogo iniziale tra Craxi/Favino e il tesoriere Cederna compresa l'insistita contrapposizione tra altezza fisica e "morale".
Un film che ripercorre gli ultimi mesi di vita di un personaggio fondamentale nella storia politica italiana, riuscito solo grazie alla straordinaria prova di Pierfrancesco Favino. L'attore riesce a immedesimarsi completamente nel suo personaggio (non solo grazie al perfetto trucco...) e i suoi discorsi risultano essere la vera colonna portante dell'intera pellicola. Di altro si vede ben poco, e quel che si vede pare superfluo. Finale poco riuscito. Non male complessivamente.
Ci sono sostanzialmente due aspetti che emergono: le grandi prove di Favino e della troupe che lo ha truccato durante le riprese e la generale vacuità dei fatti narrati. Fatti che, se da una parte mirano ad approfondire l'aspetto caratteriale dell'uomo Craxi, dall'altra trascurano molto conseguenze e riflessi sulla vita politica e quando decidono di allargare la lente su altri personaggi incappano in sequenze prive di mordente o prevedibili. Fa eccezione il dialogo a tavola con Carpentieri, quello sì tutto da gustare.
Nel raccontare gli ultimi mesi di vita di Craxi in Tunisia, Amelio si prende tante libertà: cambia i nomi, àltera le vicende dei personaggi ispirati a quelli reali e ne inventa uno fasullo in funzione didascalica. Tutto artisticamente legittimo, a patto d'avere una propria visione da proporre, mentre qui regnano approssimazione e ambiguità. Quanto all'impressionante prova mimetica di Favino, che pure costituisce il punto di forza, fa sparire tutte le altre figure, salvo poche eccezioni, frutto più del valore dei rispettivi interpreti che della sceneggiatura. Film confuso, deludente.
Gli ultimi mesi del contumace Craxi, raccontati da Amelio con un’intensa attenzione alle impercettibili pieghe umane di un politico sconfitto ma non domato, come un eroico Napoleone in esilio, malinconicamente incapace di arrendersi alla realtà mutata, e pur sempre carismatico e raffinato. Mezzo pallino in più per la sorprendente performance mimetica di Favino, quasi un clone del reale protagonista. Mezzo pallino in meno per il plot insipido del giovane sicario psicopatico, che conduce a un finale deludente.
Il partito, partito chissà dove. Bettino, da via Monte Napoleone alla tunisina Sant'Elena. Che sia solo schizoparanoia, diografia di Craxi driver? L'Amelio di più scorticante tenerezzamarezza rende star la rabbiosa malinconia dell'esilio, vamp la stizzita ancorché orgogliosa epica della decadenza e poetica della disfatta, vip la tragedia della caproespiazione di essere stati idealisti. A incarnare l'appassire del garofano che porta in pectore, un Favino-monstrum fin dal primo nanosecondo, neoservilliano Gargantua mangiatutto (quand'è fuori-set il film si depressurizza). Bello, tanto.
MEMORABILE: “C'è sempre dietro una donna che ti fa credere che scopi come un dio, al che ti monti la testa”; “Che farsene della lealtà di uno stupido?”; Avarietà.
È stato giudicato negativamente per prolissità e noiosità. Per la prima è vero, serviva più sintesi, magari togliendo la figura mediocre del figlio dell'ex collaboratore: sembra davvero un di più non richiesto alla trama. La seconda critica era inevitabile, dato che l'eccellente Favino interpreta un anziano diabetico e cardiopatico che si comporta come ci si aspetta da un uomo in quelle condizioni e che ce lo fa immaginare perfettamente nel suo privato. Triste, a tratti lugubre e certamente piuttosto lento.
MEMORABILE: La scena del sogno in cui il Presidente vede il proprio cadavere dileggiato dai comici: inquietante e per alcuni eccessiva. Però calza a pennello.
Nessuno pensi alle tonitruanti biografie alla Oliver Stone; qui italicamente lo stile è dimesso, intimo, quasi intimistico. Di politica ce ne è relativamente poca, quasi sullo sfondo, ed è un peccato perché sono i momenti migliori in cui sembra di vedere proprio il Craxi vero, col suo modo di parlare e le sue movenze. Il centro è invece il malinconico declino di un potente, la sua solitudine, che potrebbe essere quella di chiunque di fronte alla morte. Favino è stratosferico, il resto fa da contorno; incomprensibili alcune scelte, come quella del personaggio Fausto. Un po' deludente.
MEMORABILE: La premessa con il congresso; Gli insulti dei turisti; L'incontro col politico napoletano; "Magna magna"; L'assurdo sogno finale al cabaret.
Esiste il cinema ed esistono le giostre. Hammamet è senza dubbio una giostra; l'attrazione: il Craxi resuscitato da uno straordinario Favino e da un trucco formidabile. Se si toglie questo e si immagina lo stesso film con un semplice buon attore, rimane ben poco. Se questo film ha un merito, questo è quello di avere, un minimo, compensato l'immagine di un uomo in vita vilipeso.
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Zender ebbe a dire: Ti svelo una cosa: il Marcel è uomo d'altri tempi, quando i film finivano senza inutili appendici dalle quali oggi sembra non ci sia verso d'affrancarsi. C'era il gran finale e stop, oggi pare sia vietato: tocca per forza sorbirsi il "dopo", anche quando non c'è assolutamente nulla da aggiungere, e parte quindi un po' prevenuto. Nello specifico, al di là del glaciale (è vero), anche a me parrebbe per nulla necessario, ma contento che ti sia piaciuto e ovviamente trovo sacrosanto dissentire (non solo dal giudizio del Davinotti, che è il correggibile per definizione, ma da quello di chiunque).
Sono molto d'accordo con te (e col Davinotti? o con te due volte? :) quando dici che il vizietto di aggiungere un "dopo" anche quando non ce n'è assolutamente bisogno ha raggiunto livelli di pervasività piuttosto sgradevoli. Difatti, valutato da questa prospettiva, è insalvabile. Mi è piaciuto più come segmento in sé, come rappresentazione di una follia e di un'incomunicabilità totali.
DiscussioneZender • 13/01/20 08:10 Capo scrivano - 48719 interventi
Vorrei tornare sul film. Nel ricordo, anche a breve scadenza, i film tengono, crescono, calano.
Questo, nel mio caso, cala. Resta la memoria di un grande Favino, ma il personaggio del figlio di Vincenzo (e non solo lui) porta verso il basso.
DiscussioneRaremirko • 28/12/21 21:36 Call center Davinotti - 3863 interventi
Favino notevole, aiutato da un ottimo make up, bene il cast di contorno (anche se Gerini, De Francesco, che al solito fa un medico ed Antonucci li si vedono poco) in un'opera che cerca il più possibile di restare imparziale (ma del soggetto in questione, comunque, non esce un ritratto del tutto negativo). Ha il sapore di un istant movie tardivo, ripeto, freddo ed imparziale, che va visto il più possibile cercando di non esprimere giudizi. Amelio ha però fatto di meglio.
C'è un incredibile errore di sceneggiatura: nella scena sul tetto del Duomo si vedono in lontananza i grattacieli di City Life, ma sono stati costruiti negli ultimi anni mentre il film è ambientato a fine 1999.
C'è un incredibile errore di sceneggiatura: nella scena sul tetto del Duomo si vedono in lontananza i grattacieli di City Life, ma sono stati costruiti negli ultimi anni mentre il film è ambientato a fine 1999.
Giusta osservazione, ma non è errore di sceneggiatura, ma di ripresa. A meno che nella sceneggiatura fosse proprio indicato di inquadrarli.
C'è un incredibile errore di sceneggiatura: nella scena sul tetto del Duomo si vedono in lontananza i grattacieli di City Life, ma sono stati costruiti negli ultimi anni mentre il film è ambientato a fine 1999.
Sono talmente piccoli e lontani nell'inquadratura (che va su piazza Duomo/Galleria e poi sul viso di Craxi) che non parlerei di incredibile errore. A posteriori potevano posizionare Favino più a sinistra o intervenire in post produzione ma, insomma, si tratta di un "cacherozzolo" nell'economia del film, probabilmente nemmeno l'unico.
La scena dei comici che lo dileggiano sembra quella di Fantozzi usato come esempio negativo nella Megaditta, ma molto più inquietante. Sarà anche eccessiva ma coglie nel segno.