Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
L’esordio alla regia di Margherita Buy avviene con un film in cui l’attrice vorrebbe esorcizzare una diffusa fobia, quella di volare, della quale pare soffra lei stessa. Peccato che la protagonista continui a interpretare ormai da molti anni lo stesso personaggio ansioso e fobico (peraltro sembra sempre con minore efficacia) e che il film (dalla caratura spiccatamente televisiva) soffra di una sceneggiatura poco sviluppata, con personaggi secondari appena abbozzati e prove degli attori raramente incisive, pur coinvolgendo buoni interpreti come la Bonaiuto. Evitabile.
Barbone viene salvato dopo essersi gettato nella Senna. Il buon esempio di chi dà ospitalità serve per smascherare le ipocrisie di chi è borghese. La denuncia non è veemente, dato che a volte si ricade nella commedia pura, ed è più uno sguardo su una situazione vista da diverse prospettive. I modi grezzi del protagonista sono tra il dispettoso e lo sporcaccione e si scusano per l’ingenuità. Renoir dirige un inno alla vita, all'anarchia o solo a seguire la corrente.
Un adolescente comincia a lavorare in un bagno pubblico e si innamora di una collega più grande, disinibita e opportunista. Parafrasando Pasolini, questo è cinema di prosa (ottime e abbondanti le venature humour su una base da commedia sul tema dell'educazione sentimentale) e di poesia (regia da free cinema inglese arricchita da un elegante sviluppo della tematica simbolica del colore: verde, bianco e rosso). Potente l'ultima scena in particolare e tutte quelle che la precedono in piscina e introducono il tema dell'amore impossibile e/o sublimato (ritorno nell'utero?). Da vedere.
Industriale vuole scacciare alcuni contadini per poter costruire sul loro terreno. L'arrivismo (che comunque porta benessere) si scontra con la parola data. Il conflitto viene perso per strada (vedasi il finale) e, per giungere all'obiettivo, si tira fuori un ricatto incollato alla vicenda. La regia è piatta nello svolgimento, con l'unica nota di merito per la scen all'asta; l'ispirazione latita e l'attenzione va solo all'onore familiare. Risultato scarso, anche nella pur breve durata.
Shark movie survivalista che galleggia tra mare aperto e scoglio. Gli attacchi dei pescioni sono irrealistici a causa di poveri effetti in CGI. Come da prassi, ci sono la ragazza che deve superare un trauma e una prima parte preparatoria all'insegna del divertimento sfrenato per creare il giusto contrasto con la seconda parte ansiogena e angosciante. Non manca neppure la barca che passa senza avvistare i naufraghi. Insomma, è prevedibile, scontato, senza guizzi e con cast anonimo.
Il Giappone, ai tempi pionieristici della settima arte, interessava molto i registi che si cimentavano nel proporre documenti che potessero richiamare pubblico. Anche Gabriel Veyre, operatore dei Lumière, non si sottrae alla "moda" e propone in questa occasione una danza eseguita da due ragazze (invero molto poco, per non dire nulla, sincronizzate nei movimenti). Ovviamente l'interesse che tale documento riveste al giorno d'oggi è unicamente a livello storico. Comunque poca cosa.
Siamo alle solite: la bella ragazza sciroccata che insidia il marito di un’altra sperando di sostituirsi a quest’ultima. Niente di più comune, per un thriller televisivo, e il fatto che la giovane sia un’arredatrice d’interni non ci evita il déjà vu. Lei è Ava (Stranahan), bionda conturbante dolce e sexy, e quando Jim (Pohlkamp) la chiama per farsi risistemare la casa prima che sua moglie (Egan) rientri da una delle tante trasferte di lavoro per farle una sorpresa, lei accetta l'incarico ben felice. Anche perché ha già messo...Leggi tutto gli occhi su di lui e sta già studiando come subentrare a quella donna così spesso lontana dalla famiglia… Non un’operazione immediata, perché i due ancora si amano, ma basta qualche furbo stratagemma, ideato studiando la coppia a letto grazie a telecamere appositamente piazzate lì durante i lavori, per capire come agire.
Nel frattempo capiamo un po’ più di Ava: vive da sola, con una vicina (Hanlen) che da sempre si preoccupa delle sue condizioni di salute, ha uno strano rapporto con l’operaio (Conboy) che lavora per lei ed è ossessionata da flashback di gioventù in cui rivede la madre maltrattarla, chiara causa delle sue turbe mentali. La separazione della coppia, comunque, si fa ogni giorno più vicina, e lo capisce anche Chelsea (Judy), la figlia adolescente dei due, che nel frattempo (ma guarda un po’) è diventata grande amica di Ava, la quale l’ha spinta a lasciare medicina per indirizzarla verso l’interior design prendendola a lavorare con lei; con il padre felice anche perché inevitabilmente attratto da Ava…
Tutto è già scritto, così come il fatto che il delitto sia uno solo e cacciato dentro a forza. Quanto a thriller, infatti, non siamo messi benissimo: la regia di Jessica Janos punta a tratteggiare con interventi sull’immagine e il montaggio la follia della protagonista, che quando è sola si lascia andare a ogni sorta di crisi mescolando nella mente passato e presente: la madre che si riaffaccia nei ricordi per riprenderla ad ogni occasione e l’amore per la bambola con cui aveva passato l’infanzia si alternano a flashback veloci di quanto ha appena vissuto con Jim o Chelsea. La moglie è quasi sempre assente, eppure è il personaggio meglio reso: Pauline Egan gli conferisce una bella credibilità e svetta come recitazione su tutti, nonostante poco la si veda. Kelcie Stranahan, invece, esibisce scarsa espressività ripetendo le stesse facce e le stesse reazioni per l'intera durata. Non che demeriti troppo, comunque, perché se il tutto poco funziona lo si deve principalmente a una regia mai incisiva, a una fotografia che quando interviene sui colori saturandoli crea disastri e aberrazioni (non parliamo dei brutti time lapse), a una goffa gestione nei momenti in cui si dovrebbe cercare di restituire la deviazione mentale di Ava e a un’ultima parte lunga e posticcia che sarebbe stato meglio eliminare del tutto chiudendo quando si capiva che la storia era ormai conclusa.
Resta spassoso vedere come la protagonista pianifichi i suoi tranelli per far finire Jim (al solito rigido e tonto) nella sua rete, o come porti la figlia di questi dalla sua parte. Però la conclusione (prima della citata, sciagurata “parte aggiunta” in coda) è debolissima e fin dai titoli di testa irritanti, tra effetti grafici dozzinali e musiche mal sovrapposte, si capiva che qualcosa non andava…
La passione sfrenata per il fantacalcio si fa qui metafora di una voglia di ribellarsi a quella che per tanti dei protagonisti è una vita "da perdenti"; ma sono vite comuni, di ragazzi ormai cresciuti che nel gioco ritrovano un intenso spirito goliardico e di amicizia, condividendo momenti per alcuni versi indimenticabili, celebrando una ritualità che scandisce gli anni con le tappe del campionato di calcio, utilizzate in questo caso anche per separare le diverse fasi del film. Dall'asta all'ultima di campionato, passando per il tradizionale stop causa Nazionale...Leggi tutto fino al mercato di riparazione, si fa riferimento a un linguaggio profondamente legato a un passatempo che con gli anni è diventato sempre più diffuso, in Italia; al punto da far nascere una vera Lega Fantacalcio (qui tra gli sponsor).
E chi nemmeno sa cosa sia, il fantacalcio? Nessuna paura: Diletta Leotta, da sempre figura legata al mondo del pallone, interviene in soccorso spiegando, a beneficio dei profani, obiettivi, norme, premi... Ma non è poi così fondamentale scervellarsi per comprendere appieno il gioco, perché il film può essere comunque visto come una semplice commedia “giovanile”, di quelle in cui i personaggi danno l'impressione di chi non vuol crescere, rifugiandosi in una passione grazie alla quale si possa fuggire dalle frustrazioni del quotidiano.
In aggiunta, per dare un po' più di sale al tutto, ci s'infilano pure tracce di "giallo", con una ricostruzione a ritroso ricomposta davanti a una giudice (Guzzanti): la donna ascolta a turno i sette componenti del torneo per capire che fine abbia fatto l'ottavo, scomparso la sera prima senza aver più dato notizie di sé. Era la sera del suo addio al celibato. Qualche traccia di sangue sul pavimento della villa dove i nostri avevano festeggiato fa pensare al peggio, ma l'eventuale cadavere non si trova. E allora ecco che si retrocede via flashback a molti mesi prima, quando la morte improvvisa di uno del gruppo li aveva costretti a cercare un sostituto, con tanto di audizioni. La scelta a sorpresa era ricaduta su una donna, Andrea (D'Amico), destinata come si può immaginare a sconvolgere rapporti preesistenti fungendo da chiaro elemento destabilizzante. Simone (Ferrara) non tarda a innamorarsene, ma siamo solo all'inizio.
La giudice seduta al tavolo ascolta i racconti – tutti in qualche modo legati al torneo in corso – assai spazientita (nulla conosce del gioco e le tocca sorbirsi ogni volta inutili passaggi ad esso legati) e cominciamo così a conoscere parte delle vite dei partecipanti: i problemi familiari di Nicola (Russo); i dubbi sul matrimonio di Gianni (Borello); la latente depressione del suo coinquilino e migliore amico Simone; la precisione di Federico (Bannò), avvocato e principale garante della regolarità del torneo; l'entusiasmo del corpulento Jacopo (Giordano); l'asocialità di Francesco (Bottoni), che vive isolato nella sua stanza da anni... Chiude il defilatissimo Mirko (Kiniger), che compare di sfuggita un paio di volte, di fatto un "esterno" la cui utilità nell'economia della storia sfugge.
Piace il modo in cui è suddivisa e organizzata la storia, mentre si rivela una scelta giusta il non aver esagerato coi "tecnicismi" relativi al gioco, eleggendo a icona dello stesso l'attaccante del Cagliari Leonardo Pavoletti (fa un cameo nel finale), fissazione di Nicola, e lasciando emergere qua e là tormentoni, reazioni e comportamenti caratteristici “fantacalcistici” che chi conosce il gioco riconoscerà subito come tali. Il tutto però inserito in un'opera corale, magari banale nell'impostazione e negli sviluppi ma recitata gradevolmente, sorretta da una confezione superiore alla media delle commedie simili e con qualche discreta battuta disseminata qua e là che non guasta mai.
Brillante e vivace la regia di Alessio Maria Federici che annulla i tempi morti, bella prova di Francesca Agostini nel ruolo della promessa sposa, in parte la D'Amico e simpatica come sempre Caterina Guzzanti, qui in versione platino. Sufficientemente curate sceneggiatura e colonna sonora, comparsata del simpatico giornalista sportivo e commentatore Pierluigi Pardo, noto "sostenitore" del Fantacalcio, intercettato fugacemente durante una telecronaca.
Si sparano i nomi di Serena Grandi e Fabio Testi in locandina, dove campeggia una loro scena a letto, ma la verità è che la storia la fanno altri, con i due semplicemente confusi tra i non troppi sospettati di omicidi piazzati all'interno di una vicenda ricavata da un reale fatto di cronaca. L'ambientazione è bulgara, tra le strade e i palazzi di una Sofia che Mogherini riprende senza riuscirne a cogliere alcun aspetto vivace o pittoresco (se non forzatamente, inserendo un orso ballerino con lo sfondo della Cattedrale di Alexander Nevsky o scene alle terme d'epoca).
In...Leggi tutto un'Europa dell'Est rinnovata, i colori (e dire che la fotografia è di Kuveiller!) sono ancora quelli stinti del tempo precedente, la musica di Gianni Ferrio legata a quella operistica, i look bislacchi, con una lunga teoria di cappelli di ogni foggia che, quando compare la squadra di polizia dopo il primo omicidio - quello della scrittrice Sonia Petrova (Dimitrova) - ci presentano i due ispettori in tutta la loro eccentricità. Il più anziano (Kamarashev), classicamente sul punto di andare in pensione, delega il caso al più giovane, il vice ispettore Ivan Zanev (Martignetti), appassionato di sassofono e dall'aria molto meno carismatica. Dovrà indagare sulla famiglia della vittima, composta dal marito attore Peter (Testi), con il quale la donna viveva senza di fatto più avere alcun rapporto (viene infatti uccisa dopo aver fatto sesso in un motel con un aitante diplomatico), la figlia Ania (Pencheva) e la sorella Tania (Grandi), anche lei attrice, italiana. Tra i presenti al funerale - e quindi probabilmente coinvolti nei fatti - ci sono i colleghi di Peter, tra cui la giovane Milena (Petrova), che si dice essere la sua "amichetta", e la più stagionata primattrice Giulia (Bolkan).
Il materiale su cui lavorare, per la strana coppia di ispettori, non manca; a differenza della tensione, completamente assente, che in un giallo di questo genere, in cui si cerca un assassino di cui vediamo solo la pistola sparare in soggettiva, si vorrebbe percepire, almeno in minima parte. Al contrario Mogherini, che una volta di più difetta nel dare ritmo alla sua storia, si accontenta di svolgere il tutto tentando vanamente di dare spessore ai personaggi (l'unico che in parte riesce a emergere è l'ispettore capo, dai tratti alla Poirot) e denotando in questo caso chiare carenze nella direzione del cast. I trascorsi da scenografo avrebbero dovuto suggerirgli di arricchire un po' la messa in scena, ma evidentemente le limitazioni del budget non glielo hanno permesso e il risultato è un giallo dall'apparenza decisamente povera, che non convince né nel dipanarsi della trama né nella scelta degli indizi su cui investigare (davvero miseri).
Artificioso il rapporto tra il vice ispettore e la figlia con problemi di deambulazione e pure quello tra le due star Grandi e Testi (con qualche atteso nudo visibile solo nell'unica, canonica e scialba scena di sesso). Insomma, siamo nella tradizione dei gialli che non possono ambire a farsi ricordare per alcun motivo, con la Bolkan in un ruolo del tutto marginale e inserita giusto per ingrossare in qualche modo le file dei sospetti.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA