Nel solco del cinema finto amatoriale alla BLAIR WITCH PROJECT, un film insolito, curioso, che afferma di essere tratto da una storia vera ma le cui basi potremmo rintracciare in mille soggetti o estratti di soggetti già visti. In sostanza stiamo parlando di due giovani turisti abbandonati per errore da una barca che ha portato loro e altre diciotto persone a esplorare i fondali dell'oceano. Una volta riemersi, lui e lei si accorgeranno di essere soli, al largo, senza nessuno che li possa aiutare. Non si pensi però che cominci subito una lotta all'ultimo sangue con squali feroci assetati di sangue:...Leggi tutto l'intento del regista è quello di mantenere un rigido realismo, concentrandosi sul dramma per cercare di farci immedesimare quanto più possibile nei due giovani. E ci riesce, perché i due non sono i soliti ragazzotti scemi preda di dialoghi stupidi e di reazioni inconsulte: sono invece bravi ad apparire spontanei e credibili. Gli squali ci sono, certo, ma appaiono in modo del tutto insolito e inquietante, emergendo con le pinne o facendo intravedere la sagoma sott'acqua: non dovrebbero attaccare, diceva la guida... La durata contenuta (siamo poco oltre l’ora e venti) è la testimonianza di quanto gli autori sapessero che tirarla troppo per le lunghe avrebbe rischiato di annoiare. Invece così ci sono una buona tensione, una fotografia semi-amatoriale che ci cala ancor più nel dramma e anche la prima parte, con le immersioni del gruppo, è girata con gusto e competenza. Senza strafare, voler stupire o spaventare ad ogni scena, OPEN WATER (“Mare aperto”) sa ritagliarsi il suo spazio nel genere survival.
Girato quasi come un documentario, è la storia di due sub dimenticati al largo durante un'immersione di gruppo. All'inizio nutrivo qualche dubbio, e temevo la latente lentezza. Invece, da quando si ritrovano in acqua, dispersi, la tensione diventa tangibile e il loro lento ma costante arrendersi filmato minuto dopo minuto è di raro cinismo. Solo il pensare a cosa gli nuota sotto, anche senza vederlo (almeno all'inizio), fa correre un brivido (soprattutto se ci si immedesima in loro). La natura non fa sconti. Notevole.
MEMORABILE: Gli squali, all'inizio quasi timidi, cambiano atteggiamento.
Devastante esempio di cinema intelligente. La messa in scena si basa praticamente solo sull'antefatto, poi solo sui due fidanzati dispersi in mare, assediati da pescecani. Da lì in poi la vicenda è narrata quasi in tempo reale, ma la tensione e l'angoscia non calano mai. La premessa, cioè che si tratti di un fatto realmente accaduto, per quello che implica (e reato è dire di più per non svelare il meglio), è la vera molla per il colpo di scena finale. Film riuscitissimo nel suo intento ansiogeno. Spietato.
MEMORABILE: Gli organizzatori dell'escursione subaquea contano superficialmente i rientranti, lasciando soli in pieno oceano i due protagonisti.
Girato con stile pseudodocumentaristico, Open Water è la storia di due persone in balia della natura più minacciosa, quella popolata da inquietanti (ancora di più quando invisibili) creature marine. Il pregio dell'opera è quello di non dimenticare (anzi valorizzare) la caratterizzazione psicologica dei personaggi, creando un parallelo tra le loro incomprensioni personali (si tratta di una coppia in evidente crisi) e la minaccia acquatica. Ben fatto.
Bignami di suspance che, pur non brillando particolarmente dal punto di vista della messa in scena, riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo, complice pure l'uso del digitale che in casi come questo favorisce l'immedesimazione. Il plot è scarno ed essenziale, gli attori praticamente due. Scommessa, se di scommessa si trattava, vinta.
Ansiogeno. Trama semplice (ispirata ad un fatto realmente accaduto), attori così così per la solita coppia in crisi, confezione tirata via... eppure ne mette di angoscia la storia di questi due disgraziati dimenticati a mollo dopo una escursione in barca, soprattutto quando il sole tramonta e restano sospesi fra il buio della notte e la profondità dell'oceano. Forse proprio la "ordinarietà" (della situazione, delle facce, dei dialoghi) fa scattare la molla dell'immedesimazione, tale da indurre l'empatia dello spettatore. Brutto il finto sequel.
Restando in tema "acquatico" vado controcorrente: il film, infatti, non mi è piaciuto per niente. Il motivo è semplice: la totale assenza, a mio avviso, di una qualsiasi parvenza di tensione. Sospetto si sia trattato solo di una delle tante furbate commerciali. Stavolta però il pubblico (almeno in Italia) non è caduto nella trappola. Ispirato ad un fatto vero, ha il merito (solo quello) di non cedere ad un happy-end.
In bilico tra reality horror – per lo stile documentaristico che implementa sadicamente il voyeurismo dello spettatore - e cinema sulla violazione dell'intimità di coppia - ma con gli squali che sostituiscono killer e presenze – il film di Kentis mantiene quello che promette (un fitto stato d'ansia) per quanto, date le premesse, avrebbe potuto spingersi ben oltre... Si dirà che i dialoghi sono penosi, ma in 50 minuti d'ammollo era difficile fare della filosofia. Buona la gestione dei tempi drammatici e assolutamente centrata la sferzata nichilista finale che libera dall'apnea ma non consola.
L'idea di fondo va elogiata: con pochi mezzi si costruisce un minimo di tensione e un racconto dignitoso. È vero anche che basarci sopra l'intero film lascia la sensazione di qualcosa di incompleto. Gli attori se la cavano, del resto non era richiesta loro la mimica corporea quanto la costanza di stare in acque realmente transitate da alcuni squali. E per quel poco che si vede nel prologo, come presenza la Ryan non delude.
Il merito storico di The Blair Witch Project è stato convincere una generazione di aspiranti registi che fare un film, avendo l'idea e giocando sulle paure più elementari dell'essere umano, fosse facile. Questa è anche la sua colpa storica: "Open Water" discende da qui e dall'equivoco che le immagini malferme di una videocamera digitale possano essere di per sé interessanti e coinvolgenti. Trashissimo il dialogo a letto, generalmente monocorde e prevedibile la permanenza in mare. Attori dimenticabili, ma non è certo colpa loro.
Altro pessimo esempio di film stile pseudodocumentario che altro non è che un espediente per fare molti soldi con una diveocamera senza stablizzatore d'immagine! Sceneggiatura patetica e dialoghi surreali portano a focalizzare l'attenzione su due pseudo-naufraghi della stoltezza umana. La noia è mortale più degli squali, che sono le comparse, mentre fa da protagonista l'assurdità di come si potrebbe rimanere in mezzo all'oceano e non venirne più fuori. Allucinante
A parte il primo quarto d'ora il film è totalmente incentrato su un'inquadratura fissa sui due sub intrappolati in mare aperto. Tra litigi, screzi, morsi di pesci, squali e adrenalina trascorreranno 60 minuti che sapranno catturare e angosciare. Tratto da una storia vera.
Straordinario esempio di cinema fatto con pochi elementi e tanta sapienza: scarno, essenziale, secco e angosciante, gioca ferocemente con alcune tra le paure più profonde (annegare, essere mangiati vivi), e mostra come le stesse possano devastare qualsiasi affetto o sentimento edificante. Non aspettatevi di essere stupiti con effetti speciali, ma preparatevi ad affrontare momenti di tensione quasi insostenibile, e soprattutto terribilmente realistica.
Ispirato da una vicenda realmente accaduta, il film narra le tragiche vicende di una coppia dedita a delle immersioni subacquee. Il mistero del mondo marino viene discretamente analizzato, ma è soprattutto l'inquietudine della seconda parte che implode in modo cinico dimostrando l'impotenza dell'uomo davanti alla natura.
Se penso a quanto accaduto ai due malcapitati, dimenticati in mare dopo una gita sub... brrr! L'attacco progressivo degli squali è agghiacciante, la dinamica appare corretta e devastante: puro terrore. I colpevoli non sono questi splendidi predatori, ma la superficialità degli uomini ed il moderno sentimento dell'oblio, della memoria per la gente che sparisce (la memoria). Pellicola molto semplice, ma con il giusto metodo anche mostrare due persone che nuotano nel blu può risultare vincente. Se siete subacquei e dovete fare una immersione, guardatelo dopo.
MEMORABILE: Negativo e penalizzante il finale, col povero squalo sventrato (potevano risparmiarselo: 1 pallino in meno).
Snervante, avvicina il più possibile gli spettatori alla coppia di protagonisti (attori pressoché sconosciuti) per far scattare la paura ancestrale delle acque profonde e dell'ignoto. Penalizzato da qualche stacco dalla tensione (le didascalie con l'orario, le inquadrature del cielo), ha comunque il pregio di riscoprire il lato più ferale e distruttivo del rapporto fra l'uomo e la natura. Un esempio raro di tensione realistica ed empatica, nella singolarità spaziale di un ambientazione lovecraftiana. Angosciante.
Un'ambientazione sicuramente originale quella che vede i due protagonisti soli in mezzo al mare per metà del film; ma è possibile mantenere viva l'attenzione dello spettatore con questa rigorosissima unità di luogo? Purtroppo la risposta è no. Era difficile cavarne un buon film e Kentis non c'è riuscito. "Ispirato ad una storia vera" quasi sempre sottointende che si tratta di una vaccata. Peccato. 1/2 punto in più per il coraggio nell'accettare l'ardua sfida.
Il film non ha un minimo di sceneggiatura, si fonda esclusivamente su un soggetto da filmino delle vacanze, l'incipit è tanto inutile quanto dannoso poiché si ripercuote sui dialoghi (ridicoli) nel momento di maggior tensione. Però non si può negare che raggiunga il suo scopo: lasciare lo spettatore nell'angoscia più assoluta, "immergerlo" in una una condizione di assoluta debolezza, abbandonarlo inerme nella solitudine di un ambiente "buio".
Coraggioso e particolare, onesto nel centellinare il dramma e le psicologie, tutto sommato deboli ma vere. Girato in digitale per emanarne tutta la freddezza voyeuristica con un’intelaiatura tirata all’osso, il film di Kentis si può vantare di un fattore angoscioso di tutto rispetto. Il meccanismo non si avvolge su se stesso ma, anzi, procede in crescendo addizionando disperata tensione, impotenza, ansia, paura, empatizzando con i protagonisti, facendoci prendere parte ad un terribile calvario che non poteva trovare finale più coerente. **!
Prova sublime di una storia alimentata da fatti accaduti realmente. Buona la ricostruzione intima e reattiva dei protagonisti che vivono il peggior momento della loro vita attraverso gli occhi della disperazione e della speranza. Regia molto buona con fotografia adatta alla situazione ripresa. Colori che richiamano la morte.
Mi domando: e se non fosse stato ispirato da una storia vera, quanto potabile sarebbe stato questo film? Io credo davvero molto poco. Perché in mancanza di virtuosismi o di cambi di marcia o di dialoghi convincenti, l'unica cosa che rimane allo spettatore nella seconda (e vera) parte del film è l'immedesimazione con i poveri protagonisti. Anche il vedo e non vedo in questo caso non funziona molto. E alla fine qualche pinna qua e là non riesce a dare fino in fondo il senso di angoscia e di impotenza. Stranamente ho apprezzato di più Alla deriva.
Su uno spunto che sancisce l'inaspettato incontro tra squali assassini e coppia solitudine & incomunicabilità, il regista sfrutta a proprio favore il budget probabilmente ridottissimo e impiega un pov che, accostato a un ondeggiante (riprese fatte da una barca?) punto di vista, crea un efficacissimo senso di spaesamento e disagio. In realtà il soggetto risulta riassumibile in un paio di righe e i dialoghi non possiedono la profondità sperata, ma il film gioca bene le sue carte e regge senza annoiare per tutta la sua (breve) durata. Attori ok.
Film immenso, infinito, profondamente insondabile; come le acque del mare, ora azzurre, ora nere, ora benevole e in grado di cullare; poi malvagie e fonte di mille insidie. La sceneggiatura è sintetica, perché racconta - basandosi su avvenimenti realmente accaduti - la triste passione d'una coppia di turisti appassionati d'immersione e dimenticati dallo staff, dal Mondo e fors'anche da Dio. Chris Kentis ci porta là, nel mezzo delle tenebre, circondati da ombre, più feroci dei pescecani; e il Diavolo se lo porti per quel melanconico finale!
Un uomo e una donna, che fanno coppia ma sono in crisi, rimangono isolati in mare aperto e in balia degli squali. Film agonico che parte da un ottimo spunto e che procede con una buona tensione fino alla conclusione. L'invisibilità dei famelici animali rende tutto più claustrofobico e la regia di Kentis è discreta nel sottolineare la drammaticità della situazione. Peccato che i due protagonisti siano attori un po' pasticcioni e poco credibili. Si può vedere.
Ispirandosi a una storia vera, il regista cerca intelligentemente di uscire il più possibile dalla dimensione prettamente cinematografica e di girare con stile documentaristico, quasi sempre con mdp a spalla a spiare da vicino l'intimità dei protagonisti, prima e dopo l'immersione. La parte acquatica è realistica e punta più sul senso d'isolamento che sulla spettacolarità, potendo anche contare su una coppia di personaggi credibili; un pizzico di noia, ma la breve durata compensa. Mezzo punto in più in quanto iniziatore di un vero filone.
Poco più di un mediometraggio, girato interamente in digitale e con attori non professionisti, eppure il film funziona e probabilmente funziona proprio per queste tre ragioni: perché è breve, perché utilizza tecniche di ripresa inusuali e perché la vera protagonista è l'acqua. Il senso di smarrimento e la disperazione col passare dei minuti finiscono inevitabilmente col coinvolgere anche lo spettatore: squali, meduse, barracuda, il temporale o il sopraggiungere della notte sono collaterali, il vero mostro è la solitudine.
Ottimo dramma minimalista giocato tutto sulla tensione e sull'interazione di due protagonisti in una situazione da incubo. Praticamente non ci sono effetti speciali, pur trattandosi di fatto di un film con squali assassini: tutto viene visto e ripreso con lo sguardo freddo di una videocamera, come se si girasse un documentario. Il mare aperto non è mai sembrato così opprimente e angosciante. Nel filone degli animali killer si tratta di uno dei più plausibili e spaventosi e la saggiamente breve durata evita il fardello della noia. Bellissimo.
MEMORABILE: Le riprese sul filo dell'acqua che lasciano intravedere, senza mai mostrare spettacolarmente, le decine di squali che attorniano i due protagonisti.
Girato con ristrettezza di mezzi (130.000 dollari), il film è un inequivocabile esempio di esercizio ansiogeno ben riuscito dall'inizio alla fine. Il merito, eccettuati gli attori di mestiere e la regia semplice (per non dire quasi amatoriale), risiede nella capacità di far leva sul senso di immedesimazione verso la coppia di sventurati alle prese con un oceano che si svela imperscrutabile e spietato (correnti, meduse, pesci spazzino, orde di squali a pelo d'acqua). Corretti sia il minutaggio che lo scioglimento finale.
MEMORABILE: Le sagome degli squali a pelo d'acqua, qualcosa di spaventoso.
Una coppia in vacanza viene dimenticata al largo durante un'immersione turistica. Non è il solito shark movie e si basa su una storia vera; a questo proposito la regia decide di usare un tipo di confezione poco artefatta, da documentario/reality, il che sicuramente contribuisce a sottolineare la notevole drammaticità e tragicità degli eventi che precipitano gli ultimi venti minuti, prima dei quali c'è un tenore da survival movie con antefatto della coppietta in vacanza (e scenetta intima con nudo). Non è poi un gran intrattenimento ma la regia è buona.
MEMORABILE: La guida che dice che gli squali del posto non atraccano l'uomo; notevole il nudo della Ryan.
Peggio dell'abbandono su un'isola deserta c'è l'abbandono in mezzo all'oceano; che cosa si possa provare lo vediamo in questa sorta di cinema verità nel quale nulla viene risparmiato; l'angoscia è alimentata dalla sensazione di essere insieme agli sventurati non conteggiati nel gruppo di subacquei da recuperare con conseguente scatenamento di paure ancestrali (la perdita di controllo sugli eventi, il buio, i rapporti con l'altro). Giusta la breve durata (che concentra gli eventi senza banalizzarli) e ipnotica la scarna ost composta da nenie che sembrano richiamare un canto funebre.
MEMORABILE: Nell'oceano, nelle notti senza luna, solo i lampi offrono scampo dal buio totale.
Dai boschi all’oceano. Terra e acqua. La sconfinata bellezza della natura e il terrore dell’ignoto ancora una volta in un duello ad armi pari. Film di un realismo assoluto, agghindato da una tensione orchestrata con rigorosa efficacia, semplice nella sua linearità spazio temporale, contraddistinto da un agghiacciante, inesorabile punto di non ritorno. Bravi i due interpreti; inquietante il sound design. Paranoico.
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DiscussioneBrainiac • 30/07/09 16:48 Call center Davinotti - 1464 interventi
Anche a me è piaciuto tantissimo.Bellissimo il finale,perchè da come si svolge ci si aspetta tutt'altro
________ATTENZIONE_____
_________Spoiler_______
essendo presentato come un film tratto da una storia vera,ci si aspetta come minimo che uno dei due protagonisti l'abbia raccontata.Questa è una vera genialata!
_________________Fine Spoiler________
Tra l'altro,secondo me,è molto interessante anche il successivo Alla deriva,che mostra ancora di meno!
Mi è decisamente piaciuto. Meglio del successivo "Alla Deriva", che comunque non era disprezzabile..
DiscussioneZender • 31/07/09 20:54 Capo scrivano - 48839 interventi
Piuttosto originale come concezione, realizzato come doveva essere realizzato un film del genere. ha soddisfatto anche me. Il sequel è vedibile ma di molto inferiore (oltre che zeppo d'ingenuità, anche se al momento non le ricordo).
CuriositàBrainiac • 20/02/11 12:12 Call center Davinotti - 1464 interventi
Parto in acqua:
"Chris Kentis e la moglie Laura Lau, entrambi subacquei provetti, hanno ideato e finanziato il progetto con circa 130.000 dollari, per poi venderlo alla Lion's Gate per due milioni e mezzo dopo averlo presentato al Sundance Film Festival.
Le riprese sono state girate solitamente nei week-end o durante delle festività, da una troupe di al massimo due o tre persone, coadiuvate da un buon numero di esperti di squali addetti alla sicurezza (70.000 dollari sono stati spesi solo per questo). Il regista Chris Kentis è anche stato l'unico operatore di macchina per tutte le scene, che hanno portato lui e i due protagonisti in acqua per più di 120 ore".