Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Il regista sa il fatto suo; e questo si deduce da alcune scene d'azione girate con indubbio mestiere, realistiche persino quando poliziotti e trafficanti si crivellano di colpi. C'è però un problema: personaggi come Ha Ha e i due sul camion sono spesso al limite della caricatura, e alla lunga la cosa pesa abbastanza. Comunque, grazie al protagonista bifronte e a un ritmo piuttosto costante, lo si segue con un certo interesse, fino all'epilogo, che colpisce per la sua asettica freddezza. Nel complesso, non male.
Perturbante cosmic horror lovecraftiano prodotto da Slash dei Guns & Roses. Parte con le solite indagini sul cadavere in avanzato stato di decomposizione, con tanto di liaison mai sopita tra sceriffo e bella consulente, con terzo incomodo il medico legale. Ma il finale è uno splatter ottantiano e si fa fatica a tener conto degli omaggi e delle citazioni: dai classici di Gordon, Kaufman e Cronenberg ai recenti colori spaziali e vuoti siderali.
La trama non è neanche male e ci son anche un paio di sorprese. Quello che nuoce al film è la regia sciatta e poveristica di Mario Banchi (è lui il vero regista, e il suo stile è qui riconoscibile). Tra gli aspetti positivi c'è Renzo Montagnani in una parte non di commedia (è bravissimo e misurato) e un'impostazione piuttosto anticonformista sui vizi del giovane prete.
Fedele all'originale, il film ricrea le inquietudini del romanzo dove la vicenda del protagonista che vede cadere le certezze borghesi è specchio del crollo dell'Impero (e, quindi, dell'Ordine come inscalfibile riferimento morale ed etico). Il dubbio, nutrito dalle fantasticherie e dal desiderio sessuale ormai liberato, si insinua come lama nelle esistenze di tutti confondendo realtà e sogno. Nonostante i limiti del format televisivo un'opera pregevole con un cast ben centrato nei rispettivi ruoli.
Una montagna di ottimi effetti speciali messa a servizio del nulla, constatato che, se si escludessero i vari film mentali e trip lisergici, la storia in sé si risolverebbe in mezz'ora al massimo (e invece si trascina per quasi due ore). Qualcuno di questi roboanti "viaggi" fuori contesto fa anche sorridere, ma non può nascondere il fatto che siamo sostanzialmente di fronte a una storia spalmata ben oltre i propri fisiologici limiti, ripetitiva e di dubbia utilità. I super atletismi al rallentatore sarebbe stato meglio lasciarli a 300, in cui erano quantomeno giustificati. Assurdo.
Tre ragazzi tentano di rapinare la casa di un cieco: non tutto filerà liscio, anzi. Horror di buon livello, ha tutti gli ingredienti che fanno al caso di questo genere. La storia è semplice quanto interessante per un film violento e crudo, con momenti che rasentano lo splatter. Il finale apre le porte a un sequel, la regia di Fede Alvarez è molto efficace, le atmosfere suggestive.
Avventura per ragazzi in una Venezia dai tratti che si vorrebbero magici ma che tali possono apparire al massimo in qualche allucinazione del piccolo Bo (Harris), la mascotte del gruppo. Il fantastico subentra insomma soprattutto nell'ultima parte, con l'attivazione della "giostra", perché prima si racconta più che altro la storia di un gruppo di ragazzini guidati dal "Re dei ladri" del titolo, uno di loro che indossa una maschera veneziana (di quelle col naso lungo) e si procura oggetti preziosi da vendere a una sorta di laido ricettatore, tale Barbarossa...Leggi tutto (Sayle).
Tutti orfani (o presunti tali), i ragazzi sono accampati al Cinema Stella (che sarebbe poi il Teatro Italia, a Venezia, un tempo realmente esistente), dove organizzano di giorno in giorno il da farsi. Gli ultimi arrivati sono i due dai quali la vicenda prende le mosse, una coppia di fratelli che hanno da poco perso la madre e si sono trovati in orfanotrofio – nel caso del maggiore, Prosper (Taylor-Johnson) - o a vivere con la zia e lo zio (insopportabili) nel caso del piccolo Boniface (Harris). Una notte Prosper passa a prelevare Bo e insieme i due partono per Venezia, la città che la madre aveva loro magnificato a lungo e descritto come luogo incantato, popolato di creature leggendarie. E infatti, una volta arrivatici dopo un viaggio da clandestini, Bo comincia subito a vedere statue di leoni che si muovono, sirene nei canali...
Poi l'incontro con i ragazzi di Scipio (Weeks), il sedicente “re dei ladri”, e l'inserimento nel gruppo, all'interno del quale si svilupperà una solidarietà tra ragazzi necessaria per creare complicità con lo spettatore, inevitabilmente di pari età considerato il tipo di confezione, studiata proprio in funzione di una partecipazione attiva da parte di chi deve sentirsi coinvolto nell'azione. Che non manca, infatti, con l'inserimento nella storia di un detective privato (Carter) ingaggiato dalla zia (Boyd) per ritrovare i due ragazzini a Venezia (dove pure lei si recherà col marito).
Le riprese per la città evitano (salvo qualche ovvia scena a Piazza San Marco) di mostrare troppi scorci inflazionati andando in aggiunta a costruire, ad Amburgo, un particolare - e inesistente - angolo di Venezia (con due ponti affiancati) che verrà lungamente utilizzato soprattutto per le sequenze notturne. L'effetto è buono, mentre lascia un po' a desiderare la sceneggiatura, che nella caccia all'ala in legno di un leone individua il suo spunto alla GOONIES (da sempre, per il cinema dei giovanissimi, il modello di riferimento). La recitazione non è il punto di forza ma lo si poteva immaginare, con tanti ragazzini in scena; qualche adulto sopra le righe (Sayle in primis) e una certa difficoltà nell'esporre con chiarezza l'intreccio. Piacevolmente enfatica la colonna sonora, con stacchi epici che accompagnano alla Spielberg alcuni passaggi, ben studiate alcune riprese notturne che danno la misura di un lavoro comunque mai sciatto. L'ambientazione veneziana si presta a conferire una patina originale al tutto e, nei suoi chiari limiti, il film potrà anche appassionare il pubblico di riferimento.
Insopportabile, tediosa e presuntuosa commedia noir finto sofisticata che per tutto il tempo non fa che vivere di moine, scambi d'occhiate, look ricercati e di un Tim Roth attaccato alla bottiglia dalla prima all'ultima scena. Non è facile trovare un film in cui ogni tentativo di risultare simpatico s'infrange contro una barriera di leziosa artificiosità che rende ogni sequenza un concentrato di inutilità e di smancerie fini a se stesse.
La storia vorrebbe raccontare di due gangster in fuga da Londra, Harriet (Thurman) e Peter (Roth), che si rifugiano a Los...Leggi tutto Angeles nel tentativo di non farsi trovare, pur sapendo che presto o tardi la perfida Irina (Maggie Q) scoprirà dove sono. Intanto si ricongiungono a un loro vecchio sodale, Sydney (Fry), felicissimo di ritrovarli, il quale subito propone loro un affare intrallazzando nel contempo con Irina che, guarda un po', è segretamente innamorata di Harriet. Nel frattempo Peter ritrova a Los Angeles la sua vecchia fidanzata, Jackie (Eve), che ora sta insieme a Gabriel (Glover), regista di successo con cui vive in una lussuosissima villa. Invita lì Peter, il quale scopre che Jackie è in possesso di un preziosissimo anello che potrebbe proprio far caso a lui e Harriet, decisamente in bolletta.
Gabriel tuttavia non se la spassa solo con Jackie ma anche con la moglie Gina (Posey) e l'esuberante Vivien (Vergara), la quale non fa che ripetere di volerselo portare a letto... Un ménage a trois che dovrebbe movimentare l'azione ma genera invece ulteriore confusione in una trama pasticciatissima in cui le truffe non trovano spazio se non sullo sfondo di un caos indescrivibile. I minuti passano tra futilissimi dialoghi, un Gabriel che deve passare da una donna all'altra e una Harriet che è sempre in tiro, elegante e seducente, scambiata però da Jackie per una "sussurratrice di cani" (avrebbe cioè il compito di capire cosa vuol esprimere il cagnolino della giovane). Harriet - che pretende di farsi chiamare "comunicatrice di animali" - capisce che può divertirsi e finge di parlare a lungo con la bestiola, ma anche questo fa parte di un quadro generale desolante, che cerca di infilare battute senza disporre della competenza necessaria e si accontenta di descrivere un ambiente chic e pretenzioso nel tentativo di agganciare un genere che nemmeno si capisce quale voglia essere, a metà tra il pulp meno sguaiato e una sorta di parodia del noir del tutto velleitaria.
Osservare un cast di così grandi nomi finire alla deriva minuto dopo minuto non è gradevole, e lo è ancor meno sorbirsi in sequenza scene che non dicono assolutamente nulla, nelle quali Roth compare (pure spesso) giusto per farfugliare qualche parola e riattaccarsi alla bottiglia. Dura 95 minuti ma sembrano il doppio, con un lungo elenco di forzature e interpretazioni sopra le righe che contribuiscono a donare un'aria terribilmente fasulla all'insieme, sublimata nel momento in cui l'anello lanciato da molto lontano cade dall'alto giusto nel bicchiere della Thurman.
Tra i tanti triangoli sentimentali proposti al cinema, uno dei più insoliti. Eppure per nulla improbabile, perché da sempre l'amore prende direzioni autonome, non direzionabili a proprio piacimento. Qui Marc (Fourastier) vive con Suzanne (Bonnaire), una coinquilina deliziosa, charmant, dal sorriso radioso, ma non è interessato a lei: è omosessuale, e quando in piscina un altro ragazzo, Lucien (Blaine), salva Suzanne che si è sentita male mentre nuotava, se ne innamora; nello stesso momento in cui lui invece si innamora di Suzanne, che per chiudere il cerchio...Leggi tutto ha sempre guardato con interesse Marc. E' tutto sbagliato, insomma, un corto circuito non sanabile che si trascina generando imbarazzi, equivoci, lunghi silenzi da gestirsi non si sa come e che il regista Michael Béna (cameo hitchcockiano fuori dalla cabina telefonica da cui chiama Suzanne) drammatizza escludendo le musiche dal film, alla Rohmer.
I dialoghi si fanno quindi ancora più gravi, vicini alla realtà in quelle frasi spezzate che si perdono in uno spazio sospeso, lo stesso che divide i protagonisti e che trovano in Marc la figura che meglio di tutti incarna quel non saper come rapportarsi a un mondo che non capisce e non lo capisce, che lo porta a piangere sotto la doccia confondendo le sue lacrime nell'acqua, che cerca conforto in Suzanne senza però stabilire troppo un legame che possa definirsi importante nemmeno con lei. Lucien pare meno contorto nei suoi ragionamenti, ma non riesce a far breccia in Suzanne, che pure non lo respinge mai se non quando le avance si fanno troppo insistenti arrivando troppo oltre.
C'è poi la voglia di cambiare posto, città, la fuga in direzione di qualcosa che possa cancellare radici fragili, infelici. C'è una complessità psicologica che non può non rispecchiare quella del suo autore, regista di qualità alla sua unica prova dietro la macchina da presa (morirà di Aids di lì a poco), già inevitabilmente alle prese con un dolore e una consapevolezza dati dalla propria condizione. Ne è uscito un film rarefatto, impalpabile, delicato, che però, da una situazione di stallo che non trova sbocchi, non riesce a progredire per raggiungere una concretezza che gli darebbe una forma decisa.
La presenza di personaggi esterni non ben inquadrati nel quadro generale (a cominciare da Clothilde, l'amica di Suzanne) lasciano aperte tutte le porte senza arrivare a chiuderne nessuna nel consueto finale aperto alla francese, che ti arriva lì d'improvviso, come un passaggio a livello che passato il treno non s'alza più, senza una ragione. Lasciandoti a ripensare a quei tre, alla forza di scene indubbiamente azzeccate lasciate a bagno in un liquido che muove tutto con scarsa decisione, magari proprio come l'acqua di quella piscina che diventa l'unica valvola di sfogo per tutti e tre, momento di riunione che per qualche minuto scaccia una solitudine opprimente, mista a una tristezza ineludibile. Però poi, quando manca una storia e tutto verte all'indefinito, non è facile proseguire fino alla fine, nemmeno se la durata si contiene sotto l'ora e mezza (titoli di testa e coda compresi)...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA