Già nell'incipit (Lavinia che si prodiga in un rito pagano in riva ad un laghetto) salta subito fuori la mano di Richard Stanley e tutto il suo umore iconoclasta, che non ha perso un grammo dai tempi andati di
Demoniaca (che per il sottoscritto resta il suo capolavoro, anche se limitato a non poterlo gustare nella sua versione voluta da Stanley ma solo sulla , qualitativamente, penosa vhs della
Multivision), che si ripete nel secondo rituale sempre con Lavinia, nella sua stanzetta, a incidersi le carni con un taglierino seguendo il Necronomicon o nella figura dell'eremita Ezra, che , mummificato, davanti a schermi e audio registratori dalla voce distorta non può non far venire alla mente le suggestioni cyberpunk di
Hardware, fino a Ward che esce a rivedere la luce , dopo la notte di totale e distorto delirio spaziale, che sembra il deserto della Namibia di
Demoniaca.
Stanley , con la sua fortissima personalità, si appropria della nostalgia per la SF anni 50 (che, probabilmente, in mano a un altro regista sarebbe stato l'ennesimo fantahorror da discount) e tra trascischi hippieschi e trip allucinogeni fa montare ben bene la tensione (non senza le avvisaglie disturbanti disseminate qua e là: la mantide violacea che esce dal pozzo, i pomodori e le pesche abnormi, i fiori che crescono sospettamente rigogliosi, il pozzo, la puzza emanata dal meteorite che avverte solo Cage), per poi esplodere in tutta la sua furia devastante in dirittura d'arrivo tra mostruose mutazioni edipiche che lasciano il segno (FAMEEEEE) e un parapiglia lisergico e psicotronico tra i più stordenti degli ultimi anni.
Il momento destabilizzante in cui la madre si affetta le dita con noncuranza (prima di servire uova con pulcini abortiti) e esclama divertita "La cena è pronta" (mi è balzata alla mente una scena pressochè analoga con Suzanna Love nel lommeliano
Mirror) , mostrando la mano sanguinante senza le due dita o la follia che si impadronisce inesorabile di Cage (in uno dei suoi ruoli migliori in assoluto) che sbrocca totalmente come papà Freeling di
Poltergeist 2, non prima di aver deliziato con un attimo di pura commedia rancida (le sue lamentele quando si vede in tv intervistato dalla giornalista che lo prende bellamente in giro).
Il ritorno di un autore istrionico e dotato di una visione non comune (gli spazi ariosi del New England come quelli sudfricani, che nascondono minacce e insidie) che spiace veder ridotto a soli tre film e mezzo. E spiace ancor di più sapere che
Il colore venuto dallo spazio avrebbe dato nuova linfa creativa a Stanley, progettandone una trilogia, se non fosse stato per una brutta storia di violenze domestiche che ha decretato l'estromissione perenne del regista a progetti futuri.
Gustosissimi gli SFX "bottiani" del duo Allen/Tuohey (anche quì Stanley opta per l'animatronic e poco per la CG) con l'impressionante e repellente fusione aracnide madre/figlio che sembra uscita dagli incubi tsukamotiani (
Hiruko in primis) e soprattutto i suoi insostenibili lamenti.
Forse meno originale dei suoi autenticati cult movie, ma dotato di una potenza visiva e di una suggestione evocativa che non lascia indifferenti.
E due giganteschi "loser" come Stanley e Cage a dar ancora polvere (demoniaca) alle nuove generazioni.