Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Due danzatrici giapponesi con ventaglio, in uno dei film della serie dedicata alle danze da un grande operatore dei Lumière, Gabriel Veyre. La grazia delle due danzatrici è tale che non si riesce a comprendere se l’andamento non simultaneo sia voluto o se sia trattato invece di un errore. Grazioso, ma con gli ovvi limiti della serie citata e di film analoghi dell’epoca.
Tratto da un racconto geniale di Matheson parte bene con una prima parte intrigante che incolla lo spettatore al video. Kelly però non sembra sempre padrone della situazione e finisce per lasciarsi scappare di mano lo script, che affoga tra cospirazioni, alieni, passaggi dimensionali e altro. Confusionario e poco centrato, sembra un'incursione nella psicologia e nella religiosità cercando di far convivere questi aspetti con l'impianto prettamente da fanta-thriller dato al contesto. Non avvince ma ha i suoi momenti. Il finale però non colpisce come avrebbe potuto.
Film evitabilissimo, basato su di una storia forzata e poco accattivante. Attori di certo non al top delle loro possibilità, atmosfere pretenziose che cercano di nascondere la pochezza di contenuti. La vicenda ruota intorno a tre artisti abbastanza antipatici e disegnati male dalla sceneggiatura e non riesce a risultare credibile più di tanto, nonostante i tira e molla tra di loro e le tinte thriller appena accennate.
Horror/commedy con insetti giganti sicuramente poco innovativa ma assolutamente dignitosa che vanta un buon ritmo e diversi momenti divertenti. Discreti effetti visivi (esclusa la scena del camion), alterna caratterizzazioni banali ad altre più centrate e qualche scambio di battute azzeccato. Non sorprende mai ma scorre che è una bellezza; valido anche l'immancabile finale aperto, cast nella norma, in cui giganteggia Ray Wise.
Un Hitchcock divertito e divertente, travolto dalla malia dialogica, che cuce addosso ai suoi attori caratteri grotteschi, iridescenti, non di rado infantili ma estremamente persuasivi. Fuori dalla trama e dai meccanismi del tipico mystery inglese, delle sequenze di puro cinema: il viaggio in treno, la lunga sparatoria, il finale liberatorio. Iconica May Whitty.
Il soggetto era intrigante e con potenzialità, ma viene sviluppato in modo fallace e la resa complessiva ne risente. Già titolo e prologo sono deleteri, poiché rendono da subito ovvia la provenienza "alternativa" dei miracoli compiuti; ciò che segue sarebbe anche recitato bene, ma procede trattando con troppa superficialità tutti quegli sbocchi potenzialmente interessanti, satirici e non, che un simile contesto poteva offrire. Il risultato quindi sa di occasione persa, in quanto, pur avendo un suo perché e meritandosi una visione, tende al banale appagando poco. Non buona la CGI.
La passione sfrenata per il fantacalcio si fa qui metafora di una voglia di ribellarsi a quella che per tanti dei protagonisti è una vita "da perdenti"; ma sono vite comuni, di ragazzi ormai cresciuti che nel gioco ritrovano un intenso spirito goliardico e di amicizia, condividendo momenti per alcuni versi indimenticabili, celebrando una ritualità che scandisce gli anni con le tappe del campionato di calcio, utilizzate in questo caso anche per separare le diverse fasi del film. Dall'asta all'ultima di campionato, passando per il tradizionale stop causa Nazionale...Leggi tutto fino al mercato di riparazione, si fa riferimento a un linguaggio profondamente legato a un passatempo che con gli anni è diventato sempre più diffuso, in Italia; al punto da far nascere una vera Lega Fantacalcio (qui tra gli sponsor).
E chi nemmeno sa cosa sia, il fantacalcio? Nessuna paura: Diletta Leotta, da sempre figura legata al mondo del pallone, interviene in soccorso spiegando, a beneficio dei profani, obiettivi, norme, premi... Ma non è poi così fondamentale scervellarsi per comprendere appieno il gioco, perché il film può essere comunque visto come una semplice commedia “giovanile”, di quelle in cui i personaggi danno l'impressione di chi non vuol crescere, rifugiandosi in una passione grazie alla quale si possa fuggire dalle frustrazioni del quotidiano.
In aggiunta, per dare un po' più di sale al tutto, ci s'infilano pure tracce di "giallo", con una ricostruzione a ritroso ricomposta davanti a una giudice (Guzzanti): la donna ascolta a turno i sette componenti del torneo per capire che fine abbia fatto l'ottavo, scomparso la sera prima senza aver più dato notizie di sé. Era la sera del suo addio al celibato. Qualche traccia di sangue sul pavimento della villa dove i nostri avevano festeggiato fa pensare al peggio, ma l'eventuale cadavere non si trova. E allora ecco che si retrocede via flashback a molti mesi prima, quando la morte improvvisa di uno del gruppo li aveva costretti a cercare un sostituto, con tanto di audizioni. La scelta a sorpresa era ricaduta su una donna, Andrea (D'Amico), destinata come si può immaginare a sconvolgere rapporti preesistenti fungendo da chiaro elemento destabilizzante. Simone (Ferrara) non tarda a innamorarsene, ma siamo solo all'inizio.
La giudice seduta al tavolo ascolta i racconti – tutti in qualche modo legati al torneo in corso – assai spazientita (nulla conosce del gioco e le tocca sorbirsi ogni volta inutili passaggi ad esso legati) e cominciamo così a conoscere parte delle vite dei partecipanti: i problemi familiari di Nicola (Russo); i dubbi sul matrimonio di Gianni (Borello); la latente depressione del suo coinquilino e migliore amico Simone; la precisione di Federico (Bannò), avvocato e principale garante della regolarità del torneo; l'entusiasmo del corpulento Jacopo (Giordano); l'asocialità di Francesco (Bottoni), che vive isolato nella sua stanza da anni... Chiude il defilatissimo Mirko (Kiniger), che compare di sfuggita un paio di volte, di fatto un "esterno" la cui utilità nell'economia della storia sfugge.
Piace il modo in cui è suddivisa e organizzata la storia, mentre si rivela una scelta giusta il non aver esagerato coi "tecnicismi" relativi al gioco, eleggendo a icona dello stesso l'attaccante del Cagliari Leonardo Pavoletti (fa un cameo nel finale), fissazione di Nicola, e lasciando emergere qua e là tormentoni, reazioni e comportamenti caratteristici “fantacalcistici” che chi conosce il gioco riconoscerà subito come tali. Il tutto però inserito in un'opera corale, magari banale nell'impostazione e negli sviluppi ma recitata gradevolmente, sorretta da una confezione superiore alla media delle commedie simili e con qualche discreta battuta disseminata qua e là che non guasta mai.
Brillante e vivace la regia di Alessio Maria Federici che annulla i tempi morti, bella prova di Francesca Agostini nel ruolo della promessa sposa, in parte la D'Amico e simpatica come sempre Caterina Guzzanti, qui in versione platino. Sufficientemente curate sceneggiatura e colonna sonora, comparsata del simpatico giornalista sportivo e commentatore Pierluigi Pardo, noto "sostenitore" del Fantacalcio, intercettato fugacemente durante una telecronaca.
Si sparano i nomi di Serena Grandi e Fabio Testi in locandina, dove campeggia una loro scena a letto, ma la verità è che la storia la fanno altri, con i due semplicemente confusi tra i non troppi sospettati di omicidi piazzati all'interno di una vicenda ricavata da un reale fatto di cronaca. L'ambientazione è bulgara, tra le strade e i palazzi di una Sofia che Mogherini riprende senza riuscirne a cogliere alcun aspetto vivace o pittoresco (se non forzatamente, inserendo un orso ballerino con lo sfondo della Cattedrale di Alexander Nevsky o scene alle terme d'epoca).
In...Leggi tutto un'Europa dell'Est rinnovata, i colori (e dire che la fotografia è di Kuveiller!) sono ancora quelli stinti del tempo precedente, la musica di Gianni Ferrio legata a quella operistica, i look bislacchi, con una lunga teoria di cappelli di ogni foggia che, quando compare la squadra di polizia dopo il primo omicidio - quello della scrittrice Sonia Petrova (Dimitrova) - ci presentano i due ispettori in tutta la loro eccentricità. Il più anziano (Kamarashev), classicamente sul punto di andare in pensione, delega il caso al più giovane, il vice ispettore Ivan Zanev (Martignetti), appassionato di sassofono e dall'aria molto meno carismatica. Dovrà indagare sulla famiglia della vittima, composta dal marito attore Peter (Testi), con il quale la donna viveva senza di fatto più avere alcun rapporto (viene infatti uccisa dopo aver fatto sesso in un motel con un aitante diplomatico), la figlia Ania (Pencheva) e la sorella Tania (Grandi), anche lei attrice, italiana. Tra i presenti al funerale - e quindi probabilmente coinvolti nei fatti - ci sono i colleghi di Peter, tra cui la giovane Milena (Petrova), che si dice essere la sua "amichetta", e la più stagionata primattrice Giulia (Bolkan).
Il materiale su cui lavorare, per la strana coppia di ispettori, non manca; a differenza della tensione, completamente assente, che in un giallo di questo genere, in cui si cerca un assassino di cui vediamo solo la pistola sparare in soggettiva, si vorrebbe percepire, almeno in minima parte. Al contrario Mogherini, che una volta di più difetta nel dare ritmo alla sua storia, si accontenta di svolgere il tutto tentando vanamente di dare spessore ai personaggi (l'unico che in parte riesce a emergere è l'ispettore capo, dai tratti alla Poirot) e denotando in questo caso chiare carenze nella direzione del cast. I trascorsi da scenografo avrebbero dovuto suggerirgli di arricchire un po' la messa in scena, ma evidentemente le limitazioni del budget non glielo hanno permesso e il risultato è un giallo dall'apparenza decisamente povera, che non convince né nel dipanarsi della trama né nella scelta degli indizi su cui investigare (davvero miseri).
Artificioso il rapporto tra il vice ispettore e la figlia con problemi di deambulazione e pure quello tra le due star Grandi e Testi (con qualche atteso nudo visibile solo nell'unica, canonica e scialba scena di sesso). Insomma, siamo nella tradizione dei gialli che non possono ambire a farsi ricordare per alcun motivo, con la Bolkan in un ruolo del tutto marginale e inserita giusto per ingrossare in qualche modo le file dei sospetti.
Mettendo il rock in primo piano nel titolo e nella foto in locandina si crea fin da subito l’associazione con la musica, ma lo spunto di base si avvicina piuttosto - se si vuole guardare a un cinema coevo - a quel GRAZIE RAGAZZI che Riccardo Milani aveva ripreso da una più celebre pellicola francese. Lì un gruppo di detenuti allestiva uno spettacolo teatrale attraverso il quale mostrava di poter essere “rieducato”, qui a fare da collante –...Leggi tutto sempre all’interno di un carcere - è una band rock nata da una collaborazione tra detenuti e incoraggiata dal sottosegretario (De Lorenzo) che deve sovrintendere alle loro attività ricreative ed è in contatto costante con la direttrice (Crescentini).
L’anima del gruppo, colui che per primo si muove per far nascere il progetto, è Bruno Verdocchi (Lillo), chitarrista dallo stile profondamente rock finito agli arresti per aver tentato di sabotare l’esibizione della sua ex band, gli Entry Level, dopo esserne stato cacciato per eccesso di esibizionismo (assoli del tutto fuori luogo, atteggiamenti da rockstar decisamente poco consoni). Una volta in prigione, e saputo che il compagno di cella Roberto (Lastrico) ha un passato da batterista, sogna con lui di poter formare lì un gruppo e cerca di convincere la direttrice dell'operazione. Lei non ci pensa nemmeno, ma viene presto ridotta a più miti consigli dal sottosegretario appassionato di musica e il progetto infine si avvia. Vi prendono parte un burbero bassista che tutti chiamano “il professore” (Elio), un corpulento bruto (Cagnina) specializzato nello “spanciare” il prossimo, una ragazza dal temperamento palesemente instabile (Claisse) che ha ucciso il padre e che suona la batteria confinando Roberto alle tastiere e, in un secondo momento, il cantante rap K-Bone (Naska, che cantante lo è davvero). L’obiettivo è quello di partecipare a un importante contest della Capitale, ma riuscirci non sarà facile e bisognerà capire quale dovrà essere la strada più percorribile.
Se la trama non è esattamente delle più originali, ci si aspetterebbe che a brillare fosse almeno la sceneggiatura. Invece le battute si contano in numero minore del previsto e il compito di far ridere spetta soprattutto a Lillo, unico della band a ricavarsi un ruolo di primo piano: gli altri restano sullo sfondo, in ombra anche nel caso di Lastrico che pur nelle prime fasi in cella sembrava poter recitare da ottima spalla. Il solo a spiccare è Elio, musicista autentico che – per quanto poco gli sia reso possibile dalla sceneggiatura – diverte imponendosi con quella caratteristica, rigida seriosità che lo fa risultare spesso più comico di chi cerca di far ridere attraverso la battuta classica. Finisce così che a farsi notare di più sono il veterano De Lorenzo, caratterista di rango con la tendenza evidente alla macchietta, il secondino eccentrico ben tratteggiato da Valerio Aprea e l’avvocatessa alle prime armi cui dà il (bel) volto Sofia Panizzi.
Il film è poco equilibrato e, per quanto diretto con una certa verve, carente d'inventiva. Appare inoltre più poveristico di quanto in realtà sia anche a causa di un ambiente grigio e statico, ben fotografato ma limitante. Una commedia guardabile, a tratti buffa (Lillo conferma la sua predisposizione al comico e una fisicità che lo associa in questo frangente, per ovvi motivi, al Jack Black di SCHOOL OF ROCK) ma talvolta tirata via e troppo spesso insignificante, pure nelle sue fugaci parentesi familiari con la figlia e la moglie di Bruno, riempitivi che hanno l’unico pregio di dare un po’ di varietà alle scene. Ultima parte on stage con esiti prevedibili e un po’ di musica “live”, ma anche qui quasi nulla da segnalare…
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA