Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Trascurabile in un panorama zombesco indipendente inflazionato. Parte benino con gli infetti nella base militare segreta, con suggestioni fulciane, ma poi si perde nell'anonimo condominio in cui si rifugia il capitano. I contaminati sono pochi ma un po' di paura provano a farla, finché non vengono stesi con la candeggina. Vorrebbe essere serissimo ma risulta spesso ridicolo, tra gangsta all'acqua di rose, drogati, massaie e prostitute pettorute.
Se, inizialmente, la serie potrebbe apparire come l'ennesimo "suppostone" che enfatizza e demolisce al contempo la "high society", basta farsi incantare dal fascino di Julianne Moore per pazientare e andare oltre. In effetti la sceneggiatura e i bravi interpreti, pur mantenendo alta l'attenzione su questa gabbia sociale (patinata, quanto illusoria) pongono al centro di tutto un tema importante. Quello della manipolazione. Ma chi manipola chi? Esteticamente ricercato e dalle ambientazioni fascinose (si spazia dalle sontuose stanze chiuse alle impervie scogliere mai a caso).
Tornato dopo sei anni sul luogo del delitto e nuovamente nascosto da un fantasioso pseudonimo, l'ineffabile Peter Perry Jr. allestisce un'altra folle vicenda "luciferina" che si snoda fra l'Inferno, popolato ovviamente da giovani e vogliose dannate, e il mondo dei vivi, questa volta in un imprecisato periodo biblico. Inutile parlare della risibile trama, visto che il tutto è finalizzato a mostrare più o meno senza interruzione nudi e amplessi di ogni tipo, molto spinti ma ancora nei limiti del soft. La variegata fauna femminile è sicuramente un bel vedere, ma non c'è proprio altro.
La trama non offre alcuno spunto originale (vediamo il solito "pentito" costretto a tornare a imbracciare le armi per difendere la sua famiglia); ciononostante, la pellicola ha qualcosa di affascinante: sarà forse l'ambientazione rurale, o magari la sensazione di sentirsi costantemente il fiato sul collo, oppure il ritmo lesto che accompagna degnamente il susseguirsi degli eventi (molto probabilmente la somma di queste cose che dà un totale a conti fatti niente male). Il cast offre una buona prova e il personaggio della ragazzina piagnucolona che si rivela intrepida conquista.
Anni 30, Mississippi, due gemelli reclutano musicisti per un juke joint riservato alla comunità nera, ma la sera dell'inaugurazione si presentano alcuni bianchi che vogliono partecipare alla festa... Sulle orme di Peele, Coogler propone una metafora sul razzismo interessante sulla carta ma poco convincente alla visione a causa di una sceneggiatura derivativa (palesi i debiti con Rodriguez), personaggi stereotipati e una regia piatta che la buona messa in scena e l'ottima ost non riescono del tutto a riscattare, mentre nel cast Jordan si sdoppia risultando doppiamente inespressivo.
Tortorici ci racconta le paturnie di un diciannovenne, interpretato dignitosamente da Manfredi Marini. E' un ragazzo svogliato che, più che vivere, si lascia vivere con pulsioni di morte. Il regista narra tutto ciò con una freschezza gradevole e, a volte, ironica, facendo leva su un pluristilismo formale che vede scene rallentate o accellerate, musica altissima e tanto altro, senza una sceneggiatura lineare ma sovrapponendo frammenti. Alla fine, però, vi è un eccesso di sperimentalismo autoreferenziale, che danneggia la riuscita del film con alcune scene troppo scollegate tra loro.
Non un sequel questa volta ma, visto anche un Keanu Reeves a mezzo servizio (e anche meno), uno spin-off, che s'intrufola nel mondo di John Wick sfruttando tangenzialmente l'idea del Continental (la catena di hotel di lusso in cui è proibito uccidere) e con più decisione quell'estetica laccata e raffinata mescolata all'azione turbolenta che sono marchi indelebili della saga. Reeves lo s'infila come marchio di garanzia certificato, presente molto di sfuggita (e semimuto) in una scena nella prima parte e in modo più decisivo e importante nell'ultima, quando...Leggi tutto agisce da “mediatore”.
Il prologo è poco centrato, con siparietti banalmente melodrammatici in cui padre e figlia si divertono sulla spiaggia e il carillon con la ballerina che appare insistentemente imponendosi come immagine simbolo del film. Quando poco dopo subentra l'azione esplosiva, con l'arrivo - nel castello dove i due vivono - di un manipolo di uomini in nero armati fino ai denti al servizio del losco Cancelliere cui dà il volto Gabriel Byrne, si rientra finalmente nel mondo "vero" di John Wick, nel quale da sempre si spara, si trucida, si bombarda, si vola e ci si mena a più non posso. Ma ancora il film non decolla: tutto troppo già visto, piatto... Bisogna aspettare la fatidica didascalia che ci riporta al presente (o meglio al 2019, a cavallo tra gli eventi del terzo e quarto capitolo) e l'entrata in scena della De Armas (la stessa bambina dell'incipit ormai diventata una donna, Eve Macarro) per cominciare a ingranare.
Le prime fasi sono tuttavia ancora un lungo percorso di iniziazione durante il quale la protagonista si allena a diventare una "ballerina" della Ruska Roma, scuola di danza - gestita da un donnone carismatico (Huston) - dove in realtà ci si trasforma in "guardie del corpo" molto particolari, con chiara licenza di uccidere. L'ha portata lì il buon Winston (McShane), il direttore del Continental di New York che l'ha aiutata dopo che nell'agguato il padre di lei era morto. Non le ci vorrà molto prima di incontrare sulla sua strada un uomo che sul braccio porta lo stesso simbolo di quello che Eve aveva visto sul braccio degli assassini di papà al castello. Partirà alla volta di Praga, dove ha scoperto che le stanze del Continental ospitano un altro killer affiliato alla stessa “setta”, e da qui si ritroverà nello splendido paesino austriaco di Hallstatt (il nome esatto viene mantenuto anche nel film), dove si rifugia il Cancelliere, l'uomo a cui Eve ha giurato vendetta.
Tutta la seconda parte del film è ambientata sotto la neve nel magnifico borgo, i cui abitanti verranno sterminati allegramente dalla "Ballerina" in quella che si trasformerà in breve nella consueta carneficina esagerata. Il livello dell'azione salirà a livelli parossistici e tutto rientrerà con decisione, dopo una sparatoria selvaggia in un'armeria che ci aveva fatto pregustare la violenza selvaggia e sanguinaria tipica della saga, nei consueti binari dello spettacolo brutale di indicibile ferocia: un delirio di corpi maciullati, bucherellati, accoltellati, impiccati, fatti esplodere e massacrati a ritmo di videogame. Il finale coi lanciafiamme alza ulteriormente l'asticella e - almeno al cinema - le scene valgono il prezzo del biglietto.
La De Armas non ha modo di brillare granché al di là della prestanza fisica, gli altri fanno quel che devono e la regia tiene viva l'attenzione senza concedere un attimo di tregua (memorabile anche un comico scontro ravvicinato con piatti spaccati in testa). Gli appassionati della saga gradiranno, pur se qui latita parzialmente quella poesia rafforzata da una sorta di misticismo che si accompagnava a uno stile esteticamente elegantissimo e alla grandiosità scenografica, ritrovata in questo caso solo grazie ai suggestivi scenari sul lago ad Hallstatt.
Ad attirare ogni attenzione non può che essere la livida Vienna del dopoguerra, fotografata con un bianco e nero sublime da Robert Krasker (meritatissimo l'Oscar). L'abilità del regista Carol Reed nel coglierne scorci architettonicamente straordinari, allargandoli con grandangoli che ne abbracciano la ricchezza delle decorazioni o le prospettive impossibili (si pensi alle riprese sotto la ruota del Prater), riempie gli occhi, rendendo difficile non distrarsi da una storia che al contrario non ha nulla di troppo eccezionale, un noir spionistico convenzionale retto da un Joseph...Leggi tutto Cotten corretto ma niente più.
Nel film Cotten è Alga Martins (in originale Holly Martins, chissà cosa è saltato in testa ai nostri traduttori), scrittore di romanzi d'avventura di poche pretese, chiamato nella capitale austriaca dal suo amico d'infanzia Harry Lime per un lavoro di cui nulla è dato sapere. Né si saprà in seguito, dal momento che Martins scopre come Harry sia appena stato trovato morto dopo essere stato investito da un'auto. L'uomo presenzia al funerale di Harry e viene messo al corrente dalla Polizia che il suo caro amico non era esattamente uno stinco di santo. Non glielo conferma però l'amante di questi, Anna Schmidt (Valli), ancora innamorata dello scomparso, che non tiene per nulla in considerazione le chiare avance di Martins.
Martins prova come può a indagare su alcune circostanze poco chiare relative alla morte di Harry. Ad esempio viene a sapere che, oltre alle due persone che avevano portato via il corpo, sul luogo dell'incidente era presente un terzo uomo (da cui il titolo), la cui identità sembra a tutti sconosciuta. Anzi, gli altri due negano sia mai esistito, questo terzo uomo... Intorno a questa figura misteriosa ruota una storia che non manterrà poi il segreto troppo a lungo, svelando progressivamente la soluzione. Nel frattempo alla Valli viene concesso ampio spazio per dare corpo a una figura melodrammatica che l'algida attrice è brava a non far scadere nel melenso.
E' chiaro poi che la comparsa in scena di Orson Welles diventa d'improvviso centrale, contribuendo a dare varietà alla vicenda e permettendo al grande uomo di cinema di confezionare per se stesso un celeberrimo monologo (inutile citare una volta di più la frase sull'Italia che in un'epoca di orrori e odio seppe far nascere Leonardo e il Rinascimento al contrario della Svizzera, alla quale il placido benessere permise di donare al mondo solo... l'orologio a cucù!). Ma ancora e sempre a lasciare meravigliati sono gli scenari studiati in ogni inquadratura soprattutto per i tanti esterni, ancor più fascinosi quando girati di notte, con contrasti di luce che ne mettono in risalto le forme e i particolari.
Si respira modernità nella caratterizzazione di molti personaggi, ambigui e beffardi, meno nello sviluppo della storia, penalizzata da una regia piuttosto compassata che si sviluppa arenandosi in pause non richieste e lungaggini inutili (e l'invadente chitarra acustica di Anton Karas in colonna sonora, quando dilaga, diventa snervante), con l'uso però della lingua tedesca che, non comprensibile al protagonista, ne restituisce in molti casi lo spaesamento. Molte le scene passate alla storia del cinema, ma ancora una volta più per la loro resa grafica (l'inseguimento nelle fogne, la caccia notturna al "terzo uomo", il finale lungo il viale alberato del cimitero) che per il significato delle stesse all'interno del film. Comunque un classicissimo da conoscere.
Dal Nuovo Galles del Sud, in Australia, il rude sergente della polizia Scobie Malone (Taylor) se ne volerà fino a Londra, dove lo aspetterà una missione decisamente non facile: dovrà riportare in patria - per conto del primo ministro - nientemeno che sir James Quentin (Plummer), alto diplomatico australiano con il quale il politico è in contrasto. L'agente non ne avrebbe alcuna voglia, ma non può evitare di partire.
Appena arrivato nella capitale inglese, Malone si imbuca a un ricevimento organizzato da sir James durante il quale comunica a quest'ultimo...Leggi tutto cosa sia venuto a fare lì, spiegandogli come in Australia dovrà rispondere di essere scappato dal paese poco dopo l'uccisione di sua moglie, della quale è sospettato. L'uomo si mostra comprensivo, corretto, ma spiega che prima dovrà concludere degli importantissimi colloqui di pace che gli impediranno di lasciare Londra se non dopo due o tre giorni. Malone si irrigidisce, spiega come lui debba eseguire degli ordini ma intanto, all'esterno della villa del ricevimento, qualcuno cerca di far fuori sir James, salvato dallo stesso Malone che si lancia all'inseguimento del killer.
I rapporti tra il poliziotto e il diplomatico presto migliorano; ospitato in villa, il primo conosce la moglie del secondo e la sua bella segretaria (Sparv), ma non solo; anche altri personaggi che non si capisce bene quale ruolo avranno nella vicenda, speziata di spionaggio internazionale e a tratti piuttosto confusa. Ad ogni modo la storia si segue e contrappone Malone a uomini che mostrano di avere la seria intenzione di eliminare sir James. Dopo un'introduzione che ce lo mostra alle prese con ladri da quattro soldi nel deserto australiano, in un clima decisamente afoso (si notano le tragiche, sudatissime ascelle di tutti), Malone mostra già la risolutezza di un carattere granitico a colloquio col ministro. Non gli basterà per evitare la trasferta londinese, durante la quale la sua personalità avrà modo di imporsi attirando le attenzioni delle belle donne che ronzano intorno all'elegantissimo, rispettoso e corretto sir James, cui Plummer regala tutta la sua classe. In villa anche Clive "fin qui e non oltre" Revill nel ruolo del maggiordomo poco avvezzo ai comportamenti non sempre “ortodossi” dell'australiano.
La sceneggiatura ha buoni momenti ed è scritta con mano piuttosto felice, ma a difettare è la regia di Ralph Thomas, non fiacca ma priva di scene che riescano a catalizzare l'attenzione. Anche in quella "hitchcockiana" sul Grand Centre di Wimbledon (dove si sta svolgendo un'importante partita di tennis) non si riesce a respirare la necessaria tensione, col risultato di trovarsi di fronte a un action spionistico piuttosto spento, rigidamente british, che nonostante un buon lavoro d'insieme scarsamente coinvolge.
Rod Taylor ha comunque la faccia giusta per il ruolo, quella del poliziotto un po' rozzo e fuori luogo ma che sa come comportarsi nell'alta società senza sfigurare, grazie all'acutezza e alle pronte risposte. Qualche scazzottata di troppo (in cui Malone spesso le prende), una femme fatale dagli occhi di fuoco come l'israeliana Daliah Lavi (volto baviano e rondiano di un 1963 italiano per lei memorabile), un flavour fine Sessanta molto chic ma una storia condotta in modo anonimo e asettico, ben recitata quanto anodina.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA