Raffinatissima e intensa "ghost story" che rispetta, con reverenza, tutti i meccanismi del genere
Intenso racconto gotico di paura e elaborazione del lutto, dove il soffio della morte echeggia in ogni inquadratura, nel paesino superstizioso e omertoso, nella palude, tra i boschi, nella maestosa e funebre villa, circondata di fulciane lapidi e tombe (essì, perchè il cinema del terrorista dei generi si avverte nelle lande marciscenti che circondano questa villa inferno)
Watkins ritorna all'infanzia dannata, non più ferina e aggressiva, ma malinconica e "rubata", strappata alla vita con escamotage suicidi che ghiacciano il sangue (il suicidio di massa delle tre sorelline che apre il film è un pezzo di cinema straordinario, così come la fanciulla che si dà fuoco nello scantinato in cui è reclusa-per protezione-dai genitori, sulla spiaggia facendo castelli di sabbia, sboccando sangue al posto di polizia), con stuolo di bimbi fantasmatici sotto una pioggia torrenziale abbagliata dai lampi e dai tuoni.
Watkins sembra "imborghesirsi" rispetto al suo selvaggio esordio, in realtà racconta la moria infantile con sottile crudeltà, dove i genitori del villaggio (dei dannati) vivono nelle loro case con le loro paure e l'avversione verso l'intruso che viene dalla città, figli protetti( non più piccoli assassini, ma vittime dell'angelo della morte in nero che li chiama a sè), e un atmosfera sinistra e malevola che avvolge questa fiaba nerissima, questo giro di vite funesto e funereo, tra gingilli barocchi e giocattoli inquietanti, apparizioni spettrali e lettere di odio e la sequenza del pulcino morente che cade dal nido, poi raccolto da Radcliffe, ha qualcosa del vontrier di
Antichrist, dove, anche quì, il kaos di sorella morte regna lambendo anche la fauna e la flora circostante
Chiudendo, poi, il cerchio con un finale bellissimo del "tu dai una cosa a me, io do una cosa a te", tanto crudele quanto poetico (anche gli ectoplasmi vendicativi percepiscono il dolore della perdita dei viventi), dai riverberi amenabariani, via di mezzo tra le surreali brume di
Amabili resti e il racconto di Ambrose Bierce, che ricongiunge vita/morte e eternità.
Terrifica la dama in nero nelle sue brevi ma incisive apparizioni, sorta di Janara così radicata nelle credenze popolari, la paura atavica della resurrezione (la notte in cui Nathaniel uscì dalla tomba), metempsicosi materne (la sequenza della madre di Nicholas "posseduta" a tavola è da antologia), il sacrificio delle piccole vittime indotte al suicidio da un disegno oscuro e vendicativo, il gotico che tutto avvolge (più da tradizione italiana che nemmeno quella della Hammer dei tempi d'oro), la bruma, l'alta marea, l'atmosfera fosca e grigia che ammanta tutto il film.
Qualche jumpescare (ma essendo un "ghost movie" è quasi doveroso), CG usata quà e là (uno dei pochi punti deboli del film), la sequenza della palude che nemmeno nei
Vicini di casa (un pò forzata a dire il vero), non intaccano un'opera caliginosa, plumbea e funerea, che vive nella messa in scena rigorosa e cupa che Watkins infligge, tra bambole, giochi di bimba, stanze mortifere, sedie a dondolo e impiccagioni.
Peccato che i più (recensioni di Film tv e Ciak compresi) si soffermino superficialmente sulla prova dell'ex Harry Potter Daniel Radcliffe, quando il film è molto di più di questo.
Non è tanto la paura, ma il disagio e la mesta sofferenza della perdita dei propri cari a dare scossoni di lancinate tristezza.
Opera della e sulla morte, con tutte le sue dolorose implicazioni.
Non inseguire le ombre