Raffinato horror americano tenuto solitamente in grande considerazione dagli appassionati del genere. La storia di una donna (la bella Candace Hilligoss) e dei suoi fantasmi: salvatasi miracolosamente da un incidente che ha visto la sua auto precipitare da un ponte nel fiume durante una stupida sfida di velocità, la protagonista viene ritrovata semincosciente mentre vaga nel fango. E' un’organista di chiesa che, per dimenticare l'accaduto, se ne va a stare in una piccola pensione. Ma già nel tragitto fin lì, mentre guida, cominciano le apparizioni di uno strano fantasma dal volto sbiancato e il trucco pesante, che la perseguiteranno per l'intero film insieme ad...Leggi tutto altri inspiegabili fenomeni (a tratti perde l'udito e nessuno pare vederla). Il regista Herk Harvey si rivela molto abile (anche grazie a una stridente colonna sonora e a un'ottima fotografia) nel costruire un'atmosfera straniante, aliena, che troverà la sua giustificazione nel colpo di scena finale. La Hilligoss pare perennemente in uno stato di trance, tanto da innervosire persino il più che ben disposto vicino di camera o il prete che le aveva offerto un nuovo posto come organista in chiesa. Le visioni si moltiplicano, e incuriosiscono le visite a un complesso balneare abbandonato sulla spiaggia in cui lei, da sola, si inoltrerà vivendo con noi la sua spaventevole esperienza. Spaventevole per i canoni di allora, naturalmente (siamo nel 1962); a noi oggi resta un horror psicologico con belle punte surreali e un finale di grande fascino. Non capita nulla, a dire il vero, ma il clima è centrato.
Reduce da un incidente d'auto, la Hilligoss vaga in uno stato di semincoscienza per l'intera pellicola; bellissima ma sfuggente, pare incoraggiare gli uomini ma si ribella quando questi tentano degli approcci, è estranea (nel senso latino del termine) a quanto le accade tanto da non essere talvolta vista né udita. Perseguitata da orribili visioni, stranamente attratta da una specie di luna park abbandonato, la protagonista si trova in realtà sospesa in un limbo surreale, incomprensibile per lo spettatore sino al drammatico epilogo. Un vero capolavoro.
MEMORABILE: I fantasmi che ballano all'interno del luna park, l'autobus dei non-morti, la protagonista che chiama i passanti senza ottenere risposta.
Da E se oggi fosse già domani alle più recenti emulazioni di The others passando per intere decadi in cui l'argomento è stato percorso in lungo e in largo, alla fine è necessario puntualizzare l'importanza di questo film in quanto matrice del (sotto) genere horror/mystery. Atmosfere rarefatte, inquietudine, luci e ombre che si mescolano in uno straniante bianco e nero, sequenze allucinanti e visionarie fanno di questo film un must per cinefili e buongustai. Un film difficile, dal ritmo indigesto, ma dalle qualità assolutamente superiori.
MEMORABILE: La protagonista perde letteralmente il contatto con la realtà mentre suona l'organo da chiesa.
Sorprendente horror d'atmosfera che si colloca a metà strada tra il cinema allucinato di Edgar G. Ulmer e quello onirico di David Lynch. Tutta la vicenda in cui è coinvolta la protagonista sembra un incubo ad occhi aperti, reso ancora più efficace dallo splendido utilizzo di desolanti campi lunghi. L'eccellente bianco e nero dà al film la giusta aria spettrale. Finale con sorpresa. Assolutamente da vedere.
Piccola ma intrigante ghost-story, declinata nelle forme angosciose di horror psicologico, che ha acquisito sempre maggior fascino e valore col trascorrere degli anni. Oltre all'evanescente ambiguità della Hilligoss, sospesa tra lasciva spaesatezza catatonica e scostante freddezza inanimata, quello che più inquieta è il clima rarefatto che stagna sull'intera vicenda, quella sensazione di minaccia impalpabile ed impotenza frastornante, resa ancor più enigmatica da manifestazioni irrazionali che digradano via via nel febbrile onirismo della surrealtà. Una perla screziata di morte.
MEMORABILE: I fantasmi che riemergono orribilmente dalle acque; il macabro balletto delle anime nel mega-padiglione abbandonato.
Prototipo d'un tipo di horror pessimista oggi molto in voga, Carnival of Soul ebbe scarsa accoglienza all'epoca dell'uscita per essere poi, giustamente, nel tempo rivalutato e apprezzato. Unica regia di Herk Harvey (nel film il persecutore ineffabile di Mary) ha un taglio visivo efficace, reso da un bianco e nero che ricorda, per certi aspetti, talune opere di Jacques Tourneur. Incomprensibile per gli spettatori dell'epoca, può contare sulla credibile e perfetta interpretazione di Candace Hilligoss, sventurata protagonista avvolta dal mistero e da una realtà parallela sfuggente e incomprensibile.
Un perfetto horror basato sull'atmosfera, che mette da parte effetti macabri per inquietare lo spettatore con la musica ricorrente dell'organo e con l'espressione attonica, dapprima e, in seguito, terrorizzata, della brava protagonista. Un luogo, quasi teatrale, da cui fuggire e al contempo ritrovarsi e ritrovare se stessa, dopo l'incidente in cui è caduta vittima Mary. Mary scappa da una figura oscura che la segue ovunque, deridendola. La figura è la sua ombra, deve portarla a destinazione, quella finale.
MEMORABILE: Le teste degli spiriti che emergono dall'acqua.
Curioso horror statunitense di serie B e unico lungometraggio del regista. L'idea, di questa storia di fantasmi non è male e il film ha almeno un bel momento di cinema (quello della salita sull'autobus all'uscita numero nove). Si scontra però con recitazioni mediocrissime (Berger, che fa Linden, il coinquilino, è davvero terribile), talora bilanciate dall'ottimo uso del bianco e nero e dal volto, non bello ma interessante, della protagonista. Qua e là persino impressionista. Guardabile: **
MEMORABILE: I passeggeri dell'autobus in partenza dall'uscita nove.
Opportunamente compresso, non avrebbe affatto stonato come episodio delle vecchie serie tv di The Twilight Zone, alle quali si accomuna nella predisposizione a calare la realtà quotidiana in una dimensione via via sempre più misteriosa ed irreale. L’esperienza in limine mortis - o anche in limine insaniae - è vissuta da una Hilligoss stranita e catatonica, perseguitata da visioni di spettrali, minacciose figure dagli occhi bistrati che sembrano desunte dalle migliori pellicole dell’espressionismo tedesco. Fosca e rarefatta la fotografia, ossessivi gli accordi d’organo liturgico.
MEMORABILE: La lugubre voce che annuncia la partenza di un autobus dai passeggeri decisamente “insoliti”; i balli nel padiglione abbandonato; l’invisibilità.
L'anticamera dell'Ade è un pavillon desolato e fastoso, dove le anime dei neo-morti festeggiano l'ultimo giorno di un Carnevale mai iniziato; l'anticamera dell'Ade è Salt Lake City, ghost-town, evanescente eppure vivida come certi sogni sanno essere, città fantasma per le cui strade si aggira Mary, mentre la distanza tra lei e i vivi, distanza siglata da fughe prospettiche sempre più accentuate, si svela incolmabile. Impeccabile horror psicologico, saturo di ambiguità e di dolore, solenne come musica d'organo, malinconico come un addio.
MEMORABILE: "Ho sempre avvertito che tra me e gli altri c'era una... lontananza"; le maschere ceree e bistrate dei "compagni di viaggio" di Mary.
Straniante, spettrale gioiello fanta-horror che prelude, per contenuto e soprattutto condizioni produttive, al capolavoro romeriano sui living dead. Harvey, se da un lato razionalizza il materiale filmico, lavorando di sottrazione, dall'altro esaspera l'"ideuzza" portante dell'opera, raggiungendo inquietanti livelli di tensione parossistica. Così il ritmo risulta tetro e monocorde come quello delle opprimenti canne d'organo, mentre la indolente atarassia della Hilligoss produce "vibrati" francamente raggelanti. Peccato il balletto meccanico finale.
MEMORABILE: Le scene tra la Hilligoss e Berger, "sciupafemmine" viscido ed insistente, francamente insostenibile; La Hilligoss che suona in trance musica blasfema.
Girato con eleganza e capace di creare la giusta atmosfera, è un horror che non cerca di spaventare eccessivamente lo spettatore, ma più di traghettarlo, assieme alla protagonista, attraverso una sorta di incubo ad occhi aperti, con un'oscura presenza e la sensazione che la vita, intesa come tale (il calore dato dalle emozioni), non sia sempre presente, insinuando il sospetto che...Pur non avendo praticamente ritmo, la pellicola si avvale di buone interpretazioni (molto bene l'organista, spesso giustamente distante) e di un finale che è la logica e giusta conseguenza di tutto. Da vedere.
MEMORABILE: "Abbiamo un'organista che sa toccare l'anima"; La protagonista, come posseduta, suona una diversa melodia ed è in preda a visioni.
Suggestivo e straniante horror psicologico d’atmosfera (tipicamente lynchiana) ambientato nella provincia americana, che mette in scena la deriva solitaria di una ragazza intrappolata all’interno di un limbo esistenziale sempre più degenerante, una vita sospesa tra l’aldilà e il reale dove le allucinazioni e le paure ancestrali sublimano nelle apparizioni di anime in festa dalle inquietanti fattezze, spiriti, così vicini e così lontani, nell’attesa di un arrivo. Si chiude un occhio sull’apporto recitativo non sempre all’altezza. Gioiellino.
MEMORABILE: L'allucinante apparizione in primo piano del faccione di Hark Harvey, del tutto paragonbile alla "maschera deformata" di INLAND EMPIRE.
Percorso dal brivido sinistro della spettrale melodia di una sonata per organo, il dramma fantastico di Herk Harvey si tinge delle atmosfere cupe e bizzarre di una straziata reminiscenza di vita mortale, del tragico limbo di una vita sospesa tra il luccicante splendore del mondo reale e l'inesorabile dominio di un oscuro presagio di morte. Esempio di quel cinema minore e misconosciuto in cui all'originalità di uno spunto eccentrico si unisce il gusto gotico per un climax costruito sulle suggestioni del non detto e di una sottile allusività.
MEMORABILE: Le scene della profana e lugubre sonata intonata nella sacralità di un tempio cristiano e la disperata e impossibile fuga dalla stazione dei bus.
Bell'horror che risulta essere molto inquietante. Per tutta la pellicola si respira un'atmosfera angosciante e di morte; brava la protagonista bella quanto dal fascino inquietante. Il resto del cast come recitazione è leggermente superiore alla media del genere e la fotografia è di gran fascino. Da citare l'inquietante luna-park abbandonato. Il pericolo è incombente, una corsa contro il destino inesorabile.
Lento, quasi soporifero; solo la partenza è rapida e concisa. Ma deve essere seguito attentamente, si deve avere fiducia di trovarsi di fronte a un'opera notevole, perché alla fine tutto torna e si comprendono scene, elementi e immagini. Ispirato sicuramente a quel gioiellino che è "Le quattro ore del terrore" di L. Ron Hubbard (racconto del 1948), ne conserva il tema di fondo ma ne cambia tutto il contesto, lasciando però più indizi su cui riflettere.
MEMORABILE: La suonata sull'enorme organo; La stazione degli autobus; L'arrivo al Luna Park; I minuti finali.
Nei registi più appassionati e scaltri, una scarsità di fondi rasente l’indigenza è temperalapis di un ingegno così acuminato da essere codificabile come arma impropria: il più psicotropo espressionismo in spalla, vertiginosa profondità di campo (quando la pellicola era poca, sapere come/dove mettere la mdp era il mazzo di chiavi di San Pietro), la vita come sogno dei morti (siamo o no quel che ci manca?), la morte armata napoleonica per i viventi, l’enigma di ciò che siamo e vediamo come deità artistica. Un’opera povera ma ricca, che merita almeno una prova tecnica di resurrezione.
Un incidente mortale, una ragazza che sopravvive miracolosamente. Ma da quel momento la sua vita non è più la stessa. Film a bassissimo costo che si regge su una sola idea che viene tirata un po' per le lunghe. Sangue ed effetti speciali sono banditi, ma riesce a creare
una bella atmosfera che regala suggestioni e qualche inquietudine. Finale che oggi risulta più che prevedibile, all'epoca meno. Non è escluso che abbia influenzato qualche horror successivo. Buona la forma. Musica ossessiva. Terribile la recitazione. Discreto.
Dietro l'aspetto cheap di un B-movie da drive-in si nasconde uno degli horror visionari più influenti del ventesimo secolo, sia per la forza suggestiva delle immagini (Romero ne farà tesoro nelle sue notti) sia per la genialata del twist finale, oggi arcinoto ma all'epoca dirompente. Ottima la protagonista, la cui fredda e ambigua bellezza cela un misto di fragilità e repressione (prima della Repulsione polanskiana). Forse troppo lento, ma gli ultimi venti minuti non si dimenticano. Da vedere in double bill con Dementia, altra gemma oscura.
MEMORABILE: Il luna park abbandonato, perfetta metafora mortifera; Le anime escono lentamente dall'acqua; La terrificante scena dell'autobus; Il finale shock.
Un'horror affascinante per l'epoca, in cui si respirano le grandiose atmosfere di Ai confini della realtà. Molto convincente la recitazione della protagonista, inoltre la colonna sonora, le inquadrature e il trucco contribuiscono a ricreare un'atmosfera malsana e misteriosa. Nonostante i dialoghi banali e gli effetti speciali camp, il film resiste alla prova del tempo e vale davvero la visione, soprattutto per i fan dei vecchi horror.
All'epoca probabilmente il tema del film poteva rappresentare una novità, purtroppo visto al giorno d'oggi è facile immaginare quale sarà l'epilogo. Oltre a ciò il film, pur nella sua brevità, sembra più lungo di quanto sia in effetti, a causa di un ritmo troppo lento e della quasi assenza di momenti "forti" in grado di scuotere lo spettatore. Comunque, inquadrato l'anno di realizzazione, la pellicola ha qualche freccia al suo arco: una buona interprete principale, un'atmosfera inquietante e un efficace uso del bianco e nero. Discreto.
Universalmente noto più per ragioni in piena area spoiler che per l'effettivo valore artistico, Carnival of Souls gode in realtà di una messinscena interessantissima: datata quando cerca lo spavento, con cascami espressionisti in certi pesanti make up, ma sapiente quando punta alla semplice suggestione, tra silenziosi balli dal gusto funereo e una notevole abilità nell'immortalare esterni sinistri e isolati. Durata giustamente breve, ma l'odioso personaggio del vicino marpione era degno di un ulteriore scorciata. Finale piuttosto irrisolto.
Piccolo gioiello, adorabile B-movie paradigmatico dell'horror a basso costo dell'epoca. A dispetto del finale, cui si deve l'istituzione del suo status di culto (l'influenza su pellicole immediatamente o di molto successive è trasparente) ma che oggi ha perso parte della sua carica spiazzante, l'anima del film sta nella sua capacità di compensare gli evidenti limiti di budget (che pesano soprattutto sulle recitazioni, invero quasi dilettantesche) con una fotografia da urlo, capace di rigenerare la lezione espressionista. Scarno (e infatti brevissimo) ma essenziale anche in altri sensi.
Posto difficile dove vivere, l'America rurale dei primi anni '60, specialmente per una giovane donna che sotto lo stereotipo estetico della bionda d'esportazione nutre un'inconscia androfobia, le cui radicali manifestazioni tracimano nell'irrazionale. È uno dei rari casi di horror low budget del tempo (un unicum, per giunta) in cui l'orrore della vicenda, pur senza ricorrere a nessuno degli espedienti grafici dello splatter da grindhouse, percola da ogni suo poro (il solo incipit dirà più di qualcosa agli amanti di Twin Peaks). Certo, gli attori sono modesti, ma Harvey non è Bergman.
MEMORABILE: La danza degli spettri nel padiglione abbandonato; Suonando l'organo in trance; Un autobus colmo di spettri.
Misteriosamente sopravvissuta ad un incidente in cui sono morte due amiche, un'organista comincia ad avere una visione alterata della realtà: sono solo visione di una mente alterata? Primo ed unico film di finzione di un documentarista, un horror low cost che fa di necessità virtù, rinunciando a costosi effetti speciali per puntare sull'atmosfera. Lo smaliziato spettatore di oggi ci mette poco a mangiare la foglia ma per i suoi tempi dovette risultare troppo criptico e venne respinto da pubblico e critica per poi diventare un cult. Piccolo gioiello onirico ai confini della realtà.
MEMORABILE: Uscita dal camerino, si ritrova invisibile per gli altri; I passeggeri sul bus; Il ballo degli spettri.
Piccola perla del cinema indipendente americano, diretta da un sorprendente Harvey, che presenta diversi scenari interessanti riguardanti le situazioni di shock post traumatico da incidente, collegate alla stabilità emotiva del personaggio principale (la brava Hilligoss). Il comparto tecnico è ottimo, le anime del titolo ben truccate e i pochi effetti che ci sono rendono le scene inquietanti e ansiogene. La musica, che fa parte della vita della protagonista, caratterizza i momenti di passaggio tra realtà e sogno, immaginazione e illusione. Un film di culto.
Se la fattura formale risulta abbastanza elementare, lo stesso non si può dire della complessità evocativa suscitata. Se il finale rivela fin troppo, il corpo del film si apre a interpretazioni disparate (l’alienazione, la malattia mentale) e addirittura metafisiche (la vita è un ballo spettrale e insensato?), forse al di là delle intenzioni del regista. Eccellente la location desolata, ma è azzeccata anche quella urbana, popolata da figure estranee ai patimenti interiori della protagonista. Status di cult più che meritato.
Totalmente distaccato dal plausibile e dal naturalistico, è un horror che genera mostri e mostruosità grazie soprattutto alla potente suggestione sonora ed estetica. Catartico e delirante viaggio verso un possibile aldilà, ammantato dal fascino para-psicologico e da un clima di subdolo terrore e folle disorientamento. Indimenticabile, per bellezza e aderenza al personaggio, Candace Hilligoss.
Dopo essere scampata a un incidente stradale, una musicista si ritrova a vivere una sorta di seconda vita che abilmente il regista riesce a tenere sospesa tra il possibile e l'immaginario a oltranza; per questo motivo tutto resta ambiguo e sta in piedi solo per l'ottima resa dell'atmosfera tra l'onirico e il delirante, che poteva far presa sul pubblico di allora ma che francamente oggi mostra un film tirato un po' troppo per le lunghe, pur se vi sono situazioni e trovate azzeccate (le trasformazioni della musica, "l'invisibilità" e la sordità dell'ambiente circostante). Cast gelido.
La pellicola mantiene per tutto il tempo un'atmosfera dannatamente tesa e macabra, pur non mostrando praticamente alcuna violenza e giocando solo ed esclusivamente sui sentimenti e il mondo onirico della protagonista, la quale non si riuscirà mai a capire se in realtà è viva oppure un fantasma come le persone che gli appaiono in continuazione e la terrorizzano.
Dalle atmosfere vagamente pre-Lynchiane, ottima messa in scena dal punto di vista visivo grazie a una fotografia molto evocativa e a un buon uso degli spazi e della macchina da presa. Avanguardistico per l'epoca, paga un cast non sempre convincente e qualche dialogo che poteva essere decisamente più curato. Ma la forza visiva di alcune singole scene rimane ben impressa. Ambiguo e raffinato, ignorato all'uscita, diventò Cult seminale negli anni.
MEMORABILE: La scena del ballo.
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Zender ebbe a dire: Sì, a meno che non sia una mera traduzione letterale improvvisata dalle guide. Nel senso che da noi non è mai uscito e che su Rai tre sarà andato coi sottotitoli, quindi è una traduzione per modo di dire intendo. O è passato in italiano?
Non so dirti, in quanto il film non l'ho visto. Credo che sia passato in originale con sub, ma che il titolo fosse tradotto l'ho letto nelle note della scheda. Può darsi che fosse una semplice titolazione elettronica prima del film stesso. Credo che nei fuori orario di Ghezzi, Dio lo benedica per il fatto di proporci film altrimenti invedibili, sia fatto abbastanza comune. Volevo capire se c'è una regola precisa da seguire.
Caesars ebbe a dire: Zender ebbe a dire: Sì, a meno che non sia una mera traduzione letterale improvvisata dalle guide. Nel senso che da noi non è mai uscito e che su Rai tre sarà andato coi sottotitoli, quindi è una traduzione per modo di dire intendo. O è passato in italiano?
Non so dirti, in quanto il film non l'ho visto. Credo che sia passato in originale con sub, ma che il titolo fosse tradotto l'ho letto nelle note della scheda. Può darsi che fosse una semplice titolazione elettronica prima del film stesso. Credo che nei fuori orario di Ghezzi, Dio lo benedica per il fatto di proporci film altrimenti invedibili, sia fatto abbastanza comune. Volevo capire se c'è una regola precisa da seguire.
Esatto quanto ho sottilineato. Per questo motivo, inserito il mio commento, NON ho modificato il titolo anglofono, in questo caso per noi "ufficiale", e l'aka in questione.
Un'intera bobina del film è stata perduta dal laboratorio di sviluppo della pellicola. La cosa è stata detta dal regista stesso in un'intervista a Tom Weaver e riportata in "Science Fiction Stars and Horror Heroes (Mac Farland, 1991).
[fonte blog di Rudy Salvagnini: Odds & Ends]
So che in generale non si dovrebbe parlare di locations di film stranieri, ma questa è una piccola curiosità.
L'inquietante edificio che continua a richiamare la protagonista è il Saltair, vicino a Salt Lake City.
Tale struttura è immortalata anche nella cover del bootleg dei Beach Boys "Unsurpassed Masters, Vol. 19"
Chiedo scusa perché l'utente non mi pare più fra noi, ma il commento di Uomomite va ben oltre lo spoiler.
DiscussioneZender • 8/06/20 15:12 Capo scrivano - 48848 interventi
Vero, lo lascewremo qui con la scritta SPOILER
(commento di Uomomite)
Mary, sei morta, non ti sei accorta? Lei anime bussano alla porta, sono venute a prenderti. Dove credevi di andare? Una di noi, una di noi, sei una di noi. Una vita in un batter di ciglia. Un buco strettissimo, ci si passa appena. Oh my god! Is this the truth? Oh, lago nero, lago nero, lago nero. Repulsion di Polanski è praticamente un remake. Sublime.