Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Debole filmetto con Rascel nella parte del candido Renato, borseggiatore sugli autobus romani in combutta con Memmo Carotenuto: ma il piccoletto si innamora di una vittima, la dolcissima Aubry, per cui... Commediola che tiene discretamente per la prima mezzora, ma che poi mostra un fiato molto corto, allungando spesso il brodo per poter arrivare a un metraggio decente. Visti oggi, questi film con Rascel (che ripete spesso questo cliché) rischiano di far venire a noia il suo personaggio, nonostante qualche trovatina emerga pure, qua e là.
Già protagonista di una serie di film per il cinema, il tormentato detective Carl Morck torna (questa volta con l'interpretazione del bravo Matthew Goode) in una bella serie Netflix basata sul primo romanzo della serie. La sceneggiatura ben scritta riesce a intrigare lo spettatore attraverso un numero considerevole di episodi e un uso incisivo dei flashback che rivelano il passato dei personaggi, fondamentale per la comprensione delle vicende; altrettanto si può dire della psicologia del protagonista. Buone l'ambientazione e la prova complessiva degli attori.
Il titolo spinge gustosamente un po’ più in là la storia dell’attivista cubano anti-castrista che vota per la destra, ma è ugualmente rappresentativo della strana condizione in cui si trova il suo compagno che assiste a questa evoluzione politica. Sulle orme dei docufilm di Hofer - Ragazzi, ecco un’altra coppia gay che intreccia il racconto della propria relazione con le vicende di attualità storica, mescolando sentimento e analisi, portandoci dentro questioni roventi e forse poco note e aprendoci le pagine di un diario intimo, tra sorriso e dolore.
Film che sprizza anni 90 e provincia USA da tutti i pori. I primi espressi com decisione da look, fotografia, mood, personaggi e atmosfera, la seconda dalla vicenda e del contesto di disgregazione sociale oltre che dai paesaggi. Graziosa parecchio e anche convinta Drew Barrymore. Il finale un po' tirato via non premia a dovere una pellicola che si lascia guardare con piacere e che con qualche attore di maggior spessore sarebbe un piccolo cult
Storia del condottiero nativo americano per eccellenza e della sua resistenza al governo per non sottomettersi. Buon film. Ha le fattezze di un film epico, ma che se avesse avuto dei ritmi più alti risulterebbe addirittura un mezzo capolavoro. John Milius alla sceneggiatura. Nel cast, quello che convince meno è Patric. Efficace la regia dell'esperto Walter Hill. Mediocre la colonna sonora.
Da molti acclamato come il capolavoro indiscusso di Argento quando invece i suoi capolavori sono ben altri. Film che catapulta lo spettatore in un delirio orrorifico in cui, a parte la visionarietà (indiscussa) delle atmosfere e delle scenografie barocche, vi è il vuoto cosmico: trama e intreccio inesistenti, recitazione terribile, colonna sonora mediocre (rispetto ai Goblin), tensione non pervenuta. Dunque si assiste a una trafila di omicidi senz'altro scenografici ma inseriti in un'interminabile epopea in cui l'irritazione e la noia regnano sovrane.
Ancora orrori per Jaume Balagueró, che ormai nel genere ha trovato la sua strada e i suoi estimatori; perché uno stile ce l'ha, le qualità per fare buoni film anche, però poi sembra perdersi nell'inseguire strade tortuose che s'avvolgono su se stesse dimenticando quell'empatia che permette a lavori così di coinvolgere davvero.
Ester Exposito, comunque, è davvero bella e non lo si vede solo quando si muove a danzare come cubista in discoteca. E' Lucía, che finito il turno prende dal suo armadietto un borsone e se ne sta...Leggi tutto per uscire quando viene fermata dal guardiano, che pretende di vedere cos'abbia dentro, visto che indossa gli stessi abiti di quando danzava. Dentro, infatti, c'è una gran bel quantitativo di droga in pasticche, e per impedire di esser fermata, la giovane spruzza uno spray urticante negli occhi del guardiano, il quale per tutta risposta le pianta un coltello nella coscia. Lucía riesce però a fuggire, e trova rifugia proprio a Palazzo Venus (Edificio Venus, in spagnolo), un alto condominio dove vive la sorella Rocío (Cremonte) con la figlia Alba (Fernandez), dolce bimbetta amorevole e dall'aria matura.
Tra le due sorelle non corre buon sangue, anche perché Rocío sa benissimo che Lucía non perde occasione per cacciarsi in problemi da cui poi non sa come uscire. E quando capisce che quella si porta dietro un pesante carico di pillole blu rubate... va su tutte le furie. Ma poi che vuoi farci, non può che ospitarla in casa, è pur sempre sangue del suo sangue (letteralmente) e va curata.
Da un impianto quasi da noir ci si sposta lentamente nei territori dell'orrore, perché Palazzo Venus qualcosa nasconde, al suo interno. Chi è ad esempio la misteriosa domestica alla quale Alba fa riferimento, che le regala oggetti inquietanti e che pare abitare all'ultimo piano? E gli inquilini dal fare ambiguo, secondo antiche regole polanskiane, non finiscono qui; comprendono pure un gruppo di anziane signore un po' bizzarre. Si procede quindi seguendo un doppio binario: da una parte la ricerca di Lucía da parte dei gangster "legittimi" proprietari delle pillole, che comprendono anche un giovane con cui evidentemente la ragazza aveva degli accordi relativi al furto stesso, dall'altra gli strani rumori e le impalpabili manifestazioni soprannaturali del palazzo, che sembrano attaccare l'inconscio di chi vi abita.
Balagueró non lesina sangue nella seconda parte, mentre la prima sembra più un thriller drama, con la tensione tra le due sorelle che sale fino a quando Rocío scompare lasciando Lucía sola con la nipotina e mille dubbi. Qualche buona scena sotto il profilo noir (ben caratterizzato il boss che ama i churros e deve pensare a far parlare le colleghe di Lucía per capire che fine abbia fatto), una valida direzione del cast ma anche una gestione del ritmo deficitaria, con inutili lungaggini, tocchi estetizzanti a volte un po' goffi e qualche stramberia non sempre centrata. Insomma, questo VENUS prometteva meglio, mentre nel finale tende a spegnersi chiudendosi poi in modo inaspettato con un finale molto eccentrico sui cui titoli di coda Mina canta "Nessuno".
Bisogna capirli, gli americani e il loro cinema: ci vedono allo stesso modo da sempre, e quando si tratta di film di facile consumo come in questo caso non è logico pretendere che rinuncino a stereotipi cui sono affezionati e che dipingono gli italiani a metà tra la simpatica presa in giro e il folklore. Per un film quasi per intero ambientato nella solare cornice di Capri (ripresa in modo eccellente e ci mancherebbe, considerato il budget investito), con maestranze e qualche attore di casa nostra, non ci si aspetti quindi che si affronti la descrizione dei personaggi rinunciando...Leggi tutto a luoghi comuni, che d'altra parte vengono aggravati dall'uso del dialetto napoletano per doppiare tutti gli italiani presenti in scena o quasi (come fare altrimenti però, per differenziare gli americani - che parlano in perfetto italiano - dai capresi senza ricorrere a sottotitoli?).
Per questo sequel il regista Paul Feig cambia insomma completamente l'ambientazione, che era profondamente statunitense, per trasferire le due protagoniste a Capri, dove Emily (Lively), liberata di prigione da avvocati evidentemente molto in gamba, dovrà sposare il prestante e ricchissimo Dante Versano (Morrone). E con sprezzante sfacciataggine chi pensate che avrà il coraggio di invitare alla cerimonia? Proprio Stephanie (Kendrick), la donna che l'aveva spedita in carcere e che, raccontando in un libro la loro storia, ha guadagnato gloria e denaro. Naturale che Stephanie non accetti, ma il ricatto di Emily (hai sfruttato la mia immagine senza il mio permesso, ti denuncio) la costringe a partire.
Attenzione però: nel lussuoso albergo dove alloggiano gli ospiti, tra i quali pure Sean (Golding), l'ex marito di Emily che condivide con lei un figlio, avverrà un delitto in doccia, immediatamente derubricato dagli investigatori a incidente domestico... Stephanie comincia a capire che il rischio di finire in una trappola ordita da chi non può che logicamente pensare di vendicarsi è alto, e di certo non l'aiuta a sentirsi tranquilla un'agente dell'FBI decisamente pasticciona.
Perché è chiaro che tracce di commedia sono sparse un po' ovunque e che un film del genere non può e non va preso troppo sul serio. Gioca coi generi, li sfrutta piegando la complessa trama gialla (che nell'ultima parte si fa anche non facilissima da seguire) allo strano rapporto che lega le due donne e che già era all'origine del successo del primo capitolo: la Kendrick e la Lively hanno caratteri diversissimi e non si capisce mai chi delle due sia la più furba o chi prende in giro chi. Nonostante l'ovvio sentimento di avversione reciproca dovuto al finale del primo film, le due protagoniste ridono insieme, scherzano, stabiliscono una complicità che - almeno per chi conosce quanto avvenuto in precedenza - non può che apparire folle, irreale, ancor meno credibile del carrozzone che le due guidano tra macchiette improbabili e figure di dubbio gusto (si veda Elena Sofia Ricci nel ruolo della madre dello sposo).
Il clima scanzonato indica gli strampalati contorni del progetto, da prendersi per quel che è senza rammaricarsi degli evidenti difetti, godendosi le sempre buone performance delle due protagoniste e cercando, nel caos generale, di seguire l'intreccio giallo con nuovi colpi di scena garantiti da una soluzione assai contorta. Tra un faraglione e una piazzetta, nel frattempo, ci s'infila pure la fontana di Trevi, tanto per gradire. Le canzoni di Noemi in apertura e di Angelina Mango in chiusura confermano le alte quote di partecipazione italiane presenti.
Il mondo della boxe continua a offrire grandi storie di redenzione e coraggio, quasi sempre condite – come in questo caso – da uno spirito popolare che ben si addice a uno sport diverso da tutti gli altri. THE FIGHTER racconta la storia (vera) di Micky Ward (Wahlberg), peso welter con un fratellastro ingombrante, Dicky (Bale), più vecchio di nove anni e, tempo prima, pugile a sua volta, già idolo di Lowell (Massachusets) per aver messo K.O. nientemeno che Sugar Ray Leonard. Ma poi per lui ci fu il ritorno a una dimensione molto più umana, fatta di eccessi e di una...Leggi tutto caduta nella tossicodipendenza (crack, per l'esattezza), che lo portò a dedicarsi anima e corpo all'allenamento di Micky, ancor più forte di lui e con la testa a posto.
La vita in una famiglia in cui la madre Alice (Leo) e il padre (McGee) devono tenere a bada ben nove figli (gli unici maschi sono Micky e Dicky) è stressante, e per Micky lo è ancora di più avere di fianco un fratello decisamente fuori di testa come Dicky, la cui psiche è stata con tutta evidenza distrutta dall'abuso di droghe. La madre, diventata la manager di Micky, gli procura incontri che non sempre sembrano poter essere i migliori e, quando uno di questi finisce male, Micky, nel frattempo messosi insieme con una bella barista del posto, Charlene (Adams), capisce che è arrivato il momento di cambiare vita, anche a costo di entrare in contrasto con la famiglia.
Una storia ben organizzata, diretta con mano esperta da David O. Russell, che rende al meglio l'atmosfera popolare nella quale sono inseriti i personaggi, tutti caratterizzati con gusto e sana veracità. Tra questi svetta Christian Bale, autore di una performance memorabile (giustamente premiata con l'Oscar per il miglior attore non protagonista, statuetta identica a quella guadagnata da Melissa Leo, brava ma assai meno incisiva): la naturalezza con cui dà vita al fratello su di giri e un po' scemo è in ogni situazione davvero rimarchevole e rappresenta il valore aggiunto di un film in cui comunque anche Wahlberg fa onestamente la sua parte. Spesso malinconico, disilluso, Micky è il volto buono del campione che non sempre sa quale sia la scelta giusta da fare, con la dolce Amy Adams a tenergli ottimamente testa per dare la necessaria tridimensionalità al personaggio.
Discretamente rappresentati gli incontri di boxe: lontani dal drammatico spettacolarismo di un ROCKY, convincono per il lavoro fatto sulle immagini, che assomigliano a quelle di una ripresa televisiva con tanto di piccoli disturbi; un passo originale in direzione del realismo per chi è abituato a vedere la boxe da casa. Si aspetta con trepidazione l'ultimo incontro, ma si capisce quanto i match non siano mai troppo centrali, all'interno di una storia che punta a raccontare altro e lo fa seguendo le coordinate del cinema americano più classico, confezionato senza sbavature e forte di una sceneggiatura solida, che individua bene gli snodi importanti scandendo al meglio il ritmo. L'ambientazione Anni Ottanta e Novanta è restituita con rigore e aiutata come sempre dalle musiche (“Dance Hall Days” dei Wang Chung, “Here I Go Again” dei Whitesnake, “Back in The Saddle” degli Aerosmith e molte altre, oltre a una “I Started a Joke” dei Bee Gees cantata in auto dai due premi Oscar).
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA