Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
L'ambientazione durante il proibizionismo è un classico per il genere gangster/noir, ma i fratelli Coen condiscono il tutto con una abbondante spruzzata di giallo, viste le complessità dell'intreccio (che pretende dallo spettatore una notevole attenzione) e gli svariati colpi di scena. Alcune svolte narrative però non convincono (la mancata esecuzione) e, malgrado un cast importante, l'unico a offrire una prestazione da fuoriclasse è Finney (Byrne è talmente impassibile da sembrare inespressivo). La confezione è di qualità, il finale sbroglia abbastanza bene la matassa.
Neolaureata brillante e idealista viene assunta in uno studio impegnato nel lanciare nuove startup, riuscendo a imporsi grazie alle sue idee innovative tanto da diventare la co-fondatrice di Tinder ma, operando in un ambiente fortemente maschilista, i suoi meriti non vengono pubblicamente riconosciuti... Biopic discretamente girato e interpretato che però stenta a suscitare interesse proprio per la materia trattata, finendo per sembrare l'ennesima versione del sogno americano dell'underdog che, sia pure tra mille difficoltà, raggiunge il successo e fa una sacco di soldi.
Carnahan esordisce con un pulp gangsteristico alla maniera di Quentin Tarantino, zeppo di dialoghi logorroici spesso fastidiosi e una povertà di mezzi che non lo eleva dall'ennesimo straight to video da bancarella. Flashback di sparatorie sulla strada virati in bianco e nero, umorismo macabro grottesco prelevato da Pulp fiction (l'uomo fatto a pezzi e ritrovato nel cassonetto dei rifiuti), un intro alla Fantastica sfida e le solite, fumettose, derive da crime movie modaiolo tipico degli anni 90. Un'opera prima che, difficilmente, fa intravedere il futuro carrieristico del suo autore.
Alla fine del '700 il Sudamerica vede Il proprio territorio oggetto delle fameliche mire di tre predatori: Spagna, Portogallo e Chiesa cattolica. A farne le spese, ancora oggi, sono i nativi. Accompagnato dalla coinvolgente colonna sonora di Morricone, il film reinterpreta drammi realmente avvenuti riuscendo a creare un'opera potente in cui scenari mozzafiato s'incastrano, senza tempi morti, con dialoghi taglienti che evidenziano gli inciuci politici dell'epoca e i travagli di un popolo costretto a scontare le colpe dei più deboli. Il cast, infine, ha fornito prove magistrali.
Siamo proprio agli albori del cinema e Georges Méliès, attraverso questo flip-book in forma di pellicola, rappresenta una delle più classiche comiche. ovvero quella dell'uomo che viene scaraventato a terra dalla panca dal movimento delle persone che si alzano dalla parte opposta. Ha poca importanza capire i motivi che hanno portato le persone a essere sedute accanto, quello che conta è l'effetto comico che si viene a creare dalla situazione. In molti potranno ricordare questo anche come un classico scherzo della gioventù. Un'opera breve ma allo stesso tempo molto dinamica.
La rima che avvicina fra loro "morale" e "normale" è puro artificio fonetico, o ne intacca anche la semantica? Come esperimento antropologico, l'attualità dell'operazione coordinata da Beckermann si disvela tra le pieghe di un approccio dissacrante e decostruzionista alla sessualità maschile, qui sublimata da un campione di uomini di ogni età, censo e orientamento affettivo alle prese con le esuberanti bizzarrie amorose di Josefine Mutzenbacher. Tra puritani imbarazzi in serie e i florilegi delle opinioni controcorrenti, prima vittima eccellente è però la godibilità narrativa.
Lorraine Warren (Farmiga) scheggia uno specchio - già maledetto - durante una delle tante visite col marito a case infestate. E se anche il danno non produrrà sette anni di guai, è inevitabile immaginare che, da donna incinta (di Ed/Wilson, naturalmente), Lorraine non avrà un parto facile. Le capiterà di tutto, infatti, pure di vedere mostri appesi alle pareti mentre è lì a urlare quando le dicono di spingere. La bimba nascerà, a quanto pare morta; o così almeno giudicherà superficialmente il medico, perché invece quando...Leggi tutto Lorraine la prenderà in braccio... eccola riprendere vita. Bislacco, quanto meno, ma ai Warren succede un po' di tutto da sempre, per cui...
Lo specchio crepato, intanto, viene regalato a una giovane cresimanda dai nonni e, fin da subito, fa intuire che recherà con sé disgrazie di ogni tipo. Anche gettarlo via con la spezzatura non è detto che basti. Come potrà quello specchio ritornare in contatto coi Warren? Semplice, attraverso Padre Gordon (Coulter), frequentatore dei due coniugi “acchiappafantasmi” (come qualcuno scherzosamente li definisce, visto che siamo in pieni Ottanta) e pure della sfortunata famiglia Smurl, ai quali lo specchio è finito in dono. I Warren, però, hanno deciso di ritirarsi, dopo centinaia di casi affrontati; si dedicano ormai solo a incontri e convegni durante i quali raccontare le proprie macabre esperienze. Epperò tira la giacchetta di qua, tirala di là, i nostri ritorneranno in ballo per risolvere il dramma dello specchio maledetto, e questa volta la lotta sarà davvero senza quartiere. Anche troppo, considerato che lo scontro finale con le entità demoniache si rivelerà veramente interminabile e solo a un primo esame relazionabile al genere di riferimento. Pare quasi più un western, combattuto a sprangate tra macerie, porte che sbattono, gente che urla, sangue, fughe e chi più ne ha più ne metta.
Va bene che la saga non è mai stata accostabile all'horror solo suggerito, a quello psicologico o delicatamente ricamato, ma qui si esagera; dimenticando che, insomma, l'atmosfera qualcosa dovrebbe ancora contare. Nella prima parte, a dire il vero, sembrava che si volesse percorrere la strada che già discreti frutti aveva dato nel capitolo precedente, sempre diretto da Chaves; ma quello aveva un occhio più puntato alla patina rilucente che, qui, una fotografia meno scintillante non garantisce allo stesso modo. E anche la presenza molto più ingombrante che in precedenza di Judy (Tomlinson), la figlia dei Warren e medium a sua volta, non sembra aggiungere granché: cresciuta, è alle prese con il fidanzato ex poliziotto (Hardy) che ci tiene a fare bella figura con coloro che dovranno nelle sue intenzioni essere i futuri suoceri. “Avrai capito che non siamo proprio una famiglia normale”, gli dice Ed, e il povero ragazzo non impiegherà molto per arrivare a comprenderlo.
La professionalità con cui l'operazione è condotta è quella di sempre, ma la storia è fiacca e poco degna di apparire come il "rito finale" di una saga tanto influente, conclusa oltretutto con la solita coda romantica nella quale Ed e Lorraine ci mostrano quanto si amino e il loro legame sembri fatto per durare in eterno. Baci, abbracci, corse in moto nelle campagne mentre Van Morrison canta la suadente "Comfort You": pare quasi la parodia di una rom com...
La componente horror è affidata ai soliti jumpscare, associati a qualche discreta idea spaventevole (il filo del telefono che scompare in una porta sul buio, quello elettrico che si fa corda per una tragica impiccagione...) e a suoni e rumori in crescendo quando ci si avvicina allo spavento, mentre la colonna sonora si preoccupa principalmente di sottolineare l'ambientazione eighties con Howard Jones (“Things Can Only Get Better”), i Cult (“She Sells Sanctuary”), David Bowie (“Let's Dance”)... Nella stessa direzione è da registrare la presenza di vhs (pure utilizzate in un video "rivelatore") e musicassette.
Lo si intuiva già in PIOVE, che il pugliese Paolo Strippoli avrebbe continuato a imporsi con uno stile personale, virtù appannaggio di pochi. Scelto l'orrore (più psicologico che grafico) come ambito in cui esprimere al meglio la propria arte, il regista trova nel grigio plumbeo delle montagne friulane il clima ideale in cui immergere la sua nuova storia di paura e mistero. E lo fa studiando con cura le location (siamo a Tarvisio e dintorni, anche se la cittadina immaginaria prende il nome di Remis), individuandone alcune...Leggi tutto di ideali che inquadra con il talento di chi ben conosce il mestiere e sa come valorizzarle, in una luce cupissima che la fotografia stinge fin quasi fino ad annullare ogni barlume solare. Nulla di nuovo in questo. Né nella storia, a dire il vero, che attinge da fonti eccellenti e mescola qualcosa dello straniero che raggiunge terre di imperscrutabili culti pagani in WICKER MAN a quelle comunità apparentemente amiche ma invece sotterraneamente ostili (se non le segui) che rimandano alle mogli di Stepford o alle vette gemelle.
Sergio Rossetti (Riondino) si introduce nel mondo a parte di Remis da "straniero" ignaro, alieno, turbato da foschi pensieri derivati dalla morte di suo figlio. Preda di crisi improvvise, attacchi d'ira, pianti, è stato assunto, lui ex campione di judo, come nuovo insegnante di educazione fisica nel liceo cittadino. Il primo impatto non è dei più rosei: attacca senza un vero motivo i suoi alunni, si mostra intransigente, burbero, e quando incontra Matteo Corbin (Feltri) son dolori, per il ragazzo: esentato dalle lezioni, viene ugualmente messo in fila da Sergio con gli altri. Ma lui è diverso, e ce lo ricorda più di una volta Mia Martini con "Almeno tu nell'universo", regolarmente tagliata al momento del fatidico ritornello, che chiunque sa come completare comprendendo di conseguenza il palese riferimento.
Matteo è l'angelo di Remis; lo chiamano così perché possiede un potere inimmaginabile: quando lo abbracci, ogni tuo dolore interno svanisce. Se ne accorge anche Sergio, il quale verrà una notte accompagnato da Michela (Maggiora Vergano) nella strana "chiesa" locale, un edificio a facciata triangolare (location suggestiva, soprattutto nelle sue forme esterne) in cui il padre di Matteo, Mauro (Pierobon), accoglie e mette in fila tutti coloro che necessitano dell'abbraccio di suo figlio. I prescelti entrano e, al cospetto anche di Don Attilio (Citran), avvicinano "l'angelo" stringendosi forte a lui. Sergio non ci può credere ma è vero: riacquista pure lui il buonumore, perfino la capacità di scherzare come un tempo. Ma chi è davvero Matteo? Cosa nasconde il suo passato? Perché è costretto dal padre a sottoporsi costantemente agli abbracci di tutti gli sfortunati del paese?
Da uno spunto in fondo semplice, dalle tinte nere polanskiane, un film tutto giocato sulle pause e i silenzi, riempiti da una colonna sonora di grande fascino (di Bisozzi e Tomat), delicata, inquietante al punto giusto e calzante. Tecnicamente il film ha punte pregevolissime, momenti in cui si coglie appieno la voglia di percorrere strade nuove e coraggiose; però frequentemente s'inceppa, si autocompiace di scene prolungate senza un vero motivo alla ricerca di un'autorialità ad ogni costo che finisce col danneggiare pesantemente il risultato. Smarrendosi tra le troppe ambizioni di un cinema italiano che di rado, in questi casi, accetta di fare i conti con il pubblico. In questo Strippoli si avvicina allo spirito dei fratelli D'Inncocenzo: grandi qualità, tecnica e senso del cinema eccellenti penalizzati spesso da un ermetismo eccessivo.
Qui le due ore e più si sentono tutte e si ingrana troppo tardi, confidando in una seconda parte che finalmente accelera e ti trascina nel vortice oscuro, ma che esplode davvero solo nell'ultima mezz'ora. Senza che peraltro si raggiungano vette eclatanti. I personaggi, esclusi il protagonista e il giovane Angelo con i suoi turbamenti, entrambi ben delineati, vivono soprattutto grazie alla bravura degli attori (il solito impeccabile Citran, sovrano del cinema a Nordest, ma il migliore è Pierobon), mentre certi espedienti lasciano il tempo che trovano (inquadrature rovesciate, grandangoli...).
Risulta meno godibile di PIOVE forse anche per un budget limitato che in questo caso più si fa sentire, restituendo una certa sensazione di povertà (nella recitazione di alcuni, nelle scenografie interne, talora nella messa in scena...). Le potenzialità di Strippoli sono evidenti e non si può dire che il film non sappia distinguersi e colpire, anche per come si rifiuta di aderire alla regola del jumpscare o dell'effetto speciale gratuito; ma una regia più ficcante, meno estatica, e una decisa accelerazione, magari sfoltendo il film dalle scene superflue, avrebbero garantito un risultato migliore.
David Lowery, che dirige e scrive da sé il suo film, recupera sorprendentemente l'icona più tradizionale e ingenua che possa esistere del fantasma (quella col lenzuolo bianco e i buchi per gli occhi) calandola all'interno di una storia che è al contrario ambiziosa, sorprendente, e creando in tal modo un contrasto spiazzante, che fa sorridere e insieme stupisce per il coraggio. L'obiettivo è quello di immaginare, per il fantasma protagonista, una sorta di esistenza parallela a quella dei due protagonisti, che in verità tali non sono dal momento che...Leggi tutto molto poco restano in scena rispetto a lui. Si vedono soprattutto nella prima parte, quando passano ore felici nell'appartamento che diverrà (o forse già lo è) la sede unica del fantasma.
C (Affleck) e M (Mara) sono sposati e hanno deciso di trasferirsi da quella casa. Lei - dicendo una frase a cui prestare attenzione perché avrà importante significato in un secondo tempo - racconta di come da piccola, avendo subito un gran numero di traslochi, lasciava sempre un bigliettino nascosto, nelle abitazioni dalle quali si doveva trasferire, per essere certa di trovare qualcosa di suo nel caso vi fosse tornata. Poi il primo segnale di una "presenza", lì, una notte in cui qualcuno fa cadere presumibilmente un oggetto sul pianoforte della stanza vicina. Inspiegabile, ma ci si passa sopra. Quello che cambierà le loro vite è invece l'incidente in auto di lui, di cui vediamo solo le conseguenze: il corpo senza vita contro il volante.
In ospedale il riconoscimento di C. Il lenzuolo bianco che lo ricopre viene abbassato e rialzato, ma poco dopo, lasciato solo, il cadavere si rialza (o almeno così pare a noi, perché da qui in avanti la presenza del fantasma non sarà visibile ad altri che allo spettatore). Non si preoccupa, una volta in piedi, di togliersi il lenzuolo bianco lungo e a strascico, che quindi resterà il suo "abito" per l'intero film. Il fantasma come lo hanno sempre immaginato i bambini insomma, o come si usa disegnarlo nelle strisce comiche. Eppure, inquadrato sotto la luce giusta, immobile e ieratico, non fa affatto ridere. Si piazza nelle diverse stanze dell'appartamento e non si sposta quasi mai, limitandosi a osservare quel che accade in casa. Il tempo si sfalda sotto i suoi (e i nostri) occhi lambendo epoche diverse, perdendo la sua linearità, confondendosi in una sorta di fiume in costante cambiamento (come cantavano i Genesis di Gabriel).
Rallentando il ritmo fin quasi a bloccarlo, rifiutandosi di tagliare dove cinematograficamente sembrerebbe logico farlo, Lowery trova una sua poetica che gli ha fatto guadagnare begli elogi dalla critica, riuscendo oggettivamente a creare un film con pochi paragoni, nella lunga storia del cinema. Sono tanti i motivi che esisterebbero per premiare un'opera tanto singolare, ma anche tanti quelli che la rendono di difficile fruizione, estremamente statica e ripetitiva, si può dire quasi muta, da quanto limitato è il numero di dialoghi.
Affleck e la Mara (più lei di lui) presenziano relativamente, perché l'unica costante è l'imponente figura del fantasma ripresa come il soggetto di un quadro medievale, anche per le scenografiche pieghe del lenzuolo. Di nuovo ironico eppure carico di mistero il rapporto con il fantasma alla finestra della casa dirimpetto, straniante il silenzio che confina il protagonista ai margini quando la casa è occupata da altri. Nel complesso intrigante, curioso, a tratti alienante, il film, tuttavia, sembra pretendere di dire anche con ciò che non dice, lasciando perplessi per l'impianto narrativo quando si comincia a saltabeccare tra presente, passato e futuro. Al di là della bella idea di partenza e della qualità delle riprese, però, sembra più che altro un furbo esercizio di stile.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA