Sei episodi sul tema della prostituzione minorile a Milano, diretti da un Carlo Lizzani alla ricerca del cinema-verità, costante della sua carriera. Senza star di alcun genere (nei titoli di testa gli attori non compaiono, anche se nella parte di Velluto c'è Nicola Del Buono) un film crudo, musicato da Ennio Morricone e interpretato con un certo trasporto. Gli episodi, fusi tra loro quasi impercettibilmente, vengono aperti e chiusi (prima dei titoli di coda) da una coppia (una vecchina e la sua nipotina tredicenne, venduta a chi dà loro un passaggio) già di per sé sufficientemente degradata. Vedremo le disavventure di una sarda introdotta subdolamente nel racket...Leggi tutto della prostituzione, di una vergine mantenuta tale dai suoi "padroni" per farne salire il prezzo, di una ragazzina disinibita che delusa dalla famiglia benestante si svende in un bordello, di una quattordicenne gravida poco benvoluta da chi la sfrutta e infine di due giovani che si confessano le proprie tragiche esperienze di vita (tendenzialmente esibizionista la prima, un po' svampita la seconda). Tutte storie di minorenni sfruttate biecamente da una società condiscendente, che non sembra lasciar lasciar loro alcuno scampo. Lizzani racconta le loro vicende con freddo distacco, non si fa scrupolo a mostrare i giovani corpi nudi e durante gli amplessi, gira con intenti quasi documentaristici. Ci fa respirare l'aria malsana della più infelice periferia milanese, ci mette di fronte senza remore a una realtà cruda e terribile. Manca lo slancio dei grandi film, non c'è nulla di particolarmente interessante da segnalare, ma come quadro sociale ha la sua efficacia.
Interessante film di Lizzani, che rifiuta l'approccio da finto documentario per cercare di ricostruire la realtà de "il racket della prostituzione minorile" (il film è conosciuto anche così) tramite la fiction. Il punto è che alcuni degli episodi che ci vengono raccontati sono credibili e ben realizzati, altri sembrano usciti dalla penna di uno sceneggiatore di quart'ordine, cosicché il risultato finale è meno coeso di quanto avrebbe potuto essere. Circola anche una versione con inserti hard, con la quale Lizzani non ha nulla a che spartire.
Trattasi di uno dei tanti film semidocumentaristici del regista; uno dei meno interessanti, in cui la denuncia sociale è molto meno riuscita che in altri lavori di Lizzani, che qui sembra essere interessato più a inutili sensazionalismi che ad analizzare con serietà ed efficacia il fenomeno della prostituzione minorile che viene mostrato nella sua faccia più “facile” ed usuale soprattutto per ciò che riguarda le sue motivazioni. Inoltre la durata è un po’ eccessiva e certe cose potevano essere evitate.
Bellissimo. Anche se per certi versi rispetto alla cruda realtà odierna della prostituzione minorile rimane troppo falsato. Ci sono almeno 8 personaggi principali e "strani": la sarda ingenua che verrà traviata da un losco pappone, quella che batte con un cane da guardia (!!) e via dicendo. Date alcune scene molto forti (anche se non eccessivamente crudeli) dubito passerà mai integrale in tv.
MEMORABILE: Il depravato che infila nel bidè scarpe e tozzi di pane.
Carlo Lizzani, regista di derivazione neorealista (collabora a Germania anno zero) crede di fornire uno spaccato di realtà sociale girando in maniera sciatta e morbosa questo involontariamente imperdibile docufilm in cui, tra le brume lumbard, alcune sfortunate son costrette a prostituirsi. Il risultato offusca la denuncia perché attrae per il clima morboso e, oggi, di appeal retrò dei 70. Non manca nulla al campionario anche le sbirciate ipocrite ma sembra girato da Augusto Tretti senza la follia moralista di questi. Irriconoscibile Morricone!!!
MEMORABILE: Alla 25ma ora Lizzani ha spiegato che l'incipit del film fu un fatto successo a lui e Rossellini.
Uno di quei film che in Italia ha fatto solo Lizzani, maestro di cinema che mai ha avuto paura di sporcarsi le mani con tematiche scabrose e budget risicati. Qui si cimenta (come esemplifica il sottotitolo) col terribile racket della prostituzione minorile che nei '70 milanesi si fa sempre più brutto, sporco e cattivo. Muovendosi da un'inchiesta pubblicata sull'Espresso, il nostro cuce una sorta di film a episodi mascherato in cui vengono registrate realtà mai fin ad allora eran emerse. La crudezza è encomiabile quanto emendabile la superficialità.
Un film semi-documentaristico di Lizzani che analizza, tramite sei vicende, l'annoso problema della prostituzione minorile nel milanese. La narrazione è interessante, anche se emerge un lieve sensazionalismo in alcune situazioni che risultano veritiere ma morbose. Cast ben appropriato nonostante nomi sconosciuti ai più.
L'inchiesta della Rusconi sul racket della prostituzione minorile apre uno spaccato sulla società, soffermandosi sui disagi e le miserie umane che percorrono trasversalmente i vari strati (sottoproletari e borghesi, Nord e Sud) e sulle diverse tipologie di sfruttatori e clienti delle baby-mercenarie del sesso. Una Milano truce e degradata imbottisce di realismo lo scenario su cui Lizzani rielabora i singoli episodi - non senza quel compiacimento per il voyeuristico e il pruriginoso comune a molte produzioni d'epoca - e muove con destrezza un gruppo di convincenti neofite del set. Crudo.
MEMORABILE: La nonna che fa prostituire la nipotina tredicenne; Gisella che presenta i suoi magnaccia ai genitori; il triste episodio di Laura e del suo cane.
Ottima la storia interpretata dalla Grapputo, vera antecedente di Asia Argento, mentre a dir poco odiosa è la prima e raccapricciante l'ultima. Se tutte queste bestialità sono un cancro inestirpabile, che non conosce flessioni e non passa mai di moda, ci sarà un motivo. Allora, anche se questo film tale ragione non la svela chiaramente, lascia però arguire la soluzione più drastica e più immediata, che sarebbe anche la più comoda... Non per niente in 40 anni si è cambiato, sì, ma in peggio...
Deprimente polpettone che alla fine risulta indigesto per il mix intollerabile tra erotismo di bassa lega e pretenziose velleità sociologiche di denuncia, miste a un percettibile manicheismo e a un ipocrito moralismo di fondo. Se comunque lo scopo era far rabbrividire o pensare, una qualche rozza efficacia la mantiene. I personaggi però sono davvero troppo insopportabili e macchiettistici, anche quelli vagamente positivi. Da salvare però le musiche di Ennio Morricone, veramente sprecato in simile contesto.
Un film inchiesta sulla prostituzione minorile che muove milioni di euro, ancora oggi tanto attuale. Le schiave del sesso sono costrette alla strada da lusinghiere promesse, alcune finiscono per abituarsi al nuovo tenore di vita, altre si ritrovano prigioniere in una gabbia senza sbarra. Lizzani è riuscito a ricreare il giusto degrado anche sociale, in cui si muovono le lucciole. Interessante la scelta degli interni e dei dialoghi. Non sempre il film risulta realistico, ma è comunque ben realizzato. Efficace quanto basta.
L’italia senza pigiama, l’italia-bordello, l’italia tutta incesto pedofilia e pelosa assistenza sociale e più che spaccato sociale, il sociale spaccato. Prima ancora che da bere, Milano è un rospo da mandar giù, sasso in bocca al consorzio civile, caliginoso sottobosco tutto ostilità vizio e circonvenzione d’incapaci. Lizzani gira come se Polselli l’avesse mentalmente plagiato, in bilico tra mondo-movie fotoromanzato e degradato softcore disadatto a soddisfare prurigine, e aizzando imbarbarimento e squallore contro le caldane dello spettatore in cerca di libidine a buon mercato, il colpo basso gli riesce a tutto tondo.
Attraverso le vicende di alcune ragazze Lizzani descrive e analizza le cause di una condizione di solitudine e squallore da cui è impossibile uscire, se non a caro prezzo. Pur con qualche concessione al romanzesco, la denuncia è efficace nel mostrare un degrado e un vuoto di valori da cui nessuno strato sociale è immune e di fronte ai quali le istituzioni sembrano impotenti; tutti gli episodi suscitano disagio, se non orrore e il finale, che chiude il cerchio, non è per nulla liberatorio.
MEMORABILE: La “zuppetta” nel bidet; Il medico che attesta la verginità; La “ragazza bene” che presenta i magnaccia ai genitori; Laura e il suo cane.
Film documentaristico girato dal bravo Lizzani sul mondo della prostituzione minorile. Ambientato in un'algida Milano, il film racconta le vicende di giovani emigranti che vengono circuite con proposte lusinghiere e giovani di "buona" famiglia che si avviano alla professione per noia. A tratti molto duro, questo viaggio nelle bassezze del genere umano dimostra come ogni livello sociale possa essere intaccato da questa piaga. Duro ma reale.
Visto oggi appare girato mille anni fa. Nonostante tutto il film è uno spaccato della società di anni in cui era impensabile e "vietato" parlare di prostituzione minorile così come lo è oggi citare la mafia al Nord. Lizzani e Guarda scrivono la sceneggiatura prendendo in esame storie vere e in alcuni casi cercando di attenuarle nel loro dramma profondo. L'opera è un modo per descrivere la realtà in tempi in cui era sempre possibile una denuncia alla magistratura per offesa al pudore. Buon film per svegliare le coscienze di allora.
Notevole film di denuncia di Lizzani che sceglie un taglio realistico, quasi documentaristico, pur se qualche episodio risulta più romanzato o implausibile di altri; poco conta visto oggigiorno, in quanto tutto contribuisce al fascino malsano di una pellicola figlia dei suoi tempi, girata in una Milano periferica grigissima, con interpreti spesso non professionisti dai volti e dalle voci giuste (tra le ragazze spicca la bella Curti). Truce e crudo, ricco di situazioni turpi e di un'umanità marginale e disperata. Buona la ost morriconiana.
MEMORABILE: L'autostop; La coppia di borghesi che s'intrattiene con la ragazza incinta; La fine misera di Laura.
La piaga della prostituzione minorile (vittime disperate e ingenue) in tutte le sue tragiche sfaccettature. In forma di episodi incrociati, Lizzani denuncia un fenomeno allora come oggi doloroso, ma non lo fa con l’occhio commiserevole, piuttosto sceglie la via di una fedele e convincente ricostruzione basandosi sui fatti della cronaca. Una minor durata avrebbe forse dato più slancio alla pellicola, ma va riconosciuta la completezza del documento. Un'invernale e nebbiosa Milano del 1975 fa da diabolica cornice. A suo modo un capolavoro.
Inizia come un poliziottesco di second'ordine, ma ben presto il film - tratta di prostituzione minorile femminile - diviene il resoconto oggettivo di un'Italia laida e amorale, ormai senza riferimenti politici e tradizionali: una visione più nichilista che di denuncia. E il finale, di inaspettata brutalità, getta a ritroso un'ombra ancor più cupa sull'intera pellicola. Peccato per certe lungaggini e alcuni passaggi un po' troppo facili che depotenziano la forza dell'operazione.
Un film crudo, triste e ambiguo. Lo squallore e la miseria umana vengono mostrati con pochi fronzoli e colpiscono duro. Resta però la sensazione che più che alla denuncia Lizzani punti in realtà a scioccare lo spettatore, rendendolo sì partecipe di situazioni sordide e desolate, senza tuttavia riuscire a esprimere un suo pensiero e una presa di posizione sulla realtà in oggetto. Anzi, il rischio di fare la figura del moralista che in verità sta spiando dal buco della serratura è sempre altissimo. Il finale, comunque, è uno dei più agghiaccianti che personalmente ricordi.
Film-inchiesta sulla prostituzione minorile, con una serie di personaggi (la bambina accompagnata dall'anziana ruffiana, la provinciale ingenua che si fa abbindolare dal fidanzato, la studentessa che lo fa per protesta, etc.) in situazioni di crudo realismo: soggetto che pareva nelle corde del regista, specializzato in film di questo tipo. Qui invece siamo al completo disastro: confezione da fotoromanzo con indugi voyeuristici contrastanti con gli intenti di denuncia, sceneggiatura sciatta con dialoghi fra il banale e il forzato, attori (quasi tutti non professionisti) inascoltabili.
Minorenni dedite alla prostituzione, aguzzini, predatori, contesto sociale squilibrato, famiglie scardinate; paesaggio urbano triste, prossimo alla tetraggine. Oggetto ruvido, cupo, senza speranza; ambiguo e persuasivo nella fusione tra finzione e taglio documentaristico (l'effetto è di crudo realismo straniato, divagante su tema unico). L'artefice dirige con sincerità un fotoromanzo nero; qua e là è impreciso ma l'espressività non ne resta gravemente inficiata e trova momenti di incisivo nichilismo. Truce, efficace e definitivo l'epilogo.
Film-documentario di Lizzani sul mondo della prostituzione minorile, pare una scusa per accontentare un pubblico tendente al voyeurismo. La recitazione è piuttosto abborracciata e il ritmo praticamente assente. Se denuncia doveva essere, l'obiettivo non pare centrato. Lizzani si limita a descrivere, senza un'opinione a riguardo. Colpisce vedere certe realtà nascoste dal perbenismo, ma di sicuro non è un'opera imperdibile. Esordio al cinema per Nicola De Buono, noto al pubblico televisivo per la parte di Don Oreste in Don Tonino.
È uno dei film più crudi e sudici di Lizzani, un'inchiesta-verità ricostruita con attori non professionisti su varie ed egualmente terribili declinazioni del macrotema prostituzione minorile. Personaggi, ambienti, situazioni repellono e inquietano, disturbano e disgustano (forte soprattutto il segmento della giovane sarta Rosina). Non tutto a livello narrativo è sempre al proprio posto, specie quando sul finale l'ambizione del reportage cede il passo alla mera invenzione grafica, ma l'insieme rimane ottundente.
La Milano di Banditi e del successivo San Babila sono molto lontane, eppure non tutto è da buttare, in questo insolito lavoro di Lizzani. Se la recitazione e l'artificiosità di certi dialoghi (con il rischio sempre in agguato di cadere nel ridicolo) fanno propendere verso la bocciatura, tuttavia bisogna riconoscere il grande coraggio del regista nell'affrontare un tema così scabroso. E gli ultimi, allucinanti dieci minuti lasciano il segno, nello spettatore.
MEMORABILE: La telefonata fra il padre di Daniela e l'amico.
Coraggiosa prova di Lizzani e Giarda che non si limitano a mostrare ma raccontano il fenomeno delle baby prostitute a Milano, vaso di Pandora a più sfiati che insozza ogni classe sociale. Purtroppo la coloritura naif della recitazione delle attrici non professioniste screzia il quadro, e il doppiaggio fa da brutto maquillage. Ma l'affondo sociale delle sei storie in una luce lo-fi è ragguardevole, a volte impressionante, benché la vicenda più "da film" sia quella che apre e chiude, la nonnetta e la nipotina. Diverse scene più hard vennero montate solo per le proiezioni all'estero.
MEMORABILE: Gli amplessi nella cabina telefonica e nel camerino del negozio; Le richieste strane e perverse dei clienti.
Ben peggio di Banditi, un po' meno peggio del terribile San Babila. Il film parte bene con la vicenda di Rosina (per quanto risaputa), ma poi continua a calare, con episodi che si fanno via via meno interessanti (e narrati peggio, talora con inutili e fastidiose prolissità), pur restando sempre viva, ovviamente, la pietà che i fatti suscitano. Resta il dubbio che Lizzani abbia sacrificato l'arte per la parte. Recitato meglio da alcune delle giovani debuttanti (su tutte la Grapputo) che dagli attori adulti, taluni davvero scarsotti. Finalone forte, ma narrativamente poco verosimile.
MEMORABILE: La tredicenne, passivamente (ma non sempre!) consenziente.
Cupo, morboso, crudo. Di aggettivi per questa perla di Lizzani ve ne sarebbero a iosa, tutti a indicare una sola caratteristica capace di metterli d'accordo tutti: drammaticamente vero. Un film di cinquant'anni fa che fa rabbrividire ancora oggi; per come affronta un tema che tutti conoscono bene ma nessuno oggi ha il coraggio di affrontare nella sua effettività. Nessun lieto fine, realtà fatta pellicola. Ragazze sfruttate, umiliate nel film fanno la fine che oggi leggiamo sui giornali. Suicidio, ricovero, povertà. Molto più di film.
Il film di Lizzani non sa decidersi fra i generi drammatico, denuncia, sexy, documentario, affrontando di “petto” il tema della prostituzione femminile minorile. In una terra lombarda fredda e nebbiosa si schiudono alcune storie che rimandano ai tipici e squallidi mali italici e al consumismo sessuale di tutti i tempi. Ma su tutto gravita il becero maschilismo in chiave “Milano violenta” un po’ esasperato. Montaggio schizofrenico, forse anche per ragioni di censura.
Il film è molto interessante e costituisce il riuscito tentativo di presentare una narrazione di fantasia come fosse un documentario, inserendo una certa dose di morbosità e di estetica anni '70. Anche la recitazione, non ottimale in molti interpreti, contribuisce a "sporcare" il tutto e a renderlo paradossalmente più autentico. Le vicende narrate sono avvincenti, anche se alcune un po' scontate. Gradevole (e urticante) spaccato di un certo periodo, di una certa società.
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CuriositàAlex75 • 18/05/15 17:29 Call center Davinotti - 710 interventi
E' da notare come diversi attori che hanno recitato in questo film si ritrovano nel successivo "San Babila ore 20: un delitto inutile". Per esempio, l'orrendo cliente di Rosina che inzuppa il pane nel bidet è impersonato dallo stesso attore che dà dei soldi ad Alfredo all'uscita del poligono di tiro; il volgarissimo padre di Laura si rivede nei panni di un sanguigno sbirro siciliano (l'attore è il bravo e versatile doppiatore Franco Ferri); la madre di Daniela ritorna come madre di Miki (Paola Faloja); la sfruttatrice di Daniela ritorna come madre di Franco (Franca Mantelli); Giulio, l'amico-cliente di Daniela si rivede nei panni del professore (Mario Mattia Giorgetti). Paradossale il cambio di ruolo di Walter Valdi: da magnaccia a Commissario della Buon Costume!
DiscussioneAlex75 • 15/01/16 13:31 Call center Davinotti - 710 interventi
Suggerirei di citare, nel cast, anche le altre protagoniste dei vari episodi: Anna Curti (Antonietta), Danila Grassini (Albertina), Lidia Di Corato (Laura), Susanna Fassetta e Bianca Verdirosi (le autostoppiste).
DiscussioneZender • 15/01/16 18:45 Capo scrivano - 48335 interventi
Nel bagno dell'appartamento dove vive e si prostituisce una della minorenni raccontate nel film, c'è un flacone di eau de toilette Brut Fabergè (maschile).
MusicheAlex75 • 17/12/19 19:01 Call center Davinotti - 710 interventi
La canzone dei Pooh che si sente nella scena in discoteca del primo episodio è "Per te qualcosa ancora" (Facchinetti-Negrini), uscita come singolo nel 1974 e pubblicata nella raccolta "I Pooh 1971-1974"
DiscussioneAlex75 • 17/02/20 19:00 Call center Davinotti - 710 interventi
Markus ebbe a dire: Figurati Zender, mi fa piacere condividere i miei "tesori". Questo è un film che adoro, poichè tratta con una sincera cattiveria un tema allora (ma anche ora) attuale. L'unica differenza tra ieri ed oggi è che all'epoca le prostitute erano italiane.
Da questo punto di vista, ciò mi sembra vero soprattutto per il primo episodio, che mostra un percorso tipico: molte ragazze straniere (come la ragazza sarda protagonista di questo segmento) si ritrovano sul marciapiede attraverso l'intervento interessato di connazionali "integrati" che le hanno attirate con una prospettiva di lavoro che si rivela, nella migliore delle ipotesi, un impiego sottopagato e in nero. Però, la storia della vergine sembra ricordare una vicenda di qualche anno fa che fece salire agli orrori della cronaca un giro di prostituzione di teenagers in un quartiere "bene" di Roma, partito proprio dai banchi di scuola. E poi, nell'ultimo episodio, c'è un accenno alle false agenzie di lavoro o di casting che a volte rappresentano un'anticamera della prostituzione (almeno per ragazze senza punti di riferimento o con famiglie disfunzionali, se non inesistenti: peraltro, mi sembra che tutte le storie qui presentate mettano in risalto proprio l'influenza della famiglia, o della mancanza di questa).
Avrei una curiosità: più che un aka, RACKET DELLA PROSTITUZIONE MINORILE" non è un sottotitolo di STORIE DI VITA E MALAVITA? (nelle locandine del film lo leggo sempre in piccolo sotto STORIE DI VITA E MALAVITA scritto grosso)
DiscussioneZender • 20/07/24 07:25 Capo scrivano - 48335 interventi
No, Italia taglia evidenzia l'altro come "titolo correlato", ma il titolo è quello breve.