Piantato in asso dalla donna con cui viveva da tempo, un operaio della valle del Po prende la sua bambina e inizia una peregrinazione nelle sue terre natìe, fra vari incontri e vicende... Antonioni si prepara alla celebre trilogìa dell'incomunicabilità con un gran film che tiene un piede nel realismo nostrano e con l'altro si addentra nei territori che lo renderanno celebre. Duro, triste, intenso, splendidamente girato, è sicuramente fra i grandi esiti del maestro ferrarese pur non avendo il fascino delle sue escursioni internazionali.
L’attualità del film sta nel fatto che la storia (l’amore perso), qui ambientata in un’Italia che non c’è più, è attuale pure nell’èra contemporanea. Cochran non convince nella ripetizione di alcuni gesti, ma è efficace quando erra penosamente con la bimba. Notevoli le donne, con la Gray (doppiata dalla Vitti) forse al massimo del suo prorompente fascino. Grandissima la Valli dopo gli schiaffi subìti “coram populo”: frase tombale sull’amore, sguardo a destra, sguardo a sinistra e via diritta. Il finale ricorda com’è pericoloso tornare in un luogo in cui si è stati felici: trovarlo cambiato è uno choc.
MEMORABILE: La citata uscita di scena di Alida Valli.
Padano, nebbioso, itinerante. Attraverso il fallimento esistenziale di un vedovo, errabondo da un grembo all’altro, Antonioni affronta la prova generale dell’imminente “trilogia dell’incomunicabilità”, toccandone i principali temi (individualismo, solitudine, dolore, irruzione del progresso, tragico finale) ed inserendoli in un contesto ancora legato alla quotidianità neorealista. Le incisive figure di donne tra loro diverse diventano altrettante metafore della disperazione di Cochran, e la acuiscono. Vigili musiche di Fusco.
MEMORABILE: Gli schiaffi (veri) di Cochran alla Valli.
Tra i due, tre titoli migliori di Antonioni che filtra la lezione del neorealismo e la immette nel suo personale modo di sentire la realtà e di analizzare il dramma post-boom dell'alienazione. I suoi lavori documentaristici sul Po che precedono questo film si fanno beneficamente sentire e questa pellicola on the road ha una forza e una suggestione vera, che raramente si ritroverà negli altri film del regista.
Desolante, vero, bellissimo. La storia del protagonista, del suo passare in rassegna la propria vita nel tentativo un po' inconscio di tirarne le somme, è intenso e struggente. I silenzi caratteristici dell'autore si fondono a perfezione con l'alienante paesaggio padano. Un viaggio dell'anima. Capolavoro di Antonioni.
Tradito dall'amante, vaga per la campagna cercando una casa e un lavoro, e incontrando altre donne. Nonostante sia una storia di sentimenti, il film ha un unico vero protagonista: il paesaggio della bassa pianura ferrarese verso il Polesine, terra sospesa e sofferente, luogo mentale e fisico al tempo stesso, fotografata in uno spietato b/n. Il piatto orizzonte padano diventa così il desolato deserto del vagabondaggio amoroso ed esistenziale, simbolo assoluto dell'umanità e al contempo dimora di quella specifica umanità padana. Imperdibile.
Ricorda il vagabondaggio per Roma di un altro padre, alla ricerca di una bici rubata in compagnia del figlio. Qui la ricerca ha un obiettivo più sfuggente, ritrovare un senso per un'esistenza immiserita, materialmente e umanamente. Con una regia perfetta e spietata, Antonioni isola i personaggi come figurine perse nella nebbia del Polesine, non più contadino e non ancora del tutto approdato alla dura modernità del distributore di benzina e della sua proprietaria, che non sa/vuole essere né figlia, né moglie né madre. Bellissimo ma quasi insostenibile.
Gran film di Antonioni in cui il maestro ferrarese mostra in primis le sue grandi doti
nel ritrarre paesaggi, coniunagondole però con una qualità ed intensità narrativa che non sempre si paleserà in futuro. Ne è venuto fuori un sorta di road-movie italico in
cui il paesaggio comincia ormai ad essere deturpato dai segni antropici del progresso.
Non molto celebrato, o quantomeno è stato poco baciato dal successo, eppure tra i migliori del regista: di conseguenza è da non perdere.
Aldo, una volta perso l'amore della sua donna, inizia un viaggio circolare dove incontrerà altre tre donne, dietro le quali troverà non una comunanza, un'appartenenza, bensì altre solitudini in cui rispecchiare la propria. La narrazione di ciò è sottolineata dai paesaggi lividi, desolati, brumosi di un inverno padano. Molto suggestive e ricercate alcune location, come il distributore solitario in mezzo alle saline, le due anatre di legno sul greto del fiume, il sinistro silos dello zuccherificio...
MEMORABILE: Incomunicabilità: Aldo racconta con dolce rimpianto come ha conosciuto Irma. E Andreina gli chiede: "Ma che razza di storia è questa... come finisce?"
Insieme a Cronaca il miglior film del regista ferrarese, prima della svolta appunto "antonioniana". Per la prima volta il viaggio, destinato ad assumer un ruolo centrale nel suo cinema, diviene asse portante della storia di Aldo, vera e propria metafora della propria coscienza in movimento (alla deriva si direbbe), specchio di un paese, le cui profonde radici (il Po, la civiltà contadina) appaiono in inesorabile mutamento. C'è soprattutto un inedito, discreto ma trasparente, trasporto per i personaggi. Grey e Alida femmine da palude, lacustre b/n di Di Venanzo.
E’ un grido soffocato, per scelta o per attitudine; è la deriva on the road individuale di un uomo ora solo, un’esistenza che si riaffaccia al passato per dimenticare il presente trasformandolo in riscatto, dignità, gioia, amore; o solamente un modo per riacquisire la felicità in un mondo ricoperto dalla nebbia, diviso da distanze incolmabili, sporcato dal fango, raggelato dalle disgrazie, viziato dalla modernità che avanza. Poderoso b/n di De Venanzio che ammanta di realismo una storia grondante disperazione e umanità. Capolavoro.
MEMORABILE: Lo schiaffeggiamento ai danni di Irma; Aldo che racconta a Andreina come ha conosciuto Irma e lei insoddisfatta rivendica un finale; Le tre donne.
Perla neorealista di tutto rispetto. Personaggi tristi e abbandonati vagano in paesaggi vasti quanto la loro solitudine, mentre l'onnipresente nebbia ne rende ancor più rarefatta l'atmosfera già diafana e malinconica. Storia d'amor perduti e amori indecisi, con un finale sì tragico ma anch'esso sul confine quasi poetico del dolore umano. Ottima fotografia e suggestiva colonna sonora che accompagna significativi silenzi. Film delicatamente rivestito di quel dignitoso garbo tipico degli Anni Cinquanta.
MEMORABILE: La stazione di servizio in mezzo al niente; Gli accenni, in lontananza, dell'Italia post-bellica in ricrescita; La quasi "inesistenza" della bambina.
Monumento alla disperata solitudine e al deserto, reale e interiore di un uomo. Al viaggio senza un dove in un film in bianco e grigio non a caso scelto da Tornatore in Nuovo cinema Paradiso per suggellare la drammatica interruzione di un amore, fanno da contrappunto spazi che ora si richiudono su loro stessi, ora dilagano a tal punto da far quasi sentire gli odori di una nebbia e di un umido dai quali tutto può emergere tranne che una speranza. Tutto sotto lo sguardo asettico di una macchina da presa sempre, rigorosamente, neutrale.
Da una parte c'è Irma, che con la sua improvvisa decisione cambia la vita ad Aldo, dall'altra c'è Aldo, che sembra forte ma forte non è. Questa è la storia d'amore, di vita; poi ci sono i luoghi e i cambiamenti che stanno arrivando anche in quei posti che sembrano sperduti. Sono tutti protagonisti, tutti concorrono a indirizzare gli eventi verso quello che si rivela essere l'unico finale. Finale perfetto per un film. Le donne di Antonioni sono quasi tutte "cattive", l'uomo è vittima e allo stesso tempo padrone. Vittima di se stesso.
MEMORABILE: La splendida fotografia e la gestione della MDP.
Un’epoca in cui le relazioni erano più nette e il chiacchericcio dietro le finestre chiuse scandiva l’abbandono dell’uomo tradito. Antonioni non dà riferimenti visivi utilizzando gli spazi nebbiosi dell’argine del Po lasciando in disparte la geometria degli spazi. L’ellisse della crisi incede lentamente tranne sopra un materasso che dà fugace sollievo. Poi regna il fango, una valigia squadrata, ragazze che non consolano e il vuoto attorno a un silos. Lui belloccio ma superficiale, le donne sfaccettate con piglio matriarcale.
Un film interessantissimo poiché Antonioni sviluppa la lezione neorealista anticipando tematiche portanti del proprio credo cinematografico futuro (su tutte l'incomunicabilità). La vicenda, nonostante un ritmo narrativo non sempre brillante, ha straordinari momenti cinematografici - acuiti da una scelta di location sensazionale - con una sceneggiatura che dipinge personaggi femminili molto più complessi di quanto possa sembrare a un primo momento. Forma di livello assoluto grazie all'elegante fotografia di Gianni di Venanzo. Notevole.
MEMORABILE: Le scene alla pompa di benzina; Il personaggio di Alida Valli.
Un grande film sull'universo maschile in confronto al mondo femminile così variegato e incisivo e che supera il genere neorealista. C'è un uomo tradito nelle sue intenzioni col suo peregrinare doloroso e silenzioso e intorno un'Italia ancora in ricostruzione dopo lo sfacelo della guerra. Cinema intimista, introverso come un grido soffocato dentro l'anima. Alida Valli spietata co-protagonista.
Abbandonato dall'amante, un operaio lascia la sua casa ed inizia a vagare insieme alla figlioletta lungo le rive del Po, campando di lavori occasionali... Ulisse senza un'Itaca verso cui tornare, il protagonista è una figura in un paesaggio reso astratto da una nebbia che riflette/accentua lo smarrimento interiore. A differenza di quanto avviene nelle opere di ambientazione alto-borghese, qui la cura formale non è un bonus a parte, ma parte integrante di una narrazione che coinvolge ed emoziona. Meno quotato rispetto ad altri film del regista, da considerarsi invece fra suoi migliori.
MEMORABILE: Dopo gli schiaffi davanti ai compaesani, la reazione della donna
Anello di congiunzione tra l'Antonioni post-neorealista e quello che faceva dormire Bruno Cortona, un road-movie nelle nebbiose campagne padane che si fa via crucis interiore, catalogo di solitudini, desideri mai corrisposti e sogni che si infrangono nel grigiore del loro contesto. Un flusso ritmicamente ed emotivamente ondivago: ipnotico nelle peregrinazioni del suo protagonista, scontato ma coerente negli esiti, potente nella descrizione delle figure femminili, profonde e mai scontate. Coi suoi cali, ma suggestivo e mai accomodante.
Svisato come un paesaggio di Munch, il protagonista urla afono per l'intero film. E' un tormentato che non trova requie dopo il tradimento dell'amata. Figura di studiato patetismo alla quale non riusciamo ad affezionarci. Antonioni è nella fase 1 dell'indagine psicologica che lo porterà negli anni 60 su vette insuperate. Lo scavo c'è, non resta abbozzato, eppure sembra risolto solo dal traino degli eventi; più di Cochran brave le donne (Valli, Blair, Gray). Di pregio le scene di massa.
Michelangelo Antonioni abbandona le suggestioni neorealiste per dedicarsi a un film più intimista e personale, che poi diventerà una sua peculiarità. Inizia da qui il suo percorso nell'incomunicabilità. Il grido è quello di un uomo perso nella nebbia, che non sa cosa fare di sé, sconfitto in partenza dall'incipiente modernità. La nebbiosa pianura Padana è teatro perfetto del vagare del protagonista, un eccellente Steve Cochran, perfettamente sostenuto da uno stuolo di ottimi attori (su tutti Alida Valli). Colonna sonora scarna ma perfetta. Uno dei migliori film di Antonioni.
Il “deserto grigio” - quasi metafisico - del Polesine, carico di forza evocativa di un deserto interiore, fa da sfondo all’errare di un’esistenza precaria e inquieta, sospinta in un percorso circolare sempre più ai margini verso un inesorabile e tragico epilogo. Antonioni realizza qui un connubio sommesso ma potente e coinvolgente tra immagini e stati d’animo, cifra stilistica e punto di forza di altre sue opere successive. Denso di significati anche il contrasto tra l’interpretazione nervosa di Cochran e quella fredda e misurata della Valli e della Gray.
MEMORABILE: Lo schiaffo a Irma; Gli opifici moderni (lo zuccherificio, il distributore) che spiccano nel nulla; Il ritorno al paese; Il finale.
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CLAMOROSO!
Sono in treno e ho casualmente incontrato un collega di Stienta, che non vedevo da almeno un anno.
Mi conferma che il borgo che Cochran lascia è Stienta! (Nota: tutte le informazioni raccolte sono già state inserite nel post con le immagini) Un grazie a Luca Marzola.
Alcuni anni or sono, quindi in epoca AD (ante-Davinotti) mi trovavo a passare per Ferrara e ne approfittai per fare un sopraluogo a Francolino, dove sapevo che erano state girate alcune scene. Pomeriggio assolato, paese deserto che neanche in "Mezzogiorno di fuoco"... tranne per una donna anziana seduta fuori dalla sua abitazione proprio nello slargo della famosa scena degli schiaffi. Mi faccio coraggio e le chiedo se sa qualcosa del film...e lei mi dice che era una comparsa nelle suddette scene ! A parte alcuni gustosi aneddoti tipo: "La Valli molto simpatica e gentile, l'attore americano (Cochran) invece uno scorbutico antipatico!! (probabilmente per il solo fatto che non parlava una sola parola di italiano), la donna rispose a mia precisa domanda che la casa della Valli e Cochran era effettivamente al di la dell'argine a Francolino (come si lascia intendere nel film), ma negli anni è stata abbattuta perchè troppo pericolosa durante le piene del fiume
Si, avevo già letto da qualche parte di Francolino come location principale, ma allora del paese c'era solo l'immagine satellitare e la curiosità di vedere il posto dal vivo era tanta...per cui passando per Ferrara non ho saputo resistere
DiscussioneZender • 11/07/13 18:36 Capo scrivano - 48361 interventi
Beh immagino. Però dovevi andarci apposta, non "passando" :)
HomevideoZender • 3/01/18 09:01 Capo scrivano - 48361 interventi
Esiste un bluray spagnolo della New Line film che ha la traccia italiana (solo quella anzi):