Sulla scia dei grandi noir americani, il francese Jean-Pierre Melville riesce con LE DOULOS a offrirne una convincente versione europea, interpretata egregiamente (il nostro doppiaggio purtroppo non gli rende giustizia) dagli ottimi Serge Reggiani (è Maurice, protagonista della prima parte) e Jean-Paul Belmondo (all’epoca molto giovane, è Silien, protagonista della seconda). Ben calati nelle atmosfere lugubri in cui il film è immerso, servono entrambi una sceneggiatura dagli sviluppi molto complessi che necessita di un flashback chiarificatore per essere compresa appieno ma che è sicuramente ingegnosa e offre più di un colpo di scena. Un noir d’attori, si diceva, che Melville sa sfruttare appieno...Leggi tutto concedendosi comunque molto spazio per la scelta delle inquadrature, con alcuni interessanti piani sequenza e un'esaltazione dei contrasti tra luci e ombre (come in ogni noir che si rispetti). L'attenzione per la psicologia dei personaggi è fondamentale, tanto è vero che anche senza alcune figure secondarie (come ad esempio il ricattatore interpretato da Michel Piccoli in un cameo di straordinaria intensità, in cui emerge la bravura dell’attore), sono sempre delineate con arguzia e attenzione. A LO SPIONE si può rimproverare (soprattutto nella prima parte) una certa lentezza, un andamento poco incisivo, ma erano sicuramente altri tempi e gli spettatori non avevano la necessità di un'azione concitata o di un montaggio serrato, particolari che ancora oggi il cinema europeo tende a considerare non necessariamente fondamentali. Un po' datato, ma di gran classe.
Meraviglioso film noir di Melville in cui non tutto è come sembra ed in cui il regista francese sembra discostarsi un pochino dalle atmosfere crepuscolari e silenti che avevano caratterizzato i suoi lavori precedenti, salvo poi "regalare" allo spettatore un finale amarissimo com'è nella regola del genere. Molto bella, avvincente ed emozionante la storia, bravissimi gli attori su cui però spicca senza dubbio un monumentale Belmondo. Imperdibile per gli amanti del genere ed anche per gli altri.
In una similamerica si muove lo spione; uno dei Melville assoluti, che decreta il regista come genio del noir francese, la sua quintessenza incarnata. Che dire? nichilismo, morale della mala, nessuno può fidarsi di nessuno (e in questo emerge la rapida ma grande presenza di Piccoli). Sul fatto che Melville fosse un nume della nouvelle vague la dice lunga questo film. In fondo "A bout de souffle" è un noir... più o meno.
"Nero" ottimamente congegnato, imperniato sui valori dell'amicizia virile e della lealtà e su come vengano declinati nel mondo della malavita. Il realismo nella descrizione delle psicologie e delle dinamiche emotive rappresenta il punto di forza del film, insieme alle atmosfere notturne, incisive, ricche di contrasti (in questo, "Le doulos" ricorda molto un noir americano). Perde un po' di ritmo nel sotto-finale (vedi il pistolotto esplicativo di Belmondo), ma si riscatta alla grande nella sequenza conclusiva. Noir cupo, amaro, pessimista.
Omicidi a volontà, auto americane, trench e cappelli (doulos nel gergo argot, ma delatore per la polizia), difficile non crederlo un noir d'oltre oceano, se non fosse per le espressioni e la gestualità della polizia, tipicamente francesi. Sono molte le cose inaspettate che avvengono, tanto che Silien (Jean-Paul Belmondo) deve fare un lungo spiegone a Maurice (Serge Reggiani), ma anche a noi e tutto si capovolge e prende un senso. Le atmosfere sono quelle giuste, non manca nulla, dal bottino sotterrato alle bellone di cui fidarsi o non fidarsi.
Nelle mani di un americano questo film sarebbe diventato un noir come tanti, magari dal ritmo più svelto ma privo della profondità che, invece, il francese Melville riesce a dargli. Grazie alle fenomenali interpretazioni di Reggiani e Belmondo, il film si riempie di grandi momenti recitativi e si presta a varie letture, diventando anche un "elogio dell'amicizia virile" (Morandini). Che dire poi dei giochi di luce, dei chiaroscuri, dell'atmosfera torbida e malsana che pervade l'opera. Non fosse per il finale un po' forzato sarebbe un capolavoro.
Sicuramente da vedere per capire il percorso che porterà al sublime I senza nome, il film è quasi una prova generale, un testarsi prima di spiccare il volo verso vette irraggiungibili e insuperate, a tutt'oggi. Il tema del destino e della morte anche interiore che grava sui personaggi, l'amicizia che resiste nonostante le apparenze e l'ambiente, oltre alla loro ambiguità di fondo a prescindere dai ruoli, fanno del film un caposaldo del genere noir e gli si perdonano la primitività degli effetti, giustificati dagli anni '60. Ottimo.
Il primo noir melvilliano perfettamente compiuto: un fluire apparentemente lento (sgocciolante, potrebbe dirsi) in cui si incastonano magnificamente gli episodi d'azione (le sparatorie d'inizio e fine), la lealtà e l'amicizia come valori a cui si oppone un destino invincibile dove la verità muta beffarda, la scarnificazione dei dialoghi e delle psicologie (non per questo meno ricche e complesse). Nota stonata: il flashback esplicativo, davvero una stecca drammaturgica. Grande bianco e nero, bravissimo Belmondo.
Una storia di amicizia, galanterie, tradimenti affogata dentro a un noir fondentissimo, dove lo sguardo che ride di Jean-Paul Belmondo buca il video, fra quelli di tanti altri. Il plot è elaborato e il ritmo prende a prestito quello dei gangster-movie americani. Sparatorie a non finire con colpi secchi sono la colonna sonora e il sottofondo sul quale si stagliano tanti mostri sacri del cinema d'oltralpe.
Uscito di prigione, Maurice (Reggiani) tenta una rapina che finisce nel sangue per l'intervento della polizia. Qualcuno ha fatto una soffiata, e lui crede di sapere di chi si tratta... Uno dei capolavori di Melville è un polar spietato e complesso per la trama ad incastro in cui solo verso l'epilogo scopriamo i veri moventi dell'affascinante personaggio interpretato da Belmondo in una delle sue prove migliori. Buono anche il resto del cast, confezione molto elegante con inquadrature d'effetto, splendido il finale nel segno della nemesi.
MEMORABILE: L'esecuzione spietata della ragazza; La figura di Reggiani che si staglia contro la porta aperta, resa irriconoscibile dal controluce
Criminale uscito di prigione tenta una nuova rapina. Noir classico ed elegante per la scelta del b/n e per i giochi di luce/ombre a dettare la tensione. La trama è abilmente intrecciata e descrive le psicologie da gangster dei vari componenti, anche se necessita di un chiarimento finale per chiarire le responsabilità. Reggiani è il migliore per i tratti lombrosiani del ladro, al contrario di Belmondo (comunque in una buona interpretazione); nota per il piccolo ruolo di Piccoli.
MEMORABILE: Il proiettile estratto; La macchina fatta precipitare con la bionda; La finta di Belmondo per sparare poi.
Notevole gangster-story caratterizzata da una vicenda intrigante, nonostante il ritmo nella prima parte sia altalenante; chiaroscuri e penombre definiscono l'atmosfera sempre cupa, dialoghi taglienti e mai banali, precisi i tagli di montaggio. Originale il contrasto tra l'epilogo feroce e il precedente flashback chiarificatore (necessario per ricomporre il puzzle di eventi). Strepitoso Belmondo, in una delle sue migliori interpretazioni, nella norma il resto del cast.
Splendido noir in cui Melville che, come da sua consuetudine, riflette sul valore dell'amicizia virile e la fatalità del destino. A differenza però di quanto farà in altri suoilavori caratterizzati da una certa asciuttezza narrativa, qui costruisce un intrigo ricco di colpi di scena e in grado di tenere desta l'attenzione dello spettatore a dispetto di un ritmo non certo elevato. Confezione di gran classe e ottimi interpreti: non solo Belmondo (in un ruolo assai diverso da quelli che vestirà in seguito) e Reggiani, ma anche Desailly sagace commissario, Piccoli e la conturbante Dali.
MEMORABILE: L'inizio; Il flashback chiarificatore; Il finale.
Affatto male questo noir francese, sia esteticamente che nell'intreccio. Reggiani è il protagonista ma la figura più carismatica (e assai ambigua) è affidata a Belmondo (Silien), che scopre tutte le carte solo negli ultimi minuti, ricomponendo il puzzle perfetto degli eventi. Molti gli elementi mutuati dai gangster movie USA ma tutti utilizzati con eleganza e ben collocati nella tavolozza melvilliana. Tanti i colpi di scena, a partire dall'omicidio iniziale, che tengono alta la tensione fino al drammatico e beffardo finale.
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Un'interessante curiosità è relativa al vecchio doppiaggio italiano, davvero "strano", affidato alla A.R.S. Belmondo ha infatti la voce di Renato Cominetti, credo per la prima e l'unica volta: la spiegazione risiede nel fatto che Cominetti era presidente della ARS, e quindi ... beh, ci siamo capiti...
Singolari anche le voci di Serge Reggiani che ha quella di Ubaldo Lay e quelle delle tre interpreti femminili principali, doppiate da Mirella Pace, Antonella Steni (!) e Marisa Fabbri (sì, proprio l'attrice di teatro che interpretò la suora economa nel film "Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue" con Alberto Sordi, e che all'epoca faceva anche, saltuariamente, del doppiaggio).
Nel libro di Wensley Clarkson TARANTINO - THE MAN, THE MYTHS AND HIS MOVIES edito nel 2007 viene citato come uno dei film e delle fonti di ispirazione che più di ogni altro hanno influenzato la carriera registica di Quentin Tarantino.
Colonna sonora di Paul Misraki e Jacques Loussier. Quest'ultimo si occupa della parte jazzistica, sicuramente dei brani di piano solo ed evenutalmente di quelli in trio.
Sono presenti due scene con musicisti jazz: la prima nel locale Cotton Club, con un gruppo jazz di colore, e la seconda in una delle sequenze finali, girata nel bar, con un musicista nero che suona il pianoforte. Ovviamente non si tratta di Loussier, che è un bianco. Potrebbe trattarsi del pianista Michel Sardaby, ma non è facile l'identificazione.
Per creare un po' più di ambiente "noir" made in USA, Melville sceglie di chiamare il locale "Cotton Club", evidente riferimento al celebre locale jazz di New York, e di presentare musicisti di colore.
Forse avrebbe preferito anche una colonna sonora interamente di quel genere musicale, che non venne accordata dalla produzione franco-italiana...
Anche la scelta di Loussier è ambigua, non trattandosi di un jazzista "puro" ma di un musicista colto che in quel periodo spopolava con la sua reinterpretazione di Bach in chiave jazz.