Note: L'opera è tratta dalla pièce teatrale "The Talking Cure" di Christopher Hampton (qui in veste di sceneggiatore), a sua volta tratta dal libro "Un metodo molto pericoloso" di John Kerr.
Il rapporto tra Jung e Freud riletto da Cronenberg con l'occhio rivolto alla figura femminile che li unisce e li separa, quella Sabina Spielrein che Keira Knightley carica nella prima parte di scatti nervosi talmente accentuati da sfidare talvolta il ridicolo. Il Freud di Viggo Mortensen (doppiato benissimo da Pino Insegno) emerge comunque rispetto al più centrale Jung di Fassbender, tormentato da dubbi e rimorsi, travolto dall'impulso sessuale irrefrenabile che lo porta a tradire la ricca e docile moglie con l'assatanata paziente. Cronenberg ormai ambisce al classicismo, si guarda dal non deludere la critica che l'ha accolto nell'alveo dei Nuovi Maestri provando a non tradire l'identità che gli aveva...Leggi tutto comunque permesso di introdursi con la forza di una forma propria e originale nel ristretto novero degli autori in grado di travalicare il genere dopo averlo cavalcato. Ma per accontentare tutti finisce con lo svelare un'inattesa timidezza che lo porta a navigare più in superficie del previsto, beandosi dell'accurata ricostruzione storica e arricchendola con fotografia e musiche di alto livello. Della complessità del pensiero junghiano non v'è traccia, perché lo spazio necessario ad evolvere il melodramma (per quanto impreziosito da uno stile e un'aggressività solitamente estranei al genere) ruba quello che due personalità tanto fondamentali nella nascita e nello sviluppo della psicanalisi avrebbero meritato. L'attenzione della sceneggiatura è rivolta al cesellamento dei dialoghi, quella della regia a bilanciare i toni nel tentativo di conferire all'opera la maturità e lo spessore che da Cronenberg ci si attendono. Per fortuna - tra una veleggiata sul lago e un amplesso masochista - la grazia degli scambi epistolari tra i due luminari e i loro incontri velati da una malcelata ambiguità destinata a sfociare in scontro educato ma aperto riesce senza troppa difficoltà a collocare il film tra quelli in cui comunque il tocco del grande regista ancora si coglie.
Non del tutto riuscito. Se A history of violence e La promessa dell'assassino erano film focalizzati su microstorie, qui Cronenberg si avventura in una materia semplicemente troppo grande. Gli albori della psicanalisi, Freud, Jung, la Vienna di inizio secolo, la sensualità, la repressione borghese... troppa carne al fuoco e non cotta a puntino.. Una precisa scelta registica incatena Fassbender ad una maschera filistea, privandolo di tutte le penombre che avremmo voluto leggere sul suo volto.
MEMORABILE: All'arrivo a New York, Freud che dice "Poveretti! Non sanno che gli stiamo portando la peste!"
A Dangerous Method risulta una pellicola tutt'altro che "pericolosa". Cronenberg delude, da lui ci si aspetta ben altro che una semplicistica rappresentazione della psicanalisi da parte del padre per antonomasia (Freud) e del suo successore (Jung). La sua filmografia è ricca di pellicole dirette e carnali, tutt'altro che sussurate, come invece è quest'ultima. Freud è visto come un povero vecchio bacchettone e del suo Pensiero non si dice quasi nulla, Jung come un ipocrita e inconsapevole affamato di sesso. Una pellicola fredda e distaccata.
MEMORABILE: Il colloquio tra Freud e Jung in cui Jung espone le sue doti "parapsicologiche" allo scettico Freud.
L'opera sviscera con molta cura le personalità dei tre protagonisti offrendo sfumature molto sottili ed interessanti. Purtroppo la sceneggiatura è poco fruibile soffrendo di troppa complessità (soprattutto per il tema trattato: la psicoanalisi). I dialoghi risultano molto tecnici e di non facile lettura, la regia non regala inquadrature fuori dal comune ma risulta molto funzionale e concreta. Invalutabile la prova della Knightley (non proprio con un'accezione negativa). Il film è poco coinvolgente e lascia parecchie perplessità.
Cronenberg ci aveva abituati a film ostici e difficilmente digeribili. Con A dangerous Method invece cerca quasi l'appoggio del pubblico a sfavore della sceneggiatura, mai coinvolgente e a tratti banale. Anche perché la storia è molto semplice: il difficile rapporto tra Jung e Freud, in cui si inserisce una figura femminile della quale devo ancora capire lo scopo a livello narrativo. Peccato, perché poteva essere una delle migliori opere cronenberghiane (dato il suo amore per l'argomento); il risultato invece è un film insipido e superficiale.
Il film è coinvolgente, poiché oltre ad essere una biografia ci parla di qualcosa di molto vicino a noi: le debolezze. E lo fa andando al fulcro della questione, raccontandoci quelle di chi non avrebbe dovuto averne (i pionieri della psicoanalisi, ovvero Freud e Jung). Si parla di carnalità trattando il rapporto quasi morboso che questi medici avevano col sesso (esemplare il caso del personaggio di Cassel). Bella prova per Fassbender, meno convincenti Mortensen e Knightley. Unica nota bassa per i tempi, un po' troppo... lunghi.
MEMORABILE: "Alle volte è necessario fare qualcosa di imperdonabile per poter vivere".
Punto di afelio di Cronenberg coi suoi film d'esordio, sia nella confezione che nei contenuti. Un riuscito biopic melodrammatico, diretto e recitato professionalmente, che riesce a rendersi trascinante tra dialoghi psicanalitici (ma in salsa hollywoodiana), timidissime perversioni e un intrigo sentimentale di stampo abbastanza classico. Peccato che i paletti della veridicità che il genere pianta intorno alla sceneggiatura creino dei notevoli limiti al film, percepibili soprattutto in chiusura. Ciononostante il livello complessivo è buono.
Esempio di cinema classico nel vero senso della parola: pochi personaggi, lunghi dialoghi, scarsa presenza di colonna sonora, ritmo lentissimo e luoghi chiusi. Sembra quasi un film d'altri tempi questa nuova opera di Cronenberg: il tempo si dilata, i personaggi si mettono a nudo e se si entra nel film fin da subito non si può non rimanerne affascinati. Estremamente distante dal Cronenberg che tutti conosciamo, ma altrettanto inconfondibile. Non viene voglia di rivederlo ma rimane comunque una buona prova, sia registica che recitativa.
MEMORABILE: Jung che nelle scritte prima dei titoli di coda viene indicato come "Il miglior psicologo di sempre".
Freud e le sue geniali intuizioni. Freud e il suo stucchevole egocentrismo. Un giovane Jung sul terreno dissestato dell'esperienza diretta, a confronto con il suo idolo. Cronenberg ce li racconta in modo superficiale (il film non ambisce a svilupparne la biografia) e si concentra sullo snodo fondamentale della monogamia: un costrutto fastidioso che proviene dalle morali? Al di là della bravura degli interpreti (e in particolare di una Keira Knightley che con quegli occhi velati di nero lì...), dal tema e dalle figure di riferimento mi sarei aspettato quanto meno qualche argomento in più.
MEMORABILE: I primi colloqui di Jung con la fanciulla.
Freud e Jung: dal pansessualismo alla trascendenza. Eros e psiche - e thanatos: la residuale pulsione di morte, il cupio dissolvi ancestrale, nelle membra di Sabina Spielrein. Donna mediatica, femminile ibridante. La progressione psicoanalitica investe i personaggi, cattura il pubblico, rilancia il sistema concettuale e rivela nell'apparato teorico le secrezioni umane, le alchimie relazionali contingenti - e patogene. Siamo carne, e l'amore un imperituro arcano. Gli attori non recitano, esemplificano pulsioni e metodologie. Carteggi pericolosi di Christopher Hampton. Chirurgia meditativa.
Mai avrei pensato di uscire dalla sala deluso dopo aver visto un film di Cronenberg e invece è successo. Il triangolo Freud-Jung-Spielrein che si perpetua per tutta la durata del film alla lunga annoia. La regia, così come la storia, è priva di guizzi che possano portare un minimo di pathos in chi lo guarda. Inoltre il linguaggio tecnico utilizzato (transfert/abreazione etc.) lo rende sicuramente interessante per gli addetti ai lavori (psicoanalisti), meno fruibile per gli altri.
MEMORABILE: Le smorfie dell'isterica Spielrein, ben interpretata dalla Knightley.
Se questo film fosse stato diretto un diligente Pinco Pallino, sarebbe anche stato accettab, pur non denotando particolari guizzi registici, o voglia di osare (le espressioni da gorilla della protagonista durante le prime crisi non sono osare, ma più rischiare il risibile). Il problema è che codesta pellicola è di Cronenberg, che un tempo colpiva, stupiva e intrigava. Ora invece, ci si ritrova con un prodotto che, pur dovendo scavare la psiche, nella scala Cronenberghiana in realtà intacca a malapena la superficie. Se sei un Leonardo, David, non fare il madonnaro (quelli non mancano).
MEMORABILE: Il direttore: "Quali sono i suoi interessi?". E la protagonista: "Il suicidio, o anche viaggi interplanetari".
Il merito principale del film è nel modo in cui Cronenberg ha trattato gli argomenti
contenuti in esso. In mano ad altri registi, infatti, il testo di partenza e la relativa sceneggiatura, avrebbero potuto dare spazio ad eccessive pruderie e gratuite prestazioni ginniche di ogni tipo. E invece il canadese affascina e intriga parlando
di sesso e psiche, e lo fa con grande correttezza e sobrieta. Il tutto "inguainato" in una confezione scintillante in cui nulla è lasciato al caso. Fassbender convince, Mortensen e Kira meno, ma se la cavano bene.
È indubbio che il buon David Cronenberg ha fatto di meglio, ma comunque questo A Dangerous Method lo considero un grande esempio di cinema: i dialoghi sono scritti benissimo, la fotografia è ottima così come la regia. Keira Knightley ai suoi massimi storici.
La psicanalisi raccontata e, per certi versi, banalizzata da Cronenberg attraverso le storie dei suoi principali iniziatori. Gli attori sono bravi, la sofferente Knightley e l'acuto Mortensen in particolare, ma il racconto procede in tono didattico senza scossoni emotivi, complice la volontà del regista di non abbandonarsi a scene gratuite. Tanto che bisogna aggrapparsi all'incursione dell'amorale Cassel e ad alcuni scambi dialettici tra Jung e Freud. Il rapporto Jung-Spielrein appare invece più prevedibile e prende troppo spazio nel film.
Sublime indagatore della psiche umana, David Cronenberg "toppa" proprio nel film dedicato ai due miti fondanti della psicoanalisi. Non che A dangerous method sia un brutto film; il problema è legato ad una sceneggiatura che "ingessa" troppo i protagonisti che appaiono dotti dissertatori privi di spessore umano. Viggo Mortensen poi, è poco credibile nei panni del maestro (si presume "canuto") Freud, mentre Fassbender è più convincente. Discreta la prova della Knightley. Deludente.
Non è un Cronenberg al massimo delle sue immense possibilità, d'accordo, ma occorre dire che il soggetto non lo aiuta (certo, lo ha scelto lui, e dunque non lo assolve): il romanzo che ispira la sceneggiatura, infatti, offre un quadro eccessivamente schematico e stereotipato delle personalità di Jung e Freud, e - soprattutto - indulge in una sorta di gossip sessuale/sentimentale sul circolo psicanalitico del tempo, scansando i nodi più profondi di quella temperie culturale. La regia, come al solito, nobilita la mediocre materia.
La psiche e la perversione, il piacere e il dolore, la sessualità e l'intelletto; molti i temi al centro della pellicola che, nonostante una certa confezione, non riesce a brillare e soprattutto non è all'altezza delle aspettative. Keira Knightley ha un ruolo molto difficile che, solo con molta preparazione, sarebbe potuto risultare credibile e che solo un'attrice dotata di grande talento avrebbe potuto far suo fino in fondo. Una depravazione spiegata più che vissuta. Comunque interessante.
Cronenberg si adagia su un girato classico, al limite dello stucchevole. Il tema psicanalitico è importante e riconosco il merito di una sceneggiatura interessante e di buon livello di contenuti. Forse nella seconda parte si perde l’entusiasmo ad affrontare certi discorsi in una sorte di involuzione della morbosità. Come attori, meglio Fassbender di Mortensen e la Knightley ci prova ma ha troppo poche espressioni nel suo carniere.
Il caro vecchio Remotti ci avrebbe fatto ridere di più. Cronenberg, da par suo, ci mette il rigore stilistico, un paio di movimenti di macchina di assoluto spessore e uno stile ricercatamente mitteleuropeo nel raccontare il rapporto tra i due fondatori della moderna psicoanalisi. Il vero problema della pellicola, al di là di un ritmo a volte latitante, è la poca voglia di osare, di scandagliare meglio la psiche (appunto) dei tre protagonisti riducendoli ad un threesome erotico-sentimental-professionale un po' piatto. Non male ma poco personale.
Ma Cronenberg dov’è? Invece di addentrarsi nel cuore della psicanalisi di Freud e Jung che avrebbe potuto attizzare i suoi abituali estremismi visivi, si prostra ai gusti del grande pubblico servendogli nulla più di un triangolo sessual-sentimentale – e ciò è nell’aria sin dai primi minuti - avvolto nella fotografia algida e calligrafica di un qualsiasi mestierante hollywoodiano. Il manierismo intacca anche gli interpreti: se la Knightley lascia una debole traccia solo per le sue smorfie isteriche, Fassbender è troppo controllato e Morgenstern eccessivamente impettito e fasullo. Débâcle.
MEMORABILE: Il tossicomane Otto Gross (Cassel) mentre gira frenetico nello studio di Jung; gli amplessi sado-maso di Jung.
Il rapporto tra Freud e Jung narrato con un'ingombrante quanto fondamentale figura femminile. Un affresco corretto e scenograficamente apprezzabile in cui la parte dialoghistica regna sovrana validamente nonostante possa risultare alla lunga noiosa. Fassbender interpreta bene la sua parte mentre Mortensen appare anonimo. Brava espressivamente la Knightley.
A metà tra chi pensa che sia un film lontano dallo stile di Cronenberg e chi vede nel contagio della psichiatria un segno di continuità, A dangerous method appare più che altro una pellicola raffinata, ben fatta ma con una aridità di fondo, una mancanza d'anima e di visceralità che hanno fatto la storia del cinema cronenberghiano. Anche Inseparabili era un film con poche connesioni con l'horror puro, ma era tutta un'altra musica.
Più che le moderne teorie sulla psicoanalisi, qui si vogliono mettere a nudo alcuni aspetti delle personalità, diciamo così private, dei grandi protagonisti della materia. Soprattutto Jung viene psicoanalizzato e ne viene fuori un "uomo". Un uomo vieppiù consapevole della sua natura, a beneficio dei suoi studi e delle sue teorie. In questo senso il film, di origine teatrale, è sviluppato benissimo e relega sullo sfondo le figure, pur basilari, di Freud e Gross. Film luminoso nonostante gli antri bui della mente umana. Alto livello di qualità.
MEMORABILE: Jung: "a volte devi fare qualcosa di imperdonabile per poter continuare a vivere".
Davvero pericoloso questo nuovo metodo di analisi della psiche, che non lascia indenni pazienti né medici! La storia del ménage tra Jung e la giovane Spielrein (notevole Knightley), già esplorato in Prendimi l'anima, è il perno su cui s'impianta il poderoso scontro tra visioni della cura e della vita stessa: il sessocentrismo di Freud contro la ricerca quasi mistica di Jung, i limiti del desiderio per la sua protegée e l’anarchia per Gross. Film di idee, elegante e insinuante, ma anche di amore e passione, dove la scienza si scontra con le profondità dell’essere.
Le storie di uomini che avrebbero cambiato il corso della psichiatria sono impastate di vicende umane ricche di contraddizioni e dolori. Ma qui il racconto procede didascalico e insicuro, puntando la prua non si sa dove e senza approdare in nessun posto preciso. Se David Cronenberg risulta irriconoscibile, Viggo Mortesen appare fuori ruolo, nello sforzo di non abbandonare mai il suo sigaro fumante. Tanto superficiale, un po' inutile.
Film di non semplice definizione riguardo al giudizio perché presenta alcuni difetti di una certa importanza, a cominciare da una sceneggiatura che tende a cristallizare i personaggi dando loro un raggio di azione molto limitato; appaiono così molto distaccati, quasi fossero sospesi per aria in un mondo loro. Fassbender sembra essere quello più in forma, mentre mi ha sorpreso (in positivo) la Knightley. Nota dolente per Mortensen, abbastanza fuori posto, cosa che, dopo il coinvolgimento nel Signore degli Anelli, è accaduta un po' troppo spesso.
MEMORABILE: Freud che rifiuta di raccontare un suo sogno a Jung.
Il pericoloso metodo del cinema cronenberghiano, prima di passare alle mutanti (e talora pacchianamente arzigogolate) sperimentazioni sulle proiezioni del reale (Cosmopolis), si ancora a quella bipolarità che gli è più (in)direttamente congeniale. Rinunciando volontariamente a eccentricità registiche, in nome di una messa in scena piana, il film non riesce totalmente a tra(n)sfer(ire) i perturbanti rimossi psicanalitici dello script di Hampton, restituendo tuttavia la "inseparabile scissione" Freud-Jung. Tra i litiganti Mortensen-Fassbender la Knightley gode.
Visto l'argomento (il contrasto tra Freud e Jung), da Cronenberg mi aspettavo un sublime studio psicanalitico e un parricidio di proporzioni greche. Invece è venuto fuori un esangue compitino da liceo che, nonostante un inizio promettente e una fotografia di alto livello, non decolla mai. Del ménage à trois dei protagonisti, la migliore è la Knightley (il personaggio nevrotico aiuta di certo), mentre Fassbender è fin troppo controllato e Mortensen serve più che altro a reggere il sigaro. Anedonico.
MEMORABILE: Le ultime lettere scambiate tra Jung e Freud.
Dopo il bel La promessa dell'assassino questo film arriva come una doccia gelata, specialmente per chi - come il sottoscritto - ancora celava il malcelato desiderio che Cronenberg tornasse a uno stile più consono alla sua poetica; il regista invece sceglie una direzione controllatissima, che sembra voler lambire il cinema hollywoodiano alla ricerca del consenso di certa critica con la puzza sotto il naso. Confezione di alto livello, cast in parte, dialoghi curati e persino un discreto ritmo (per il genere di film che è), ma non lascia nulla.
Interessante ma faticoso, più biografico che scientifico. Cronenberg affronta il complesso tema della nascita della psicanalisi con notevoli semplificazioni, concentrandosi sul sofferto rapporto sentimentale tra il giovane Jung, allievo di Freud e la sua paziente Sabina Spielrein. Un prodotto molto curato, ma senz'anima. Buone le prove di Fassbender e della Knightley, disturbante schizzofrenica che all'inizio si contorce coraggiosamente in smorfie deformanti.
Nell'immaginario collettivo Cronenberg è il Kafka del cinema (Videodrome, Rabid, La mosca, ma anche le appendici di eXistenZ), eppure il regista canadese è stato capace anche di drammi psicologici e intimisti memorabili come M. Butterfly o Inseparabili. Questo Dangerous Method fa certo parte della seconda schiera e non gli si possono certo muovere critiche sull'estetica, ancora una volta di rara eleganza e ricercatezza. Ciò che forse gli si può imputare è la mancanza di momenti veramente sorprendenti. Insospettabilmente brava la Knightley.
Impalpabile lavoro su Jung, Freud e la nascita della psicoanalisi, del tutto incapace di destare il benché minimo interesse. Un autore come Cronenberg doveva tirar fuori qualcosa di diverso da una storiella esile e drammaticamente appesantita da dialoghi verbosi e accademici. Sembra abbia perso la capacità di esprimere dei concetti in quanto si assiste a un susseguirsi di dissertazioni recitate in maniera scolastica e distaccata che generano soltanto noia e distacco. Tirato a lucido e visivamente bello, ma non rimane niente in testa.
Pellicola interessante questa di Cronenberg, non la sua migliore, che però presenta spunti su cui si può ragionare e riflettere. L'argomento psicoanalisi è sempre stato trattato nei suoi film e qui viene messo in luce in quanto gli ottimi Fassbender e Mortensen interpretano i due creatori della materia. Brava anche la Knightley, che quando si tratta di girare un film in costume difficilmente sbaglia il colpo. Ottime le scenografie e la colonna sonora; il ritmo cala quando ci si concentra troppo sulla storia d'amore, ma non è un male.
La chiave dell'apprezzamento di questo Cronenberg inusitatamente teatrale è legato a doppio filo al giudizio sui primi 20' (sopra le righe) della prova di Keira Knightley: a chi non li amasse piacerà probabilmente il seguito, chi li adorasse rimarrà scottato dall'evoluzione della vicenda. Chi scrive fa parte della seconda categoria. Le interpretazioni sono di livello, ma a difettare questa volta sono la storia (impacciata) e la regia (blanda).
Jung prende in cura una paziente affetta da una grave forma di isteria, con la quale inizia in seguito una tormentata relazione. Nel frattempo, i rapporti fra lui e il mentore Freud si deteriorano sempre di più... Sulla carta, il triangolo Jung-Spielrein-Freud sembrava nelle corde del regista ma il risultato delude: lontano dalla visceralità conturbante delle sue opere migliori, pare irrigidito nella cura formale di ambientazioni, costumi ed arredi. Fassbender e Mortensen corretti ma troppo imbalsamati nei rispettivi ruoli, Knightley eccessiva, Cassel fascinoso nel ruolo di Otto Gross.
Non propriamente buono, ma quasi. Da Cronenberg ci si aspetta sempre (anche se talvolta si resta delusi assai) film personali e interessanti, e questa volta non si "respira" in toto l'arte del regista, faticando non poco a riconoscere l'opera come sua. A nobilitare l'operazione abbiamo tre buoni interpreti (Mortensen comunque decisamente meno efficace rispetto agli altri due) e l'impeccabile eleganza formale; d'altro canto la trama non vola troppo alto e sicuramente da altre mani sarebbe potuto uscirne un prodotto mediocre. Il *** è un po' generoso...
Un film che ripercorre la storia d'amore tra Jung e la sua paziente Sabine, su cui già Lizzani e Faenza avevano realizzato altri film. L'opera hollywoodiana è certamente corretta da un punto di vista formale, però soprattutto i personaggi di Sabine e di Freud sono inverosimili: lei troppo dura, lui troppo grossolano. Il film tenta di mettere in luce tutti i nodi della nascente psicanalisi e ci riesce, però mostra la storia d'amore senza un briciolo di tenerezza e di coinvolgimento.
Un eccesso di biografismo e un taglio manualistico condannano il film a una decisa aridità. Panoramica sugli albori della psicanalisi senza colpi di genio. Il regista non coglie l’occasione del tema trattato, della disciplina che guarda verso l’abisso, per scatenare il suo talento visionario, ma si limita ad affrontare scolasticamente i conflitti tra scienza e istinto vissuti dai protagonisti. Ne scaturisce quello che pare il compendio di un trattato scientifico. La Knightley isterica gioca facile, prende la scorciatoia e non convince. Sul lettino di Freud ci si addormenta...
MEMORABILE: La Statua della Libertà, che scorre sullo sfondo, tra i profili di Freud e di Jung.
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Credo proprio che Rebis abbia ragione. Il visto
censura è unico per il territorio italiano (ci
mancherebbe). Tuttavia nel caso di anteprime e
manifestazioni affini, quando manca il visto
censura, il divieto è sempre ai minori di anni
18. Lo dico con certezza e cognizione di causa
poichè al Festival di Torino succede così: tutti i film che non hanno già avuto la vidimazione censoria, sono vietati ai minorenni
E' scritto chiaramente nei cataloghi festivalieri. Suppongo quindi che sia una regola che valga per tutti i festival. Infatti, solo per fare un esempio, l'anteprima del film di Coppola (Twixt) era solo per maggiorenni. Dubito che tale divieto verrà imposto poi alla pellicola quando uscirà nelle
sale.
Sì, ricordo che Didda lo aveva visto in anteprima... Confermo quanto scritto da Cotola, anche alla cineteca di Bologna quando il visto è irreperibile o assente mettono il VM 18 (poi non è vincolante, né scritto sul cartellone) credo sia una prassi.
Il film è uscito al cinema venerdi 30 settembre 2011. Io l'ho visto giovedi 29 settembre in anteprima alla multisala oz ore 21:30.
Quindi come dicono Rebis e Cotola il divieto ai 18 è stato solo provvisorio. Non sapevo di questa regola nelle preview e pensare che ne ho viste tante. Alla prossima guarderò con attenzione al divieto
Mi dispiace non aver svelato il mistero di Inferno...
Il pericoloso metodo del cinema cronenberghiano, lasciate da parte le mutanti (e talora pacchianamente arzigogolate) sperimentazioni sulle proiezioni del reale (Cosmopolis), torna a una bipolarità che gli è più (in)direttamente congeniale.
Come fa a tornare a una bipolarità che gli è più congeniale se Cosmopolis è successivo e non precedente a dangerous method ?
Forse ho capito male.
Grazie giuan della spiegazione
Ciao Didda: hai perfettamente ragione! Ho in effetti scambiato la cronologia reale della filmografia di Cronenberg con la mia personale visione: pure questo sarebbe da annoverar nei casi di bipolarità o dissociazione cinematografica.
Chiedo il favore a Zender di poter mutare l'incipit del mio commento nel seguente modo "Il pericoloso metodo del cinema cronenberghiano,prima di passar alle mutanti(e talora pacchianamente arzigogolate) sperimentazioni sulle proiezioni del reale (Cosmopolis),si ancora a quella bipolarità che gli è più (in)direttamente congeniale".
Ringrazio e colgo l'occasione per un affettuoso e sincero saluto, oltrechè per gli auguri di prassi, a Didda