Prendimi l'anima - Film (2002)

Una giovane ebrea, Sabrina Spierlein, viene ricoverata in una clinica psichiatrica di Zurigo nel 1904. Verrà curata da Carl Jung, allievo di Freud del quale si innamorerà. Film dalle premesse affascinanti in quanto affronta il mondo complesso della malattia menrale e delle personalità disturbate, presenta però una sceneggiatura non all'altezza con dialoghi talora inadeguati. Anche la regia non mostra grande personalità. La ricostruzione ambientale è tuttavia affascinante e il cast dignitoso.

Nel complesso è un bel film, girato piuttosto bene: aldilà della lovestory della prima parte sorretta da ritmi non sempre vivi, mi è piaciuto per la ricostruzione del periodo e contesto storico, con il fascino dello sviluppo della psicanalisi e le scoperte epistemologiche di un allievo di Freud. Purtroppo molte cose sono poco curate, come i dialoghi intuibili ed una certa fretta espositiva, o i poco convincenti intermezzi dei giovani ricercatori. Ma non male perché ciò che racconta si segue senza problemi e la storia piace anche perché è vera.

Il ritrovamento di alcuni scritti ha permesso di ricostruire la vera storia di Sabina Spielrein, donna affetta da isteria che divenne la prima paziente di Jung. Faenza inserisce il loro legame, sia medico che passionale, in un adeguato contesto di inizio Novecento. Gira con una certa pulizia stilistica e non mancano i momenti concitati. L’intensità e gli esiti terapeutici del rapporto medico/paziente vengono accompagnati da una trama a doppio binario, nella quale si inserisce la vicenda di una ragazza alla ricerca delle loro tracce.

La vera storia di Sabina Spielrein, dalla malattia psichica al rapporto con Jung, dagli studi psicanalitici alla creazione di un asilo durante la Rivoluzione Russa. Una vita incredibile e affascinante, che Faenza circoscrive soprattutto alla relazione amorosa e alla dedizione per i bambini, aggiungendo una cornice attuale non necessaria. Ma le vicende sono forti di per sé e la ricostruzione storica e psicologica è così precisa che il film riesce ugualmente a colpire ed emozionare, con alcune scene di grande forza.

Grande merito a Faenza, che rinverdisce la memoria sepolta di Sabina Spielrein e del suo Asilo Bianco. Film girato bene, senza grinze visive; utile anche la vicenda parallela sulla ricercatrice in Russia, che non cade nell'effetto rievocazione. Però il plotone di sceneggiatori non ha pensato di aggiungere qualche inserto in più al travolgimento di Jung, davvero troppo rapido. Caravaggesca la fotografia di Maurizio Calvesi per la scena dei corpi avvinghiati.