Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Siamo sempre in Giappone, terra cara al nostro Girel: una macchina da presa riprende l'uscita di un tempio (come da titolo). Non accade nulla di particolarmente notevole (il filmato dura circa 1'), ma la ripresa avviene da un punto interessante e consente di assistere al passaggio di numerose persone, senza che queste si accorgano di nulla. Il documento fa parte di una serie di lavori che dovevano consentire al pubblico occidentale di conoscere alcuni aspetti della vita nipponica. Niente di che, ma comunque un certo interesse lo desta.
Partenza scoppiettante, soprattutto grazie alla pittoresca comunità di coloni polacchi, ma poi rallenta, avvitandosi intorno alle banali moine tra Gary Cooper e Anna Sten. Si riprende con la reazione della moglie (Helen Vinson) che vira con classe dall’insopportabile vacuità, a un'acutezza emotiva che la redime. Un'opera dai toni girovaghi che decide di chiudere in dramma. Pasticcia indecisa sia i registri dell'insieme, che i singoli caratteri: pure loro volubili. Una visione che sembrava promettere una certa brillantezza creativa, alla fine lascia perplessi e insoddisfatti.
Castellari rifà Lo squalo alla sua maniera ed è come se avesse dovuto improvvisare una cena con le quattro cose trovate in frigo. Il risultato è, forse inaspettatamente, molto buono, con un paio di gustosi squartamenti, mentre del mostro marino, facendo di necessità virtù, si vede solo il capoccione. La trama è minimale, con attori e comparse che fanno a gara per buttarsi in acqua anziché esserne spinti. Spiccano inoltre, per le ghignate che suscitano, il politico negazionista e lo specialista venuto da “fuori”, entrambi in testa alla lista dei papabili “pappati”. E infatti...
Un padre impotente e in preda a incubi, una figlia ritardata mentale, un'altra ninfomane repressa e la loro matrigna frustrata e sadica vivono in una villa isolata su un'isola deserta e in effetti difficilmente qualcuno vorrebbe essere vicino di casa di questa simpatica famigliola. L'arrivo di un ospite misterioso romperà l'insano equilibrio su cui reggeva il quartetto. Franco dirige con il pilota automatico, accontentandosi di accatastare noiosissime scene erotiche a cavallo fra soft e hard intervallate dagli squarci sugli splendidi scenari naturali dell'Almeria e dell'Andalusia.
Supereroi insieme, per affrontare una nuova invasione nemica. Efficace il mix tra il “fantaclassico” fatto di contesti mitici e quello più convenzionale in cui si muovono gli eroi “contemporanei”. Inoltre, Batman è sempre una certezza per gli elementi “dark”, anche se qui meno che altrove. Buona la regia e gli spfx ovviamente sono di livello, costituendo una parte importante del prodotto. I primi tre quarti del film sono ben caricati, con temi e personaggi approfonditi, ma poi, quando si va alla resa dei conti, il tutto avviene in modo affrettato e il risultato ne patisce abbastanza.
Tratto dalla storia vera del primo sciatore britannico che nel finire degli anni Ottanta riuscì a partecipare alle Olimpiadi invernali. Discretamente interessante, grazie anche alla simpatia di Taron Egerton. Scorrevole. Gli spunti interessanti son pochi, ma non annoia. Hugh Jackman tutto sommato convince, così come la colonna sonora. Regia di Fletcher efficace.
Avventura per ragazzi in una Venezia dai tratti che si vorrebbero magici ma che tali possono apparire al massimo in qualche allucinazione del piccolo Bo (Harris), la mascotte del gruppo. Il fantastico subentra insomma soprattutto nell'ultima parte, con l'attivazione della "giostra", perché prima si racconta più che altro la storia di un gruppo di ragazzini guidati dal "Re dei ladri" del titolo, uno di loro che indossa una maschera veneziana (di quelle col naso lungo) e si procura oggetti preziosi da vendere a una sorta di laido ricettatore, tale Barbarossa...Leggi tutto (Sayle).
Tutti orfani (o presunti tali), i ragazzi sono accampati al Cinema Stella (che sarebbe poi il Teatro Italia, a Venezia, un tempo realmente esistente), dove organizzano di giorno in giorno il da farsi. Gli ultimi arrivati sono i due dai quali la vicenda prende le mosse, una coppia di fratelli che hanno da poco perso la madre e si sono trovati in orfanotrofio – nel caso del maggiore, Prosper (Taylor-Johnson) - o a vivere con la zia e lo zio (insopportabili) nel caso del piccolo Boniface (Harris). Una notte Prosper passa a prelevare Bo e insieme i due partono per Venezia, la città che la madre aveva loro magnificato a lungo e descritto come luogo incantato, popolato di creature leggendarie. E infatti, una volta arrivatici dopo un viaggio da clandestini, Bo comincia subito a vedere statue di leoni che si muovono, sirene nei canali...
Poi l'incontro con i ragazzi di Scipio (Weeks), il sedicente “re dei ladri”, e l'inserimento nel gruppo, all'interno del quale si svilupperà una solidarietà tra ragazzi necessaria per creare complicità con lo spettatore, inevitabilmente di pari età considerato il tipo di confezione, studiata proprio in funzione di una partecipazione attiva da parte di chi deve sentirsi coinvolto nell'azione. Che non manca, infatti, con l'inserimento nella storia di un detective privato (Carter) ingaggiato dalla zia (Boyd) per ritrovare i due ragazzini a Venezia (dove pure lei si recherà col marito).
Le riprese per la città evitano (salvo qualche ovvia scena a Piazza San Marco) di mostrare troppi scorci inflazionati andando in aggiunta a costruire, ad Amburgo, un particolare - e inesistente - angolo di Venezia (con due ponti affiancati) che verrà lungamente utilizzato soprattutto per le sequenze notturne. L'effetto è buono, mentre lascia un po' a desiderare la sceneggiatura, che nella caccia all'ala in legno di un leone individua il suo spunto alla GOONIES (da sempre, per il cinema dei giovanissimi, il modello di riferimento). La recitazione non è il punto di forza ma lo si poteva immaginare, con tanti ragazzini in scena; qualche adulto sopra le righe (Sayle in primis) e una certa difficoltà nell'esporre con chiarezza l'intreccio. Piacevolmente enfatica la colonna sonora, con stacchi epici che accompagnano alla Spielberg alcuni passaggi, ben studiate alcune riprese notturne che danno la misura di un lavoro comunque mai sciatto. L'ambientazione veneziana si presta a conferire una patina originale al tutto e, nei suoi chiari limiti, il film potrà anche appassionare il pubblico di riferimento.
Insopportabile, tediosa e presuntuosa commedia noir finto sofisticata che per tutto il tempo non fa che vivere di moine, scambi d'occhiate, look ricercati e di un Tim Roth attaccato alla bottiglia dalla prima all'ultima scena. Non è facile trovare un film in cui ogni tentativo di risultare simpatico s'infrange contro una barriera di leziosa artificiosità che rende ogni sequenza un concentrato di inutilità e di smancerie fini a se stesse.
La storia vorrebbe raccontare di due gangster in fuga da Londra, Harriet (Thurman) e Peter (Roth), che si rifugiano a Los...Leggi tutto Angeles nel tentativo di non farsi trovare, pur sapendo che presto o tardi la perfida Irina (Maggie Q) scoprirà dove sono. Intanto si ricongiungono a un loro vecchio sodale, Sydney (Fry), felicissimo di ritrovarli, il quale subito propone loro un affare intrallazzando nel contempo con Irina che, guarda un po', è segretamente innamorata di Harriet. Nel frattempo Peter ritrova a Los Angeles la sua vecchia fidanzata, Jackie (Eve), che ora sta insieme a Gabriel (Glover), regista di successo con cui vive in una lussuosissima villa. Invita lì Peter, il quale scopre che Jackie è in possesso di un preziosissimo anello che potrebbe proprio far caso a lui e Harriet, decisamente in bolletta.
Gabriel tuttavia non se la spassa solo con Jackie ma anche con la moglie Gina (Posey) e l'esuberante Vivien (Vergara), la quale non fa che ripetere di volerselo portare a letto... Un ménage a trois che dovrebbe movimentare l'azione ma genera invece ulteriore confusione in una trama pasticciatissima in cui le truffe non trovano spazio se non sullo sfondo di un caos indescrivibile. I minuti passano tra futilissimi dialoghi, un Gabriel che deve passare da una donna all'altra e una Harriet che è sempre in tiro, elegante e seducente, scambiata però da Jackie per una "sussurratrice di cani" (avrebbe cioè il compito di capire cosa vuol esprimere il cagnolino della giovane). Harriet - che pretende di farsi chiamare "comunicatrice di animali" - capisce che può divertirsi e finge di parlare a lungo con la bestiola, ma anche questo fa parte di un quadro generale desolante, che cerca di infilare battute senza disporre della competenza necessaria e si accontenta di descrivere un ambiente chic e pretenzioso nel tentativo di agganciare un genere che nemmeno si capisce quale voglia essere, a metà tra il pulp meno sguaiato e una sorta di parodia del noir del tutto velleitaria.
Osservare un cast di così grandi nomi finire alla deriva minuto dopo minuto non è gradevole, e lo è ancor meno sorbirsi in sequenza scene che non dicono assolutamente nulla, nelle quali Roth compare (pure spesso) giusto per farfugliare qualche parola e riattaccarsi alla bottiglia. Dura 95 minuti ma sembrano il doppio, con un lungo elenco di forzature e interpretazioni sopra le righe che contribuiscono a donare un'aria terribilmente fasulla all'insieme, sublimata nel momento in cui l'anello lanciato da molto lontano cade dall'alto giusto nel bicchiere della Thurman.
Tra i tanti triangoli sentimentali proposti al cinema, uno dei più insoliti. Eppure per nulla improbabile, perché da sempre l'amore prende direzioni autonome, non direzionabili a proprio piacimento. Qui Marc (Fourastier) vive con Suzanne (Bonnaire), una coinquilina deliziosa, charmant, dal sorriso radioso, ma non è interessato a lei: è omosessuale, e quando in piscina un altro ragazzo, Lucien (Blaine), salva Suzanne che si è sentita male mentre nuotava, se ne innamora; nello stesso momento in cui lui invece si innamora di Suzanne, che per chiudere il cerchio...Leggi tutto ha sempre guardato con interesse Marc. E' tutto sbagliato, insomma, un corto circuito non sanabile che si trascina generando imbarazzi, equivoci, lunghi silenzi da gestirsi non si sa come e che il regista Michael Béna (cameo hitchcockiano fuori dalla cabina telefonica da cui chiama Suzanne) drammatizza escludendo le musiche dal film, alla Rohmer.
I dialoghi si fanno quindi ancora più gravi, vicini alla realtà in quelle frasi spezzate che si perdono in uno spazio sospeso, lo stesso che divide i protagonisti e che trovano in Marc la figura che meglio di tutti incarna quel non saper come rapportarsi a un mondo che non capisce e non lo capisce, che lo porta a piangere sotto la doccia confondendo le sue lacrime nell'acqua, che cerca conforto in Suzanne senza però stabilire troppo un legame che possa definirsi importante nemmeno con lei. Lucien pare meno contorto nei suoi ragionamenti, ma non riesce a far breccia in Suzanne, che pure non lo respinge mai se non quando le avance si fanno troppo insistenti arrivando troppo oltre.
C'è poi la voglia di cambiare posto, città, la fuga in direzione di qualcosa che possa cancellare radici fragili, infelici. C'è una complessità psicologica che non può non rispecchiare quella del suo autore, regista di qualità alla sua unica prova dietro la macchina da presa (morirà di Aids di lì a poco), già inevitabilmente alle prese con un dolore e una consapevolezza dati dalla propria condizione. Ne è uscito un film rarefatto, impalpabile, delicato, che però, da una situazione di stallo che non trova sbocchi, non riesce a progredire per raggiungere una concretezza che gli darebbe una forma decisa.
La presenza di personaggi esterni non ben inquadrati nel quadro generale (a cominciare da Clothilde, l'amica di Suzanne) lasciano aperte tutte le porte senza arrivare a chiuderne nessuna nel consueto finale aperto alla francese, che ti arriva lì d'improvviso, come un passaggio a livello che passato il treno non s'alza più, senza una ragione. Lasciandoti a ripensare a quei tre, alla forza di scene indubbiamente azzeccate lasciate a bagno in un liquido che muove tutto con scarsa decisione, magari proprio come l'acqua di quella piscina che diventa l'unica valvola di sfogo per tutti e tre, momento di riunione che per qualche minuto scaccia una solitudine opprimente, mista a una tristezza ineludibile. Però poi, quando manca una storia e tutto verte all'indefinito, non è facile proseguire fino alla fine, nemmeno se la durata si contiene sotto l'ora e mezza (titoli di testa e coda compresi)...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA