Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Più che un rape & revenge è un survivor movie alla Eden lake, con un inizio originale (all'ospedale bendata stile iconico polanskiano). Poi rimasugli hooperiani, una goffa decapitazione motociclistica prelevata dai post atomici nostrani, Harper che corre tutta impostata, schegge da landa in rovina (le carcasse delle auto abbandonate) e la solita risolutezza femminile stile Revenge. Ma la sorprendente e geniale svolta finale sposta l'asse nel più crudele e sadico torture porn, prendendo di mezzo la scena più disgustosa di Flavia e i porci mangiacristiani di Pigs, negando la catarsi.
In un tranquillo fine settimana nel Giugno del 1983, un gruppo di artisti provenienti da Berlino si ritrova a Hoisdorf per portare un assaggio di avant-garde. Tscherkassky riesce a trasformare il tutto in un'opera sperimentale che si fregia di tutti gli stilemi classici dei suoi lavori: le immagini sfocate, i suoni distorti e invasivi e le ripetizioni varie. Chi non ha mai visto le altre opere dell'autore faticherà a racapezzarsi di fronte a quanto gli viene proposto, gli altri invece apprezzeranno se non altro il fatto che il corto sia più comprensibile di tanti altri.
Una sorta di autobiografia per nulla interessante con cui il regista vorrebbe celebrare gli esordi della sua carriera mescolandoli a una vita sentimentale che più ordinaria e prevedibile non si può. Una commedia che sfrutta "il guardare in camera e parlare col pubblico", espediente (per nulla nuovo) per cercare di convincere e interessare a una serie di vicissitudini agrodolci destinate all'usura. Non basta un cameo degli U2 per rivitalizzare un plot decisamente noioso con velleità autoriali, nonostante l'impegno del cast.
Non si può non parlare bene di un film tanto involontariamente comico. Anche se le due protagoniste sono di prima, tutto è girato alla buona la prima. La Longo spesso indossa completi da Studio 54 più che da anni 40, mentre la Gori è sempre perfettamente permanentata anche quando viene "torturata" da due giovani che sembrano imbarazzati nel toccarla. Ne esiste anche una versione hard girata all'insaputa delle due protagoniste e del regista (ben sette attori provengono dai set di "Supersex").
Soporifero erotico alla francese, teoricamente ispirato a una storia di Honoré de Balzac, ambientato perlopiù in un bordello e con protagonista la "Venere nera" del titolo interpretata dalla Jones, vista in vari B-movie nel corso degli anni '80. Tra sequenze erotiche di vario genere, intrighi e gelosie, soprusi e sofferenze, si dipana una vicenda davvero noiosa in cui più che altro si fanno notare una giovanissima Guérin e la prezzemolina del softcore Schubert, oltre alle inconfondibili occhiaie di Palacios. Atmosfera più da anni '70 che '80, o forse è solo invecchiato davvero male.
Gran bella serie, basata sul romanzo omonimo di De Cataldo, che ripercorre le vicende della banda della Magliana. Grazie a Sollima, molto esperto in fatti riguardanti la criminalità organizzata, abbiamo una serie italiana di valore. L'ambientazione degli anni '70 è ricostruita alla perfezione, non trascurando nulla, dalle automobili ai vestiti... Molto valida anche la caratterizzazione dei personaggi con il Dandi, il Freddo e il Libanese che sono i protagonisti indimenticabili. Il primo è elegante e spietato; il Freddo è il più raziocinante, mentre il Libanese è il più impulsivo.
Lasciando pur perdere un finale telefonato e per forza di cose coerente con la piega presa dal film, BIG BAD WOLVES ha al suo attivo soprattutto un eccellente personaggio, che tarda un po' a entrare in scena lasciando che la prima parte scorra senza riuscire mai davvero a ingranare. Si parte con la scomparsa di una ragazzina, per attendere la quale c'è da sorbirsi un (troppo) lungo incipit al ralenti: per quanto sia suggestiva l'ambientazione della casa abbandonata tra i boschi, la durata eccessiva smorza l'efficacia che sembrava avere. E anche dopo, quando subentra la polizia...Leggi tutto che malmena senza pietà un professore (Keinan) sospettato di essere il pedofilo killer che potrebbe aver ucciso la ragazzina scomparsa, qualcosa non gira come dovrebbe, soprattutto dal punto di vista registico. Perché invece certi dialoghi fanno già intuire le potenzialità dello script.
Siamo in Israele, si capisce che gli scenari sono diversi da quelli a cui siamo abituati, anche se un inseguimento a piedi tra stretti viottoli rimanda a una scena analoga e riuscitissima di POINT BREAK. Il professore, preso a pugni e malmenato in un capannone da poliziotti che non vanno tanto per il sottile, continua a dichiararsi innocente e se ne torna malconcio in classe, scoprendo che un ragazzino presente (non visto) al pestaggio ha filmato la scena di nascosto postandola sui social.
Micki (Ashkenazi), l'agente responsabile del maltrattamento, viene allontanato dal suo incarico e comincia a indagare per conto proprio, intuendo che l'unico modo per ritrovare credibilità è dimostrare come davvero il professore sia responsabile dell'uccisione della ragazzina. Per questo riprende la caccia all'uomo, interrotta solo dall'intervento del padre (Grad) della piccola vittima, il quale porta tutti nello scantinato della casa appena acquistata e comincia a condurre un interrogatorio molto particolare... E' lui la figura più interessante del lotto, che sorpassa il pur feroce poliziotto e si dedica all'arte della tortura con l'unico obiettivo di far confessare al professore dove sia la testa mai ritrovata che è stata staccata dal corpo di sua figlia.
Senza dover ricorrere a virtuosismi tecnici particolari, i due registi (e sceneggiatori) Aharon Keshales e Navot Pupushado dimostrano di saper come gestire la tensione, dosando lo splatter e inserendosi con intelligenza in un filone ad oggi molto florido. Le tracce di black humour arguto lasciano il segno e Tzahi Grad ha la statura per imporsi sul pur bravo Lior Ashkenazi, guadagnandosi il ruolo del vero protagonista in attesa che subentri ancora chi parteciperà al massacro in modo davvero inatteso e - in qualche modo - geniale, facendoci tornare alla mente la famiglia della motosega...
Quelli che appaiono come buchi logici e incongruenze troveranno invece una precisa rispondenza nella trama a conferma di un lavoro efficace, realizzato con tutti i crismi e con un finale da interpretare. Dimenticati gli impacci della prima parte, il film ci immergerà in una dimensione nerissima in cui il sadismo troverà ampio spazio, con qualche risvolto psicologico sorprendente che giustifica i tanti apprezzamenti ricevuti dal film (e dal solito Tarantino, che certi lavori ha sempre dimostrato di amarli). Gustoso Grad che impasta al ritmo molto rétro della "Everyday" di Buddy Holly.
James Gunn, per questa nuova rivisitazione di Superman, recupera lo stile che l'ha fatto conoscere al mondo con i Guardiani della Galassia e, insieme a una certa dose d'ironia, infila nel film il cane Crypto, che sembra davvero uscito da quella buffa saga col tempo trasformatasi in una sagra dell'eccesso. Quando nella prima scena Superman ritorna da una missione nella quale è stato sconfitto e si ritrova stordito sulle nevi dell'Artico dopo essere precipitato violentemente, Crypto arriva correndo come un...Leggi tutto pazzo per rianimare il suo padrone e lo colpisce più volte. Già da qui si capisce il tono del film, assai lontano dalla seriosità e “sacralità” dell'originale del 1978 che in scenari simili piazzava, accanto all'icona Christopher Reeve, un certo Marlon Brando. Qui la "fortezza" di ghiaccio sorge dal nulla con effetto straordinario, è vero, ma poi dentro ci trovi quattro robottini e due genitori che proprio non lasciano il segno.
Ci si sposta in seguito a Metropolis, la città americana di residenza di Superman, dove il nostro riprende le vesti di Clark Kent e se ne va al Daily Planet; qui trova l'amata Lois Lane (Brosnahan) e ascolta cosa sta facendo quel mascalzone di Lex Luthor (Hoult): costruttore di armi, appoggia lo stato di Boravia che sta invadendo il Jarhanpur fornendo loro quantità indicibili di armamenti a costo zero. Perché? Lo si capirà, ma intanto i poveri Jarhanpuresi, già aiutati da Superman in precedenza, lo richiamano a gran voce mentre questi è alle prese invece con un mostrone gigantesco che sembra uscito dall'indimenticabile sequel di SUICIDE SQUAD, ad oggi forse la miglior testimonianza di una genialità che Gunn sembra aver smarrito. Autore unico della sceneggiatura, tedia con dialoghi che vorrebbero essere brillanti (vedasi la lunga intervista "casalinga" di Lois Lane a Clark/Superman) e inserisce - nel caos di una storia che procede a colpi di scontri ripetuti - non solo spunti demenziali degni di miglior sorte (la specialista in selfie al soldo di Luthor) ma anche un odioso bambino mostro figlio di uno dei tanti supereroi di rincalzo, che fa il paio con Crypto, il cagnolino davvero troppo presente in scena.
Poi certo, la grande crepa che si apre nel terreno e raggiunge Metropolis facendo crollare grattacieli in serie tra scene di devastazione totale garantisce lo spettacolo per cui si paga il biglietto, ma la fantasia questa volta scarseggia, l'ironia non punge, assommare effetti su effetti non è sufficiente ad eliminare quella sensazione di fastidiosa ridondanza che starborda da ogni fotogramma. Il problema è che quando lo spazio se lo ricavano i dialoghi è anche peggio, per cui le due ore e più si sentono eccome.
Superman che impedisce a un palazzo di sessanta piani di crollare fa sorridere, così come vederlo sollevare il corpo di un mostro da 8000 tonnellate; i voli a velocità supersonica sono ben realizzati e colpiscono, ma il tutto si segue senza provare grande interesse per quanto accade sullo schermo, mentre il cagnolino che vola e saltella da ogni parte in computer graphic stanca presto, fino a diventare irritante... Si rimpiange decisamente la compostezza del Superman di Reeve, che alle spalle aveva film costruiti come tali e non come una baraonda di effetti e di personaggi sovreccitati. Quanto a David Corenswet, capelli neri e occhi azzurri, si avvicina nei tratti riconoscibili a Reeve senza però averne il carisma.
ASSASSINIO A BORDO è il titolo di un notevole episodio di Colombo ambientato su una nave da crociera dove veniva commesso un delitto. La situazione qui è simile, anche se gli ospiti del transatlantico hanno disponibilità finanziarie dalle cento alle mille volte superiori a quelle del tenente. E diverso da lui è anche l'investigatore privato che si ritrova ad occuparsi del caso. Barba e baffi folti, Rufus Coteworth (Patinkin) ricorda, nel modo di fare, molto di più Hercule Poirot, fors'anche...Leggi tutto perché tutta la vicenda è impostata secondo canoni chiaramente ispirati ad Agatha Christie, pur se rivisti in ottica moderna.
Una crociera per miliardari insomma, alla quale partecipano pochi selezionati personaggi (e altri loro conoscenti che rimarranno costantemente in ombra), in buona parte legati per qualche motivo alla famiglia dei Collier, proprietari di una grande azienda sull'orlo del fallimento che un gruppo di cinesi anch'essi presenti sulla nave è decisa a rilevare. Ci sono papà (Grant) e mamma (Atkinson) Collier, la loro figlia Anna (Patten) - in procinto di diventare CEO dell'azienda - con la di lei moglie Leila (Saremi), il figlio scapestrato Tripp (Cutmore-Scott), il legale di famiglia (Buns), un prete (Johnson) a loro vicino e poi Imogene Scott (Beane), che perse la madre quand'era bambina ed è rimasta a vivere con i Collier perché per loro la mamma lavorava, oltre ad essere saltata in aria nell'auto di fronte alla loro villa.
Non è dato sapere, sulle prime, se quel tragico accadimento, per il quale venne già al tempo chiamato a indagare Rufus Coteworth, sia collegato a quello che ora sta verificandosi in crociera. Anzi, la prima vittima (Gladis) sembra un uomo spregevole che tutti probabilmente odiavano, a bordo, un ricco e volgare vanesio che trattava male il prossimo. Tanto che Imogene - non ci vorrà molto per capire che è lei la vera protagonista - ci litiga fin da subito, entrando di notte nella sua cabina per spaccargli l'orologio da 50.000 dollari che questi aveva sgradevolmente sfoggiato poco prima. Purtroppo per lei quella stessa notte l'uomo viene ucciso, e la telecamera nel corridoio non può non averla inquadrata mentre usciva dalla cabina dell'uomo in orario più che sospetto.
Conosciuto (e portato a letto) l'addetto alla sicurezza (Garcia), Imogene s'introdurrà di soppiatto nella sala video per eliminare dal filmato la parte che la riguarda scoprendo che l'ha giò fatto qualcuno senza dirle nulla. Chi? Un primo colpo di scena che ne anticiperà tantissimi; possiamo anzi dire decisamente troppi, perché non è la quantità degli stessi a rendere necessariamente piacevole una serie gialla. Che ha nello specifico il difetto evidente di voler strafare: soluzioni narrative che favoriscono il disorientamento si assommano, insieme ai prevedibili, innumerevoli flashback (che spostano il tempo avanti e indietro in modo gratuito e irritante), altri stratagemmi utili solo a stupire sterilmente; si veda ad esempio l'inserimento nei suddetti flashback dei personaggi del presente, che interagiscono sgradevolmente con quelli del passato senza un vero perché, rendendo inutilmente confuso il tutto.
Anche nel tipo di montaggio, negli stacchi, nei riassunti a ogni inizio di episodio, si nota un tentativo di voler ad ogni costo lavorare sulla forma a scapito di una chiarezza che, all'interno di una trama tanto complessa, era la prima cosa a cui guardare. L'ossatura della storia è notevole, la caccia al misteriosissimo Viktor Sams intriga, le sorprese non mancheranno, il cast è di ottimo livello come lo sono un po' tutte le componenti. Però dieci puntate di oltre 40 minuti ciascuna sono eccessive e costringono a diluire le scene in modo sgraziato, a voler infilare nel plot troppi particolari, divagazioni inutili (la love story a Malta...), incroci da telenovela (l'immancabile falso genitore); appesantiscono la narrazione anche gli sproloqui superflui di Coteworth che si rivolge allo spettatore come stesse scrivendo un libro, mentre almeno un paio di episodi sembrano aggiunti a capocchia (quello riassuntivo e ahinoi l'ultimo, trascinato all'inverosimile). Insomma, una serie indubbiamente ben realizzata, che piacerà ma è anche caotica, spocchiosa e sfibrante, oltre che forzosamente condotta in tante sue parti.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA