Alla fine rimango sorpreso di due cose: l'aurea di cult movie che si è creata attorno e le recensioni entusiastiche da parte di alcune testate cartacee (
Ciak e
Film tv in primis) come se fosse chissà quale evento rivoluzionario nel genere.
Personalmente non ci vedo nulla di così straordinario in uno dei film più sopravvalutati a mia recente memoria.
Al di là della verosomiglianza (che sarebbe il male minore, basterebbe leggere questa vendetta ginecea come una sottospecie di rivisitazione femminile del
Corvo sotto il cocente sole del deserto del Ouarzazate) quello che mi ha lasciato a bocca asciutta è la mancanza totale di cattiveria, di ferocia, di sporcizia, di crudeltà, di bastardaggine, di umiliazioni (come il R & R ha abituato, dove nemmeno i maschietti sono poi così schifosi, visto che uno di loro, proprio quello che l'ha violentata, vuole portarla in ospedale. A questo proposito , come esempio, il remake di
Non violentate Jennifer, dove la vittima subiva tante di quelle angherie sessuali e misogine, fisiche e psicologiche da emanare un dolore quasi fisico, insopportabile e disturbante, allo spettatore che vi assisteva impotente-valga per tutte quando Jennifer era costretta dal branco sghignazzante a imitare il nitrito del cavallo, e la sua nemesi era tanto viscerale e spietata quanto le sevizie che aveva subito, e la regola del contrappasso non faceva sconti alcuni, ecco, in
Revenge manca proprio tutto questo), per dare spazio a un look glamour da elegante videoclippone sfrangiato delle parti più zozze, a favore di un politicamente corretto pulitino pulitino, anestetizzando i pugni nello stomaco (lo stupro avviene totalmente fuori campo, a porte chiuse, e le urla di Jennifer coperte dalle 24 ore di Le Mans), a violenza esagerata (tanto da diventare indolore) e splatter quasi cartooneco (teste che esplodono a fucilate reiteratamente nella lunga, e sfiancate, miscela di incubi della protagonista, piedi e stomaci squarciati, tipacci con la faccia sciolta che manco
Toxic e
Street Trash, lussuose ville da sogno trasformate in mattatoi-non male il piano sequenza dell'ultimo rimasto, nudo, che imbraccia il fucile e di lei idem, che sovverte la meccanica tra cacciatore e preda, preda e cacciatore-, pezzi di orecchio- e orecchini a forma di stella-che saltano via, nasi rotti e pugnali che affondano nelle carni), in un frullato di esaltazione action non dissimile dai b- movie di Albert Pyun (viene in mente
Ravenhawk), solamente , questo, girato meglio, che nulla ha a che vedere con le Jennifer violentate, ma accostabile , più che altro, alle Sarhe Connor del secondo
Terminator o ad un Mad Max in chiave uterina.
Cheppoi la Fargeat non inventa nulla di nuovo, nemmeno quando mostra Jennifer che civetta e fa la smutandata provocando le reazioni da maschio alfa del più infoiato del terzetto (per la serie se l'e andata a cercare o io faccio la puttanella quanto voglio, ma mi devi rispettare, nel labile confine tra provocazione e tieni le mani a posto ), visto che già un bel pò di lustri prima aveva già detto tutto (in merito) il Jonathan Kaplan di
Sotto accusa (ah, già, ma lui era un maschietto) nella sua mutazione da ninfetta senza cervello e tutto culetto a novella Sarah Connor. E se proprio, per restare nel genere, e in tema di rape and revenge al femminile, ho trovato più originale e "rivoluzionaria" la dimenticata Talia Lugacy con il suo
Extrema (a dimostrazione che
Revenge non è nemmeno il primo R & R diretto da una donna, come spesso viene decantato) dove "l'occhio per occhio" femmineo/vendicativo andava al di là di ogni immaginazione, sostituendo le classiche armi e la furia da Dea Diana con l'atto sodomitico omosessuale come pura (e cruda) legge del contrappasso.
Il resto ci stà (le esagerazioni che sfociano nella Sci Fi, dove il quasi realismo della prima parte, dove si respira una certa tensione erotica, lascia spazio al surrealismo rambesco da b- movie anni 80/90, che , appunto, ricorda certi cyberwoman pyuneschi ) e alcuni dettagli sono notevoli (la mela morsa, la formica sulla mela che marcisce, il ragno affogato nella pipì, le gocce di sangue che inondano una formichina, la disgustosa masticazione ravvicinata e distorta di uno dei tre "carnefici", lo stupratore che assume le sembianze incubotiche di un rettile, l'ombra del suv della Ranger Rover che si proietta sul deserto, l'apertuta del film sul primissimo piano della lente degli occhiali da sole di Richard), dove il talento visivo della regista è fuori discussione, così come il suo gusto estetico, tra dipinti di dee della vendetta che troneggiano e la bellissima sequenza finale della porta a vetri a fucile spianato.
E dopo un incipit truffaldino, ci si tuffa nella baracconata megasplatter, nel fumettone sparato a tutto volume, con sfx prostetici nostalgici (Denis Gastou ispiratissimo e esaltatissimo a riproporre certe tomsavinate), nei meandri del deserto australiano di Mad Max (vedere come la Forgeat riprende la sua eroina, a bordo del quad o nel bel mezzo del deserto con fucilone in spalla) azzerando la psicologia e aumentando in fracasso, spargendo citazioni dai classiconi quà e là (
Lo squalo con la testa martoriata che affiora dall'acqua, la chiusa stile
Predator con l'arrivo dell'elicottero).
Scene tirate per le lunghe (il piede sanguinante con squarcio vaginale e pezzi di vetro da esportare, il bubusettete tra i corridoi della villa tra scivolate al sangue e domopack per tamponare i budelli che fuoriescono, il riscaldamento acceso nell'abitacolo del suv, la corsa in moto verso la villa, con cipiglio così ottantiano e fittizio che pare Urbano Barberini nel primo
Dèmoni), dove, a tratti sembra una parodia del (de)genere (la cauterizzazione dello squarcio sullo stomaco con il pezzo di latta della lattina arroventata e il nome della marca della birra messicana stampato sulle carni martoriate), dopo aver masticato il peyote jodorowskiano.
Due cose curiose mi sono balzate all'occhio. La prima che la Fargeat, nel bel mezzo di situazioni totalmente irreali ci ficchi Jennifer che non sà sparare con il fucile e manchi il bersaglio (ferendolo ad una spalla) con tanto di rovinoso rinculo, e la sordità momentanea dovuta allo sparo. La seconda che, seppur vero che indugia sulle grazie della ragazza e sul suo sculettamento, la mostri solo di sfuggita in topless, mentre insista sulle nudità maschili di Kevin Janssens, sia quando telefona alla moglie (completamene nudo) sia nella resa dei conti finale. Come dire che la regista donna sfrutti il corpo maschile come fanno i colleghi maschi cone quello femminile? Forse è questa la vera "rivoluzione" del rape (poco) e revenge (parecchio, tanto che, alla fine, altro non è che un survival movie) visto dalla parte di lei?
Alla fine della fiera delle atrocità rimane un pò pochino, se non geyser di sangue e le meravigliose location del deserto marocchino, in quello che è un film di genere uguale a mille altri, se non fosse per alcune interessanti invenzioni di regia (e per l'ottimo apparato tecnico che insaporisce la pietanza).
Meglio sorvolare sulle implicazioni e le metafore femministe, che lasciano il tempo che trovano.