Il film che segna la nascita del fenomeno Nanni Moretti. Girato in Super8 e “gonfiato” solo successivamente per essere mandato in televisione, il primo sforzo registico di Moretti contiene già i germi di quello che sarà il suo originalissimo modo di intendere il cinema e l'umorismo. Anche rivisto oggi, quando cioè l'intero movimento post-sessantottino è ricordato quasi ormai solo da chi l'ha vissuto, il film non mantiene uno spirito unico, che fotografa una realtà che fu parte integrante della nostra storia con l’occhio spietato di un genio. Perché, pur nei limiti della sua arte, Moretti questo è: uno dei pochissimi che ha saputo inventare un tipo di comicità autarchica, sganciata da ogni...Leggi tutto schema pregresso, capace in ogni caso di essere a tratti esilarante. Poi certo, si possono non condividere le sue idee marcatamente di sinistra, il suo odio epiteliale per un cinema tutto sommato onesto (qui la vittima è la Wertmuller con il suo PASQUALINO SETTEBELLEZZE), si possono ritenere esagerati e pretenziosi (e lo sono!) i lunghi stacchi silenziosi o solo sottolineati da musiche inconsistenti che appesantiscono indubbiamente un film già in partenza non appetibile a tutti... L’evento centrale è lo spettacolo/recita di teatro sperimentale, fortemente simbolico, allestito da Fabio (Traversa), il quale chiama a recitarlo la sua cerchia di amici tra i quali spicca ovviamente Michele (Moretti). E’ quest'ultimo il protagonista, col suo difficile rapporto col figlio e la moglie che vuole la separazione, tant'è che quando in scena non c'è lui il film scade abbastanza, benché la carica di comicità corrosiva e assurda venga comunque sempre mantenuta. Indubbiamente un film originale e divertente.
L'esordio di Moretti passa per il minimalismo più assoluto: girato con pochi amici e in super8. Il titolo è una manifesto programmatico del film. Diviso in tre parti (città-trainig-spettacolo) racconta le gesta di un regista che cerca di metter su uno spettacolino off. Moretti elabora qui la sua struttura a stripes che affinerà in seguito. Vi sono già tutti i prodromi del Moretti che verrà. Vale anche come documento storico di quel preciso momento, vi si respira infatti un'autentica e genuina aria anni 70. C'è cinema, c'è vita: quasi nouvelle vague.
Aurora di un talento che per un certo numero d'anni è riuscito - in un equilibrio a tratti miracoloso - a fare della contemplazione del proprio ombelico quasi un'arte. Questa scheggia da macchina del tempo, nella sua deliberata sgangheratezza, è a tratti esilarante (specie quendo Moretti scatena in performance subumane il critico musicale - e sosia del cantante del Banco - Zaccagnini), e regala il primo dei tormentoni morettiani ("il dibattito no!") con cui fulminare, paradossalmente, tutto un cinema e un mondo di cui fu involontario alfiere.
Questo, chiamiamolo "film", gronda puro talento Morettiano da tutte le parti: i suoi monologhi sono tutti da gustare, anche perchè spaziano in ogni campo, privilegiando, i rapporti personali, la politica e il cinema. Una cosa però è evidente: almeno qui, Moretti dirige molto bene se stesso, mentre chi gli ruota attorno si ritrova con un copione inferiore, meno ficcante, nonostante i vari personaggi si amalgamino comunque bene con l'ambiente creato dal regista. Nel complesso, merita la visione, essendo indubbiamente originale (cosa che giustifica il fatto che sia più un esperimento filmico).
MEMORABILE: Moretti al figlioletto: "Ma non dormi ancora? Guarda che chiamo la vecchia, chiamo il gorilla, chiamo il negro". E il bambino tira fuori un martello.
Giovane regista teatrale coinvolge gli amici per fare uno spettacolo d'avanguardia. Notevole esordio di Moretti che, autarchicamente appunto, produce in super8 un film tanto naif tecnicamente quanto acuto e complesso nei suoi sensi e nel suo linguaggio cinematografico. La generazione ideologicamente sbandata dei trentenni degli anni 70 è ritratta con spietata comicità e acume non solo sociologico ma soprattutto psicologico. E il plot incentrato sul teatro è occasione di riflessione tutt'altro che superficiale sul senso dell'arte.
Danni irrepeparabili quando il recensorucolo frustrato mette mano alla mdp: userà il cinema come vomitatoio ove affogare con tracotanza -e quel che è peggio, senza nulla offrire in alternativa- vacche più o meno sacre come Bertolucci, Wertmuller, Zulawski, Monicelli (e in età da presunta saggezza, Dio lo perdoni, McNaughton e Mann), perché il cinema secondo Moretti deve tener fede al suo cognome, cioé valere quanto la schiuma della birra, ed essere un mattonesco gingillo da tinello subordinato alla sicumera e all'arcata dentale avvelenata di un egoarca. Allora sì che si ragiona. Che trishtezza.
Il primo lungometraggio diretto da Moretti è il proclama del suo cinema autarchico e anarchico: struttura frammentaria e amatoriale, monologhi logorroici, paradossali ed umoristici e un filo conduttore che – bacchettando qua e là - unifica cinema, politica, velleitarismo da intellettuali post-sessantottini e vita di coppia fallimentare. Beckettiano, ambizioso e goliardico, prepara il terreno al Moretti più maturo degli anni a venire.
Storia della preparazione di uno spettacolo teatrale off (molto off, pure troppo) nel mezzo degli anni settanta. Celebre esordio di Moretti, secondo parte della critica non può essere disgiunto dal momento storico in cui fu girato, essendo una parodia della vacuità di tanti gruppi e gruppetti dell'epoca e dello sperimentalismo a tutti i costi, a cui però rischia di somigliare molto. Fortunatamente, allo spettatore del 2010 la questione giunge, se giunge, come la mummia di Tutankhamon: imbalsamata. Il resto è francamente noia.
MEMORABILE: "Il dibattito no!"; la mazzata in testa al critico teatrale.
Devo premettere che il mio commento risente di due condizioni credo importanti. La prima è che non ho visto nessun'altra opera di Moretti (quindi non posso affermare che in questa sua prima si riconosce già il Moretti che verrà), la seconda è che... non ho mai visto nessuna opera di questo regista (pur sapendo di ogni suo film ampiamente reclamizzato), perché non mi ha mai interessato. "Io sono un autarchico" ha un grande pregio, è sincero. Fortemente datato e leggermente presuntuoso, a partire dal titolo. Di cattivo gusto la critica ad altre opere.
Abbastanza intrigante. Occorre passare sopra il palese dilettantismo dei più (ma Fabio Traversa è perfetto) e non pretendere che il tutto sia d'alto livello: innegabile la riuscita della presa in giro delle cantine romane degli Anni Settanta, più nella parte "dentro" che in quella agreste, ove il grottesco è meno azzeccato. Di culto la partita a Subbuteo. Ci sono già le cose migliori (l'autoironia) e quelle meno belle (Pasqualino è invero pessimo, ma la bava bluastra è fastidiosa). Si noti l'uso della parola "negro" all'epoca d'uso normale: **½
Il brillante esordio come attore e regista di Nanni Moretti avviene in questo lungometraggio, realizzato in Super 8 nel quale si racconta di una compagnia che mette in scena uno spettacolo nel circuito del teatro d'avanguardia. Molto riuscito nel rappresentare motivazioni, frustrazioni e speranza di una generazione (quella dei trentenni) a metà degli anni '70 vista con affetto ma anche con ironico disincanto.Imperfetto come si confà ad un opera d'esordio ma molto godibile.
Film evento del 1976: segna l'inizio della storia cinematografica di Moretti/Apicella ma anche delle mitologie sul suo Personaggio e il modo di intendere Vita e Cinema. Documento epocale su una generazione che si muove(va) tra velleità rivoluzionarie e riflusso privato: in tal senso forse datato (la "cantina" teatrale) epperò genuino e dirompente anche nelle sue forzature (la famigerata bava/bile per Pasqualino Settebellezze). Strutturalmente inaugura l'andamento a "strisce" che caratterizzerà a lungo lo stile di Nanni. Fabio Traversa meraviglioso.
Lo ritengo un film comico di critica sociale. Moretti fa a tratti letteralmente scompisciare, elevandosi a mattatore di tutto ciò che gli passa tra le mani, dai movimenti pseudo-intellettuali post '68, al cinema italiano d'autore (e di successo) della Wertmuller. Un Moretti dal sarcasmo puro e semplice che a volte può sembrare esagerato o ripetitivo, ma sicuramente da non perdere. Tre pallini.
MEMORABILE: La bile alla notizia della cattedra di cinema della Wertmuller.
Moretti, con questa intrigante ed appassionante opera prima, dimostra di essere una voce originale e fuori dal coro. Nonostante l'opera risenta di qualche passaggio a vuoto dovuto principalmente all'inesperienza, la bontà del dialogo è già notevole. L'arroganza, tipica della giovinezza, colora la pellicola di critiche esilaranti e di momenti di alto cinema. Visione obbligatoria anche se purtroppo non per tutti.
Il lungometraggio d'esordio del controverso regista. Girato alla pari di un filmetto amatoriale, lo stile è grezzo e spartano nella scenografia, eppure la pochezza dei mezzi ha comunque una sua carta vincente nell'espressività dei personaggi e una sceneggiatura goliardica che cattura l'attenzione, sia per i geniali dialoghi e battute che per l'irriverente comicità. Simpatico motivetto iniziale (e finale).
Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora ed il peso degli anni un po' si sente, ma
l'opera prima di Moretti resta ancora oggi un buon film. Cinema fieramente autarchico e
genuinamente "arrogante" che a tratti annoia anche un pochino ma per il resto ha non
pochi spunti di grande interesse (tutti quelli di stampo più squisitamente cinematografico) e presenta diverse stilettate critico-politiche (versus cinema, intellettuali e certi sinistroidi) che vanno a segno. Discontinuo ma vale almeno una visione.
MEMORABILE: Michele al telefono: "Babbo allora mi lasci il solito assegno da 200000 lire". Così la
gente (lo spettatore) non si domanda come fa a vivere quello.
Passano i decenni e il film i segni li porta tutti, evidenziando lo stile grezzo e un cast pieno di amici non tutti all’altezza. Il linguaggio usato invece è ancora attuale, se rapportato ai settanta: irriverente, colpisce con sarcasmo Moravia, Monicelli, Wertmüller, i buddisti, i giovani che vivono grazie all’assegno dei genitori, i critici... Moretti dà voce alla nicchia fuori dai luoghi comuni, politico contro l’ala Berlinguer e chi vive nelle comuni forse con telefono (e giù un’altra stilettata). Alterno nel ritmo.
Primo lungometraggio di Moretti,che, pur scontando tutti i limiti tecnici del suo autore, contiene già alcuni elementi tipici delle sue opere: riflessioni caustiche su cinema, arte e cultura e un’acuta ironia nei confronti del velleitarismo di una certa sinistra attraverso la realizzazione di uno spettacolo d’avanguardia da parte di un gruppo di amici, visti anche nella loro poco esaltante vita privata. Recitazione amatoriale, con Traversa che mostra doti poi confermate.
MEMORABILE: Michele e il figlioletto; Il training; La stroncatura della Wertmüller; Il pippone di Fabio davanti a un pubblico di sedie; "No, il dibattito no!"
Inizia con questo film il bisogno di Nanni Moretti della "messa in scena" per cercare di analizzare la sua psiche e trovare una risposta all'aridità e alla paralisi dei rapporti umani. Inquadratura lunga, montaggio interno, macchina da presa fissa, per sottolineare stilisticamente l’immobilità catatonica dello stato d’animo dei personaggi del film ghermiti da problemi pubblici e privati più grandi di loro. Comicità amara, inadeguatezza di vivere i propri ruoli e la strana sensazione che i personaggi del film possano salutare tutti e tornarsene a casa.
MEMORABILE: Solo guardare la faccia stravolta, stranita, sbalordita, stralunata, imbambolata di Fabio Traversa mi fa piegare in due dalle risate.
Esordio nel lungometraggio da parte di Nanni Moretti; indubbiamente all'epoca si trattò di un prodotto "nuovo" rispetto alle commedie girate in Italia nel periodo. Però, pur essendo sicuramente uno spaccato (auto)ironico ben riuscito di un certo ambiente intellettuale di sinistra, risente di una pesantezza che a tratti ne rende difficoltosa la visione. La realizzazione è abbastanza dilettantistica ma già mostra il talento del regista (bravo anche come attore, al pari del buon Traversa). Da conoscere.
Moretti inaugura il suo cinema con un'opera perentoria fin dalla forma amatoriale, riuscendo a proporre la sua forte personalità, il suo umorismo e le sue manie, che lo rendono talmente unico da restare per sempre un caso a sé stante. Visto oggi il film risulta a tratti datato e può anche non piacere, però è interessantissima la testimonianza e al tempo stesso la critica che offre di un'epoca in corso di rapido cambiamento, in cui i giovani faticano a trovare nuovi punti di riferimento, ma non rinunciano a tentare una propria strada.
MEMORABILE: La tentata fuga dal campeggio; "Forse ho sbagliato ideologia?"
Nonostante le riprese siano quel che sono, il primo film di Nanni Moretti segna sin da subito il suo marchio di fabbrica: l'ironia pungente collegata all'autocommiserazione della sua generazione. Insomma scene divertenti, critiche al cinema d'autore, a quello della Wertmüller e metafore di livello sul cinema. Il livello recitativo è quello che è, ma con pochi soldi a disposizione è stato fatto un gran lavoro. Oltre alle risate non mancano i momenti di riflessione, in particolare sulla solitudine che può provare un'artista incompreso.
Moretti ci presenta la maschera di Michele Apicella che, anticipandone le rappresentazioni future, vive in una condizione autarchica, lontano dal presente e dagli affetti familiari, ma avvolto negli stereotipi della cultura popolare della sinistra dell'epoca: in questo caso il teatro d'avanguardia. L'autarchia produttiva del film porta a una regia leggera (super 8) e una fissità nelle inquadrature e nelle poche ambientazioni che ben si legano alla vita dei giovani rappresentati. Con la bravura e l'arroganza Moretti si ritaglia il proprio spazio autoriale.
MEMORABILE: "La prossima volta parliamo di underground"; Gli esercizi in collina; L'imitazione di Moravia; Lo spettacolo finale.
Un'idea pure vagamente interessante nel suo metacinema basso risolta in un'interminabile ora e mezzo di chiacchiere da bar alternate a momenti di noiosa vita, il tutto tecnicamente degno dell'amatoriale peggiore (e privo di quelle suggestioni naïf di certi no-budget coevi), dove la scarsità di mezzi passa in secondo piano di fronte allo squallore di gran parte delle inquadrature. Scenografie non pervenute, ironia idem, mentre del cast segnaliamo soltanto un giovane e capelluto Traversa, unico vero attore della combriccola.
Il primo Moretti, tutto incentrato su una critica parodistica di un certo modo di vedere il cinema italiano all'epoca e al tempo stesso intelligente bacchettata alla critica importante e al teatro d'autore. Si sorride spesso, la spontaneità degli attori è fondamentale e se si riesce a sorvolare su una messa in scena e una regia povere (dettate dal clima autoprodotto e sperimentale) lo si apprezza in pieno. Moretti autore è già consapevole di cosa vorrà fare in futuro, l'attore invece simpatico e spigliato. Buono.
Il primo film di Moretti mette già in luce degli aspetti peculiari della sua firma: la cinefilia, una marcata ironia e la dissacrazione di certo intellettualismo italico. Ciò che manca completamente sono la messa in scena e la regia: fotografia orribile e inquadrature bruttarelle, complici gli 8mm del supporto, attori perlopiù non professionisti, scenografia scarna se non inesistente. Tuttavia la sceneggiatura e i personaggi rivelano un appeal notevole, con momenti molto godibili e divertenti, anche se un tantino scollegati tra loro.
Moretti è un giovane appassionato di cinema, vero e proprio “cine-amatore”. Il debutto cinematografico è quanto di meglio il regista romano (assieme a Bianca e a Caro diario) abbia potuto offrire lungo la sua carriera. Sceneggiatura che amalgama alla perfezione satira pungente e momenti di dramma, ironia di un certo livello e spessore proposta da attori (molti esordienti) di ottimo carisma espressivo. Un prodotto perfetto, si grazia nella confezione amatoriale da Super 8, si apprezzano le musiche dei Supertramp e ovviamente lui, Michele, l’alter ego morettiano.
MEMORABILE: Lo spettacolo d’avanguardia teatrale; Michele e il piccolo Andrea; Il critico; “Buddisti?!”.
Col famoso senno di poi "Io sono un autarchico" sembra più che altro un preparativo un po' spuntato per il successivo capolavoro: stesso ambiente sociale da catturare, stessi toni ironici dall'umorismo paradossale e verosimile, stessi tocchi tragici, qui non troppo riusciti. La genialità c'è e si vede in più di una scena, a partire dall'incipit, ma lo svolgimento è un po' zoppo e non tutto fila via liscio. Il disagio esistenziale emerge invece con grande efficacia in ogni sguardo, in ogni inquietudine. Umorismo non sempre a segno. Comunque importantissimo e quasi buono.
MEMORABILE: "No il dibattito no!"; La descrizione dei film che fanno capire che un personaggio "è un compagno" da ciò che legge, compresi i Quaderni Piacentini!
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Figurati, come sai sono molto "rigido" sugli anni.
DiscussioneZender • 3/02/12 07:44 Capo scrivano - 48566 interventi
Ma un domanda Markus: una volta il sito dell'Anica mostrava tutte quele belle date precise con la scritta ppp, ovvero prima visione nei cinema. Ora il sito è cambiato. Si riesce ancora a trovare il dato da qualche parte? Tu da dove l'hai preso?
Tengo a precisare che si sta parlando di distribuzione cinematografica (quella ufficiale a pagamento con il biglietto SIAE) dopo la censura e l'ormai arcinoto "gonfiaggio" in 16 mm e non le proiezioni in cineclub.
CuriositàZender • 11/08/13 18:28 Capo scrivano - 48566 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film: