Il "Miglio Verde" è il corridoio che percorrono i condannati a morte dalla loro ultima cella alla sala della sedia elettrica. Non sono in molti ad occupare le celle che danno sul Miglio Verde e uno di loro in particolare, il gigantesco John Coffey (Duncan), pare avere miracolosi poteri di guaritore. Forse la più sontuosa produzione tratta da un romanzo di Stephen King (non a caso candidata all'Oscar come miglior film); un lavoro chiaramente contro la pena di morte costruito con una cura e un'attenzione inusuali. Confezione di lusso, si diceva, e infatti regia, fotografia, montaggio, direzione degli attori, sono superlativi. Tom Hanks, piuttosto ingrassato, rasenta la...Leggi tutto perfezione alle prese con uno dei personaggi più intensi e "veri" della sua carriera. Quello che non funziona del tutto è proprio il soggetto. La narrativa di Stephen King ha spunti eccellenti: la descrizione dei personaggi (ovviamente più approfondita, nel romanzo) è come sempre acuta, la scelta del braccio della morte come teatro quasi unico della vicenda è uno dei maggiori punti di forza, alcuni dialoghi sono davvero ben studiati, la banalità del cinema medio americano da cassetta è lontana. Però resta quell'ingenuità quasi favolesca che King troppe volte non riesce a scrollarsi di dosso. Il personaggio di Coffey invece di aggiungere valore al film spesso lo svaluta, rendendo meno incisiva la funzione primaria di denuncia sociale di THE GREEN MILE, che si estrinseca invece chiaramente nelle fenomenali sequenze di morte "elettrica", mai così realistiche e disturbanti: un autentico pugno nello stomaco! Tre ore e cinque di proiezione sono tante, a volte il ritmo rallenta, tuttavia sono necessarie a provocare in noi il coinvolgimento desiderato. Comunque un film "vero", profondo, realizzato benissimo e che, al di là delle molte ingenuità, è molto meno banale di quanto possa sembrare.
Dopo l'ottimo Le ali della libertà Darabont ci riprova a portare sullo schermo un romanzo di King e ancora una volta fa centro. Sicuramente grande merito della riuscita del film spetta ad un convincentissimo Tom Hanks ma anche tutto il resto funziona che è una meraviglia. Darabont comunque riesce a trasporre in maniera egregia le pagine dello scrittore del Maine e le 3 ore e passa di pellicola trascorrono senza un attimo di noia. Chi crede che King sappia scrivere solo strorie "horror" veda questo film (e/o legga il romanzo) e si ricrederà. Molto bello.
Bellissimo film tratto da un romanzo di Stephen King. La pellicola è interpretata molto bene da tutti gli attori presenti, con un Tom Hanks in grande spolvero. Ambientato in un braccio della morte dove i detenuti sono in attesa di essere giustiziati, il film offre momenti di commozione ma anche piccole situazioni divertenti, momenti di alta tensione e a sprazzi scene piuttosto crude. Nonostante la durata importante, si lascia vedere dall'inizio alla fine.
Dramma carcerario con aggiunta di soprannaturale che gli dà quel tocco in più, rendendolo unico (girato anche assai bene). Bravi gli attori (Hanks e Dunkan su tutti, ma anche il secondino verme e il detenuto pazzoide). Due cose non si dimenticano: il gigantone nero (Dunkan), ingenuo, buono, con un grande dono, ma soprattutto l’esecuzione senza spugna imbevuta d’acqua. Qui, come nella vita reale, non è detto che giustizia sia fatta. Qualche lungaggine e una scena piuttosto ridicola con un topo “un po’” vecchio. Resta comunque notevole e da vedere.
Nella storia è un film "fantastico" ma nella sostanza è a tutti gli effetti un film del filone "carcerario". Lungo, dettagliato, approfondito e per nulla ingenuo. Il messaggio di base è abbastanza semplice ma la storia è appassionante. Il film è girato egregiamente, tocca le corde giuste anche con scene molto crude, gli attori funzionano a meraviglia (cast di alto livello) e quindi, in sintesi, il duo King-Darabont colpisce ancora con forza. Coinvolgente.
Tratto da un romanzo (lunghissimo) che, in Italia (non so altrove), uscì a puntate in edicola (e solo dopo in versione integrale). E' un buon film di ambientazione carceraria che ha nella parte soprannaturale il suo punto di forza. Il gigantone nero con animo da bimbo e poteri da guaritore è commovente. Bravi Tom Hanks (una delle sue interpretazioni migliori) e Sam Rockwell, che impersona un cattivo pazzoide senz'anima e in perfetta antitesi con il nero Duncan. La giustizia, quella dei tribunali e della pena di morte, qui non ha successo.
Da non amante di Hanks ho trovato questo film carino. Non è decisamente il film che guarderei a nastro, anzi l'ho visto una sola volta e non lo trovo geniale. Il suo limite è un eccessivo ricorso ai buoni sentimenti, con questo gorillone che come Cristo miracola e viene frainteso. I momenti migliori della pellicola sono quelli con Rockwell protagonista, eccezionale nel delineare l'insana mente deviata.
Film che avrebbe potuto essere perfetto se fosse durato un'oretta di meno. Non perché quell'oretta in più sia mal realizzata o noiosa. Semplicemente perché con un'ora di meno si sarebbe ottenuto lo stesso risultato in termini di qualità ed impressione negli spettatori. A parità di risultato, quindi, preferisco vedere un film di due ore che di tre (se quell'ora in più non aggiunge nulla in termini di bellezza). Non riesco proprio ad intravedere i motivi che hanno portato gli autori a realizzare un film di tre ore.
Pellicola che mi pare non male, alla fin fine. Bravi Tom Hanks protagonista e James Cromwell. La messa in scena complessiva è più che sufficiente, mentre i dialoghi risultano abbastanza curati. Va però aggiunto che siamo difronte ad una sceneggiatura che ogni tanto (ma non di rado) può finire con l'annoiare. Non un capolavorone ma un discreto film, quello sì.
Gli ultimi giorni di vita di un colosso nero condanato a morte. Bella la storia, ottima la realizzazione, credibile tutto il cast. Eccellente la dinamica dello sguardo della cinepresa nello spazio ristretto del braccio della morte, che evita la sensazione claustrofobica riuscendo a dare invece un respiro sacro allo spazio stesso, in linea con il mistero dei poteri divinatori del detenuto (correttamente si evita la facile identificazione cristologica dell'innocente salvatore ucciso, che tuttavia scorre sotterranea). Un buon film.
Film carcerario, tratto da un romanzo di Stephen King, con Frank Darabont alla regìa ed un cast di ottimo livello: si tenta insomma di replicare il colpo di Le ali della libertà. Ed il bello è che la cosa -entro certi limiti- riesce pure, dato che il film scorre via benissimo con numerosi picchi emotivi. A renderlo leggermente inferiore a quel film, almeno ai miei occhi, provvede il tema di fondo, vagamente new age, ed una durata eccessiva: al montaggio avrebbero potuto limare parecchie situazioni a mio avviso. Gran film, comunque.
Questo è forse l'unico romanzo di Stephen King portato sullo schermo che si possa tranquillamente definire "strappalacrime". Il duo King-Darabon,t dopo Le ali della libertà e prima di The mist, dà ancora ottimi risultati. La lunghezza si fa sentire nelle scene fuori dal "miglio verde", ma questo non toglie niente al film. Tutti i protagonisti sono in palla. Ottimo Hanks.
Darabont è bravo e lo dimostra come lo ha dimostrato in precedenza. Questa opera molto emozionante tratta dal romanzo di Stephen King, è lunga e triste. Pregiudizi e retorica sull'idea della pena di morte giustificata anche dall'intento del film stesso. Troppo perbenista e quindi mieloso, ma qui con un ottimo Tom Hanks (però sempre il superBuono!).
Non si può guardare questo film senza accettare la convenzione narrativa che sta alla base della storia: l'elemento soprannaturale. Ovviamente non si tratta di cinema-verità o di un banale episodio del genere carcerario, per quanto i clichè del genere siano sfruttati bene e originalmente dal regista. È un viaggio emotivo e fantastico, più che razionale. In questa chiave, il film è straordinario e servito da un cast ottimo, con una menzione per David Morse. Alcuni temi, come quello razziale, sono solo sfiorati e una scorciatura avrebbe forse aiutato.
Si può girare una storia incentrata sulle vicende di un gruppo di persone nel braccio della morte senza prendere posizione nei confronti della pena di morte stessa? Il personaggio di Tom Hanks, guardia umana e comprensiva, finisce per controbilanciare l'impatto emotivo derivante dalla visione della crudeltà delle esecuzioni, configurando una obiettività non solo illusoria ma anche moralmente ambigua. Il film è ben recitato e tecnicamente ben fatto, ma ciò non toglie che la rappresentazione della figura del boia "buono" sia oscena.
Una sorta di rivisitazione di quanto già detto in The Shawshank Redemption, The Green Mile parla di prigionia sì, ma anche di miracoli, dell'incredulità della gente comune di fronte all'impossibile, pur se evidente ai loro occhi. Con un ottimo cast (grande Sam Rockwell!) che disegna dei personaggi memorabili e piuttosto credibili, anche se rovinati da un doppiaggio discretamente irritante, il film di Darabont coinvolge davvero, anche se a volte scade un po' troppo nella melensaggine (così come il romanzo di King).
Senza dubbio la migliore trasposizione cinematografica di sempre di un racconto di King. Il pezzo forte del film, oltre avviamente al soggetto, è la coralità. Ogni singolo personaggio è un tassello preciso nella struttura narrativa. Hanks si limita solo ad esser il faro attorno al quale ruotano tutti gli altri, perfettamente caratterizzati: da John Coffey a Wilb Bill, da Percey a Brutal, da Del ad Hal. Non porta a casa nemmeno un premio ma rimane a tutt'oggi un raro esempio di come andrebbe fatto cinema di un certo spessore. Da cineteca!
Film "fratello" de Le ali della libertà: stesso regista, stesso autore letterario, stessa ambientazione, quasi gli stessi pregi e difetti. Darabont punta molto sull'impatto emotivo, tralasciando una visione più obbiettiva dei temi affrontati (viene detto ben poco sulla pena di morte, al di là della retorica). Resta comunque un film ben recitato, con Duncan e Rockwell che rubano facilmente la scena ad un Hanks ingabbiato nel ruolo di "legale buono".
Da rivedere e rivedere e rivedere... Ottimi regia, sceneggiatura tratta dal romanzo di King, attori tutti ben caratterizzanti i vari personaggi, dove i cattivi sono a dir poco odiosi e i personaggi positivi sono assolutamente riconoscibili sia che siano al di qua o al di là delle sbarre. Un film veramente da ricordare.
MEMORABILE: La resurrezione del topolino, con lo stupore generale, ma soprattutto la "carambola" del male che porta alla fine dei malvagi...
Fa parte della trilogia kinghiana di Darabont (con Mist e Le ali della libertà), questo film che dimostra l'ottima propensione del regista a trasporre per il cinema le opere dello scrittore del Maine. Tuttavia, pur nei toni sinceramente commoventi, il lavoro è troppo appiccicoso di melassa buonista e sentimentalista per essere convincente come gli altri film citati. Certo, colpa forse anche del soggetto (il testo di King presenta lo stesso problema), della faccia di Hanks (con lui il miele scorre sempre), della lunghezza. Comunque godibile.
Le vicende di un braccio della morte statunitense e l'annosa lotta tra bene e male. Una narrazione efficace che punta con forza al lato emotivo conducendo lo spettatore a un alto livello cinematografico. Alcune scene rimangono memorabili e il cast è egregio, con menzione per il solido Hanks e il commovente Duncan.
Una favola triste, una struggente storia d’amore e generosità, senza lieto fine e con un pessimistico messaggio sulla giustizia degli uomini che troppo spesso hanno l’arroganza di volersi sostituire a quella divina. L’ambientazione carceraria ha rari contatti con altri carcere-movie in quanto l’elemento fantastico, sempre presente nelle opere di King, finisce per prevalere sulle contingenze terrene. Ottima prova del cast.
MEMORABILE: L’esecuzione di Delacroix; La guarigione di Edgecombe; Il contrappasso finale per Percy.
Darabont firma uno dei migliori adattamenti cinematografici di Stephen King dimostrando di potercela fare lì dove in tanti hanno miseramente fallito. La cura per i particolari si evince dalla credibilità di ogni singola componente, che partendo da una base drammatica riesce a inserire il sovrannaturale senza sminuire l’essenza della pellicola né scivolare nella scarsa credibilità. La direzione degli attori è superlativa, riuscendo ognuno a ritagliarsi lo spazio necessario e le tre ore passano senza che ci si accorga di nulla.
MEMORABILE: L’esecuzione di Del; John Coffey mentre aiuta Melinda.
Darabont si conferma un ottimo traspositore delle opere letterarie di Stephen King. Non siamo ai livelli di Le ali della libertà ma è un film carcerario decisamente buono, soprattutto grazie all'elemento fantastico che contraddistingue l'opera da molte altre simili. Il regista sa proprio come ricreare l'atmosfera fatata (paradossalmente!) della prigione di uno stato del Sud durante la depressione e, se si sopporta un po' di manicheismo tipicamente kinghiano nella scrittura dei personaggi, si affrontano le tre ore di durata con il sorriso.
In un carcere, nel braccio della morte, passano i personaggi più disparati: colpevoli, innocenti, schizzati e persino qualche anima buona, ma l'arrivo dietro le sbarre di un detenuto extralarge porterà conseguenze inaspettate. Tre ore spese benissimo nelle quali, pur con certe lungaggini, ci si appassiona al gigante buono (Duncan) capace di mettere a soqquadro le vite di tutti. Eccellente lavoro di Darabont, abile ad amalgamare brutalità e una certa spiritualità assieme a grandi attori. Commovente e triste al contempo.
MEMORABILE: Oltre i protagonisti vanno citate le ottime prove di Morse, Jeter, Hutchinson e Rockwell.
Difficile trovare un film di tre ore che riesca a tenere gli occhi dello spettatore incollati su di sé per ogni singolo fotogramma. Sarà che le fiabe piacciono un po' a tutti, sarà che il bilanciamento fra la dolcezza del tema e la crudezza del contesto è perfetto, sarà che storia e personaggi restano impressi nella memoria quasi necessariamente. Il complesso è talmente ben assemblato che si perdonano volentieri certi scivoloni nel melodramma e nel patetico. Un cast d'eccezione per un grande film: magico, intenso, scioccante e commovente. Must.
MEMORABILE: L'iperbolica cattiveria dell'odioso Percy; La resurrezione di Mr. Jingles; L'atroce morte di Delacroix; La cura di Melinda; Il finale strappalacrime.
Darabont coglie appieno la densità emotiva e simbolica dell’omonimo romanzo di King, in cui un tema caro allo scrittore del Maine (la lotta tra Bene e Male) si traduce in un duro dramma carcerario illuminato da una lieve atmosfera soprannaturale, con un coro di personaggi ben delineati (interpretati da attori di spessore) in cui ognuno trova il suo spazio. Pur peccando forse di manicheismo e di qualche ingenuità (riscattata da un finale inquieto), unisce felicemente spettacolarità e contenuti.
MEMORABILE: I miracoli di Mr. Jingles e Melinda; L’esecuzione di Del; Il “trasferimento” di Percy; “Qualche volta, Dio mio, il miglio verde sembra così lungo”.
Nel braccio della morte un condannato nero dimostrerà di avere poteri paranormali. Il tema non è l'approvazione del pubblico per la pena capitale, ma l'espiazione delle proprie colpe in vita. Sceneggiatura scorrevole che dilata le sottotrame (il topo, la moglie) ma che diviene prolissa. L’omone dai buoni sentimenti fa ragionare sul prezzo da pagare per le malefatte (anche se poi non avrà giustizia), ma incide di meno come recitazione rispetto agli altri condannati. Discutibile il clima rallegrato dei secondini.
MEMORABILE: La moglie soddisfatta della guarigione del marito; La prova dell’esecuzione sulla sedia elettrica; Il corpo bruciato perché la spugna era asciutta.
Cinque anni dopo, Darabont bissa il successo de Le ali della libertà con un altro film a sfondo giudiziario. Non siamo proprio ai livelli del film precedente a causa della durata eccessiva e delle contaminazioni soprannaturali che sottraggono credibilità, ma la buona riuscita è garantita dalla professionalità del cast, con i buoni da una parte (Hanks, Morse e il gigantesco Duncan) e i cattivi dall'altra (Percy e Wild Bill, perfidi come pochi). Finale strappalacrime, ma tutto sommato coerente.
MEMORABILE: "John Coffey... come la bevanda, però scritto in modo diverso".
Penitenziario, braccio della morte: 5 secondini dividono la vita con i condannati a morte. Uno di essi ormai anziano racconta dall’ospizio come si nascondesse un segreto. Hollywood sforna uno dei suoi tipici prodotti al meglio, che emoziona e stupisce: valido impianto teatrale, accurata ambientazione nel 1935, cast di ottimo livello, regia coinvolgente che fa dimenticare le 3 ore di proiezione. Non mancano un pizzico di sentimentalismo e di retorica, ma è inutile voler giudicare dal punto di vista morale il film: la sua missione non è schierarsi. Intrattenimento puro di alto livello.
MEMORABILE: Le esecuzioni sulla sedia elettrica; La proiezione di "Cappello a cilindro" con Ginger e Fred che ballano cantando Cheek to cheek.
Secondo appuntamento di Darabont con la narrativa di Stephen King, ma stavolta il risultato, pur buono, non è all'altezza dello splendido Le ali della libertà. Le tre ore di durata sono eccessive, i personaggi divisi fin troppo nettamente tra buoni e cattivi, e anche la posizione sulla pena di morte rimane abbastanza ambigua. I momenti che funzionano però compensano i difetti, suscitando forti emozioni (anche con il ricorso a sequenze piuttosto crude) e, soprattutto nel finale, anche commozione. Confezione di lusso e bravi interpreti, con il misurato Morse un gradino sopra gli altri.
Ottima trasposizione cinematografica del romanzo di King, adatta pure a chi non ama il fantastico né l'horror, perché è soprattutto un film drammatico. Il cast è validissimo, vanno menzionati anche i personaggi secondari come il nativo americano (il primo a essere giustiziato) interpretato dal vero nativo Graham Greene che era diventato famoso per il suo ruolo in Balla coi lupi e Toot, l'uomo usato per le prove, interpretato da Harry Dean Stanton. Un film di tre ore che si vede con grande trasporto senza accorgersi del tempo che passa.
MEMORABILE: John Coffey, portato fuori in segreto dal miglio verde, si china per annusare la terra umida e le foglie secche: odora il profumo della libertà.
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DiscussioneZender • 25/10/13 14:15 Capo scrivano - 48365 interventi
Io ricordo che nel film lo si diceva, veramente... Ovviamente potrei sbagliarmi. Di sicuro io lo sapevo e il libro non l'ho mai letto.
non so cosa rispondere. dovrei rivederlo, così a labile memoria non ricordavo venisse spiegato. chi sa, parli.
certo è che il libro ha un esprit di gran lunga più bleak, distante dalla messa in ammollo nella melassa spielberghiana operata dalle pur sapienti mani darabontiane. era, sebbene meno calcato, un difetto che emergeva anche ne le ali della libertà. non così in the mist, vivaddio.
DiscussioneRaremirko • 25/10/13 23:29 Call center Davinotti - 3863 interventi
Schramm ebbe a dire: non so cosa rispondere. dovrei rivederlo, così a labile memoria non ricordavo venisse spiegato. chi sa, parli.
certo è che il libro ha un esprit di gran lunga più bleak, distante dalla messa in ammollo nella melassa spielberghiana operata dalle pur sapienti mani darabontiane. era, sebbene meno calcato, un difetto che emergeva anche ne le ali della libertà. non così in the mist, vivaddio.
La scena in cui Coffey chiede come ultimo desiderio di vedere un film e si commuove durante la proiezione non è assolutamente presente nel libro. Viceversa dal film sono state scremate le vicissitudini di Edgecombe all'interno dell'ospizio.
DiscussioneAlex75 • 15/10/19 16:52 Call center Davinotti - 710 interventi
Schramm ebbe a dire: *PROBABILE CURIOSITA'
se non ricordo male (l'ho visto solo 2 volte l'ultima circa 3 anni fa, per cui potrei sbagliare), lo stesso titolo nel film non ha spiegazione, che è invece data da subito nel libro a pagina 6:
(...)l'ampio corridoio che percorreva al centro tutto il blocco E era rivestito di linoleum del colore dalla buccia di un vecchio lime appassito, perciò quello che nella altre carceri veniva chiamato l'Ultimo Miglio, a Cold Mountain si chiamava Il Miglio Verde
Nel film il corridoio viene descritto, più banalmente, come color salvia.
DiscussioneAlex75 • 15/10/19 18:56 Call center Davinotti - 710 interventi
Non sono molte le trasposizioni kinghiane che ho avuto occasione di guardare. Tolta quella di Kubrick, al di sopra di ogni classifica per meriti stilistici e concettuali, credo che la migliore sia quella di Misery, anche se per chi ha letto il romanzo prima di vedere il film potrebbe risultare deludente (dato che nel libro la Wilkes risulta ancora più disturbata e fanatica), mentre il più modesto Ultimo indizio: la luna piena ha più che altro un valore affettivo, in quanto è stato il primo horror che ho guardato con piacere; di Brivido, invece, non ho un gran ricordo. Questo lo colloco un gradino sotto Misery: secondo me patisce un certo calo di tensione con l’uscita di scena dei personaggi negativi e non mi convince troppo l’ultimo discorso di John Coffey (che si stacca molto dal linguaggio elementare usato dal personaggio per gran parte del film). Ho trovato deludente il serial televisivo tratto dall’Ombra dello scorpione, secondo me il romanzo più bello di King, di cui avevo tutto un mio film in testa, che non ho ovviamente ritrovato nella trasposizione televisiva (anche se mi sono rimaste impresse le prove di Sinise e della San Giacomo).
Per Puppigallo: leggo sempre tutti i commenti prima di inserire il mio e mi chiedevo perché trovi ridicola la scena col topo anziano. Anche il protagonista Tom Hanks racconta le vicende da ultra-ultracentenario, poiché sia lui sia il topo sono stati omaggiati da Coffey col dono, gradito o meno è un'altra questione, di una vita molto più lunga del normale. Nel libro, dove, come ha segnalato un altro utente tra le curiosità, le vicende che accadono nella casa di riposo trovano molto più spazio, il topo vecchissimo muore di infarto poco prima che un inserviente sadico riesca a schiacciarlo.