Visto l'arrivo dei talebani a Kabul, Donya è stata costretta a fuggire dal paese natio dove faceva la traduttrice per l'esercito americano. Ora vive a Fremont e lavora presso l'azienda dei "Biscotti della fortuna" per i quali scrive i messaggi. Confezionato in un elegante bianco e nero, è sconsigliato ai patiti dell'azione. È film di silenzi che pesano più delle parole, che pure non mancano. Convincenti gli attori a partire dalla protagonista. Delicato e a tratti struggente senza volerlo sembrare. Wendersiano, a volergli trovare una fonte d'ispirazione.
MEMORABILE: Il peso di certi silenzi; Il primo piano della protagonista subito dopo l'inquadratura con il mappamondo che gira.
Una giovane afgana che faceva da interprete ai militari USA viene portata in America per questioni di sicurezza. Lì, nonostante abbia un lavoro nella fabbrica dei biscotti della fortuna, con altri conterranei si trova a disagio; un disagio che combatte frequentando cinesi, non meglio integrati e patendo una insonnia fastidiosa. Film in un bianco e nero leggermente granuloso adatto alla vicenda, si conclude con un happy end dopo uno scherzo terribile. Opera riuscita, raccontata in maniera lineare, ben diretta e recitata. Da cineforum (se ce ne fossero ancora). Altamente consigliabile.
MEMORABILE: Lo psichiatra che piange leggendo Zanna Bianca; Lo scherzo del Cervo.
Donya, già traduttrice per l'esercito americano a Kabul, viene messa in sicurezza e traferita in un paese della California dove stenta a integrarsi vivendo un quotidiano solitario e lavorando in un biscottificio cinese. Una commedia minimale che cerca di sfruttare silenzi e implicazioni psicologiche per portare avanti una vicenda alquanto statica e senza particolari guizzi, anzi adagiandosi su un'apatia fastidiosa, anche se apprezzabile dal punto di vista formale. L'insieme di timidezza e di fierezza della protagonista si risolve fortunosamente in un finale presumibilmente felice.
L’esule afgana nella fabbrica dei biscotti della fortuna è una intuizione formidabile, che intreccia etnie e sradicamenti per realizzare una folgorante fotografia della contemporaneità, specialmente americana. In un sobrio bianco e nero, il film procede con una narrazione minimalista, con lievissime venature d’umorismo (in particolare nelle sedute dallo psicologo), mostrando una forte ispirazione autorale indy (come con l’improvviso sguardo in macchina) che grosso modo richiama Jarmusch e Kaurismaki, ma cerca una propria strada. Bello.
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