Raffinato cross-over di generi made in Corea che sceglie come punto di vista quello d'un poliziotto che indaga sulle strane morti avvenute in un minuscolo villaggio tra i boschi. Non si tratta solo di uccisioni misteriose però, perché si diffonde ad esempio un'epidemia parazombesca (la cui responsabilità viene attribuita a un'indigestione di funghi!) che vede uno sparuto gruppo di persone in apparenza ustionate aggirarsi mordendo il prossimo. Poi però il vero colpevole, il killer/untore, viene individuato in colui che la gente del posto chiama "lo straniero", un giapponese che vive nella zona e che nei sogni di qualcuno succhia il sangue e divora le sue vittime. Come in ogni horror orientale che...Leggi tutto si rispetti la chiarezza cui siamo abituati si confonde tra rarefatte immagini che suggeriscono piuttosto che spiegare, che indicano una via da seguire lasciando poi la strada aperta a interpretazioni non necessariamente coincidenti. Anche perché ben presto la faccenda si complica e coinvolge la figlioletta del protagonista, a prima vista preda di una possessione in piena regola per risolvere la quale viene chiamato uno sciamano! Si assommano insomma indizi, nuovi personaggi, inversioni di rotta, false piste e via dicendo senza però mai perdere troppo tempo per chiarire, tanto che la durata monstre di due ore e mezza si raggiunge anche inserendo scene talvolta superflue, in cui le suggestioni date dall'indubbia ricercatezza visiva (da sempre asso nella manica delle produzioni orientali di livello) non sono sufficienti a coinvolgere sufficientemente e l'elementare stringatezza dei dialoghi è ancora una volta parte della formula. Si procede quindi (inizialmente faticando non poco) a sensazioni, a colpi di scena e aperture in direzione di una spettacolarità trattenuta da un ammirevole senso della misura, da un orrore che fatica a spaventare realmente e che mira ad altro, abbandonando l'utilizzo classico dei fantasmi per renderli parte di un disegno che va a compiersi passo dopo passo per concretizzarsi in una mezz'ora finale che chiude mirabilmente, in cui si convogliano tutti gli elementi e i personaggi per dar vita a un grandioso affresco notturno tra le piccole costruzioni del villaggio.
Si parte col protagonista (un Oliver Hardy asiatico), quasi avulso da una vicenda che, via via, prenderà una piega sempre più brutta, in termini di vittime e di circostanze degli accadimenti. Poi però, col passare del tempo, le cose precipitano; e anche il goffo poliziotto viene inghiottito in un gorgo sempre più sinistro, cambiandolo nel profondo, anche se qualcosa di lui resisterà stoicamente. Questo fa sì che si crei un legame con lo spettatore, una sorta di empatia. Certo, c'è molta carne audiovisiva al fuoco (comunque, ben cucinata); e poteva essere un po' snellito. Ma resta notevole.
MEMORABILE: Le varie svolte, che depistano lo spettatore; L'imperturbabile "giapponese"; Morso a faccia e testa, più rastrellata; "Completamente ignaro...".
Un piccolo villaggio viene sconvolto da una serie di delitti efferati e da una epidemia dagli effetti devastanti... Inizia come un poliziesco, evolve verso il sovrannaturale per poi virare decisamente nell'horror più cupo, fino ad un finale nerissimo e senza scampo. Il protagonista, poliziotto goffo ed inetto, commuove come padre disperato disposto a tutto per salvare la sua bambina ma, se le religioni non sono in grado di dare risposte e la ragione vacilla davanti all'inspiegabile, anche l'amore deve arrendersi di fronte al male assoluto.
MEMORABILE: L'aggressione del mostro cannibale; L'esorcismo
Un thriller coreano invasivo che cresce pian piano, partendo da un goffo protagonista e seguendo l'evolversi del suo incubo personale, che finisce per attanagliare lo spettatore. Un horror thriller davvero efficace, che cambia pelle spesso e forse merita più di una visione. Pervaso di quella spiritualità un po' lontana dal pubblico occidentale che comunque viene trasmessa attraverso atmosfere sospese e movimenti di camera angoscianti e coinvolgenti. Da vedere.
Notevole pellicola che mescola con grande abilità thriller, poliziesco ed horror, riuscendo ad incollare lo spettatore alla poltrona nonostante le due ore e mezza di durata. La prima parte deve un po' carburare, ma una volta partito non si ferma più e gli ultimi quaranta minuti sono strepitosi. Rimescola le carte molte volte, forse troppo, e lascia sempre il dubbio su cosa stia per accadere e sui suoi motivi. Finale nerissimo, come da tradizione del regista, e bene e male che si confondono senza lasciare alcuna certezza e sicurezza allo spettatore. Imperdibile.
Il regista accumula sin troppe suggestioni declinandole, come d'uso nella produzione orientale, con registri fra loro diversi: malinconici, horror, kitsch, persino volgari (il vomito). Alla fine, tra i bagliori di grande cinema (eccezionale la scena dell'esorcismo), si sente qualcosa d'irrisolto; e anche il messaggio sotteso (il male che si propaga come un contagio cambiando volto di continuo) risulta poco perspicuo. Di una cosa si è sicuri: di film come questi, nonostante le perplessità, si ha oggi un bisogno vitale.
L'horror che attendevamo da anni: idee, ritmo e carne al fuoco in quantità industriale in due ore e mezzo senza un attimo di tregua, con una regia di un'ironia che non sconfina mai nella parodia e di una violenza tanto ben dosata e imprevedibile da scansare scavalcamenti nel grottesco o assuefazione all'eccesso. Il tutto in un paesino di campagna sempre più terra di nessuno col passare dei minuti, dove l'imprevisto è perennemente in agguato. Qualche perplessita (l'exorcismus interruptus, le ambiguità conclusive), grande tecnica, piacere sommo.
MEMORABILE: La memorabile, eccessiva e folkloristica scena di esorcismo; L'attesa dei tre canti del gallo.
Uno spettacolo per gli occhi, soprattutto per una regia che non spreca un'inquadratura e che sa muoversi bene, gestendo meravigliosamente le location aiutata da una fotografia di primissimo livello. Peccato che il lato "storia" non sia all'altezza, con improvvisi rallentamenti e con uno sviluppo narrativo che non appaga appieno (soprattutto nella seconda parte, non sempre coesa). Il ritmo non manca, anche se mezz'ora di meno avrebbe aiutato la pellicola in termini di fruibilità. Rimane un'opera interessante con spunti originali, visto quello che propone il cinema odierno.
MEMORABILE: Il rito del santone (con un eccelso montaggio); L'abitazione del giapponese; La bambina.
Maliardo e maestoso, con quell’alternarsi nobile di generi e sottogeneri e con quei cambi di prospettiva, soprattutto da metà in poi, che disorientano e poi cullano soavi la nostra percezione. Anche vulnerabile a tratti, però, perchè l’abbondanza rischia di saturare una pancia da subito piena e la lunghezza mette a dura prova un io abitudinario che nonostante tutto non si scolla mai dalla bellezza poetica mostrata. La scena dell’esorcismo è eccezionalmente folle e realistica allo stesso tempo. Ne vale comunque la pena.
Lo spettacolo certamente non latita in questo horror composito che attinge alla cultura orientale ma che strizza l'occhio ad alcuni stilemi del genere made in Usa. Tuttavia il messaggio è un po' confuso perché il regista è costretto a moltiplicare eventi misteriosi (verso il basso) di cui ovviamente non può esserci soluzione, lasciando non poche perplessità nello spettatore. Un po' troppo lungo, soffre di credibilità specie nella seconda parte per eccesso di "materiale" e di sorprese. Eccellente la fotografia e la "sporca" ambientazione. Attori lignei.
MEMORABILE: L'inquietante giapponese; Il virtuosistico montaggio nella scena del doppio esorcismo; Sbranamenti vari; L'efficace colonna sonora.
Film che spinge senza remore sul pedale del parossismo, che ne diventa così la vera (e probabilmente troppo isolata) cifra stilistica. Intendiamoci: che Na Hong Jin sappia bene il fatto suo è lampante nella straordinaria composizione delle inquadrature come nella gestione della "suggestione" filmica. E tuttavia l'esasperazione incalzante, vidimata già nella scelta del volto inadeguato e disperante di Do-Won, rischia di diventar irritante, quanto i detour del finale. Comunque crudele e di sincera inquietudine. Fondamentale l'intensità della piccola Hyo-jin.
Ambientato in un paesino coreano lontano dalla modernità e dalle luci delle grandi metropoli asiatiche, Goksung è un thriller/horror molto affascinante che con la sua lunghezza (150 minuti circa) riesce a mettere molta carne al fuoco proponendo una trama fitta e complessa che si sviluppa su più livelli. Il regista è bravo a disorientare lo spettatore con continui cambi di registro tenendolo così sempre sulle spine e rendendo imprevedibile il tutto. Nonostante la durata il film scorre veloce fino al nerissimo (e bellissimo) finale.
Film difficile, che dura obiettivamente troppo ma che lascia molto spazio all’interpretazione e dà la possibilità di riflettere su ogni sequenza. Il connubio fra thriller e horror, pur non funzionando troppo a livello di intrattenimento, è funzionale a rendere più solido il contenuto del film. L’originalità, qui, sta nel fatto che il male si voglia ricercare quasi da subito in qualcosa di sovrannaturale, mentre con il passare dei minuti le cose cambiano e a emergere è l’ambiguità dell’essere umano e del male stesso.
Non ingannino i primi 40 minuti, lenti e giocati sul filo di un grottesco satirico che si fa fatica a inquadrare: girato l'angolo, la serpe è pronta a mutare pelle. Storia complessa e corale, dal grande respiro, impregnata di suggestioni metafisiche e folkloristiche (splendide, anche per interesse etnografico, le scene di rituali ed esorcismi), ambientata in un non-luogo rurale di assoluta liminalità. Finale polimorfico e aperto a molteplici interpretazioni: chi inganna chi e perché? Bene e male come due facce della stessa medaglia.
Ci sono gusto dell'inquadratura, sequenze interessanti e una parte finale cupa e coinvolgente, ma a bilanciare in negativo bisogna tener conto di tutta la prima parte inutilmente grottesca, sfasata sia come registro narrativo che come scelte di location e solarità. Il tutto allunga la durata del film a oltre due ore e mezzo e non è facile arrivare alla fine indenni, nonostante i motivi di soddisfazione che prima dicevo. Inquietante il giapponese, nella media gli altri.
Non del tutto convincente e un po' confuso. Come di consueto nel cinema orientale la si prende molto alla lontana e si avvicina poi per centri concentrici, fin troppo lentamente. Ma poi giunti al dunque non è che succeda chissaché se facciamo un coonfronto non certo con L'esorcista ma neppure con L'ultimo esorcismo. A conti fatti le cose migliori sono appunto i due riti esorcistici dello sciamano, affascinanti e così diversi da quelli di Santa Romana Chiesa che abbiamo imparato a conoscere. Bravo l'attore protagonista.
Difficile esprimere un parere completo - anche oggettivo - verso un film complesso e così distante dalla visione occidentale. Il canovaccio parte dagli stilemi classici dell'horror; successivamente viene eseguita una commistione di generi - poliziesco, drammatico, thriller - capace di innervare la storia di un bilanciamento coraggioso tra l'ironia verso il grottesco e la paura dell'ignoto. Impossibile "fotografare" la poliedricità del male; più ovvio che sia la banalità del bene a essere immortalata. Esperienza pluristratificata e appagante.
MEMORABILE: I sogni con l'uomo selvaggio; Il secondo esorcismo (momento migliore del film); I tre canti del gallo; La macchina fotografica sul finale.
Horror antropologico che affonda le radici nel tempo e nella cultura coreana ricordando come il Bene e il Male accompagnino l’uomo da sempre e dovunque nella stessa maniera. Hong-Jin non si preoccupa di spaventare nel modo più semplice e immediato, ma preferisce incutere un timore crescente, mostrando poco e niente di eclatante. Appare volutamente sviante e trova compiacimento nell’indugiare qualche momento di troppo su sé stesso. Nell’ultima parte sale di livello, tirando fuori quanto di più sordido la storia consenta.
MEMORABILE: Il maligno quando rivela le sue fattezze.
Incensato da molti, in realtà rappresenta un passo indietro rispetto ai primi due film del regista, quelli sì davvero notevoli. Nulla da eccepire sul piano tecnico e visivo e anche la storia avrebbe ottime potenzialità, sfruttate però solo in parte da una sceneggiatura talvolta confusa e tirata inutilmente per le lunghe (almeno mezzora è di troppo). E poi, va bene che alle figuracce della polizia nel cinema sudcoreano ormai siamo abituati, ma qui il protagonista è davvero troppo imbranato per suscitare empatia. Sufficiente, ma niente di più.
MEMORABILE: Gli esorcismi, davvero curiosi rispetto all'idea che ne abbiamo noi occidentali.
Per due ore e mezzo, Hong-jin Na tiene lo spettatore nel palmo sudato della sua mano raccontando con infinita inventiva temi quali possessione, omicidio e mondo dell’occulto. L'universo di Goksung è una palude disordinata di eccessi, intricata certamente ma meravigliosamente raccontata. Il film si conclude in modo indimenticabile, con immagini progettate per infestare eternamente i sogni, con un finale che è vera bellezza e devastazione, mentre la straziante e sanguigna relazione padre-figlia tra Jong-gu e Hyo-jin raggiunge il suo apice.
In un ambiente ben fotografato, con location strumentali per l’orrore, si svolge una vicenda che attraversa il “cinema oscuro” quasi integralmente. Tentazione pericolosa, perché può generare confusione, una simile scelta operativa. In questo caso però, grazie anche alla professionalità tecnica e all'adeguatezza dei partecipanti, l’insieme è efficace e partorisce un buon prodotto, ascrivibile al fantasy oltre che all'horror. Rimangono alcuni elementi incompresi, però, tra cui l’importantissima parte che si chiama finale.
MEMORABILE: L'alternativa finale: a chi credere?; L'arrivo del "diavolo".
Quello che Na Hong-jin riesce a fare magistralmente è mischiare orrore, commedia e thriller con una naturalezza da far accapponare la pelle. Goksung è un film bellissimo: intrattiene, spaventa, fa sorridere e riesce a incollare lo spettatore allo schermo. Tra gli innumerevoli punti di forza vanno citati senza dubbio gli scenari (spesso piovigginosi), che con la loro maestosità riescono a regalare al film un’inquietudine vetusta e assolutamente raccapricciante.
Goksung è un piccolo villaggio rurale dove si verificano sinistre, incomprensibili morti, mini-stermini di famiglie per lo più contadine. Il guaio è che sembra alligni addirittura il male. Singolare mix di generi (dal demoniac allo zombie-infection, al serial-killer), il film mescola abilmente le carte puntando sulla critica politica e religiosa, puntando verso derive concettuali ancora più pericolose. Volutamente depistante e ambiguo nelle soluzioni narrative, si arena su una spiaggia desolante per le eccessive lungaggini e la componente comica alla Stanlio & Ollio che certo nuocciono.
MEMORABILE: La "faccia" del demonio davvero spaventosa, nel finale.
Rieccoci: 156 monumentali minuti demoniaco virali di cui almeno 30 ingiustificati. È il cinema coreano, dolcezza, in cui smarrire prima il senso del tempo e poi la pazienza. Nella pregevole forma, si affastellano picchi melò, avvallamenti di senso, esorcismi dance e zombie attacks. Erratico, ma ascendente, adesca nel gran finale, dribblando disordinatamente - o programmaticamente? - l'univocità del Male. E del Bene. Scordatevi, comunque, di collegare i puntini e avere le idee chiare. Il faccione di Do-won si riscatta di minuto in minuto; l'impassibilità di Kunimura mette i brividi.
In un piccolo villaggio dominato da antichi spettri e piogge torrenziali, la disciplina morale della famiglia si decompone, contaminata e profanata da paure primordiali e ritualistiche architetture di morte. Na Hong-Jin infonde un clima grottesco e malinconico, giocando in abbondanza e facendo leva sulla spaurita emotività dei personaggi. Gli ultimi trenta minuti sono una catabasi imponente, ieratica, di algida crudeltà. Cast straordinario.
Kubrick disse del cinema che per lui dovrebbe somigliare più alla musica che alla narrativa. Essere un susseguirsi di emozioni e di sensazioni. Questo film gli sarebbe piaciuto: qui i cambi di tempo e di registro sono continui: poliziesco, thriller, horror, in principio perfino black comedy. E alla fine tutto si sdoppia, il male non è assoluto - come spesso accade nei film occidentali - ma è dove vuoi vederlo. Esteticamente un gioiello, interpretazioni da pelle d'oca (in ispecie la bambina). Probabilmente spazza via qualsiasi horror di questo secolo.
L'ironia delle scene iniziali non deve trarre in inganno perché lentamente, come in una spirale, il film ingoia lo spettatore in un pozzo sempre più nero e denso. Dopo una serie di colpi di scena e un ritmo incessante e martellante ci si ritrova davanti a un triangolo magico da cui la ragione non riesce a trovare un sentiero per la verità. Bello, profondo e stratificato che rispecchia appieno la profonda cultura sciamanica coreana. Consigliato.
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Di suo ho visto The chaser, che non ho amato ma in cui ho ravvisato qualche bel momento. Vedremo...
DiscussioneDaniela • 22/07/16 23:42 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Primo ruolo da protagonista per Kwak Do-Won, già caratterista in molti film sudcoreani fra cui, tanto per citare i soli già presenti nel database davinottiano: The Yellow Sea, A company man, An ethics lesson, The Attorney, The Berlin file.
Il faccione e la gestualità goffa sembrano relegarlo a ruoli di spalla, talvolta con venature di comica inettudine. Caratteristiche che si ritrovano anche in The wailing, dove è un poliziotto incapace al pari dei suoi colleghi ed anche lazzarone e scansafatiche sul lavoro.
Tuttavia, questi aspetti buffoneschi ed inadeguati non ne sminuiscono l'impatto drammatico quando il suo personaggio viene colpito negli affetti più cari: è una persona comune, senza doti particolari, lacerato dai dubbi e dall'angoscia per la trasformazione dell'adorata figlioletta in una creatura infetta e malefica.
Udite, udite! Il film uscirà nelle sale nel 2017 : lo ha detto il distributore che era presente in sala assieme al regista, di cui poi vi racconterò qualche aneddoto a fine festival.
DiscussioneDaniela • 21/11/16 17:20 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Cotola ebbe a dire: Udite, udite! Il film uscirà nelle sale nel 2017 : lo ha detto il distributore che era presente in sala assieme al regista, di cui poi vi racconterò qualche aneddoto a fine festival.
Toh, non ci avrei proprio scommesso sull'uscita nelle sale di un film così tosto.
Oltretutto chi non è abituato a bazzicare il cinema sudcoreano può facilmente restare disorientato per l'alternanza fra i vari registri dal comico al drammatico, che di tale cinema costituisce una caratteristica quasi costante e che qui trova personificazione nel personaggio del protagonista, poliziotto inetto tanto da muovere al riso ma anche padre che suscita pietà e compassione.
Quanto a te Cotola, attendo i tuoi aneddoti sul festival: ho dato una scorsa al ricco programma, ce n'è di roba invitante... per cui: buona scorpacciata!