Flanagan della necrosi spettrale, come in
Oculus, di fantasmi marcescenti con le mosche sugli occhi, Flanagan della pedofilia (la ragazzina quindicenne , coi superpoteri, al cinema a vedersi
Casablanca con il suo "predatore" abbordato sul web), un gruppo di
nomadi affamati (capitanati dalla ferina e glaciale Rebecca Ferguson, malvagissima
strega dell'Ovest) di ragazzini e di "luccicanza" (crudeli e dal sentor di stupro di gruppo i feroci pasti a base di vapore estratto dalla bocca della piccola vittima), che finisce in una sparatoria nel bosco con suicidi indotti alla
Villaggio dei dannati.
Flanagan prende il romanzone di King e ne cambia le traiettorie, si ricollega al monumento
kubrickiano, rifacendone magnificamente le stesse scene (Danny con triciclo per i corridoi dell'Overlook, il colloquio tra il dottor John e Danny in ufficio, Wendy, il labirinto, la scalinata, Jack Torrence che diventa Henry Thomas), a volte sfiorando la pacchianata/fantasy (il volo notturno alla
Mary Poppins di Rose), omaggia il finale in caldaia/esplosiva dello Shining prettamente
kinghiano, si autocita nel
Gioco di Gerald con la mano di Rose scuoiata, prende derive azzardate da cinecomics , fruga nel fetore necroforo (il dissotteramento del ragazzino che butta vermi), chiede a Robert Kurtzman di creare spettri visceralmente andati a male (l'iconica vecchia decrepita che esce dalla vasca da bagno), gli occhi bianchi di
Sentinel, le possessioni diaboliche di
Amityville Possession con ascia in mano.
Ma la magnificenza decadente di riverberi terrifici arriva quando Danny e Abra si recano, in una notte buia e senza stelle, alle pendici dell'Overlook, appolaiato, come una balena arenata, in cima ai monti del Colorado (il viaggio tenebroso ripreso dall'alto, dove tuona minacciosa l'overture shininghiana). Quello che succede dopo è davvero una spendida festa di morte, dove Flanagan risveglia i "cannibalici" fantasmi kubrickiani, facendoli uscire dalle scatole della mente di Danny, che si avventano come zombi (o come i manichini di
Maniac) sulle loro vittime, assaporandone l'essenza della luccicanza e divorandoli, in 20, eccezzionali, minuti dove l'atmosfera putrida dell'Overlook sprigiona tutta la sua devastante potenza incrancrenita e deteriorata, riportando lo spettatore a quelle sensazioni di paura e angoscia del capolavoro kubrickiano (le gemelline, Grady, "Gran bella festa, vero?", Jack Torrence al bar, Redrum, la porta sfondata, Wendy chiusa in bagno terrorizzata, il fiume di sangue che esce dall'ascensore sotto gli occhi di Rose,
Midnight, the Stars and You, tutta la parte nel labirinto e poi fuoco e fiamme gotico/purificatrici).
Lesa maestà a parte, il sequel di
Shining è un tour de force orrorifico che (ri)conferma il talento di Flanagan per le storie di fantasmi (
Oculus) e forse l'autore che è più affine col Re di Bangor (
Il gioco di Gerald), che in 153 minuti mette insieme predatori di ragazzini, toccanti trapassi (gli anziani che stanno per esalare l'ultimo respiro nella casa di riposo, assistiti dal Doctor Sleep di Danny), scriteriati magazzini della mente (
L'acchiappasogni?) e l'ultima parte che è una gioia per gli occhi e per le sensazioni fiabesco/overlookiane/orrorifiche.
Gustosisisima, poi, l'ultima scena che chiude il film (e la porta) e che segna il passaggio di consegne della luccicanza per tenere lontano le presenze terrifiche dell'Overlook.
Comprensibile che possa respingere i puristi, ma , per il sottoscritto, un gran bella sinfonia dell'orrore degna erede dell'opus di sua maestà Stanley Kubrick.