Un film che mostra l'Italia post bellica con tutte le sue contraddizioni. Ernesto, dopo il ritorno in patria, lasciata alle spalle la prigionia in Germania, trova un paese povero e scombussolato dalla guerra appena finita. Per sfuggire alla polizia dopo l'omicidio del protettore della sorella (rimasta anch'ella uccisa) si unisce ad una banda di malviventi. Lattuada ha saputo descrivere, senza sentimentalismi, una situazione allo sbando. Nazzari impersona il bandito dal cuore tenero, pronto a dividere il suo bottino coi poveri. Una Magnani determinata!
MEMORABILE: Anna Magnani che sputa in un occhio ad un membro della banda. Risoluta come in tutti i suoi film!
Notevole film in cui Lattuada mescola con sapienza e misura i canoni del neorealismo con quelli del noir, dando vita ad una pellicola che avvince e che a tratti fa anche riflettere. Merito anche della riuscita sceneggiatura e di attori che forniscono delle ottime prove su cui spicca quella della Magnani. Sicuramente una di quelle opere della nostra cinematografia che andrebbe riscoperta per poterne così apprezzare appieno il suo valore non comune.
Notevole film di Lattuada, che descrive aspetti della tragedia italiana, al Nord, appena finita la guerra. Vigoroso, ritmato, modernissimo (c’è pure un gay), purtroppo melodrammatico nel finale. Nazzari è come ce lo aspetteremmo, prevedibile come un pareggio all’ultima giornata fra due squadre cui basta un punto per salvarsi, ma, come sempre, di grande presenza (come quando, all’intimazione della Polizia, NON alza le mani). Grande la Magnani, perfetto Doro, adorabile Campanini.
Tragico affresco post-bellico d'ambito torinese, in cui Lattuada fonde il neorealismo della prima parte (il viaggio in treno, le scene di vita quotidiana) con il noir americaneggiante della seconda, gravitante intorno alla figura del "Robin Hood" urbano Amedeo Nazzari. La borgatara Magnani, doppiata dalla Cortese, assume un aspetto aristocratico e i suoi comportamenti paiono preludere alla "femme fatale" fassbinderiana; la Del Poggio, ex allieva pestifera, si cala in un ruolo drammatico. Rilevanti i contributi di Campanini, Doro, Lulli, Perrone, Appelius.
A mezza strada tra il neorealismo ed il dramma di taglio americano, è un film solo parzialmente riuscito ma con spunti molto affascinanti. Nazzari finisce a fare il bandito ovviamente solo per caso, costretto dalla difficile situazione post-bellica; ma sarà spietato quando ne avrà l'occasione (la sequenza in automobile). Alla fine arriva la redenzione, forse un po' forzata ma comunque necessaria in un film del 1946. Gran bella fotografia di Aldo Tonti.
Interessante commistione di Lattuada tra il genere neorealista e il noir americano. La parte neorealista occupa la prima mezz'ora con l'arrivo dei reduci, la vista delle macerie, i problemi derivanti dal lavoro e dalla mancanza di denaro. Cruciale sarà l'incontro con Lydia (Anna Magnani), femme fatale che porta Ernesto a diventare un gangster. Memorabile il discorso a botta a risposta fra i due, con una serie di primissimi piani che da soli varrebbero la visione del film. Non male.
Una Torino del dopoguerra dove la disperazione spinge il protagonista ad una serie di sceleratezze. Il personaggio ha fascino e spavalderia tali da aprirgli le porte alla carriera malavitosa. La perdita degli affetti più cari lascia in lui uno piccolo spazio all'umanità. Il quadro si perfeziona con la grandezza della Magnani, che pur non avendo una parte predominante, è un contatto fondamentale nel film. Una regia superba, con un Nazzari che ha saputo riscattare il suo ruolo (che inizialmente doveva essere interpretato da un altro attore).
Lo spunto migliore del film è sotterraneo: l'incompatibilità fra il reduce e la realtà borghese del dopoguerra; il personaggio dell'ex soldato emana, infatti, il fascino tragico dei predestinati alla sconfitta e alla rovina. Per questo il finale, che Lattuada accentua dal lato patetico, è più convincente di quanto sembri a una prima occhiata. Meno perspicua (e quasi forzata) è, invece, la svolta criminale di stampo noir (e pure la Magnani, per quanto grande, si trova un po' a disagio in quei panni). Lodevole.
Film tra i più insoliti di Lattuada che, inserendo i meccanismi del cinema d’azione americano in un contesto tipicamente neorealista, compone, attraverso gli occhi di un reduce inevitabilmente destinato alla sconfitta, un affresco impietoso ma assolutamente veritiero dell’Italia postbellica. Per l'epoca molto coraggioso, anche se melodramma e colpi bassi sono sempre dietro l'angolo. Nazzari vinse il Nastro d’argento, ma la Magnani in versione dark-lady, Campanini, la Del Poggio e Lulli non sono certo da meno. Bella fotografia di Aldo Tonti.
Reduce dalla guerra e dalla prigionia, un brav'uomo è spinto dalle circostanze a diventare bandito, ma riuscirà a riscattarsi nel momento decisivo... Molto bella la prima parte con il ritorno a casa e robusta quella centrale dedicata alla gesta della banda criminale, mentre risulta forzato in senso sentimentale l'epilogo che comunque conserva una propria dignità. Film forse datato ma interessante come documento d'epoca, ben fatto (fotografia di Tonti) e con un ottimo cast: Nazzari convincente, Magnani, pur se doppiata, efficace in un ruolo del tutto negativo, comprimari con le facce giuste .
MEMORABILE: L'incontro con la sorella; Il primo piano del volto di Anna Magnani dopo che Nazzari le ha buttato in faccia il contenuto del bicchiere
La donna fatale (interpretata con sfrontatezza sublime da Anna Magnani) è decisiva anche in questo film nero secondo il cannocchiale polare italiano. Amedeo Nazzari (essenziale, mai carico) è nella forma di un criminale che resta un buono: si muove nei contrasti del bianco e nero espressionista spinto al crimine per un capriccio del destino più che per le evidenze sociali del dopoguerra. Lattuada gira con slancio espressivo sincero, restituendo un tessuto figurativo di valore. Unica pecca la musica: non accattivante, talvolta enfatica.
Tornare dalla guerra in un'Italia in ginocchio non è facile e un reduce, anche perché ingannato da una maliarda, diventa fuorilegge per poi riscattarsi. Teso melodramma neorealistico con una Magnani cattiva e Nazzari che riesce ancora una volta a essere protagonista assoluto. Regia al servizio della storia, eleganti ricostruzioni, atmosfera da riscatto neorealista.
Pellicola noir/neorealista in cui Lattuada realizza un valido affresco del primissimo dopoguerra in quel di Torino. Le peregrinazioni di un ex deportato alla mercé di tutta la miseria e il menefreghismo che emerge tra la popolazione, poi la svolta, suo malgrado, criminale. Una pellicola di ottimo livello che si avvale di un monumentale Nazzari e di una Nannarella in un ruolo inusuale. Grande e triste il finale.
Reduce di guerra diviene un criminale al ritorno a casa. La prima parte è notevole per la rappresentazione senza fronzoli delle conseguenze della guerra e malinconica nel clima di speranza. Dopo l’incontro con la Magnani, che dà sempre il suo apporto “scafato”, il registro cambia e si entra in una specie di crime story. Lattuada diviene così più convenzionale e accelera i tempi degli eventi. Nel complesso il film è buono e poteva ambire a qualcosa di più.
MEMORABILE: “Sveglia con gli occhi, imbroglio con le mani”; La rapina alla quadriglia; La cartolina.
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Carla del Poggio,la sorella del protagonista che lavora in una casa chiusa,é stata la moglie del regista del film Alberto Lattuada.
MusicheGuru • 11/10/10 18:55 Servizio caffè - 460 interventi
Le musiche del film sono di Felice Lattuada , papà di Alberto
CuriositàGuru • 10/11/10 17:48 Servizio caffè - 460 interventi
Amedeo Nazzari vinse il "Nastro d'Argento" come migliore attore protagonista.
CuriositàGuru • 11/11/10 21:31 Servizio caffè - 460 interventi
Dino De Laurentiis, che credeva nel soggetto de «Il reduce» - questo era infatti il titolo provvisorio del progetto - e poteva mettere a disposizione la propria competenza cinematografici, aveva però bisogno di partner dotati di adeguate possibilità finanziarie. Coinvolse così dapprima il mobiliere torinese Luigi Rovere, poi Riccardo Guahno, con il quale aveva già un debito di circa 900.000 lire, contratto a causa della rivista «Il suo cavallo», diretta da Castellani. Ottenuti da quest'ultimo un paio di milioni, De Laurentiis potè pagare la Magnani, offrire un anticipo a Nazzari e dare avviò alle riprese di un film che, costato 11-12 milioni, venne venduto per 18 milioni allo stesso Gualino, il quale confessò in seguito che gli bastò la prima a Rio de Janeiro per rientrare dalle spese sostenute. £ del valore della pellicola testimoniano anche gli apprezzamenti conseguiti al 1° Festival di Cannes, svoltosi nell'autunno del 1946. Articolo de " La Stampa" del 20/10/1995
CuriositàReeves • 25/06/23 15:35 Contratto a progetto - 789 interventi
De Laurentiis voleva a tutti i costi Aldo Tonti alla fotografia, ma Tonti era impegnato a Milano. Allora mandò una macchina con due suoi collaboratori che lo obbligarono a salire fingendosi carabinieri. Così Tonti arrivò a Torino e il giorno dopo era già sul set.
Fonte: Tullio Kezich, Alessandra Levantesi, Dino
DiscussioneReeves • 22/01/24 20:29 Contratto a progetto - 789 interventi
La sequenza iniziale con il treno diretto versoi il capoluogo piemontese è chiaramente una citazione da La bete humaine di Jean Renoir.