Difficile pensare a fenomeni più deteriori della cosiddetta toscanità cinematografica, ma a volerla prendere in considerazione questo film aveva già detto, e parecchio ante litteram, parol(acc)e definitive. Ad ogni modo, nello squallore filmico e umano generale, c'è qualche fiorellino di campo, e su tutti la sensazionale sequenza ambientata nella Casa del Popolo, dove alla tombola segue, introdotto dall'immortale "basta co'i'rricreativo, si principia co'i'ccurturale", il fondamentale dibattito "pole la donna pareggià coll'omo? NO!"
Curioso, inferiore all’attesa. Forse in anticipo per l’epoca di uscita, e forse è tardi vederlo oggi. Prodotto abnorme, certo di culto per i benignomani, ma non mi pare opera compiuta, dato che alterna vuoti paurosi (che lo sproloquio non riempie, ma rischia, anzi, di esaltare) a momenti sublimi (vedi nello spazio sotto). Stupefacente prestazione di Alida Valli (l’ho appena vista in Ore 9 lezione di chimica…), con capelli da strega prima, ma poi, dopo la cura Monni, cogli occhi che risplendono di bellezza antica e indimenticata.
MEMORABILE: Monni che recita versi in bicicletta (sono settenari, non endecasillabi), lo strepitoso non-dibattito femminista, le chiacchiere dopo il poker...
Un film che è come un vino d'annata: va fatto decantare! D'impatto, forse, non piace, ma preso ossigeno acquista colore e sapore. Certo più che un film è un collage di ottime interpretazioni e questo potrebbe esserne il limite, ma è un prezzo che si paga volentieri. Altra cosa da filmetti comici nei vari dialetti. Qui si ride, si sorride, si è sgomenti. Pregno di un retrogusto grottesco che brucia ciò che trova scaldandoci al contempo. Una Valli coraggiosa e sublime. Benigni, pur acerbo e volgare, già spiega le ali.
Da un monologo teatrale del folletto Benigni, un film scombiccherato come i testi e come la non-storia stessa. Il punto di forza è ovviamente Benigni, spudorato e surreale come non mai, ben attorniato da un gruppo di fuoco (Carlo Monni e Alida Valli, per esempio). Ma punto di forza sono soprattutto l'aura toscanaccia (con connesse sublimi volgarità a raffica) e il gioco estremo sui temi sensibili abbondantemente irrisi, a cominciare dalla garbata e insieme selvaggia ironia sul PCI. Un bell'esordio per Benigni e Bertolucci.
È strano: Bertolucci è un regista che solitamente capisce il mondo periferico (ricordo un fantastico reportage sulla stazione di Milano) e i personaggi marginali. È strano; Benigni era al massimo della forma e le sue smadonnate sotto la pioggia sono dei capolavori. Però il film non regge più di tanto, colpa di un racconto troppo a ruota libera, senza una storia un minimo più salda. Un film non film, che si perde su sé stesso. Certo, se si vuol vedere il vero Benigni, prima di conversioni e Dante e Raffaelle, un'occhiata gliela si deve dare.
MEMORABILE: Ruolo sorprendente per Alida Valli; l'uscita dal cinema porno; le bestemmie di Benigni.
Inutile cercare una mediazione con i comici come Benigni. Piacciono o non piacciono. Pensando ad ora che legge Dante, il Benigni diretto da Bertolucci pare irriconoscibile, ma è lì che ha fatto la sua fortuna, genuina volgarità della Toscana di periferia, tra sacro (chiesa, partito, famiglia) e profano (sesso, sesso, sesso). Becero e irriverente, il film racconta le giornate di un derelitto circondato da derelitti che dorme con la mamma e conta le volte che le coppie hanno fatto sesso contando il numero di figli. Ruvido, ma esilarante.
MEMORABILE: "...c'avevo ancora la bocca calda di minestrone". La scena della bottiglia infilata nei pantaloni.
Libera rielaborazione di un monologo teatrale ed esordio cinematografico della coppia Giuseppe Bertolucci/Roberto Benigni, Berlinguer ti voglio bene è un curioso esempio di comicità tipicamente toscana (ruspante e spesso volgarotta) commista ad una sincera passione politica. Piuttosto straniante e spiazzante ad un prima visione (principalmente a causa del linguaggio eccessivamente greve) il film è suscettibile di rivalutazione a distanza principalmene per la sua sincerità e spontaneità.
Film senza trama, che parte dall'intento di raccontare stralci di vita della Toscana povera e, attraverso il complesso di Edipo di un Benigni più amaro che ironico, finisce per imbrigliarsi in una spirale surreale. Ne emerge un curioso miscuglio di amarognolo, volgarotto senza freni, qualche stralcio poetico (non parlo solo dei versi di Monni) sopra al quale riluce in particolare la figura della madre di Alida Valli. Ben lontano dall'essere imperdibile, comunque.
MEMORABILE: Benigni parla "al telefono" con la conchiglia.
Film senza capo né coda, con Benigni a ruota libera (improperi inclusi, anzi soprattutto quelli) e un'improbabile Alida Valli mamma campagnola. Francamente non l'ho capito. Dovrebbe essere una storia "verista" sul proletariato? Mah! Un paio di bei momenti li offre Carlo Monni, con le sue poesie, specialmente quella recitata in bicicletta, che si conclude con l'immortale distico "A noi ci ha trombato la miseria / e siamo rimasti incinti!".
Un film caratterizzato soprattutto dagli sproloqui del protagonista Roberto Benigni, un film che lascia un senso di fastidio. Se l'intento era quello di fare della denuncia politica, allora ammetto di non avere affatto capito il senso del film. Non sono un amante di Benigni neanche ora, ma tra l'attuale Benigni e il Benigni passato mi tengo quello che legge Dante.
Capolavoro assoluto di trivialità e volgarità a iosa, che rasenta la poetica del lercio e dello zozzo. Proprio vero, Benigni qui è irresistibile e cinico, volgarissimo e da palma da osteria nr. 4. Farebbe la gioia di John Waters e di Gainsbourg. Mostri umani di uno squallore devastante (manco le ragazze si salvano), la Valli sfatta che sembra l'insegnante di Suspiria nel quotidiano, omaggi cartellonistici al nostro amato cinema di genere, un atmosfera appiccicaticcia e laida. Gran sarabanda di parolacce, barzellette oscene e un pizzico di sana follia.
MEMORABILE: La straordinaria battuta di Benigni sul diavolo all'inferno che, colpevole di masturbarsi continuamente, lo ripaga con una fellatio.
Una volta vistolo non si può fare a meno di essere blasfemi, di smadonnare per la vita, di stare con gli amici a parlare sempre e solo di donne assenti e di tornare a casa ripensando alle "seghe". Non c'è nulla in fondo che possa piacere di questo film e invece è impossibile da dimenticare, scena per scena, personaggio per personaggio, tutti scollegati ma necessari a condurre ad un finale che dal dibattito nella casa del popolo finisce dritto dritto in camera da letto.
Pellicola celebratissima, in realtà riuscita solo in parte e per motivi spesso non calcolati. La trama è sconclusionata (quando non del tutto assente), la regia frettolosa (notare la quantità di pianisequenza, con finalità non propriamente artistiche), il tutto condito con una buona dose di volgarità verbali che non portano, a ben vedere, da nessuna parte. Colpiscono però le ambientazioni, poveristiche ma suggestive, l'eterogeneità del cast, alcune situazioni (Monni in bicicletta, per dirne uno) e l'involontario fascino naif del tutto.
Rivisto ieri sera dopo anni. Forse la più grande rappresentazione filmica dello spirito toscano. La regia di Bertolucci è essenziale, ma sa cogliere l'estro di un Benigni straripante, autenticamente poetico. Monni iconico, Alida Valli perfettamente calata nell'operazione, costumi e location postmoderne e bizzarre, musica straniante. Capolavoro.
Un Roberto Benigni d'annata sfruttato non al meglio da una regia incerta di Giuseppe Bertolucci. Il film spreca il talento della brava Alida Valli che interpreta la madre di Benigni e di Carlo Monni. Benigni è semplicemente irresistibile in una gag in cui elenca una sfilza di parolacce che magari i più perbenisti non gradiranno. Per il resto momenti non sempre felici dovuti anche a una certa povertà di mezzi.
Monumentale. Bertolucci riesce a fotografare un alieno, il Benigni degli anni '70. Insieme a lui una memorabile Alida Valli, calata perfettamente nel ruolo di madre d'un Piccolo Diavolo da ricondurre sulla retta via. Ma anche un gigantesco Monni, non c'è toscano che non sappia a memoria la poesia "Noi siamo quella razza", contenuta in questa pellicola. Le scene cult si sprecano: il dibattito alla casa del popolo sulla parità dei sessi, gli sproloqui del prete, il monologo sotto il ponte su paradiso e inferno. Pietra miliare.
MEMORABILE: Il comunismo è come un ragazzo prima di farsi la prima sega. Arriverà la mattina da sé.
Fa uno strano effetto rivedere oggi gli esordi cinematografici dell'attuale cantore di costituzioni, testi sacri, santi e madonne. Non che le madonne qui manchino, ma son declinate in altra maniera dal toscanaccio Benigni, che adatta un proprio monologo teatrale per una visione grottesca ma non del tutto irrealistica di certi ambienti di provincia, dove la fede per il PC andava a braccetto con la sottocultura proletaria. Il risultato è altalenante, ma comunque originale, apprezzabile soprattutto per il sottofondo di stralunata malinconia.
Si narra del quotidiano del personaggio di Cioni Mario, principalmente alla ricerca di una donna, che passa il tempo tra gli amici e la mamma. Inconsciamente diviene testimonianza di un’epoca in cui la politica era ancora parte del tessuto sociale e ci si poteva davvero fare delle domande sull’esistenza di Dio. Comicità vernacolare con un Benigni che basta da solo a tenere la scena ma che lascia spazio anche al verace Monni. Volgarotto nei dialoghi con la madre e scorretto con la ragazza zoppa: conclude senza grandi idee.
MEMORABILE: “Vocio quanto mi pare” (detto al cinema); “Tu mi garbi antilopa” (da Monni alla Valli); Il “Noi siamo quella razza” decantato da Monni in bicicletta.
Discreta commedia in rude stile toscano con un Benigni ancora acerbo ma promettente. Alcune scene sono divertenti ma purtroppo è il resto a latitare: la regia un po' spenta si limita ad assemblare le varie scene senza aggiungere particolare spessore, la sceneggiatura confeziona dialoghi spesso forzati e in generale manca una caratterizzazione del protagonista, che si riduce a una macchietta, pur istrionica. Non eccelle nemmeno il suono (al contrario di alcuni comprimari, specialmente il Monni).
Sballato oggetto filmico, quasi inclassificabile, che non funziona praticamente mai ma possiede l'indubbio merito di aver lanciato Roberto Benigni nel cinema. La storia, se di storia si può parlare, è solo un pretesto per le sue esibizioni fisiche, i suoi torrenziali monologhi infarciti di scurrilità, che però non bastano da soli a salvare il film dalla noia. Una inquietante Alida Valli veste i panni di una madre sboccata e maligna.
Il film riconferma il connubio metà Anni '70 tra Giuseppe Bertolucci (fratello del più celebre Bernardo) e l'allora promessa comica toscana di Roberto Benigni: prima del film una tournée teatrale, radio e tv con il "contadino toscano". Personaggio genuinamente volgare e irriverente riproposto in questo esordio per il cinema, che già dal furbo titolo (il PCI di Berlinguer al 34% delle Politiche '76) gode dell'aura di culto. Culto peraltro meritato: non tanto per la vicenda in sé, sconclusionata, quanto per i dilettevoli turpiloqui dell'attore fiorentino. Farà carriera.
Il film avrà fatto scalpore, a suo tempo, ma vedendolo oggi, staccato dal contesto culturale da cui prendeva le mosse, lascia un po' interdetti e risulta meno godibile. Rimangono alcune scene e scambi di battute tra Benigni e Monni, rimane un apice di assurdità toscana mai così sopra le righe, con bestemmie e oscenità in sceneggiatura (notevole in questo senso il monologo nonsense di Benigni con carrellata laterale). Se Dio è amore, e il sesso è Dio, la mancanza di sesso è la mancanza di Dio. Qui la genialità. Berlinguer, in tutto ciò, non c'entra quasi niente. Più cult che bello.
Prima prova da protagonista di Benigni che adatta un precedente testo teatrale. Irriverente e nichilista, l'attore toscano si mostra piuttosto acerbo per il grande salto, anche a causa di una sceneggiatura impalpabile, troppo spesso basata sul turpiloquio (la conversione sulla via di Damasco del protagonista è ancora lontana) e su una comicità regionale che spesso manca il bersaglio. Meglio di lui ne escono Monni e la Valli, che strappano la maggior parte delle (poche) risate della pellicola, mentre altri riferimenti politico-sociali si perdono miseramente nel vuoto. Inconsistente.
Ci sono opere cinematografiche per cui la critica non può convergere su un giudizio imparziale e univoco: o ti lasciano stranito e indifferente o ti sconvolgono. L'esordio di Benigni è una di queste. Il primordiale Mario Cioni esplode per l'uso di un violento linguaggio volgare non certo fine a sa stesso ma espressione di un sottosviluppo culturale che per un giovane provinciale tipico di quelle zone pesa come condanna dalla nascita, senza vie di fuga e riscatto, escludendo masturbazioni e superficiali velleità politiche. Traumatizzante. Ma autentico.
MEMORABILE: I raffazzonati dibattiti nella casa del popolo: l'icona della divisione tra classi sociali; Lo sproloquio di Benigni nei campi: angosciante.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE:
Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT):
Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ:
Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICA:
Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
DiscussioneCangaceiro • 20/10/08 13:55 Call center Davinotti - 739 interventi
Non ho visto il film ma dicono che ci siano dei grandi pezzi tra il Monni e Benigni.Il film è del '77,la cosa lampante è che Roberto in questi 30 anni sia abbastanza cambiato...in meglio o in peggio non so dire...
Cangaceiro ebbe a dire: Non ho visto il film ma dicono che ci siano dei grandi pezzi tra il Monni e Benigni.Il film è del '77,la cosa lampante è che Roberto in questi 30 anni sia abbastanza cambiato...in meglio o in peggio non so dire...
M.shannon ebbe a dire nella SEZIONE LOCATION: reportage sui luoghi delle riprese, in stile davinottico, cn raffronti ieri e oggi e localizzazioni satellitari.