Cominciano con LA LUNA i primi esperimenti psicanalitici di Bernardo Bertolucci (l'idea del viaggio in Italia di un giovane americano verrà ripresa in IO BALLO DA SOLA). Soggetto e sceneggiatura, scritti dal nostro con l'aiuto del fratello Giuseppe, della futura moglie (i due si sposeranno dieci giorni dopo le riprese) Clare Peploe e Franco Arcalli sono piuttosto velleitari e anche se si attraversano alcuni momenti di alta intensità emotiva nel complesso la storia è decisamente secondaria: melodrammatica, ambiziosa e a tutt'oggi piuttosto datata. Dove invece Bertolucci comincia a mostrare un talento impressionante...Leggi tutto è nella regia pura: ogni fotogramma, esaltato oltretutto dalla fotografia dettagliatissima e incredibilmente densa di forti contrasti cromatici di Vittorio Storaro, è un esempio di come muoversi con la macchina da presa sul set: carrellate ingegnose, movimenti leggiadri. Una gioia, per gli occhi dei cinefili. LA LUNA è un film minimalista nel quale i silenzi, le risposte non date, vanno studiate con attenzione mentre lo sguardo si perde tra le colline verdeggianti baciate dal sole o nei lugubri interni neoclassici della villa. Matthew Barry (Joe, il giovane drogato preda dell'eroina) è poco più che un bambino ma già recita molto bene; come Jill Clayburgh, d'altra parte, e il loro rapporto quasi incestuoso (Bertolucci non lesina certo particolari scabrosi, ivi compresi la pedofilia, un velato lesbismo…) è il cardine del film. Ottimo Tomas Milian (nastro d'argento come miglior attore non protagonista), camei per Roberto Benigni (compare in una scena di circa venti secondi e non dice quasi nulla: è un tappezziere), Carlo Verdone (direttore teatrale a Caracalla), Franco Citti (il pedofilo del bar), Renato Salvatori (un comunista emiliano).
Rapporto tra una cantante lirica e il figlio adolescente drogato. Bertolucci indaga il legame materno forzandone i limiti fino all’incesto (pazzesca, per la morbosa normalità dell’azione, la masturbazione del figlio nel sonno). Il quadro è esagerato, non veritiero (forse troppo simbolico), ma proprio grazie a ciò il film riesce a penetrare nei meandri del rapporto evidenziando silenzi e incomunicabilità che caratterizzano lo scontro filiale. Lo stesso uso della lirica svela la finzione e ci conduce alla soglia del mito estremo. Impegnativo.
Indagine molto approfondita (e dai risultati narrativamente e simbolicamente inquietanti) sui rapporti madre-figlio nel film più psicoanalitico di Bernardo Bertolucci. Narrativamente molto impegnativo e non alla portata di tutti, il film ha il limite di forzare alcune situazioni risultando a volte piuttosto pesante ma si presta a numerose riflessioni ed è encomiabile il tentativo del regista di approfondire l'argomento dei rapporti interpersonali. Buono il cast.
Brutta prova di Bertolucci che racconta una storia abbastanza usuale e lo fa con uno
stile che vorrebbe essere tanto poetico ma che spesse volte è solo stucchevole ed "urlato" nonché appensantito da troppi simbolisimi e psicologismi che rendono un po' difficile portare a termine la visione, oltre che capire appieno la pellicola.
Non riuscito. Bertolucci si dedica alla figura materna. Dopo un ottimo inizio ed una grande scena (la rissa madre-figlio), il film declina lentamente e poi bruscamente col "ritorno alle origini", che contiene momenti strambi, come Campanini che recupera personaggio (e salume) di Strategia del ragno o l'assurda pretesa materna a Villa Verdi. Ci sono pure momenti imbarazzanti (la casa di Mustafà). Bravissimi la Clayburgh e Milian, mentre il ragazzo sedicenne è doppiato con voce troppo infantile. Morandini elenca molti difetti, ma dà **** (sic!).
Vero melo-dramma, vista l'importanza simbolica e narrativa della lirica, croce e delizia, passione e mestiere della protagonista, la cui impotenza ad assolvere il ruolo materno. quando il figlio cade vittima dell'eroina, coincide con l'impotenza artistica (non riesce più a usare la sua voce). E il Bel Canto suggella l'apoteosi finale, il punto d'arrivo del percorso di Caterina e di Joe, estranei, complici, nemici, amanti, per poi divenire, semplicemente, madre e figlio. Bertolucci racconta con la giusta grandeur una storia che non poteva essere mediocremente... morbosetta e malaticcia!
Film ambizioso sul rapporto madre/figlio, sulla ricerca del sé e sulla mancanza della figura paterna sovente condito da citazioni autoreferenziali. Bertolucci ama mescolare Edipo e pulsione incestuosa, Freud e la simbologia psicoanalitica (la luna è la madre), la musica verdiana come espressione catartica in una bulimia di contenuti che non dimostra saper destreggiare fino in fondo. Interessante ma irrisolto, come i complessi che mette in scena.
Bastano pochi minuti intensi di Tomas Milian, non doppiato, con il suo sguardo pieno di vita e di storia a far commuovere più di quanto l'ora e quaranta precedente non abbia fatto. Bertolucci ci presenta un problema, lancia il sasso, non dà risposte e forse è giusto così. Sottovalutato e ben girato.
Film che a tratti ci offre una visione difficile da digerire, in quanto il perno centrale è proprio quel rapporto madre-figlio che si trasforma e si evolve in tutte le forme, anche in quelle più scabrose dell'incesto. Innegabile la ricercatezza della regia di Bertolucci, la bellezza della fotografia e la profondità data ad ogni dialogo e ad ogni situazione per caratterizzare i protagonisti. Una visione sicuramente consigliata, ma con un minimo di preparazione al tema.
Spassoso road movie dell’inconscio o indicibile pateracchio di indisponente pretenziosità, Opera o operetta: son tra i sostenitori (non accanito lo ammetto) della prima fazione. La regia in perenne movimento di Bertolucci è in grado (quasi sempre) di conferire eterea leggerezza e un superiore livello di consapevolezza cinematografica al film (come testimoniano alcuni siparietti volontariamente comici, se non esplicitamente ridicoli). Tutto passa nel caleidoscopico tritacarne della sua mdp (Edipo, la droga, Roma, lo spettacolo) come La vita vista dalla Luna.
MEMORABILE: L’incipit con “A Saint Tropez”; La delirante visita della Clayburgh al giovane pusher arabo; Citti pedofilo e Salvatori comunista; Lo schiaffo di Milian.
Forse son io che non ci arrivo, ma tra le tante cose superficiali di questo film una molto grave è la relazione incestuosa. A fronte di mille spiegazioni psicanalitiche, la messinscena è di rara inconsistenza. Inoltre troppe derive abbandonate (Citti che ci azzecca?); in due ore e passa niente è approfondito (finale) compreso e il protagonista non ha nulla del tossico. Grande fotografia e movimenti di macchina. La Clayburgh è notevole. La parte peggiore è quella on the road, insensata e vezzosa. Film sopra il rigo musicale.
MEMORABILE: Joe balla "Fever night": siamo davvero nel 79!; La rappresentazione dell'opera, girata magnificamente.
Rimasta vedova, cantante lirica newyorkese si trasferisce in Italia con il figlio adolescente, alla prese con vari problemi quali droga, primi approcci con le ragazze, pulsioni edipiche, incertezze circa la propria identità sessuale... Storia di un travagliato rapporto madre/figlio pompata a forza di simbolismi e vezzi d'autore per farla somigliare a quei melodrammi che la protagonista interpreta sul palco, certo formalmente curata (fotografia di Storaro) ma anche pesante, a tratti fastidiosamente fasulla e con cadute di stile, non all'altezza delle proprie ambizioni.
MEMORABILE: Ottimo Tomas Milian, pur in una parte secondaria e con poche righe di dialogo, peccato compaia tanto tardi
Gli anni 70 irripetibili di Bertolucci si concludono sul tabù massimo, prurito edipico che una madre assume come "cura" al vuoto affettivo del figlio eroinomane. Questa la pietra angolare via via smussata da altre gradualità analitiche, scritta con mano risoluta insieme ad Arcalli e resa per scene da arazzo qui torbido lì brillante se non estetizzante, picchettato dal curioso stormo di figuranti d'autore (Benigni, Citti, il primissimo Verdone). Ménage arduo ma ben assolto da Clayburh e Barry. Attori italiani avrebbero forse tirato all'eccesso il patetismo. Milian de-monnezzizzato.
MEMORABILE: La prima immagine di Joe che si buca; Il pranzo in trattoria con l'oste che magnifica salumi e vini locali.
Donna soprano viene a cantare in Europa dopo la morte del marito. Analisi di un rapporto madre/figlio sui relativi traumi e la voglia di superarli. Peccato che da qualsiasi parte la si guardi, lo scadere ai limiti dell’incesto sembra totalmente gratuito. Già il quindicenne tossico sembra azzardato, ma anche Citti pedofilo (omaggio a caso? Di pessimo gusto) fa dimenticare una sceneggiatura sulla perdita degli affetti e dei vuoti che ci circondano. Anche l’inserimento semicomico di Benigni è incollato. La regia comunque è di gran pregio e fa percepire cultura e bellezza artistica.
MEMORABILE: Il primo sesso al cinema; Il ballo in stile Travolta al bar; Il bacio in macchina.
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Il Sior Mereghetti le dà un *1/2 . Mha...secondo me è forse il capolavoro di Bertolucci. Poi va bhè, vatti a fidare di un critico che prima stroncava i vari Fulci e Di Leo, una volta riscoperti da Tarantino, via a sperticarsi in lodi! Mha...
Buiomega71 ebbe a dire: Il Sior Mereghetti le dà un *1/2 . Mha...secondo me è forse il capolavoro di Bertolucci. Poi va bhè, vatti a fidare di un critico che prima stroncava i vari Fulci e Di Leo, una volta riscoperti da Tarantino, via a sperticarsi in lodi! Mha...
Numerosissimi (per non dire quasi tutti) film di genere italiani presenti sul Mereghetti sono stati difatti commentati e recensiti da alcuni collaboratori appositamente "convocati", quali ad esempio i master nocturniani Pulici e Gomarasca.
Gente un po' più addentrata nel settore specifico rispetto al critico milanese.
Buiomega71 ebbe a dire: Sì, verissimo, ma allora perchè "demolirli" nei primi tomi che uscirono? Non è che ci faccia una gran figura, almeno secondo moi.
Nelle prime edizioni i commenti erano quasi certamente i suoi.
Viste le probabili lamentele dei lettori avrà pensato bene in seguito di affidare tutto il "pacchetto genere" a chi ne sapeva un po' più di lui.
Penso non ci siano altre possibili spiegazioni (escluse ipotesi di comportamento schizoide...)
DiscussioneZender • 5/03/11 08:57 Capo scrivano - 48334 interventi
Concordo. Se un critico vuol vendere, al giorno d'oggi, deve un po' andare incontro ai nuovi gusti del pubblico, e per farlo non può che rivalutare certi titoli. E che le critiche non siano le sue, in alcuni casi, mi pare evidente. Personalmente lo ritenevo più "onesto" prima, anche se talvolta stroncava degnando certi film di un paio di righe al massimo (cosa che non poteva che deludere chi si aspettava analisi un po' più approfondite).
Era già uscita una bellissima edizione (in confezione Digipack)della Dolmen.
CuriositàRaremirko • 20/01/14 00:54 Call center Davinotti - 3863 interventi
* La luna del titolo fa riferimento a ricordi di infanzia del regista, citati nella scena iniziale (la madre porta in bici il bambino e, quest'ultimo, guardando in cielo, associa la luna al viso della madre)
* Verdone ha costruito il suo personaggio "su di una rispettosa parodia della persona di Franco Zeffirelli"