Intervista al regista Roberto Albanesi

5 Febbraio 2019

Creativo, versatile e autoironico, Roberto Albanesi è uno dei registi indie emergenti più interessanti del panorama italiano. Nei suoi film la visione del reale spesso deraglia in un universo fatto di personaggi pieni di humor e sopra le righe, che riescono però a raccontare la contemporaneità in maniera agrodolce ma sincera. Cerchiamo di conoscerlo meglio in questa intervista.
 
HACKETT: Roberto, come nasce la tua passione per il cinema?
ROBERTO: Amo le cose belle. Amo la bellezza. Il cinema è bellezza. La mia passione per il cinema nasce il 26 Agosto del 1986.
 
HACKETT: Quali sono gli autori che ti hanno influenzato di più e perché?
ROBERTO: Sicuramente John Landis, John Carpenter, Fred Dekker, Rino Gaetano, Bruce Springsteen, Francesco De Gregori, Morrissey, Nanni Moretti, Gassman, Wes Anderson. Tutti questi hanno una fortissima influenza sulle mie visioni cinematografiche, ma ritengo che il mio cinema abbia uno stile unico e personale. Dopotutto, perché fare dell’Arte se non si ha qualcosa di personale da dire?
 
HACKETT: Quali sono stati i tuoi primi passi amatoriali nel cinema?
ROBERTO: Quelli che bene o male tutti hanno affrontato: una telecamerina scalcagnata carica a vhs, amichetti pronti a tutto e tonnellate di copioni scritti rigorosamente a mano (con calligrafia quasi illeggibile) durante le ore di lezione alle medie. Avevo 11 anni, tutto è iniziato lì.
 
HACKETT: Finalmente nel 2013 (con The Pyramid) e nel 2014 (con 17 a mezzanotte) ti affacci nel circuito indipendente partecipando a due pellicole corali, film ad episodi che già nel loro modo di essere pensati omaggiano un certo horror anni 80-90. Ci racconti qualcosa di questi due lavori?
ROBERTO: Venivo da un cortometraggio (“Happy birthday”), girato col gruppo New Old Story film di Casalpusterlengo (società fondata nel 2008 dal sottoscritto). Con quel corto partecipammo al “Reign of Horror film festival” dove vincemmo il premio della giuria. Era il mio primo corto e piacque così tanto al direttore del festival, il mitico Alex Visani, che volle la NOS film a bordo del progetto The Pyramid. “17 a mezzanotte” venne di conseguenza al successo di The Pyramid (che fu distribuito in Giappone, Canada e Stati Uniti). Grazie a questi due film i miei lavori hanno cominciato a  girare e ho trovato dei carissimi amici che ancora oggi mi tengo stretto: Alex, Luca Alessandro, Antonio Zannone, Davide Pesca e Francesco Longo.
 
HACKETT: Nel 2016 arriva Non nuotate in quel fiume, film che rappresenta un po’ il tuo approccio con il genere horror. Se da un lato omaggi ampiamente (con le immagini sgranate e la musica) i film di cassetta anni ’80, dall’altro lasci che il lato comico (a tratti demenziale) prenda spesso il sopravvento. Come nascono l’idea e lo stile del film?
ROBERTO: Premessa fondamentale: non sono un regista horror; pur amando il genere, non è il mio preferito. Dell’horror amo l’anarchia, ossia la possibilità di inserire elementi fantastici in contesti reali. Questa cosa ti lascia ampia libertà creativa e ti permette di portare lo spettatore dentro universi “assurdi” in cui può succedere di tutto. Il mio cinema è questo, l’assurdo che fa rima con l’imprevedibile. Voglio che gli spettatori davanti ai miei film non sappiano mai cosa accadrà una scena dopo l’altra. Non nuotate in quel fiume è il mio modo di raccontare/ricordare la mia adolescenza, quando avevo 14 anni e lavoravo (in nero) nella videoteca del mio paesello (Casalpusterlengo). Lì ho noleggiato e fatto noleggiare una quantità smisurata di filmacci anni 80 girati senza soldi ma con tonnellate di idee che, appunto, dovevano sopperire alla scarsità dei mezzi. E’ cosi che abbiamo girato il film, senza soldi ma con tanti attori professionisti pronti a mettersi in gioco. Ci siamo divertiti come matti. La saga di Non nuotate in quel fiume è questo; un divertimento fra amici che omaggia filmacci di serie z. Né più né meno. Rido ogni volta che leggo critiche al film del tipo: “Ma che film è??? Divertente ok, ma sembra un filmaccio di serie z uscito da una brutta vhs degli anni 80”.  E’ e voleva essere esattamente questo, ed i detrattori (tanto per cambiare) non hanno capito nulla. I due “Non nuotate…” hanno dato il via alla casa di distribuzione indie “Home Movies” e hanno venduto parecchie copie (tanto che per festeggiare l’anniversario dell’uscita è appena stato messo in commercio il cofanetto commemorativo).
 
HACKETT: Se non sbaglio da questo film si crea un forte legame con lo staff tecnico e artistico che non si interromperà nei lavori futuri…
ROBERTO: Con i due “Non nuotate…” è nata la TORO! Cinematografica, la mia nuova casa di produzione di cui fanno parte tutti i ragazzi che hanno lavorato e lavoreranno ancora al mio fianco: Sara Basile, Ivan Brusa, Stefano Galli, William Angiuli, Edoardo Clerici, Roberta Nicosia, Massimo Scano, Paolo Riva, Claudio Abbiati, Davide Gaudioso, Nicola Crucinio, Armando Marchetti, Giorgio Credaro e parecchi altri. Siamo amici prima che collaboratori… e ci vogliamo davvero un mare di bene. Mi piace inserire facce nuove in ogni nuovo lavoro,  ma alla base ci devono sempre essere loro, altrimenti non faccio nulla.
 
HACKETT: Nello stesso anno prendi parte ad un altro film a episodi, Catacomba. Come nasce questa tua partecipazione?
ROBERTO: Ho conosciuto anni fa Lorenzo Lepori, un folle… Per Catacomba aveva realizzato 4 cortometraggi belli tosti in cui lo splatter regnava sovrano. Gli serviva però un episodio cornice che li legasse tutti rendendo il progetto un film vero e proprio. E’ lì che sono entrato in gioco io. Voleva un autore che avesse uno stile unico e che spezzasse la tensione e l’orrore dei suoi corti con parecchia ironia. Insomma, aveva bisogno del mio cinema. Sono molto affezionato a Catacomba, gli appassionati del genere lo hanno esaltato, tutti gli altri lo hanno massacrato. Insomma, è un’opera che nel bene e nel male non ha lasciato indifferente nessuno. L’indifferenza annichilisce l’arte…
 
HACKETT: Il finale di
Non nuotate in quel fiume lasciava chiaramente le porte aperte ad un sequel che arriva l’anno successivo. Il seguito riparte dal finale del primo e amplia la descrizione dei personaggi reduci, introducendo nuove divertenti e figure in un contesto sempre più apocalittico e spassoso. Avevi intenzione dal principio di dividere la vicenda in due?
ROBERTO: All’inizio doveva esistere un solo film, ma il pubblico non ha mai smesso di ridere una volta uscito e noi ci siamo divertiti troppo a realizzarlo… quindi non potevo che tuffarmi nel seguito.
 
HACKETT: Come è stata la reazione del pubblico nel complesso dei due film? Ti aspettavi diventassero piccoli cult indie in così poco tempo?
ROBERTO: Il pubblico ha capito subito lo spirito del film e ha apprezzato la nostra capacità di fare tanto con niente. Ad ogni proiezione la gente moriva dal ridere e per tutti noi era sempre una grande emozione. Non mi aspettavo tutto questo affetto nei confronti del “fiume”, figurarsi il pigliarci l’etichetta del “cult indipendente”. Una certezza però ce l’avevo già in fase di scrittura: due film così, prodotti in Italia, non li aveva ancora realizzati nessuno. I detrattori direbbero: “Meno male”. Il pubblico però continua a divertirsi…
 
HACKETT: Se il “dittico del fiume” fosse rifatto dagli americani… chi vedresti alla regia e nel cast?
ROBERTO: Bella domanda!  Alla regia Judd Apatow  (40 anni vergine). Il trio dei protagonisti potrebbe essere: Stefano/Michael Cera, Bruce/The Rock, Luigi/Adam Driver. E magari alla fotografia metterei Lubezki, però costantemente fumato e con la ridarola.
 
HACKETT: Arriviamo al 2018 con una pellicola intensa e coraggiosa che ha probabilmente spiazzato i tuoi fan. Con il toccante Dante va alla guerra ti racconti, parli di dolore ma anche di speranza, di perdita ma anche di incontri che cambiano la vita. Quando hai deciso che i tempi erano maturi per un lavoro così personale e impegnativo?
ROBERTO: E’ semplicemente accaduto. Un giorno mi sono detto: “O lo fai adesso o non lo farai mai più”. Dante va alla guerra è la storia della mia vita, di com’ero e di come sono oggi (anche se Dante ha un finale più edificante rispetto alla mia realtà odierna). Avevo bisogno di parlare di mio padre. Dovevo rendere omaggio alla sua vita e alla sua tragica fine. Oltre a questo, una parte di me, minuscola ma presente, voleva dimostrare che posso fare quello che mi pare e come mi pare, provocando qualsiasi tipo di emozione nello spettatore. Mentre con i “Non nuotate” ho giocato a fare “roba trash”, con Dante va alla guerra potevo percorrere un sentiero più “maturo” e tenere il cuore degli spettatori in mano. E’ andata a finire che loro hanno preso il mio cuore e non l’hanno lasciato più. Sono ancora sotto per Dante… dopo la prima del film non l’ho più riguardato e credo non lo farò mai.
 
HACKETT: Il risultato è sotto gli occhi di tutti, un film che dimostra la tua maturità narrativa in continua crescita e la capacità di affrontare temi complicati non rinunciando a creare momenti leggeri e divertenti. Che riscontro hai avuto dagli spettatori?
ROBERTO: Ho visto tutti prima ridere e poi piangere, dall’anziano al ragazzino piccolo. Chi mi riconosce mi ferma per strada, mi scrive un botto di gente dicendo che Dante va alla guerra gli ha cambiato la vita, che gli ha ricordato bei momenti vissuti che mai più torneranno. Ricevo anche lettere (e scrivere lettere nel 2019 è un  miracolo!) di persone che piangono la perdita di una persona cara e che si sentono in sintonia con Dante. Dante va alla guerra è la mia vita e mi ha cambiato la vita. Il pubblico ama alla follia questo film e il record di vendite in Italia lo dimostra. Pure i detrattori questa volta non si sono fatti vivi. Ho avuto anche una proposta politica grazie a Dante va alla guerra… pazzesco!
 
HACKETT: Ci racconti un aneddoto di qualche proiezione pubblica?
ROBERTO: Abbiamo fatto la prima del film (il 5 Ottobre 2018) nel cinema della mia città (per me è una tradizione scaramantica). La sala poteva contenere 295 posti… sono venute più di 400 persone e molte le abbiamo dovute, purtroppo, mandare via. Gli applausi al film sono partiti anche durante  la proiezione (una cosa che non ho mai visto e che credo non vedrò mai più). Una volta finita la visione c’è stata una standing ovation. Tutti piangevano. Tutti. Sono stato abbracciato da chiunque, soprattutto da sconosciuti, che mi ripetevano “Grazie”… ma i miei occhi erano solo per la mia Sara, la mia compagna. Mi guardava con orgoglio, è stato il momento più bello della mia vita. Se penso che Dante l’abbiamo realizzato con pochissimo e io ho girato tutto senza supporti, con una Canon 550 ad obiettivo unico (un 35 mm)… ancora non ci credo. Eppure esiste, e ha cambiato ogni cosa.
 
HACKETT: Nei tuoi lungometraggi sembra emergere sempre il peso che per te ha l’amicizia e l’importanza di certi incontri, è così?
ROBERTO: Non amo le persone, evito i locali affollati e, visto come siamo diventati, spero che la razza umana si estingua. Però…  Però ho bisogno di avere al mio fianco poche (pochissime) persone fidate che mi ricordino che qualcosa di bello nella gente c’è ancora. In questo sì, ritengo che l’amicizia ed i legami veri siano importantissimi per affrontare ogni giorno che abbiamo a disposizione da qui alla fine. Questo indubbiamente si rispecchia nelle mie storie.
 
HACKETT: Chiudi il 2018 con un’altra collaborazione in un film a episodi, vale a dire After Midnight, antologia horror che vede la presenza di altri talentuosi registi (tra i quali Daniele Misischia e Francesco Longo). L’episodio che ti riguarda è “Che serata di merda”, dove ritrovi i toni grotteschi e surreali del tuo cinema e azzardi pure un finale filosofeggiante. Ci racconti la genesi di questo episodio e del tuo coinvolgimento nel progetto After Midnight?
ROBERTO: Mi hanno contattato Davide Pesca e Francesco Longo, ossia due amici (della categoria di cui sopra). Ho detto di sì prima di aver capito che cosa mi stessero chiedendo. Amo le collaborazioni fra colleghi, ma le accetto solo se c’è un legame alla base. Per una serie infinita di impegni inderogabili mi sono ridotto a girare il corto a 4 giorni dalla consegna. L’ho scritto di lunedì e girato tutto il martedì sera, fra amici. E’ il cortometraggio che più stride con il resto dei corti in quanto, semplicemente, non è horror. Anzi, “che serata di merda” utilizza il linguaggio dell’horror per parlare d’altro, ovvero: “I personaggi di finzione, che siano di un’opera horror o di qualsiasi altro genere, sanno chi li ha messi lì e a quale scopo… ma noi che invece siamo reali, lo sappiamo??? No che non lo sappiamo, e la cosa mi terrorizza ogni giorno”. Più horror di così...
 
HACKETT: Le buone vendite di Dante va alla guerra, il movimento positivo che stanno creando uscite come The end? L’inferno fuori di Daniele Misischia e la quantità di film indie che ora sono acquistabili in rete fanno sperare in una ripresa del cinema italiano “di genere”. Tu che ne pensi?
ROBERTO: Penso che è bello che ci siano in giro tante novità. Penso però che nulla cambierà. L’italiano è esterofilo per definizione e cercherà sempre fuori qualcosa che possa interessargli, invece che sostenere ciò che ha in casa sua. Noi autori possiamo anche lamentarci di questo o magari renderci conto che rispetto all’estero noi abbiamo qualcosa in meno. Chissà… 
 
HACKETT: Amore o odio per la commedia italiana che esce al cinema negli ultimi anni?
ROBERTO: Amore, se fatta bene. Sono follemente innamorato di Giallini, Mastandrea e Gassman. Guardo tutti i film in cui appaiono, pure se fan schifo.
 
HACKETT: Qual è il tuo rapporto con la rete e i social?
ROBERTO:
Ho solo Facebook e ce l’ho perché è un modo fantastico per far girare i propri lavori. Non possiedo volutamente uno smartphone. La richiesta di un fan più assurda che hai avuto? Una volta un tizio mi chiese di scrivere un film sulla sua vita perché “Deve assolutamente essere raccontata, a me è successo di tutto”. Era un tizio che diceva di aver visto Dio (quindi immagino si trattasse di Bruce Springsteen) su di una spiaggia, e che l’Altissimo gli avrebbe suggerito di cercarmi a tutti i costi.
 
HACKETT: Se potessi “rubare” un film dalla filmografia di un tuo collega, quale avresti voluto girare tu e perché?
ROBERTO: Rocketeer indubbiamente. Perché ha dentro tutto. L’amore, l’amicizia, l’avventura, il riscatto, la libertà, i sogni e  un eroe che fa il culo a quei bastardi dei nazisti. In alternativa (scusate se è poco) Forrest Gump, Rocky, o Il sorpasso (robetta insomma).
 
HACKETT: Nel ringraziarti per la cortesia e la disponibilità non posso non chiederti quale sarà il tuo prossimo lavoro…
ROBERTO: In primavera inizieremo le riprese del mio quarto film: “Le mirabolanti avventure di Ignazio Virgilio Fagaroni”, una commedia avventurosa su un “Candido di Voltaire” dei giorni nostri. Un film leggero. Dopo Dante ho bisogno di tanta, tanta, tantissima leggerezza.
 
HACKETT: Grazie Roberto.
ROBERTO: Grazie a te Antonio e a tutti gli amici del Davinotti per avermi concesso dello spazio per raccontarmi. Grazie di cuore.
 

INTERVISTA INSERITA IL 5/2/19 DAL BENEMERITO HACKETT
 

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