il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LE CASCATE DI MONTE GELATO
location leggendaria
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365059 commenti | 69271 titoli | 27224 Location | 14417 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Le streghe (1967)
  • Luogo del film: L'edificio isolato dove Miao (Totò) e il figlio (Davoli) incontrano la prima delle donne "madre" (ep
  • Luogo reale: Via Appia Pignatelli, Roma, Roma
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  • Film: Io vivo altrove! (2023)
  • Luogo del film: La farmacia di Seraphine (Fleri)
  • Luogo reale: Piazza Clementig 22, Valle di Soffumbergo, Faedis, Udine
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Dino Longo Sabanovic

    Dino Longo Sabanovic

  • Gjergji Lala

    Gjergji Lala

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Gabrius79
Commedia dai toni prettamente surreali che funziona a fasi alterne; in particolare si hanno i migliori momenti quando il trio dei Giancattivi interagisce con altri attori (Hendel, Novelli, Sammarco) e si ha qualche risata. A volte i dialoghi hanno un certo nonsense e si fatica a seguire la pellicola. Dei tre forse Nuti appare in tono minore, mentre la Cenci e Benvenuti sanno il fatto loro. Un po' povero di mezzi, tuttavia guardabile.
Commento di: Anthonyvm
Ex-detective con Alzheimer si sottopone a un'operazione sperimentale per contrastare gli effetti della malattia; intanto riprende in mano un vecchio caso di cui ricorda poco. Giallo noireggiante costruito, quasi per necessità, a ridosso di una struttura a puzzle (lo stesso hobby che, non molto sottilmente, impegna il vecchio Crowe nel corso del film), tra memorie intermittenti, bugie, mezze verità e rivelazioni rateali. Benché lo script risulti talvolta più macchinoso di quanto sia complesso, sa come maturare un vincente crescendo mystery. Buono per passare qualche piacevole memento.
Chanteuse japonaise (1899) di Gabriel Veyre con (n.d.)
Commento di: Caesars
In effetti più che cantante, come da titolo, si tratta di una suonatrice (strumento "shamisen", un particolare liuto a tre corde) che si esibisce davanti all'operatore. Già il fatto di riprendere un numero musicale su un supporto "muto" appare assai bizzarro; a questo si aggiunga che non succede proprio nulla degno di nota, se non il fatto che la protagonista del filmato ridacchi spesso per l'imbarazzo della situazione. Ordinario.
Commento di: Cristina
Vent'anni prima di Soldato blu, Anthony Mann aveva firmato questo bellissimo film dal finale estremamente triste e toccante, un film di molto superiore sia agli altri western filo-indiani degli anni Cinquanta, sia ad altri ben più famosi western dello stesso Mann. Robert Taylor è bravissimo nel ruolo e poco importa se non ha una fisionomia tipica da nativo americano; ciò che contano sono la sua recitazione e il suo portamento. Il film trasmette una grande empatia per i nativi, il finale è struggente come pochi. Un film ingiustamente poco conosciuto, da riscoprire, consigliatissimo.
Commento di: Bubobubo
Un viaggio di lavoro prolungato, una decisione non concordata, un complimento non ricevuto... Percorso da tante crepe sotterranee accumulatesi nel tempo, l'idillio fra Sigmund (Thune) e Maria (Guren) sembra saltare una sera qualunque, per un motivo qualunque. È il preludio a un lungo e doloroso percorso di (auto) analisi che include anche la madre e la figlia maggiore della donna. Di rapporti andati macerandosi fra le incomprensioni è pieno il cinema contemporaneo, ma lo sguardo acuto (benché non accomodante) di Ingolfsdottir riesce a catturarne con efficacia le dinamiche profonde.
Commento di: Pinhead80
Luigi è un uomo caduto in forte depressione dopo la morte della moglie. Suo figlio cerca di aiutarlo leggendogli delle lettere di un suo vecchio amico, compagno d'armi nella Seconda Guerra Mondiale, che vive in Argentina e che gli propone una partita a scacchi interposta. Basato su di una storia vera, il corto fa leva sulle emozioni e sui ricordi del passato anche grazie all'utilizzo dei flashback. L'opera nella prima parte fatica un po' a ingranare e i lunghi silenzi non aiutano in questo senso. La seconda parte invece è molto più convincente e riesce a proporre momenti intensi.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Esagitata commedia francese che cerca di regionalizzare in qualche modo le produzioni americane analoghe, in cui lo spirito distruttivo tipicamente giovanile si mescola a gran bevute di alcol e dosi massicce di stupefacenti al fine di creare un'atmosfera di divertimento contagioso (che a dir la verità ben di rado si concretizza). Qui la particolarità sta nel fatto che a fare gruppo, inizialmente, sono quattro quarantenni che vent'anni prima (nel prologo) avevamo visto gestire il BDE, ovvero, per l'appunto, il Bureau des Etudiants del titolo originale (correttamente tradotto...Leggi tutto in italiano). Dopo aver scelto strade diverse, ancora si ritrovano una volta all'anno per una sorta di "zingarata" comune, in cui lasciano andare i freni inibitori e si scatenano.

Chi ha più problemi è Bob (Youn), il quale proprio quel giorno avrebbe una tradizionale festa ebraica da celebrare in famiglia da cui non sa come sganciarsi. L'occasione si presenta mentre è in giardino col (ricchissimo) suocero (Melki): suona la sveglia del cellulare e Bob finge sia la telefonata di qualcuno che - per conto del tennista Nadal - vuol comprare lo chalet che il suocero spera di vendere. Quest'ultimo, convinto che Bob vada lì come agente immobiliare per realizzare la vendita, lo dispensa dalla festa ebraica e gli presta pure il Range Rover per potersi presentare al meglio da... Nadal. Chiamati invece a raccolta gli amici - ai quali dice di aver fatto i soldi e di essere il proprietario dell'auto e pure del lussuosissimo chalet con doppia piscina dove si sistemeranno - Bob si mette in marcia.

I quattro cantano a squarciagola mentre ascoltano la radio in auto, si vestono da Biomen (sorta di Power Rangers giapponesi) e si scontrano subito con un gruppo studentesco della loro università di allora, con i quali tuttavia finiranno presto con fare in qualche modo comunella invitandoli a una gigantesca festa di gruppo allo chalet. Alcol a fiumi, i soliti allucinogeni nei pasticcini consumati senza saperlo, tuffi in piscina (pure nudi) e una giornata all'insegna della trasgressione e del caos più rovinoso (inutile dire come verrà ridotta la preziosa abitazione). A tutto ciò si aggiungono una famiglia di circensi bonariamente insultati dai quattro che cova propositi di vendetta e le telefonate del suocero, che pretende ragguagli sulla trattativa.

In un film in cui si fa a gara a chi urla di più, sembra che conti solo fare caciara, senza che la sceneggiatura la assista con battute che conferiscano un briciolo di gusto al tutto. Pur con un buon cast a disposizione (gli altri tre del gruppo sono la Noguerra, Jean-Baptiste e Desagnat), che avrebbe potuto facilmente giocare sulla simpatia, il film prosegue cercando solo di mettere più attori possibili in movimento, con accenni di zuffe, gente appesa con lo scotch al soffitto (la donna inviata dal suocero a capire cosa stia accadendo allo chalet), scherzi di ogni tipo, salti dalla funivia bloccata, momenti di rivalsa (Desagnat, che interpreta il tipo che non ha mai saputo dire di no a nessuno in vita sua, scopre entusiasta la grande forza del gesto del dito medio mostrandolo mille volte a chiunque) e un finale che se non altro regge.

Purtroppo la gran parte dei personaggi esterni ai protagonisti e al suocero è in gran parte insopportabile e l'unica trovata appena buffa è quella della sfera trasparente usata per una sfida alla “Giochi senza frontiere” con gli studenti giovani: all'interno della stessa Dessagnat vomiterà copiosamente rimbalzando incessantemente tra gli avanzi di cibo! Non il massimo del buon gusto, ma...

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Torna Ozgood Perkins, che con LONGLEGS aveva dimostrato di saper innovare in un genere solitamente molto rigido e ripetitivo come l'horror. Il miracolo però non si ripete e questa volta, alle prese con un racconto di Stephen King, non può che limitarsi a lavorare sulla forma cercando di imporre qualche piccola idea che però, nell'economia complessiva, non lascia proprio il segno.

Lo spunto parte da una scimmietta di quelle con il tamburo, battuto con le bacchette tramite un meccanismo semplice che genera un...Leggi tutto rumoroso effetto sonoro. Nel prologo è riconsegnata da un uomo a un giocattolaio: è disperato, spiega come l'avvio dell'ingranaggio annunci l'imminente morte di qualcuno che si trova nei paraggi (mai si sa in anticipo chi). Il giocattolaio, scettico, ci resta secco per primo. A chi finirà in mano la malefica scimmietta? La ritroviamo tempo dopo chiusa in una scatola tra gli oggetti lasciati da un uomo alla propria famiglia prima di morire. "Like life", come la vita, c'è scritto sopra. Che significa? Qualcuno una sua interpretazione la darà: non si può mai scegliere quando morire.

Insomma, si capisce presto che si andrà a parare in una sorta di FINAL DESTINATION in cui al Tristo Mietitore si sostituisce appunto "The Monkey", la scimmia. Per quanto l'assassino sia di fatto quest'ultima, non potendo agire personalmente lo fa "creando" ogni sorta di incidenti: una piscina che finisce elettrizzata e fa scoppiare (!!!) la poveretta che ci si tuffa dentro, un fucile carico che spara in faccia appena apri la porta dell'armadio che lo contiene e via dicendo. Il tutto però senza preoccuparsi di elaborare tragedie particolarmente ingegnose come càpita nella celebre saga di FINAL DESTINATION perché, in fondo, qui esisterebbe anche una storia, come sempre in King. Che è quella di due gemelli, Hal e Bill (interpretati entrambi da Christian Convery quando sono ragazzini e da Theo James quando sono adulti), che lentamente prendono coscienza di quali incredibili poteri abbia la scimmietta trovata nella scatola di papà.

Una disgrazia dietro l'altra, fino a quando i due decidono di fare a fette il diabolico giocattolo e di buttarlo giù in un pozzo. Fine della maledizione? Per venticinque anni sì, ma poi tutto ricomincia... Come in "It", se si vuole, ma senza che la storia possa ambire ad avere lo spessore di quello che molti ancora ritengono il capolavoro dello scrittore del Maine. E infatti il film è poca cosa, con dispute insignificanti tra fratelli e una sceneggiatura (Perkins la adatta da King senza altrui collaborazioni) che fatica a trovare sbocchi in grado di renderla fluida e gustosa.

La regia lavora quindi sull'animazione della scimmietta (bella la bocca che si apre mostrando la folta dentatura, inquietanti i primi piani sugli occhi e il movimento della bacchetta), su qualche effetto splatter efficace, su stop frame e montaggio... Sfrutta una fotografia di qualità e una confezione complessivamente di ottimo livello, ma non basta. D'accordo, si supera il desolante DONO DEL DIAVOLO, prima riduzione dal medesimo racconto, ma ci voleva davvero poco...

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Come sempre, qualsiasi possa essere la trama, fenicia o meno che sia, in Wes Anderson a catturare subito l'attenzione è la composizione dell'immagine. Non ti puoi sbagliare: quando vedi quelle ricostruzioni teatrali che in sostituzione delle quinte propongono scenografie coloratissime di rara bellezza, simmetrie studiate in ogni singola porzione dell'inquadratura, è difficile non rimanere abbagliati. Poi certo, c'è anche la voglia di raccontare (anche qui) il mondo secondo logiche grottesche e surreali. C'è però qualcosa di diverso, in LA TRAMA...Leggi tutto FENICIA, rispetto agli ultimi film che agivano coralmente costruendo passo dopo passo le strampalate avventure che riempivano lo schermo. Perché qui c'è un protagonista solo e immediatamente individuabile come tale, ed è attraverso i suoi occhi che seguiamo la vicenda.

"Zsa-Zsa" Korda (Del Toro), magnate dal passato discutibile e perenne vittima di attentati destinati immancabilmente a fallire, si salva nell'incipit da un disastro aereo che ha coinvolto il suo jet privato. Convocata suor Liesi (Threapleton), l'unica figlia dei suoi nove a cui vuol lasciare l'intera eredità infischiandosene degli altri (che potrebbero pretenderne almeno una parte), le illustra il suo prossimo progetto, i cui contorni restano sfumati per essere spiegati solo durante la seconda parte del film. Si sa però chi l'uomo dovrà contattare per ottenere i finanziamenti di cui necessita, non ultimo il fratello Nubar (Cumberbatch), presenza inquietante forse corresponsabile della morte della madre di Liesi (ex sposa di "Zsa Zsa").

Tutto da verificare anche in questo caso, ma sono interrogativi che - già lo sappiamo - non avranno mai la necessità di essere spiegati fino in fondo, perché a Wes Anderson interessa molto di più dispiegare la sua storia attraverso incontri che sono la solita passerella di divi felici di sfilare per il regista texano, da sempre apprezzatissimo nei circoli che contano. E d'altra parte non gli si può negare uno stile personalissimo, una sensibilità unica che lo isola da qualunque altro autore. Non sempre nel bene, sia chiaro, e infatti qui, rispetto ad altre prove più recenti, i dialoghi sono farraginosi, raramente interessanti, e colpiscono di più le gag visive che coinvolgono spesso anche il "precettore" Bjorn Lund (Cena), accompagnatore inseparabile del protagonista insieme alla giovane Liesi.

Non manca poi qualche intuizione che rielabora una situazione comunissima a certe commedie, ovvero il passaggio nell'aldilà, qui buffamente temporaneo e dovuto ai continui tentativi di uccidere Korda che lo portano più volte a sbirciare cosa gli accadrà dopo la morte (incontrerà persino Dio, interpretato da un irriconoscibile Bill Murray, attore feticcio utilizzato giusto per una brevissima apparizione). NDE, Near Death Experience, sarebbe la definizione tecnica, se qui non suonasse tanto fuori luogo: perché in fondo è solo uno dei tanti espedienti surreali che portano Korda a ripresentarsi poco dopo in scena con qualche sfregio o ferita più o meno profonda...

Ancora una volta, però, il difetto maggiore di Anderson rifà capolino: a piccole dosi il film appare simpatico, brillante, stimolante, curioso, sfavillante. E' quando ci si accorge che lo schema si ripete sempre uguale a se stesso che finisce con lo stancare, farsi pesante... Al punto che anche la durata contenuta, alla fine, non è sufficiente a eliminare il difetto, e la logorrea di tanti personaggi (protagonista incluso) tende a sfiancare prima del previsto...

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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