Scott Derrickson si è fatto un nome, in campo horror, e il suo LIBERACI DAL MALE (ultimo sforzo prima della parentesi Marvel del Doctor Strange) aveva confermato un talento non comune, per messa in scena e atmosfere. Qualità che anche qui rilucono e che permettono di farci apprezzare da subito l'ambientazione fine Settanta al cui centro si muovono fratello e sorella figli di un padre alcolizzato (Davies) che quando capita tira fuori la cinghia. Finney (Thames) è un adolescente dall'aria piuttosto sveglia, bravo a scuola, diligente e preso di mira da...Leggi tutto bulli che non infieriscono solo perché a difenderlo c'è il miglior giovane picchiatore della zona (Mora).
Gwen (McGraw) è la sorella minore e ha uno strano dono: molti dei suoi sogni sono spaventosamente vicini a quello che sta succedendo in paese, dove un misterioso personaggio chiamato "il rapace" si aggira rapendo ragazzini. Lo riconosciamo da un furgoncino che si avvicina minacciosamente e dal quale esce lasciando sul posto resti di palloncini neri, indizio di cui solo la polizia è a conoscenza; com'è che allora anche Gwen ne parla? Ai poliziotti che la interrogano dice che quei palloncini li ha sognati, ma non è facile crederle. E intanto il babbo la picchia... Quando ad essere rapito è Finney vivremo l'avventura entrando nella stanza del killer, scrutandone il volto coperto da una maschera che - uno dei pochi tocchi di originalità - è composta da parti intercambiabili e componibili: una volta ha il sorriso d'un joker, un'altra una sorta di becco, poi l'espressione triste... Dietro ci sarebbe il volto di Ethan Hawke, dicono i titoli di coda, ma vai tu a riconoscerlo... Le sue reazioni talora un po' imprevedibili, certi monologhi strampalati o senza una fine sono il poco sale del film, per il resto ancorato all'idea di un telefono nero staccato dalla rete che, appeso al muro della stanza buia in cui Finney è rinchiuso, di tanto in tanto suona: dall'altra parte le voci delle precedenti giovani vittime del maniaco, che suggeriscono stratagemmi per evadere, rivelano particolari inquietanti...
E' la componente horror che si fa strada lentamente in un impianto da thriller tradizionale, mescolando i generi senza troppo costrutto. L'interpretazione del giovane Mason Thames è discreta, ma reggere il ruolo da protagonista alle prese con un telefono, la solitudine e un pazzo non è facile per nessuno. I sogni rivelatori di Gwen fanno da corollario cercando di integrarsi alla storia senza gran fantasia e lasciando emergere un plot di fondo che fatica a trovare forti motivi d'interesse. Derrickson lavora di conseguenza sulle atmosfere, sulla fotografia di qualità, sulla sgranatura nelle immagini desaturate dei flashback, sulle musiche e su qualche brano noto che accresce l'effetto vintage: "Free Ride" dell'Edgar Winter Group nelle prime scene, "Fox on the Run" degli Sweet nel flashback al bar e soprattutto "On The Run" dei Pink Floyd (da "The Dark Side Of The Moon", nientemeno!), anomalo strumentale tutto sintetizzatore utilizzato quasi per intero in un momento piuttosto teso.
Insomma, la confezione di lusso pone di diritto BLACK PHONE tra gli horror di fascia alta, ma le stereotipizzazioni dei ragazzini, la banale sceneggiatura, la limitatezza delle idee (peraltro spesso ben poco credibili), la ripetitività nelle telefonate dall'aldilà, la gratuità di un paio di spaventi improvvisi inseriti senza un vero perché giusto per gratificare i fan dell'horror, denotano una modestia di fondo che gioca a recuperare un clima giovanil/nostalgico alla Stephen King innestandolo in un tessuto da thriller moderno. Finale con superfluo, piccolo colpo di scena. Non gli puoi dir brutto ma ben poca traccia può lasciare, nella memoria degli appassionati.
Modestissimo horror con venature da thriller che insegue l'ormai logoro filone del paranormale, quel genere che all'inizio del millennio diede una boccata d'ossigeno al cinema di paura e che oggi appare stucchevole. Derrickson trasborda l'omonimo racconto "Il telefono nero". L'ambientazione fine Anni '70 - anche come cromia - è forse l'unica mossa azzeccata di questo film... altrimenti banale, ripetitivo, che non aggiunge nulla al panorama cinematografico dello spavento. Forse è un'opera destinata ai giovanissimi, che osservano il cinema d'oggi come fosse una novità.
Un film molto originale, che prova ad aggiungere qualcosa di nuovo a un genere sempre più spompo decidendo di puntare tutto su una sceneggiatura machiavellica dove è bello vedere come ogni cosa andrà al suo posto, tipo tessere di un puzzle. Non che manchino jumpscare (un paio efficaci) e un po' di sangue, ma non sono elementi fondamentali, visto che è tutto teso a vedere se e come il protagonista saprà salvarsi. Hawke villain funziona, riconoscibilissimo persino dietro la maschera, che cambia espressione a seconda del momento. Notevole.
Uno dei migliori prodotti Blumhouse. Horror di alta qualità con attori in parte (soprattutto i giovanissimi), confezione molto curata, ritmo calibrato alla perfezione e trama semplice quanto funzionale. Nulla di davvero originale ma portato in scena con una cura inusuale per gli horror "di consumo", senza il ricorso a battutacce o a splatter fine a sé stesso. Piacevolmente inaspettato.
MEMORABILE: Le variazioni della maschera (curata da Tom Savini); Le telefonate.
Dopo la parentesi Marvel Derrickson torna ai suoi abituali lidi horror, tra fantasmi, Poltergeist e bambine visionarie ma non riesce a raggiungere i livelli delle sue opere migliori: il mestiere c'è e si vede nella buona creazione della tensione, ma si ha spesso la sensazione del déjà vu (i flashback con la fotografia sgranata vengono dritti da Sinister) e il finale a colpi di telefono è tutt'altro che convincente. Il cast non è male (su tutti la giovane McGraw, Hawke è magnetico anche mascherato) ma è penalizzato da un doppiaggio tutt'altro che brillante. Godibile ma niente più.
MEMORABILE: La scuola con il più alto tasso di bullismo della storia dell'umanità; Gwen che entra nel sogno.
È tratto da un libro del figlio di Stephen King; non stupisce quindi che le atmosfere siano estremamente kinghiane, dai protagonisti ragazzini contro il "mostro" di turno, fino all'ambientazione di fine anni '70, invero affascinante e ben fatta, tanto da risultare il vero valore aggiunto del film, anche grazie a una fotografia ad hoc. La trama però è ben poco originale, tra bambini veggenti, il solito serial-killer e un telefono che comunica con l'aldilà, concetto già ampiamente sfruttato nel genere. A parte una certa ripetitività è comunque godibile e ben fatto, con un buon finale.
Thriller dalle sfumature horror che si regge quasi completamente sulle spalle di giovani attori. Non si può gridare al capolavoro ma risulta piuttosto originale soprattutto per quanto riguarda l'idea delle voci al telefono. Bene la fotografia desaturata e il comparto sonoro. Pur assommando un paio di ingenuità, di soluzioni un po' irrealistiche e che sanno di già visto il prodotto finale è più che dignitoso, la tensione resta sempre buona e non si può dire che non intrattenga fino alla fine. Bene Jeremy Davies.
Tra il thriller e l'horror, senza dover tirare in ballo lo slasher più ortodosso (nonostante il pazzo seriale mascherato) ma con elementi da ghost story ancorati proprio al titolo. Innegabile a questo proposito l'influenza dell'immaginario alla Stephen King con bambini alle prese col mostro, e l'incursione nei meandri del thriller più torbido con incursioni poliziesche alla ricerca di innocenti. Ingenuità in sceneggiatura (come la polizia che si affida ai sogni premonitori della bambina), ma questo non inficia la validità dell'operazione. Carisma notevole del mascherato da demone.
La trama è basata sul solito maniaco che rapisce e trucida ragazzini e da questo punto di vista il film risulta poco interessante, data l'indeterminatezza del personaggio interpretato da Hawke, e anche il risvolto sovrannaturale legato ai sogni della sorella dell'ultimo rapito riveste scarsa importanza. Più originale invece l'idea di dotare la stanza in cui questo viene tenuto prigioniero di un telefono guasto ma in grado di trasmettere consigli, analogamente a quanto avviene nelle vere escape room quando ai giocatori in difficoltà vengono forniti aiuti per risolvere gli enigmi.
Dal punto di vista stilistico, Scott Derrickson è uno dei migliori registi in campo thriller/horror e lo dimostra anche in questa sua ultima fatica, nella qualità della messa in scena e della ricostruzione ambientale anni '70, nel suo evitare gli effettacci, nella bravura nel dirigere un cast composto in larga parte da giovanissimi. La sceneggiatura sconta invece una certa ripetitività, ma l'idea delle telefonate dall'oltretomba è buona, e nel finale la tensione non manca. Negli episodi di bullismo si è probabilmente esagerato.
Un maniaco sconosciuto dal nome di The Grabber gira per le strade di Denver rapendo bambini come il protagonista Finn. Un plot semplice eppure avvolto dal mistero di elementi sovrannaturali mai spiegati: è questo che rende la vicenda - già di per sé terribile - così affascinante e di grande presa. L'interpretazione di Hawke nei panni dello scellerato in maschera di turno è sensazionale, così come validissime sono quelle del resto del cast (su tutti i due ragazzini protagonisti). Una storia inquietante dal perfetto meccanismo di suspense: sorprendente.
Nulla di particolarmente originale in questo ennesimo thriller-horror ambientato negli anni '70 nella capitale del Colorado: il solito rapitore mascherato che segrega e ammazza giovani vittime, il seminterrato/bunker da cui l'ennesima preda cerca di fuggire, la solita polizia che brancola, con in più una deriva metafisica (il telefono nero e i sogni premonitori). L'ambientazione molto accurata evita le parti cruente che ci aspetteremmo per concentrarsi sulla psicologia contorta del "mostro" e sul finale, sulla presenza di spirito e il coraggio del giovane protagonista.
Nella periferia di Denver alla fine degli anni '70 si aggira un pericoloso rapitore di bambini chiamato "il rapace". Ne farà le spese anche Finney, un bravo ragazzo che vive in città con la sorella e il padre alcolizzato. Buon thriller con venature paranormali a tinte horror che si distingue per la cura dei particolari e per un'ambientazione azzeccatissima. Quello che risalta è il colore tipico delle pellicole anni '70 e la maschera scomponibile del rapitore, due vere chicche per gli appassionati del genere. Si possono perdonare qua e là delle piccole ingenuità in fase di scrittura.
MEMORABILE: La maschera del rapitore; La rivelazione finale.
Pur non restituendo tutta la deflagrante atmosfera di fine anni Settanta, né la morbosa ambiguità legata ai crimini seriali, è un film scorrevole e inquietante in cui l’elemento mistery trova un solido appoggio nel cono d’ombra del surreale e i personaggi restano intelligentemente abbozzati. Pieno di belle soluzioni visive è caratterizzato da un finale struggente e, a suo modo, catartico.
Il telefono nero: curioso come per assurdo sia proprio questo l’elemento meno robusto, forse perché risuona come pretestuoso espediente per introdurci in un contesto soprannaturale che non presenta nella sua realizzazione alcuna buona nuova. Non che Derrickson ne potesse fare a meno, però analizzando il valore del resto è il capello a cui guardare: solidissima la ricostruzione d’epoca, affascinante la fotografia color nicotina, intensi sia Hawke che il giovane Thames, avvincente la fabbricazione di un racconto a tratti sinistro. Per la prossima prova, attendiamo un qualsiasi azzardo.
Tratto da un racconto di Joe Hill (figlio di Stephen King). Il pregio di questo horror sta nell'avere una più che buona dose di suspense e tensione, nonostante la storia abbia soffra di alcune incoerenze. Ritmi alti. Claustrofobico a tratti. Regia piuttosto efficace di Scott Derrickson. Ethan Hawke non convince nel ruolo del cattivo mentalmente disturbato. Discreta la colonna sonora.
L'idea del telefono per comunicare con un oltretomba popolato dai ragazzini uccisi dal rapitore sarebbe anche interessante. Ma viene sprecata poiché tende a ripetersi senza essere irrorata con alcuna novità o con altri sbocchi narrativi interessanti. Gli innesti squisitamente horrorifici sembrano buttati lì tanto per dare un contentino agli amanti del genere. Sorprese colpevolmente assenti. Purtroppo invece non mancano alcune ingenuità che possono irritare. Finale visto e già visto. Non brutto ma francamente evitabile.
Derrickson nei suoi film cerca sempre di non essere banale. Anche stavolta nel cliché abusato dei rapimenti e fuga introduce elementi soprannaturali (le telefonate dei ragazzi morti, i sogni disvelatori da corpo astrale) che possono spiazzare ma che poi sono in fondo il di più rispetto alla solita tiritera. Ottima ricostruzione degli anni 70 piuttosto di moda ultimamente, bella fotografia sui toni marroni esterni e cupi metallici della prigione, molto bene i due giovanissimi protagonisti Thames e McGraw (molto empatica). Kinghiano, e infatti è tratto da un romanzo del figlio del Re.
MEMORABILE: Le demoniache maschere del Rapace; Il fratello detective; La rissa del ricciolino nella sala giochi; La morte del Rapace con gli spiriti al telefono.
Buon thriller/horror con una notevole fotografia e una riuscitissima ambientazione fine anni '70 che ben rappresenta il classico sobborgo americano; la scelta dell'ottima regia è stata quella di miscelare un thriller quasi per ragazzi con venature "ghost" horror e forse proprio per questo lascia un po' di amaro in bocca... La prima mezz'ora "prometteva" un livello ancora più alto, che si sarebbe potuto raggiungere puntando su un allure più malvagio e horrorifico!
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Verso la fine del film, quando Gwen sta andando in bicicletta sotto la pioggia, indossa un impermeabile giallo identico a quello indossato da Georgie Denbrough quando viene rapito da Pennywise in "It" (libro e film), scritto da Stephen King, padre di Joe.
La maschera del "Rapace" è stata disegnata dal leggendario Tom Savini. Fonte: horrordapaura.forumfree.it