Il merito di Derrickson è di aver ricostruito, alla perfezione, gli anni 70 di una plumbea e callginosa cittadina della provincia americana zeppa di umori kinghiani (Denver, in realtà il North Carolina) e di immergere il suo "racconto di formazione" in una sottile coltre di morbosità e di feroci , quanto violenti, episodi di bullismo.
Momenti straordinari dove salta fuori il talento dell'autore di
Sinister (a cui deve gli sgranati filmati in super 8 e i ragazzini fantasmatici), come nella scena del bulletto simil
Luther arrestato dalla polizia nel sogno di Gwendoline o il "rapace" che si staglia fuori dal giardino di casa sua con un rastrello per foglie in mano, i bellissimi e inquietanti titoli di testa, tutte le parti ansiogene nella cucina dove il "rapace" dorme sulla sedia a torso nudo (che rimandano, con meno enfasi allucinogena, alla combinazione a scatole cinesi di
Hellraiser 5) e i tentativi del ragazzino in trappola per fuggire dalla stanza insonorizzata, con un finale tra mastini, accettate in testa, piedi spezzati e furenti colluttazioni.
Una ragazzina con poteri preveggenti e "evangelici", che parla a Gesù come
Don Camillo, in odor di
Emily Rose, le telefonate che vengono dall'aldilà come le riceveva la piccola
Carol-Ann o le faceva
Bobby alla madre, qualche jumpscare (il ragazzino/fantasma che fluttua), il pre finale alla
Silenzio degli innocenti (da dove arriva anche il modus operandi dei rapimenti, con furgone nero, del "rapace") con l'arrivo della polizia alla presunta dimora del serial killer e si sorvola sulla pedofilia del "rapace" (
Volevo solo guardarti), omettendo deviate pulsioni sessuali, preferendo concentrarsi sulle prove di fuga del giovane Finney (la finestrella, la cella frigorifera, la combinazione del lucchetto, il sifone del WC smontato, la cornetta del telefono riempita di terra, le istruzioni bruceleeiane per difendersi).
Non aprite quella porta e
I tre dell'operazione drago nei dialoghi cinefili tra ragazzini (e uno spaventato Finney si guarda in tv
Il mostro di sangue di William Castle, film che terrorizzò un prepubere Derrickson) un luciferino e viscido Ethan Hawke celato nelle stupende e sinistramente affascinanti maschere "demoniache" ideate da Tom Savini e l'orrore che si nasconde dietro le casette e l'apparente normale quotidianità della placida e sonnolenta cittadina americana (come in
Amabili resti o, a conti fatti,
La casa nera di Wes Craven)
Peccato che, poi, Derrickson mantenga la modalità "horror per adolescenti", con una tremenda e improponibile chiusa paradisneyana (che nemmeno Norman Tokar) mutando i riverberi di
Qualcosa di sinistro sta per accadere a quelli dei
GooniesSe da un lato Derrickson continua la sua personale visione dell'horror, dall'altro la annacqua in derive paradolescenziali buoniste del tipico ragazzino sfigato che affronta e sconfigge le sue paure e i suoi demoni interiori (e quì torna sempre Stephen King, al netto quello di
Unico indizio la luna piena).
Cupissime e d'effetto le musiche di Mark Korven.