Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
A livello di ricostruzione d'epoca e del cast, il film è molto bello. Perde però nel racconto, con troppe parti poco coinvolgenti e nel non avere approfondito davvero la maggior parte dei personaggi. Si è fatto troppa attenzione alla forma, ma il contenuto è stato in parte tralasciato, senza citare il fatto che parecchie cose sono storicamente inverosimili. Ci si consola dunque con una Spagna del 700-800 rappresentata perfettamente, con un bel finale e con una bravissima Natalie Portman, mentre Javier Bardem gigioneggia troppo. Un'occhiata la si può certamente dare.
Sette pergamene che conferiscono un potere assoluto vengono contese da un gruppo di tiranni, ma il padre di una bimba purosangue... Dozzinale, anonima pellicola in cui si salva giusto la ricostruzione dell'epoca e qualche scena di battaglia particolarmente movimentata. Quanto al resto, la trama non offre spunti originali, i dialoghi sono banali, la fotografia modesta, l'interpretazione del cast non meritevole della sufficienza, i personaggi per nulla accattivanti. L'ambientazione mantiene comunque un suo fascino e il ritmo celere salva dalla noia, ma è una magra consolazione.
Se vi piace essere presi in giro continuate a leggere. L'inglesissimo Laurence Olivier, per fargliela pagare, vuole prendere in giro il Caine di origine italiana: la guerra inizia e l'inglese esagera. Giunge il poliziotto, l'ottimo John Matthews, che ricorda ora Colombo ora Poirot, che non ci vede chiaro e l'inglese comincia a tremare. Nel finale si manifesta inaspettato l'oggetto del contendere, la donna divisa (l'essenziale Eve Channing), ma ormai è troppo tardi: scopriamo che anche all'italiano piaceva prendere in giro. Si parla tanto, è vero, ma è necessario. E che classe.
Le quattro ore di durata possono spaventare, ma si arriva bene alla fine. La trama mette tanta carne al fuoco e visita con fare grottesco più generi. Può definirsi una storia d'amore contrastato che non trova mai percorsi tradizionali e una presa in giro delle degenerazioni religiose (in primis) e delle perversioni/trasformazioni individuali. Shion procede assai divertito accumulando stravaganti tormenti personali e cambi di prospettiva, ma non perde mai il ritmo e tutto (o quasi) assume un suo significato.
Polpettone strappalacrime come pochi, narra le vicende di una povera donna accusata ingiustamente di un omicidio attribuitole da un uomo malvagio che cambierà identità. Il difetto sta anche nell’assurdità di alcune coincidenze narrative, nonché nelle situazioni recitative che più costruite di così non potevano essere. Finale insostenibilmente lungo e tedioso.
Nel secondo capitolo della saga si strizza (ancora) un occhio a Diabolik (uso delle maschere) e a Notorious (l’amata spinta obtorto collo nel letto del nemico). I caratteri distintivi sono subito messi in mostra: adrenalina a mille con profusione di mezzi ed effetti speciali, spettacolarizzazione delle situazioni spingendole oltre l’estremo della probabilità (impossibile appunto), Hunt che ne passa di tutti i colori, ma nulla che possa mai intaccare le estremità della sua sventolante capigliatura. Buoni i comprimari, mentre non convince la Newton nel ruolo di Nyah. Saga in crescendo.
Il titolo è rivelatore: dietro la facciata di una semplice agenzia di incontri matrimoniali si cela il vero tema del racconto, un’indagine profonda sui sentimenti condotta dalla protagonista Lucy (Johnson). Personaggio di notevole complessità, Lucy osserva le molteplici sfumature dell’amore da una prospettiva "terza", consapevole e privilegiata, che le consente di cogliere ciò che spesso sfugge agli altri. Glissando su un brutto prologo nella preistoria che lascia il tempo che trova (probabilmente il semplice desiderio di aprire originalmente, spacciando...Leggi tutto poi il pretesto come frutto dell'immaginazione di Lucy), si inquadra immediatamente il compito della protagonista, figura di punta dell'agenzia "Adore", specializzata nel far incontrare anime che si vorrebbero gemelle.
Un'agenzia matrimoniale vecchio stampo, insomma, che raccoglie le ultime tracce umane di un mestiere oramai depauperato e annichilito dallo strapotere delle app automatizzate. Lucy ha eloquio formidabile, capacità unica di empatizzare col cliente inducendolo a credere di poter contare sulla migliore complice possibile, nella difficile caccia al partner ideale. I casi bizzarri presentati in sequenza, che di tanto in tanto compaiono come intermezzi, alleggeriscono il tono generale grazie all'uso sapiente dell'ironia. Far sorridere attraverso il racconto di difetti e virtù condivisi è un espediente ampiamente collaudato, forse abusato, ma che continua a funzionare con efficacia.
C'è poi il bel rapporto con le colleghe, che naturalmente vedono in Lucy il modello a cui puntare, ci sono gli inviti ai matrimoni combinati grazie al suo talento nel trovare la persona giusta per ciascun cliente. Un dono che si basa sulla capacità di infondere fiducia in chi, affascinato dalla sua sicurezza, pende dalle sue labbra. Single per scelta, Lucy incontra allo stesso rinfresco il suo ex, John (Evans), che lì lavora come cameriere, e Harry (Pascal), l'uomo che in agenzia definirebbero un "unicorno" per la sua caratteristica quasi di miraggio. Semplicemente perfetto: fascinoso, bello, ricco, acculturato, alto... racchiude in sé tutti i requisiti più ambiti dalle donne; e pure Lucy, che aveva lasciato John per non fare una vita "al verde", si lascia irretire: un invito a cena al ristorante di lusso, conti sempre pagati (e siamo a New York, dove sono tra i più salati al mondo), scambi di opinioni lontani dalla banalità, complimenti di cui andare fiere... Dall'altra parte John: a 37 anni è un attore fallito, non ha un mestiere fisso e ancora vive nella stessa casa di un tempo, condivisa con altri inquilini, non ha cambiato auto. MATERIAL LOVE, dice il titolo, e al denaro Lucy non fa mistero di guardare come primo requisito da ricercare nel compagno a cui tendere.
Non serve anticipare il finale telefonato perché conta come ci si arriva; e il come, qui, significa soprattutto una sceneggiatura (scritta dalla stessa regista, Celine Song) molto ponderata, che studia ogni frase e tenta di sfuggire alla scontatezza dell'intreccio attraverso dialoghi curati, giochi di sguardi, silenzi inseriti al momento giusto, sorrisi... Il tutto impreziosito dalla bella espressività di Dakota Johnson, primadonna indiscussa intorno alla quale tutto ruota. Poi certo, alla materialità granitica della prima parte subentrerà una seconda in cui ogni certezza verrà scalfita confondendo i pensieri, aprendo la protagonista a una realtà da osservare da una prospettiva diversa.
Più apertamente indirizzato verso il sentimentale che la commedia, MATERIAL LOVE non racconta nulla di nuovo né lo fa con toni diversi dalla norma, ma sa essere delicato, apparentemente sincero e piacevole da seguire. Almeno fino a quando, nella seconda parte, si indulge in zuccherosità eccessive diluendo le scene senza più trovare negli scambi la necessaria malizia. Si annacqua il buono che c'era e, per colmo di mestizia, rifà capolino la scena d'amore tra i due cavernicoli. A quel punto si capisce che non c'è più nulla da dire e il superfluo si apre la strada mentre il film chiude malamente.
Da una storia realmente accaduta Richard Linklater ricava un film costruito in forma di falso documentario, senza che però le interviste alle persone che hanno avuto un ruolo nella vicenda prendano mai il sopravvento sull'azione. Presenziano semmai, nel ruolo di narratori, così da spiegare quello che non è a quel punto più necessario mostrare in scena.
La storia è quello di un personaggio anomalo e singolare, Bernie Tiede (Black), autentica incarnazione del bene: disponibile con tutti, espansivo senza mai essere invadente, generoso, perfetto per il...Leggi tutto lavoro che si è scelto, quello di lavorante alle pompe funebri specializzato nel truccare e "vestire" i cadaveri (esemplare la presentazione del suo lavoro in aula universitaria, dove è stato invitato), ma anche pronto a consolare i parenti dei defunti, a cantare con bella voce ai funerali, a vendere le bare al "negozio"... Chi l'ha assunto ne è entusiasta, chi lo conosce ne parla solo bene o benissimo. Un uomo apparentemente senza un difetto, incapace di arrabbiarsi con qualcuno, impeccabile non solo dal lato professionale.
All'esatto opposto sta invece Marjorie Nugent (MacLaine), fresca vedova ormai anziana: intrattabile, scorbutica quando non perfida, odiata da chi le sta intorno, ricchissima quanto insopportabile. Bernie la vezzeggia come tutte le altre "clienti" senza mai sembrare untuoso o falso, e la donna, sulle prime diffidente, finisce con l'apprezzare, al punto di decidere di trascorrere con lui molto del suo tempo, speso in grandi viaggi intorno al mondo all'interno di un rapporto di sincero affetto.
Ambientato a Carthage, nordest del Texas, un film piuttosto diverso da quanto siamo abituati a vedere. Non tanto nella forma (il mockumentary è ormai espediente narrativo diffuso) quanto nella delineazione dei caratteri e specialmente di quello di Bernie, che giustamente si guadagna il titolo in qualità di assoluto protagonista (molto più della MacLaine, qui in un ruolo da "spalla" e non certo per l'intera durata); è un personaggio lunare, al quale Jack Black riesce a dare la giusta dignità attraverso un'interpretazione calibrata, contenutissima, insieme tenera e a suo modo enigmatica. Matthew McConaughey, nel ruolo del procuratore distrettuale Danny Buck, comincia in sordina, si confonde tra i tanti intervistati sul caso ma lentamente acquista importanza, pur rimanendo comunque ai margini (tranne nella fase processuale e in quella immediatamente precedente). E ha comunque modo di mostrare le sue indubbie qualità.
Linklater, che aveva già ricavato il meglio da Jack Black in SCHOOL OF ROCK, si conferma regista interessante, anche se qui avrebbe dovuto innervare il suo lavoro con una maggiore iniezione di energia, perché il film spesso rischia di scorrere piatto, rallentato ulteriormente dalle cantate in chiesa e da ritmi sonnacchiosi che a lungo andare rischiano di farsi stancanti. Fortunatamente nella seconda parte il film cambia registro e le tecniche di "difesa" di Bernie risultano gustose da seguire, con gli intervistati che si interrogano su come porsi di fronte a quanto accaduto e a un concetto di giustizia che viene letto differentemente da quanto la logica sembrerebbe suggerire. Un modo non banale di porsi di fronte ai fatti che porta colpevolmente a simpatizzare contro chi non lo meriterebbe. Dunque una riflessione che coinvolge nel contempo i comportamenti di uno stato non qualsiasi come il Texas, con tutto il suo carico reazionario. Debole registicamente, imperfetto ma con più di una freccia al proprio arco (stranamente non grazie a Shirley MacLaine, meno incisiva dello sperato).
Senza pretendere di dire nulla di nuovo né stupire con immagini d'impatto (la fotografia presenta toni fin troppo smorzati), UN ALIBI è un giallo molto ben organizzato, scritto e recitato correttamente, che trova nel soggetto e nella sceneggiatura la sua forza. Certo, la costruzione a flashback è il solito rimescolamento di carte al quale sembra non si possa ormai rinunciare, ma per una volta è strutturata in modo da farci entrare bene fin da subito nel complesso ingranaggio che la regola.
L'apertura è già sul delitto, preceduto da qualche...Leggi tutto sequenza che ci mostra parte della giornata in cui si verifica, ovvero il compleanno di quella che sarà la vittima, Lucie (Martins). Le cose col marito Max (Demolon) non sembrano andare per il meglio, ma la coppia si prepara comunque a ricevere tre cari amici invitati lì per festeggiare. Quando però Tom (Choirat), Maude (Hesme) e Pierre (Derangèr) arrivano, la scena che si presenta loro di fronte è agghiacciante: Max è seduto e tiene tra le braccia il cadavere disteso della moglie. Non è stato lui, dice, ma i tre capiscono immediatamente che la polizia ci metterà ben poco, per incriminarlo e metterlo sotto custodia. Per questo Tom, convinto come gli altri che non possa essere lui il colpevole, lancia l'idea: l'alibi glielo forniranno loro; diranno che erano insieme fuori di casa, quando la donna è stata uccisa. Come però si può immaginare, sostenere in quattro lo stesso alibi non è impresa da poco.
Partendo da questo assunto, la trama inserisce il detective di turno, una donna (Petit), avviando le ricostruzioni a ritroso. La prima ci mostra i quattro protagonisti tre mesi prima, fornendo qualche elemento per rimettere lentamente le tessere del mosaico al loro posto e cominciare a ricostruire la storia correttamente. Alternando il passato e i ritorni al presente, con le indagini che proseguono, ciò che realmente accadde prende forma, anche se, come si può immaginare, i falsi indizi e le trappole sono all'ordine del giorno. Molto ruota intorno alla domanda chiave: è davvero Max il responsabile della morte di sua moglie? Un sospetto che si trascinerà ovviamente a lungo, senza però che ci si dimentichi di inserire altre strade possibili in un quadro d'insieme davvero ben strutturato.
La regia si limita a svolgere il proprio compito senza incidere, ma la piacevolezza del racconto e le buone interpretazioni di tutto il cast permettono di sorvolare sugli aspetti meno esaltanti del film, incuriosendo chi guarda e preparandolo a un finale che promette colpi di scena multipli. La plausibilità del tutto è relativa, ma in film così è la norma e non c'è troppo da stupirsene. Conta il gioco e come viene condotto, con qualche modesto approfondimento psicologico e la capacità di confezionare nel complesso un giallo moderno che il suo dovere lo fa fino in fondo, senza lasciare nulla di aperto, per una volta. Ottimo Pascal Demolon nel ruolo più sfaccettato, piuttosto anonima la colonna sonora, in linea con una parte tecnica non strabiliante ma che ben serve un risultato, almeno per gli appassionati del genere, soddisfacente.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA