il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

MIRENO SCALI
il sosia di Benigni
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361971 commenti | 68745 titoli | 27071 Location | 14290 Volti

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  • Film: Hey Joe (2024)
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  • Film: Omicidio all'italiana (2017)
  • Luogo del film: Il burrone dove l'autista di Ammazzon (Sileo) diretto ad Acitrullo si accorge di aver sbagliato stra
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Ivan Greeve

    Ivan Greeve

  • Giancarlo Ferri

    Giancarlo Ferri

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Siska80
Una giovane si trasferisce in un nuovo appartamento e subito gli inquilini cominciano a riservarle strane attenzioni... L'unica cosa veramente drammatica, in questa prevedibile pellicola, è la pretesa di farla passare per cinema impegnato quando lo scopo principale è (ancora un volta) quello di mostrare le perversioni sessuali di un gruppo di frustrati: la visione quindi è opzionale e non c'è da aspettarsi nulla di veramente interessante (eccezion fatta per il sensuale corpo che la protagonista offre generosamente). L'atmosfera tensiva fa acqua da tutte le parti e il cast annaspa.
Commento di: Myvincent
Tre fratelli di colore a New York sopravvivono come possono; due sono musicisti e cercano un contratto mentre Leila, che è chiara di pelle, si è invaghita di un bianco. Emergono, ovviamente, le incompatibilità razziali di allora, a cui si aggiungono le problematiche esistenziali tipiche di ogni giovane generazione. Ma più che i temi, è lo stile narrativo del tutto “improvvisato” a generare interesse nello spettatore. Una recitazione naturale, immediata, del tutto contrapposta a quella ricercatissima dell’Actors Studio.
Commento di: Furetto60
Titolo in italiano convenientemente modificato (la Santa Sanità non si tocca) per questo thriller in cui un paramedico si trasforma in dottor Morte per eliminare chi s’interpone al suo delirante progetto. Rispetto ad altri prodotti similari made in U.S.A., cioè prodotti di fascia B con interpreti poco noti, questo ha dalla sua una trama priva di forzature (se non minime), le vittime non sono come al solito sacrificali e il cattivo è convincente, tipico belloccio dal volto luciferino. Guardabile.
Commento di: Dave hill
Angela, studentessa svogliata, viene inviata in un liceo tranese per superare la "maturità", ma finisce in "maternità". Tra i migliori del genere sexy scolastico, gemello della liceale tra i ripetenti, tanto da condividerne grosso modo il cast (ma al posto di D'Angelo c'è un marginale Davoli). Irresistibili le gag tra Banfi e Vitali, preside e bidello melomani. Stavolta a Sposito/Caccioppo fa "difetto" la favella. La Guida prova anche a (ri)lanciare la propria carriera di cantante.
Commento di: Giùan
Sottovalutato regista dal taglio fortemente "politico", Chandor fa emergere la propria personalità pur in un'opera(zione) evidentemente ibridata sul piano produttivo (il progetto era stato pensato per la Bigelow) come su quello tematico (certo cinema dei "reduci" ormai inflazionato negli Usa). Così, se la prima parte è francamente cigolante, dal "colpo" in avanti le dinamiche action sono sottese da una sincera, empatica fratellanza, in cui la riflessione sul valore del denaro si dipana con coscienza etica e coerenza narrativa. Coriaceo cast col fidato Isaac e Ben Affleck sugli scudi.
Commento di: Gugly
Lontanissimo dai fasti di Sessomatto, Risi propone un film con una sceneggiatura che non decolla mai, eccettuato qualche momento (il proto blob televisivo iniziale, l'episodio "Radio Taxi"); Dorelli non è Giannini e in ogni episodio rimane sé stesso anche interpretando personaggi molto diversi (nell'ultimo azzarda un infelice accento pseudo ciociaro); anche la Guida e la Antonelli, sempre belle, sono penalizzate da uno script con episodi troppo lunghi e prevedibili, di cui l'episodio con l'emiro è la brutta copia del più felice triangolo Pozzetto-Fenech-Hilton. Deludente.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

In questi thriller da divano che chiaramente non possono disporre degli stessi mezzi di quelli destinati alle sale, le trame sono ciclicamente sempre le stesse. Quella in cui un elemento estraneo si intromette all'interno di una famiglia felice per sostituirsi in qualche modo a uno dei componenti è tra le più abusate; e, all'interno di queste, la variante più frequente è proprio quella della baby sitter che, millantando referenze inventate lì per lì e spacciate per autentiche grazie a trucchi vari, mostra subito mille risorse diventando, per chi...Leggi tutto ne ha richiesto l'aiuto, insostituibile.

Ecco, l'ambito di THE STRANGER GAME è esattamente quello appena descritto, con la differenza che la tata è qui un... tato, ovvero un uomo. Charlie (Orth), infatti, è il tuttofare che, conosciuto da Joanna Otis (Rogers) a un party legato al suo lavoro (lì fa il cameriere), le si propone per badare al loro figlio Sam (Dubois) quando loro non sono a casa. E capita spesso, perché anche Paul (Hope), il marito di Joanna, è uno che ci dà dentro col lavoro e spesso resta in studio fino a tardi. Anzi, i due escono da una crisi perché lei aveva scoperto come a quei rientri in piena notte era da associare un'amante che con l'uomo filava da oltre un anno! Poi il perdono, il pentimento di lui e il rientro nei ranghi. Ora la nuova "capa" è una sventola bionda (Salomaa), ma Joanna cerca di fidarsi di Paul e lui sembra davvero ravveduto.

Serve una mano in casa, comunque, e Charlie casca come il cacio sui maccheroni: cucina, sistema le lampadine, mette le trappole per i topi, cura il giardino, diventa da subito amico del simpatico cicciottello Sam... Che si può volere di più? Una trama meno scontata? Forse, ma dopotutto ci si può pure accontentare, dal momento che Mimi Rogers garantisce un'interpretazione superiore alla media del genere e che David Orth ha lo sguardo malizioso giusto per tenere tutti sulle spine. Scoprire il suo gioco tuttavia non è cosa da nulla (come non lo è mai, in questi casi); perché è talmente servizievole, gentile, ricco d'ingegno, capace di risolvere ogni problema che non è facile rinunciarci. E perché poi si dovrebbe? Controindicazioni non sembrano essercene ed è il solo Paul a non fidarsi di tanta untuosa disponibilità, come da tradizione. Mamma e figlio, al contrario, ne vanno pazzi. E non si accorgono che se qualcosa comincia a girare storto, nelle relazioni in casa, è perché “qualcuno” ci ha messo lo zampino.

La regia spigliata di Terry Ingram garantisce buona scorrevolezza, i momenti di ambiguo confronto non mancano e solo il finale appare tirato via e inefficace. Quando insomma ci sarebbe da far partire il vero spettacolo... casca un po' il palco e ci si rifugia in una svolta action goffa e modesta, difetto che coinvolge invero un po' tutta l'ultima parte. Meglio quando la famiglia è ancora all'oscuro dei piani di Charlie e ci si diverte a vedere quali stratagemmi il diabolico tato architetta per mettere zizzania tra i coniugi... Per passare un'ora e mezza senza impegno, tra ricevimenti e ripensamenti. Poi certo, a contare i buchi e gli spunti buttati lì senza criterio (si veda l'amico che spunta dal passato di Charlie e gli tira un brutto scherzo alle giostre, con zuffa alle spalle di Joanna che non s'avvede di nulla) si dovrebbe essere più impietosi, ma dal momento che in fondo lo si vede con un certo gusto...



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Commovente ritratto di un creativo poliedrico, capace come pochi di spaziare nei diversi campi dell'arte lasciando tracce di sé in alcuni casi indelebili. Un documentario tanto più interessante quanto più riesce a trasmettere lo spessore del personaggio, troppo a lungo confinato nell'ambito del cabaret senza che si riuscisse a comprenderne le reali potenzialità. Raccontarne le esperienze, ripercorrere le tappe di una vita tanto varia, significa raccontare il talento dell'uomo, ampiamente riconosciutogli dai tanti intervistati le cui frasi al miele ne certificano...Leggi tutto la straordinarietà.

Inevitabilmente molta parte dell'opera riguarda gli anni in cui Faletti più si è mostrato in pubblico, più ha raggiunto una notorietà riconducibile a un volto, un'espressione, un personaggio. Poi certo, è naturale che l'inatteso, enorme successo ottenuto come scrittore abbia cambiato ogni prospettiva inquadrandolo in un'ottica diversa, culturalmente più elevata. Se “Io uccido” svetta tra i romanzi italiani più venduti di sempre è scontato che ogni altra esperienza precedente venga in qualche modo oscurata.

E' ottimo in regia il lavoro di Alessandro Galluzzi e Michele Truglio nel porre l'attenzione sulle peculiarità della personalità di Faletti, dando risalto (fin dal titolo) alla canzone che, presentata a Sanremo nel 1994, fece conoscere all'Italia intera il volto inedito, di quello strano “comico” che ancora tutti identificavano inevitabilmente con l'agente Vito Catozzo, il personaggio che più di ogni altro era rimasto impresso nella memoria di tutti nonché l'unico tra i tanti suoi (la suora Adalpina, lo stilista gay di ”Emilio”, il bimbo matto Carlino...) che lo stesso Faletti diceva di interpretare “diventandolo”.

Attraverso le fondamentali, toccanti testimonianze della vedova Roberta Bellesini, del cugino a cui fu vicinissimo, degli amici Enzo Iacchetti, Nino Frassica o Nino Formicola (il Gaspare del due con Zuzzurro) ne cogliamo le debolezze e il carattere fragile, mentre attraverso le parole di due cantautori di successo come Angelo Branduardi (per il quale scrisse due album) o Paolo Conte (astigiano come lui) se ne mettono a fuoco le grandi qualità come autore di testi (scrisse anche per Milva e Gigliola Cinquetti), portate in evidenza per l'appunto dal brano “Signor tenente”. La genesi del brano viene ben spiegata: Faletti chiese a Danilo Amerio e altri di scrivergli una breve introduzione musicale per contrabbandare poi per canzone (a Sanremo all'epoca il rap non esisteva ancora) quello che era di fatto un testo recitato, di buon valore poetico e di denuncia.

Poi il successo definitivo, raggiunto con la pubblicazione di “Io uccido”, e le ridicole accuse (che lo ferirono) di avere alle spalle un ghost writer, le ospitate alle “Invasioni barbariche” di Daria Bignardi e non solo, la giusta celebrazione di chi aveva saputo scrivere un giallo d'impronta internazionale, destinato a segnare la storia del genere in Italia. Fondamentale l'apporto del “collega” Massimo De Cataldo (anche coautore della sceneggiatura), del compianto giornalista musicale Massimo Cotto (a cui il documentario è dedicato), del compagno d'avventure nella Milano fine Settanta Antonio Ricci (che lo lanciò poi in “Drive In”), del regista Fausto Brizzi che lo rilanciò anche come attore in NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI (non mancano i simpatici aneddoti raccontati da Nicola Vaporidis) e che ricorda come la frase più citata del suo film fu opera proprio di Faletti, il quale pretese di inserirla per il finale e che Brizzi accettò di lasciare nonostante fosse poco convinto che funzionasse.

Un bel compendio, quindi, delle esperienze che hanno contribuito a iscrivere Giorgio Faletti tra le figure più singolari, eclettiche e fors'anche più sottovalutate dei nostri tempi, sfuggente e maturo, spesso malinconico, talvolta quasi dimenticato a fronte di risultati (almeno a livello di scrittura, sia musicale che letteraria) inavvicinabili dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi più celebrati. Un artista a tutto tondo che non merita di essere dimenticato, che rivediamo in molti sfiziosi filmati d'archivio.

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Lasciando pur perdere un finale telefonato e per forza di cose coerente con la piega presa dal film, BIG BAD WOLVES ha al suo attivo soprattutto un eccellente personaggio, che tarda un po' a entrare in scena lasciando che la prima parte scorra senza riuscire mai davvero a ingranare. Si parte con la scomparsa di una ragazzina, per attendere la quale c'è da sorbirsi un (troppo) lungo incipit al ralenti: per quanto sia suggestiva l'ambientazione della casa abbandonata tra i boschi, la durata eccessiva smorza l'efficacia che sembrava avere. E anche dopo, quando subentra la polizia...Leggi tutto che malmena senza pietà un professore (Keinan) sospettato di essere il pedofilo killer che potrebbe aver ucciso la ragazzina scomparsa, qualcosa non gira come dovrebbe, soprattutto dal punto di vista registico. Perché invece certi dialoghi fanno già intuire le potenzialità dello script.

Siamo in Israele, si capisce che gli scenari sono diversi da quelli a cui siamo abituati, anche se un inseguimento a piedi tra stretti viottoli rimanda a una scena analoga e riuscitissima di POINT BREAK. Il professore, preso a pugni e malmenato in un capannone da poliziotti che non vanno tanto per il sottile, continua a dichiararsi innocente e se ne torna malconcio in classe, scoprendo che un ragazzino presente (non visto) al pestaggio ha filmato la scena di nascosto postandola sui social.

Micki (Ashkenazi), l'agente responsabile del maltrattamento, viene allontanato dal suo incarico e comincia a indagare per conto proprio, intuendo che l'unico modo per ritrovare credibilità è dimostrare come davvero il professore sia responsabile dell'uccisione della ragazzina. Per questo riprende la caccia all'uomo, interrotta solo dall'intervento del padre (Grad) della piccola vittima, il quale porta tutti nello scantinato della casa appena acquistata e comincia a condurre un interrogatorio molto particolare... E' lui la figura più interessante del lotto, che sorpassa il pur feroce poliziotto e si dedica all'arte della tortura con l'unico obiettivo di far confessare al professore dove sia la testa mai ritrovata che è stata staccata dal corpo di sua figlia.

Senza dover ricorrere a virtuosismi tecnici particolari, i due registi (e sceneggiatori) Aharon Keshales e Navot Pupushado dimostrano di saper come gestire la tensione, dosando lo splatter e inserendosi con intelligenza in un filone ad oggi molto florido. Le tracce di black humour arguto lasciano il segno e Tzahi Grad ha la statura per imporsi sul pur bravo Lior Ashkenazi, guadagnandosi il ruolo del vero protagonista in attesa che subentri ancora chi parteciperà al massacro in modo davvero inatteso e - in qualche modo - geniale, facendoci tornare alla mente la famiglia della motosega...

Quelli che appaiono come buchi logici e incongruenze troveranno invece una precisa rispondenza nella trama a conferma di un lavoro efficace, realizzato con tutti i crismi e con un finale da interpretare. Dimenticati gli impacci della prima parte, il film ci immergerà in una dimensione nerissima in cui il sadismo troverà ampio spazio, con qualche risvolto psicologico sorprendente che giustifica i tanti apprezzamenti ricevuti dal film (e dal solito Tarantino, che certi lavori ha sempre dimostrato di amarli). Gustoso Grad che impasta al ritmo molto rétro della "Everyday" di Buddy Holly.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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