Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Gli ultimi tredici anni di vita e di amore del giudice Falcone e della moglie magistrato Morvillo vengono raccontati in modo asciutto e senza troppi fronzoli con la buona regia di Izzo e Tognazzi che dà ritmo alla pellicola. Ad avere però la parte del leone è il personaggio della Pantano/Morvillo, che ben si cala nei suoi panni ed è molto credibile; più debole ma non male Reggiani/Falcone. Non mancano momenti commoventi che gioco forza toccano l'apice con la loro tragica fine.
Dopo il curioso L'assedio dei morti viventi, Bob Clark torna sull'argomento con una delle più acute varianti del racconto "La zampa di scimmia" di W. W. Jacobs, perfettamente incastonata nel background sociopolitico della guerra in Vietnam e dei suoi (disastrosi) effetti a lungo termine sui giovani reduci. La metafora è chiara e straordinariamente efficace, tuttavia il regista non pone l'horror in secondo piano, ostentando il suo bel campionario di angoli tenebrosi e suoni inquietanti che i fan di Black Christmas conoscono. La tranche centrale arranca un po', ma il finale vola alto.
Pellicola targata Netflix e tratta da un romanzo di Ace Atkins. Azione di buon livello. Intrattiene. Adrenalinico e divertente. La storia è interessante, con personaggi riusciti e ben delineati. La regia di Peter Berg (esperto del genere) risulta più che efficace: scene di combattimento e di inseguimenti ben girate. Mark Wahlberg convincente. Discreta la colonna sonora.
Tra follia e cinefilia, tra melodramma e commedia, Roberta Torre sembra voler continuare sulla scia dei film precedenti ma questo omaggio (indiretto) a Monica Vitti non funziona mai, diventa macchinoso e poco godibile, nonostante gli sforzi di Alba Rohrwacher che sconta anche la totale mancanza di somiglianza con la Vitti. Resta del film solo una forte percezione di noia.
Buon dramma, che sembrerebbe puntare tutto su un ragazzino motivato e cocciuto e su un ex soldato, ora pastore errante. In realtà l'implacabile inseguitore, che schiavizza coloro che vivono sulle sue terre, risulta più incisivo dei due, aiutato dal suo carattere, che denota imprevedibilità e una vera e propria ossessione morbosa per il giovanissimo fuggitivo. Qua e là la vicenda sembra mancare un po' di spinta, procedendo su un binario abbastanza prevedibile, ma è comunque supportata da un'apprezzabile prova del cast (non male anche la figura del vecchio inseguitore).
Il problema di queste dichiarate "metamorfosi comiche" sta nel fatto che queste metamorfosi non risultano mai comiche. Il meccanismo è quello presente anche in altri cortometraggi di Cohl (questo dura poco più di tre minuti), vale a dire esseri viventi, in carne e ossa, che si trasformano in disegni, i cui tratti poi si spezzano, si ricompongono eccetera. In realtà il gioco diverte poco e per poco tempo. Forse adatto all’epoca, ma certamente non è da considerare fra le cose migliore di Cohl.
Ennesima riproposizione dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie in chiave di gioco di ruolo che si trasforma (ma va!) in tragica realtà, con aggiunta di ampi spunti da SIGNORI, IL DELITTO E' SERVITO (vale a dire la resa cinematografica di "Cluedo", il celebre gioco da tavolo regolarmente citato nei dialoghi e pure nei nomi, visto che c'è un signor Green).
Davvero niente di più abusato, nel giallo su piccolo e grande schermo, e pure la soluzione è già vista e...Leggi tutto stravista. Ormai la tendenza è quella di trasformare il classico della Christie in variante sempre più incline allo scherzo o al gioco di società. Ecco allora che Mystery Island (niente più che l'isola immaginata nel romanzo della Christie) diventa la sede ideale per invitare chi paga (in gran parte sono persone interessate a investire o che hanno già investito in quel business) a vivere un intreccio giallo costruito appositamente per sfidare i partecipanti a indovinare l'assassino.
La baronessa Jane Alcott (Burrows), presenza fissa in molte edizioni distintasi negli anni per non aver mai azzeccato la soluzione corretta, è finalmente riuscita a invitare sull'isola, per una vacanza all'insegna del mistero, la sua amica Emilia Priestley (Henstridge), brillante psichiatra che lavora per la polizia e che lei è certa possa superare tutti risolvendo l'enigma ideato dagli autori. Ben presto siamo sul posto, dove le due donne sono accolte da un maggiordomo con l'occhio bendato che mostra loro la splendida villa annunciando che ci sarà a breve un omicidio. Il cadavere, però, scopriremo a sorpresa essere quello di John Murtaugh (Getman), il misteriosissimo proprietario della tenuta che nessuno immaginava potesse essere lì; e non c'è niente da scherzare perché non si tratta affatto della consueta messa in scena: l'uomo è morto davvero! Inutile dire che non sarà l'unica vittima e che spetterà soprattutto a Emilia, insieme al detective (Weber) giunto lì per capire cosa sia successo, indagare sullo strano caso.
Lentamente verranno alla luce ricatti, sotterfugi e tutto ciò che ci si aspetta in film simili, nei quali la fantasia è l'ultimo dei requisiti richiesti e ci si limita a elaborare una storiella che componga un giallo facile facile in grado di garantire in coda il suo piccolo colpo di scena. E anche se i sospettati sono meno di dieci, l'influenza della Christie è da subito pesantissima e palese. Purtroppo un cast debole, soprattutto nei due protagonisti (la psichiatra e il detective), toglie presto senso all'operazione: si tira avanti tra una rivelazione e l'altra in attesa che si sciolgano tutti i nodi e si arrivi velocemente alla classica riunione di gruppo in cui ai sopravvissuti verrà svelata la verità.
Un film televisivo che non fa nulla per nascondere la propria natura e che col cinema non ha quasi nulla a che spartire: al di là della recitazione fiacca generale, è anche la regia a non saper rendere interessante alcun passaggio: sembra la pallida replica di una delle tante (piccole) variazioni sul tema, scritta anche con discreta competenza, misura e buon garbo, ma dalla resa inconsistente e anonima, priva di figure in grado di donarle personalità (difetto peraltro riscontrabile in quasi tutti questi stinti epigoni del classico christieiano). Gli si perdona qualcosa giusto perché di film televisivo si tratta, ma come sempre quando si affronta un gioco che muta in tragedia l'artificialità del tutto emerge scopertamente...
Qualità e difetti dei film di Dupieux sono quasi sempre gli stessi: all'attivo idee folgoranti, assolutamente geniali, gag improvvise che possono risultare esilaranti; in negativo non può invece non notarsi una pesantezza di fondo che si traduce in lunghe fasi di attesa solo di rado brillantemente affrontate e non si può pensare che la breve durata (anche questa volta non si raggiunge l'ora e venti) risolva il problema.
Qui siamo di fronte all'esasperazione (ma forse nemmeno troppo) dell'effetto metacinematografico: Dupieux sceglie come pretesto l'incontro...Leggi tutto tra un lui (con un amico) e una lei (col padre) rendendo consci loro (ma anche noi) del fatto che stanno recitando e che quindi nei dialoghi s'introducono suggerimenti su come pronunciare le battute, quali parole evitare per non incorrere nel politicamente scorretto e così via. Il film nel film, infatti, sarà nientemeno che il primo diretto da un'Intelligenza Artificiale, col regista ridotto a un avatar che comunica su sfondo bianco dallo schermo del pc. Già questo potrebbe essere un bel colpo di genio, ma il gioco che fa passare i protagonisti da una falsa realtà alla finzione vera e propria all'interno di uno stesso dialogo crea momenti effettivamente piuttosto stranianti.
David (Garrel) è il bel ragazzo che deve incontrare Florence (Seydoux) nonostante non la sopporti. Lei è innamoratissima, lui non la può vedere e per togliersela dalle scatole ha pensato di piazzarla a Willy (Quenard), amico un po' tonto che si fa chiamare Willy convinto che fosse il nome del simpatico ragazzino di IL MIO AMICO ARNOLD (mentre tutti sappiamo che quello è Arnold! Willis è il fratello). Florence, invece, arriverà all'incontro insieme a suo padre (Lindon), borioso attore orgogliosissimo di essere stato appena chiamato per recitare nel nuovo film di Paul Thomas Anderson. L'unico altro personaggio che si aggiunge ai quattro (ma non è una presenza indifferente, visto che è titolare del miglior tormentone del film) è Stéphane (Guillot), comparsa chiamata esclusivamente per servire il vino al ristorante dove siedono i quattro. Lo stress gli impedisce di versare senza spandere (la mano trema incessantemente) e la trovata è gestita nel migliore dei modi a testimonianza del grande spirito comico di Dupieux, che non sbaglia i tempi e sa azzeccare momenti a loro modo memorabili.
Quenard, già protagonista assoluto nel precedente YANNICK, è di nuovo simpaticamente fuori di testa e ha ottimi duetti soprattutto con Lindon, che mal sopporta il suo fare ingenuamente offensivo. Meno esplosiva la coppia "principale" composta da Garrel (poco più di una spalla per Quenard) e dalla Seydoux, cui invece spetterebbe il ruolo più autentico e vario, meno macchiettistico e ponderato. La riflessione sul metacinema non è certo nuova (meno che meno per Dupieux, che ci ha costruito sopra molti dei suoi film) ed è condotta senza trovate particolarmente rivoluzionarie. E' però spesso gustosa, aiutata da una recitazione impeccabile e in alcune parti spassosa. Peccato non aver saputo rendere sapidi anche certi scambi che diventano troppo interlocutori...
La prima riunione intorno a un tavolo dei protagonisti, dopo pochi minuti di film, rende già benissimo l'idea di quello che ci aspetta: nomi e parole che s'incrociano vorticosamente lasciando stupiti per l'assenza di informazioni utili a rendere da subito comprensibile la vicenda. Si assiste impotenti a frasi il cui senso ultimo sfugge, come se il regista ci rendesse noto che non abbiamo ancora a disposizione i mezzi necessari per interpretare correttamente ciò che sta accadendo. E ci vorrà ancora un po', prima che questo avvenga. Poi finalmente emergono tracce...Leggi tutto di una qualche storia, nascoste sotto una cortina fumogena diradabile a fatica.
Il volto impassibile di Michael Fassbender, dietro un paio d'occhiali che lo irrigidiscono ancor più di quanto l'espressione monolitica comunichi, prende apparentemente le redini del gioco insieme a sua moglie Kathryn (Blanchett): deve scoprire l'immancabile talpa che ha fatto trapelare informazioni su un misteriosissimo codice Severus di cui poco o nulla è dato sapere. Sono cinque gli agenti del SIS sui quali si concentrano i sospetti e una, guarda un po', è pure Kathryn. Meacham (Skarsgard) esige da George risultati in tempi brevi e lui allora, passando attraverso una Londra ripresa in suggestivi scorci per nulla cartolineschi, invita i cinque a casa sua per cercare di far luce su un enigma che si fa ancora più complesso nel momento in cui Meacham muore in circostanze sospette (un indizio ben preciso porta a Kathryn, la donna che ama).
C'è da lambiccarsi il cervello, se si vuol venire a capo di qualcosa, e l'impresa più ardua non è quella di George ma dello spettatore, costretto a districarsi all'interno di un labirinto in cui si rischia di perdere con estrema facilità il filo che porta alla soluzione. Sono quei film che si compiacciono della loro inestricabilità, che nella testa degli autori dovrebbe accrescere il fascino dell'operazione ma che invece, in molti casi, spinge a sperare soprattutto in un dialogo chiarificatore, in una una chiave di lettura in grado di dissipare la nebbia che avvolge troppi interrogativi. Lo stimato David Koepp, autore unico della sceneggiatura, pare invece più curarsi di mantenere molte zone d'ombra, di fornire indizi solo accennati, di immergere il film in un'atmosfera carica di mistero che la curata fotografia, le scenografie di grande effetto e soprattutto una colonna sonora di eccellente suggestione accrescono indubbiamente.
La recitazione è qualitativamente soddisfacente, il cast non delude con una Cate Blanchett credibile nei panni della femme fatale dallo sguardo ambiguo. Per il resto soprattutto estenuanti faccia a faccia, scene corali di singolare staticità e una precisa collocazione all'interno di un filone che ha già al suo attivo titoli noti come LA TALPA; titoli che il suo pubblico lo hanno e vengono impostati secondo le regole del film spionistico di alto livello, senza concessioni allo spettacolo e all'azione per lavorare a un livello più intimistico, affollando i dialoghi di codici e linguaggi apparentemente piuttosto ostici, ricchi di tecnicismi respingenti (glitch?) che più volte viene voglia di restituire al mittente. Per amatori, amanti del sofisticato e pure un po' del fumo negli occhi...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA