il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

L'ULTIMA CASA A SINISTRA
e i suoi mille tagli
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362177 commenti | 68790 titoli | 27082 Location | 14300 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Si vive una volta sola (2021)
  • Luogo del film: Il bar al cui esterno, nel corso del viaggio verso la Puglia, Amedeo (Papaleo) chiede a Corrado (Tor
  • Luogo reale: Ristorante Il Cavaliere, Contrada Capitolo 5, Monopoli, Bari
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  • Film: Volare - La grande storia di Domenico Modugno (serie tv) (2013)
  • Multilocation: InterContinental Hotel De La Ville Roma
  • Luogo reale: Via Sistina 67/69, Roma, Roma
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  CINEPROSPETTIVE

ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Laura Melidoni

    Laura Melidoni

  • Maurizio Mannoni

    Maurizio Mannoni

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Galbo
Con il sequel di uno dei suoi film di maggior successo, Ridley Scott dirige uno dei capitoli meno riusciti della propria filmografia. Sul Gladiatore 2 “aleggia“ il sentore dello sceneggiato televisivo e non dei più riusciti. Inutilmente prolisso, con una trama tirata inutilmente per le lunghe, con dialoghi imbarazzanti e scene d‘azione pesantemente contaminate da una computer grafica non impeccabile. Da salvare, la presentazione di Washington, mentre Mescal non regge il confronto con il suo precedessore. Evitabile.
Commento di: Ira72
Donata è una disciplinata quindicenne, tutta studio e danza classica, innamoratasi a prima vista di un bellissimo coetaneo che, a causa di un incidente, subirà un gravissimo danno neurologico degenerativo. Avati, complici l'evidente sensibilità e l'indiscussa maestria, mette così in scena una storia drammatica sì, ma anche irriverente, incalzante, a tratti inquietante, dal ritmo sostenuto. Apprezzabili le figure che ruotano attorno ai due protagonisti, in particolare quelle materne, interpretate rispettivamente da un'ansiosa Angiolini e da una più morbida Savino. Consigliato.
Commento di: Gabigol
Un dito medio al cinismo odierno; un rifiuto alla volontà di odiare e creare barriere. Gunn ridà slancio a un sentimento punk che, per paradosso, diventa il fidarsi dell'altro: il suo Superman è un vinto, umano e raggiante, che guarda in faccia al fallimento e diventa cittadino del mondo. La messinscena e le sequenze d'azione sono di alto livello; buona la scrittura, che lambisce note frizioni geopolitiche per esaltare il messaggio. La sceneggiatura ha qualche passaggio di stanca (l'Universo-tasca, il cane onnipresente), ma la chiusa sa emozionare.
Commento di: Marmotta
Tra nastri portatili d'audio e video, da rispedire alla casa da cui si è appesa allontanato, sempre con sé nella borsa, l'enigmatico viaggiatore di Bruno Ganz percorre le strade di Lisbona d'estate. Operaio e marinaio svizzero, d'origini umili, smarrito nell'indefinibile metafisica dell'attesa. Alain Tanner narra con misura sussurrata l'incontro minimo di due identità precarie, nell'angolo di spazio e tempo prescelto, indagando lo spazio con illusoria tridimensionalità e il tempo con orologi che scorrono al contrario o tacciono prima e dopo la loro comparsa.
Commento di: Cerveza
Dopo una sigla in stile famiglia Bradford (un paio di ragazze le ritroveremo lì), caliamoci nelle storie tese del Central College. Da una parte i bulli, dall'altra i bullizzati. In mezzo? nessuno. Non esistono né docenti e né genitori. Infatti, tranne qualche comparsa verso la fine, gli adulti non esistono. Un'autogestione giovanile regolata dalla legge del più forte. Tra prepotenze e vendette, si sgrana così una trama piatta e ripetitiva che scivola nella noia. Il tutto per dimostrare come, senza una figura autoritaria che metta ordine nei contrasti sociali, regni l’anarchia.
Commento di: Capannelle
Una buona opera, specie nei primi due terzi, perché riesce a innestare certi meccanismi in un contesto brillante e abbastanza credibile, con due squadre contrapposte che servono a mettere a fuoco le sensazioni maschili e femminili. Nei due team coesistono ovviamente personalità differenti che Genovese gestisce da par suo garantendo un buon equilibrio. Si ricordano Santamaria gigione, la Fanelli con le sue battute taglienti e i due protagonisti, Leo e Fogliati. L'ultimo terzo di film, con l'incontro generale tra tutti, la butta troppo in caciara.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Prosegue imperterrita la saga della Morte al lavoro, ripetendo ad libitum la stessa formula senza variazioni di rilievo. Anche l'idea del 3D deriva dal capitolo precedente, quindi non resta che concentrarsi ancora una volta sull'originalità degli incidenti occorsi agli scampati di turno. Grande impiego di effetti speciali per la prima catastrofe, come sempre, questa volta di scena su di un ponte sospeso durante lavori di manutenzione evidentemente già tardivi. Il tempo di individuare i protagonisti a bordo...Leggi tutto di un autobus aziendale sul quale qualcuno ha una tragica premonizione, che su quel ponte capita di tutto. In otto però (e grazie alla suddetta premonizione) si salvano, e saranno coloro che diventeranno le prede di una Morte particolarmente sadica, come d'occasione. Lo sappiamo bene: tutti loro dovranno lasciarci fortunosamente le penne nell'ordine con il quale avrebbero già dovuto farlo e come accadeva nel sogno ad occhi aperti.

Il meccanismo si mette in moto e quel che capiterà ha come sempre il compito di stimolare in chi guarda raccapriccio e un sorrisino, dato dagli eccessi grotteschi attraverso cui tutto si verifica. Perché è evidente che non si punta alla credibilità: siamo in un horror e l'importante è portare in scena il sangue nei modi più bizzarri possibili. E la prima vittima, che muore durante le prove di complicati esercizi ginnici, lascia subito il segno: la resa è insieme agghiacciante e quasi comica (non sarà facile dimenticarla), con effetti speciali che supportano a dovere il tutto, mentre è importante capire come funziona lo schema: molti elementi che contribuiscono a costruire minacce pronte ad esplodere (un chiodo che cade dall'alto dove non dovrebbe, viti che si allentano e altre amenità) attirano opportunamente l'attenzione, grazie a una regia che sa come muoverli, e il "gioco" ha inizio.

Una volta capito come funziona, però, il tutto si fa presto inevitabilmente ripetitivo, e dal momento che le altre morti accidentali sono meno fantasiose e spettacolari, si capirà come il meglio del film stia tutto nella prima parte, con Tony "Candyman" Todd che, nel ruolo di un ambiguo coroner, spiega quel poco che c'è da sapere sull'unico modo per scamparla: uccidere qualcuno per appropriarsi degli anni che quello dovrebbe ancora vivere. Ma sono piccolezze in una trama elementare che procede schematicamente senza offrire certo grandi prove recitative e che stanca presto, non aiutata dalla regia di Steven Quale, piuttosto anonima; efficace però nel citato disastro iniziale, con riprese d'impatto e il consueto delirio splatter digitale che mostra già la tipica predilezione della saga verso le teste spiaccicate o maciullate da oggetti contundenti. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, solo un'onesta prosecuzione della saga che segue le regole dettate dai capitoli precedenti, con personaggi stinti e intercambiabili che fanno movimento senza incidere nemmeno per sbaglio...



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Liam Neeson, nordirlandese di Ballymena, ritorna alle origini spostandosi solo un po' più a ovest, tra le verdi scogliere del Donegal, per interpretare il sicario sul viale del tramonto Finbar Murphy, che vediamo all'opera mentre si ferma a parlare con quella che dovrà essere la sua ultima vittima nel campo dove ne ha già seppellite un po', piantandoci sopra un albero. La sua vita è fatta di poche persone: giusto chi lo paga (Menaey), la piccola Moya (Gleeson) e sua madre (Greene), un poliziotto che bazzica nella sua zona (Hinds), una vicina di casa (Cusack)......Leggi tutto Quasi nessuno sa quale sia realmente il suo lavoro e, con quelle espressioni da uomo di buon cuore dall'aria assopita, non lo diresti proprio un sicario. E infatti, come detto, ci viene concesso di assistere a uno solo dei suoi "contratti", con uccisione peraltro fuori campo e quasi giustificata, dal momento che la vittima non la smette di cantare...

Poi si comincia a focalizzare l'attenzione su un gruppo di terroristi dell'IRA (siamo nel 1974) che nell'incipit avevamo visto compiere un attentato durante il quale erano saltati in aria pure due bambini (giusto perché non ci si provi neanche per scherzo, a simpatizzare con i cattivi). A capeggiarli è la feroce Doireann McCann (Condon), giovane nevrotica che si è nascosta nel Donegal grazie all'aiuto del fratello Curtis (Eastwood), ancor meno equilibrato di lei e che infatti farà qualcosa che manderà su tutte le furie Finbar. E' la scintilla che fa scattare la vendetta, richiamata da un titolo italiano che stravolge l'originale in modo da poter legare Neeson alla parola con la quale più lo si associa nelle sue incarnazioni commerciali da (super)eroe action.

A dire il vero qui di azione ce n'è ben poca e anche sparatorie, inseguimenti e corpo a corpo sono limitati al finale, nemmeno così esplosivo come ci si aspetterebbe. Perché il film predilige i ritmi lenti, le aperture paesaggistiche sulle verdissime coste irlandesi che la fotografia e l'uso dei campi lunghi giustamente valorizzano. La sensazione di desolazione che solitamente si avverte nei film ambientati in quelle zone anche qui diventa aspetto fondamentale di una messa in scena di valore, in cui la buona recitazione non è garantita solo da Neeson ma anche - ad esempio - da una villain femminile di ottimo carisma come la Condon o da un personaggio centrato e cinicamente altezzoso come il Robert McQue di Colm Meaney, sempre seduto alla sua scrivania e incapace di scomporsi.

A funzionare poco è però una sceneggiatura che, oltre a non offrire granché dal punto di vista dei dialoghi, non trova nemmeno situazioni che possano favorire un timido approccio thrilling. Siamo piuttosto nell'ambito di un noir dalle tinte drammatiche, privo di grandi sorprese (neanche nell'ultimo scontro a fuoco) e che non ha in fondo molto da dire, già visto in tante altre produzioni simili e che, privato del fascino regalato da location di grande suggestione, si confonderebbe tra mille altri. Con un Neeson nemmeno troppo imbestialito né così ansioso di eliminare l'antagonista, che pure una bella fine atroce la meriterebbe senza dubbio. Succede poco, insomma, e un bel po' ci vuole, prima di dare una bella girata al motorino d'avviamento. Gradevole musica folk di sottofondo con qualche buon brano da classifica ("Get Down" di Gilbert O'Sullivan), ma nulla di veramente interessante da segnalare...

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Quando ci si sposta nei desolati borghi in altura, al cinema, i rumori si spengono, l'azione rallenta, la narrazione si rarefà, si colgono piccoli particolari che nei film più tradizionali passerebbero inosservati e si cerca un protagonista che incarni al meglio lo spirito quasi eremitico che domina quei posti (qui siamo nelle Marche). Il regista Damiano Giacomelli lo trova in Giorgio Colangeli, che soprattutto negli ultimi anni sta guadagnandosi sempre più partecipazioni variando il genere e dimostrando versatilità non comune. Qui è Ottone Piersanti, un ex...Leggi tutto maestro elementare ed ex giornalista di cronaca locale che - lo si capisce fin dalle prima scene - ha un conto aperto con una famiglia di calabresi migrata dal Sud e che faticosamente cerca di integrarsi. Ottone spara a uno degli appartenenti, ciccando i colpi e sfasciando il suo vecchio fucile, ma ciò non toglie che gli animi siano tesi e si vede.

Poi si rintana in casa, dove vive da solo assistito in qualche modo da un suo ex alunno, Giorgio Petinari (Abruzzetti), diventato poliziotto in un paese che conta quattro anime, disperse tra la bocciofila e pochi altri luoghi di ritrovo. Perché quello che si respira è un clima di totale abbandono, nel quale bene si inserisce la scomparsa di tale Rambaldi, un venditore ambulante partito la mattina e non più rientrato. Un caso che, all'interno del nulla cosmico in cui è immersa Castelrotto, fa scalpore. Tanto che l'ex moglie (Attili) di Ottone, giornalista ormai dedita agli articoli online, spinge l'ex marito a riprendere in mano la penna (o meglio la macchina per scrivere) e, per aiutarlo a "trovare l'ispirazione", gli spedisce lì una giovane e fascinosa stagista, Mina (Tantucci), che non manca di far presto innamorare di sé il buon Petinari...

Ma la scomparsa di Rambaldi entra ed esce dalla vicenda come se restasse sullo sfondo, esile filo che lega scene tra loro spesso riunite in modo frammentario, dominate dal lento incedere del suo protagonista che trasmette la sua indecisione al film, che si appesantisce di conseguenza minuto dopo minuto spesso non riuscendo a comunicare alcun coinvolgimento, arenandosi troppo frequentemente in un nulla di fatto che ha la sua giustificazione esclusivamente nel modo di girare scelto dal regista, vicino a un cinema d'autore cui difetta tuttavia la forza necessaria.

La fotografia slavata che spegne i colori è una scelta piuttosto convenzionale, in casi come questo, mentre lo è molto meno la colonna sonora di Peppe Leone, a forte base percussiva, ricca di contrasti, di passaggi sincopati che si vorrebbero ascoltare meglio e in più parti. Non mancano insomma motivi per apprezzare il film, recitato sostanzialmente bene, curato nel disegno dei personaggi eppure troppo dispersivo, con un finale velleitario che presenta vaghe tracce felliniane (i musicanti nel bosco) in cui si disperdono le sorprendenti intuizioni espresse dalla testimonianza di Piersanti al processo. Il suo cambiamento nel carattere, da amico di tutti in paese a uomo solitario e burbero, mostra un altro percorso interessante, così come non sono da sottovalutare le relazioni che intercorrono tra le poche figure di spicco in paese. Però il ricorso (corretto, per carità) a un'inflessione dialettale che rende a tratti difficoltosa una piena comprensione, le tante pause, la pesantezza con cui la regia porta avanti la storia, la scelta di sopprimere ogni tipo di azione e di tensione in favore dello scavo psicologico, sono tutti elementi che non depongono a favore della godibilità dell'opera, per molti versi valida ma spesso respingente.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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