Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Sergente di polizia si reca su di una sperduta isola scozzese per indagare sulla scomparsa d'una ragazza. Scoprirà a sue spese una scioccante verità. Forse il titolo più celebre nonché l'iniziatore del filone "folk-horror". Un film strano, pervaso da forte senso eretico, che punta molto sull'atmosfera con la crescente ostilità degli abitanti del luogo e sul confronto tra la mentalità cristiana e bigotta del poliziotto e quella pagana e libertina degli abitanti dell'isola. L'indagine polziesca regge bene fino alla sorpesa finale, che ribalta la situazione. Piuttosto osé, per l'epoca.
Per quanto difettato da una sceneggiatura frammentata e che non sempre riesce a mantenere il focus sui personaggi, il film d’esordio di Cravioto corre a rotta di collo tra horror e thriller, con intuizioni estetiche, ritmo serrato e senza cercare facili soluzioni morali. Le eccessive ambizioni di un revenge forzatamente anomalo sono evidenti, ma a riscattare il tutto ci pensa il volto angelico e meravigliosamente ferino di Tina Ivlev.
Intanto è simpatetico il tono dimesso (fin alla laconica sciatteria) che Lettieri sceglie in perfetto anticlimax con l'ambiente che racconta (la scena trap romana, un mondo giovanile che si dipinge o "recita" generalmente come saccente e pontificante su qualsivoglia argomento). E in effetti tutto ciò che di buono nel film c'è e conviene segnalare (i difetti sono lampanti) sta nel suo descrivere la situazione di Niccolò e la propria (non a caso) visione parzialissima della realtà esterna quanto del suo stesso vissuto, col quale cerca di riconnettersi prendendone coscienza con umiltà.
Nella lunga sequenza centrale al tempio, grazie a dialoghi ridotti all'osso e una buona costruzione del "colpo", Baldi riesce a mantenere una buona tensione e la messinscena casereccia dà più calore alla pellicola, che pecca invece nei momenti soprannaturali, davvero ridicoli e troppo prolungati: cosa dire altrimenti davanti alla chiave magica o al delirante finale (la testa che gira a 360°). Estenuanti gli espedienti con cui si avvicinano in continuazione oggetti alla camera per valorizzare il 3D. Troppo anonimo il protagonista per funzionare, lontano anni luce da un Indiana Jones.
C'è un momento del film nel quale viene ricostruita la carriera di Maresco. A tutto schermo si vedono spezzoni da lavori precedenti e dai dietro le quinte di quegli anni. In quei passaggi si vedono un furore, una creatività, una spontaneità che sono invece qui assenti. Forse perché Maresco dà forma alla propria depressione e questa pervade il film, che risulta stantio, pigro, ripetitivo nei suoi schemi, tediosamente sconclusionato (come tutta la discutibile parte con l'inutile vessazione di Francesco Puma). Si rianima nel finale, ma non basta.
Un gruppetto di chiassosi metallari risveglia inavvertitamente dei mostriciattoli anfibiomorfi che meneranno strage. Godibile corto tedesco che omaggia apertamente il filone ottantiano delle creaturine terribili, fra Gremlins, Critters e, soprattutto, Ghoulies (in considerazione della componente occultistica). Ben conscio del ruolo determinante che gli SFX rivestono in questo tipo di prodotti, il regista Koch presta particolare cura al design degli sgorbietti e alla fattura dei pupazzi gommosi, animati con indovinato spirito retrò tra stop motion e tecniche da burattinaio. Simpatico.
Un piccolo aereo sorvola di notte le Florida Keys lasciando cadere in mare quattro grosse casse che s'inabissano. Una spedizione notturna con a bordo brutti ceffi armatissimi parte poco dopo in barca per recuperarle, ma non ha fatto i conti con gli squali, e ci vuole poco per accorgersi di quanto le acque siano infestate. Il misero gruppetto ci lascia le penne, come ben si può immaginare, in un attacco che comunque – al di là dell'evidente budget misero tipico delle produzioni Asylum – qualcosa in più della media, almeno a livello di creatività, già...Leggi tutto lo fa intuire.
Lo stacco successivo ci porta a cinque anni prima: una coppia di giovani si stringe e si bacia sul molo quando lui annuncia a lei che dovrà partire per una imprecisata missione di lavoro non sapendo purtroppo il giorno del ritorno. Quel giorno non giungerà mai, perché il rientro al presente ci mostra Gia (Cole), la stessa ragazza, in lacrime sullo stesso molo: è una agente della DEA (Drug Enforcement Administration) di Miami che viene a scoprire come in quel famigerato tratto di mare che avevamo visto all'inizio qualcuno ha perso qualcosa. Per la precisione rinviene sul fondo alcuni vasetti contenenti il “te del Reverendo”. Questo è quanto riporta l'etichetta e che si vede da fuori ma, una volta aperti, ecco celati all'interno voluminosi pacchi di cocaina. E quel Reverendo non è altro che il cognome di un grosso uomo d'affari locale (Hanks) chiaramente losco. E' lui che aveva mandato la prima spedizione a recuperare in mare le casse e ancora lui a inviarne una seconda che vada lì per capire che fine abbia fatto la prima. E a recuperare le casse, naturalmente.
Sul posto, quindi, si ritroveranno Gia, tornata lì da sola per capire cos'altro ci sia là sotto, e il nuovo gruppo di criminali attrezzati per riprendersi le casse adagiate sul fondo. Ma già l'arrivo in loco, con i resti della prima imbarcazione spersi in mare un po' dovunque, lascerà tutti perplessi. La risposta non tarderà ad arrivare, perché anche di giorno i numerosi squali che infestano la zona si mostrano pronti a prendere di mira chi si avvicina. Da qui si può ben immaginare come proseguirà il film, con i narcotrafficanti che si tufferanno a ripetizione cercando di eludere la “sorveglianza” dei pescecani, Gia che presto si unirà a loro senza sapere con chi ha a che fare (almeno inizialmente) e gli squali che attaccheranno in forze, spesso saltando fuori pesantemente dall'acqua e divorando arti appena possibile.
Una trama già ampiamente vista (il “tesoro” sommerso da recuperare evitando gli squali ha quasi creato un genere a sé stante) ma che in questo caso ancora funziona. Perché gli effetti speciali finalmente si vedono, pur se penalizzati dalla solita cgi approssimativa (movimenti ultraveloci spesso innaturali, scarsa resa dell'interazione tra computergrafica e riprese nonché altri difetti da sempre associati al genere). Si è visto di ben peggio, nel campo; e se dalla recitazione non ci si può aspettare granché, la regia di Ferrante garantisce se non altro una certa esperienza, contando i film già da lui girati sull'argomento.
Insomma, non si esce dagli ambiti di sempre ma ci si muove con più gusto del consueto, tentando qualche colpo di scena simpaticamente piazzato nel finale che si accompagna a un'improvvisa esplosione splatter di bella ferocia (una decapitazione volante, un braccio sgranocchiato tra urla lancinanti...). Le pinne che si avvicinano veloci in gruppo il loro impatto ce l'hanno e nella terra di mezzo tra la serie B più solida e la serie Z sempre più praticata dal genere shark, GREAT WHITE WATERS si ritaglia fieramente il suo spazio; qualcosa in più di quanto ci si poteva attendere da una produzione Asylum. Insolitamente grigia Miami, lontana cornice di un film comunque quasi per intero ambientato in mare.
Il titolo è rivelatore: dietro la facciata di una semplice agenzia di incontri matrimoniali si cela il vero tema del racconto, un’indagine profonda sui sentimenti condotta dalla protagonista Lucy (Johnson). Personaggio di notevole complessità, Lucy osserva le molteplici sfumature dell’amore da una prospettiva "terza", consapevole e privilegiata, che le consente di cogliere ciò che spesso sfugge agli altri. Glissando su un brutto prologo nella preistoria che lascia il tempo che trova (probabilmente il semplice desiderio di aprire originalmente, spacciando...Leggi tutto poi il pretesto come frutto dell'immaginazione di Lucy), si inquadra immediatamente il compito della protagonista, figura di punta dell'agenzia "Adore", specializzata nel far incontrare anime che si vorrebbero gemelle.
Un'agenzia matrimoniale vecchio stampo, insomma, che raccoglie le ultime tracce umane di un mestiere oramai depauperato e annichilito dallo strapotere delle app automatizzate. Lucy ha eloquio formidabile, capacità unica di empatizzare col cliente inducendolo a credere di poter contare sulla migliore complice possibile, nella difficile caccia al partner ideale. I casi bizzarri presentati in sequenza, che di tanto in tanto compaiono come intermezzi, alleggeriscono il tono generale grazie all'uso sapiente dell'ironia. Far sorridere attraverso il racconto di difetti e virtù condivisi è un espediente ampiamente collaudato, forse abusato, ma che continua a funzionare con efficacia.
C'è poi il bel rapporto con le colleghe, che naturalmente vedono in Lucy il modello a cui puntare, ci sono gli inviti ai matrimoni combinati grazie al suo talento nel trovare la persona giusta per ciascun cliente. Un dono che si basa sulla capacità di infondere fiducia in chi, affascinato dalla sua sicurezza, pende dalle sue labbra. Single per scelta, Lucy incontra allo stesso rinfresco il suo ex, John (Evans), che lì lavora come cameriere, e Harry (Pascal), l'uomo che in agenzia definirebbero un "unicorno" per la sua caratteristica quasi di miraggio. Semplicemente perfetto: fascinoso, bello, ricco, acculturato, alto... racchiude in sé tutti i requisiti più ambiti dalle donne; e pure Lucy, che aveva lasciato John per non fare una vita "al verde", si lascia irretire: un invito a cena al ristorante di lusso, conti sempre pagati (e siamo a New York, dove sono tra i più salati al mondo), scambi di opinioni lontani dalla banalità, complimenti di cui andare fiere... Dall'altra parte John: a 37 anni è un attore fallito, non ha un mestiere fisso e ancora vive nella stessa casa di un tempo, condivisa con altri inquilini, non ha cambiato auto. MATERIAL LOVE, dice il titolo, e al denaro Lucy non fa mistero di guardare come primo requisito da ricercare nel compagno a cui tendere.
Non serve anticipare il finale telefonato perché conta come ci si arriva; e il come, qui, significa soprattutto una sceneggiatura (scritta dalla stessa regista, Celine Song) molto ponderata, che studia ogni frase e tenta di sfuggire alla scontatezza dell'intreccio attraverso dialoghi curati, giochi di sguardi, silenzi inseriti al momento giusto, sorrisi... Il tutto impreziosito dalla bella espressività di Dakota Johnson, primadonna indiscussa intorno alla quale tutto ruota. Poi certo, alla materialità granitica della prima parte subentrerà una seconda in cui ogni certezza verrà scalfita confondendo i pensieri, aprendo la protagonista a una realtà da osservare da una prospettiva diversa.
Più apertamente indirizzato verso il sentimentale che la commedia, MATERIAL LOVE non racconta nulla di nuovo né lo fa con toni diversi dalla norma, ma sa essere delicato, apparentemente sincero e piacevole da seguire. Almeno fino a quando, nella seconda parte, si indulge in zuccherosità eccessive diluendo le scene senza più trovare negli scambi la necessaria malizia. Si annacqua il buono che c'era e, per colmo di mestizia, rifà capolino la scena d'amore tra i due cavernicoli. A quel punto si capisce che non c'è più nulla da dire e il superfluo si apre la strada mentre il film chiude malamente.
Da una storia realmente accaduta Richard Linklater ricava un film costruito in forma di falso documentario, senza che però le interviste alle persone che hanno avuto un ruolo nella vicenda prendano mai il sopravvento sull'azione. Presenziano semmai, nel ruolo di narratori, così da spiegare quello che non è a quel punto più necessario mostrare in scena.
La storia è quello di un personaggio anomalo e singolare, Bernie Tiede (Black), autentica incarnazione del bene: disponibile con tutti, espansivo senza mai essere invadente, generoso, perfetto per il...Leggi tutto lavoro che si è scelto, quello di lavorante alle pompe funebri specializzato nel truccare e "vestire" i cadaveri (esemplare la presentazione del suo lavoro in aula universitaria, dove è stato invitato), ma anche pronto a consolare i parenti dei defunti, a cantare con bella voce ai funerali, a vendere le bare al "negozio"... Chi l'ha assunto ne è entusiasta, chi lo conosce ne parla solo bene o benissimo. Un uomo apparentemente senza un difetto, incapace di arrabbiarsi con qualcuno, impeccabile non solo dal lato professionale.
All'esatto opposto sta invece Marjorie Nugent (MacLaine), fresca vedova ormai anziana: intrattabile, scorbutica quando non perfida, odiata da chi le sta intorno, ricchissima quanto insopportabile. Bernie la vezzeggia come tutte le altre "clienti" senza mai sembrare untuoso o falso, e la donna, sulle prime diffidente, finisce con l'apprezzare, al punto di decidere di trascorrere con lui molto del suo tempo, speso in grandi viaggi intorno al mondo all'interno di un rapporto di sincero affetto.
Ambientato a Carthage, nordest del Texas, un film piuttosto diverso da quanto siamo abituati a vedere. Non tanto nella forma (il mockumentary è ormai espediente narrativo diffuso) quanto nella delineazione dei caratteri e specialmente di quello di Bernie, che giustamente si guadagna il titolo in qualità di assoluto protagonista (molto più della MacLaine, qui in un ruolo da "spalla" e non certo per l'intera durata); è un personaggio lunare, al quale Jack Black riesce a dare la giusta dignità attraverso un'interpretazione calibrata, contenutissima, insieme tenera e a suo modo enigmatica. Matthew McConaughey, nel ruolo del procuratore distrettuale Danny Buck, comincia in sordina, si confonde tra i tanti intervistati sul caso ma lentamente acquista importanza, pur rimanendo comunque ai margini (tranne nella fase processuale e in quella immediatamente precedente). E ha comunque modo di mostrare le sue indubbie qualità.
Linklater, che aveva già ricavato il meglio da Jack Black in SCHOOL OF ROCK, si conferma regista interessante, anche se qui avrebbe dovuto innervare il suo lavoro con una maggiore iniezione di energia, perché il film spesso rischia di scorrere piatto, rallentato ulteriormente dalle cantate in chiesa e da ritmi sonnacchiosi che a lungo andare rischiano di farsi stancanti. Fortunatamente nella seconda parte il film cambia registro e le tecniche di "difesa" di Bernie risultano gustose da seguire, con gli intervistati che si interrogano su come porsi di fronte a quanto accaduto e a un concetto di giustizia che viene letto differentemente da quanto la logica sembrerebbe suggerire. Un modo non banale di porsi di fronte ai fatti che porta colpevolmente a simpatizzare contro chi non lo meriterebbe. Dunque una riflessione che coinvolge nel contempo i comportamenti di uno stato non qualsiasi come il Texas, con tutto il suo carico reazionario. Debole registicamente, imperfetto ma con più di una freccia al proprio arco (stranamente non grazie a Shirley MacLaine, meno incisiva dello sperato).
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA