Unico film diretto da Fausto Tozzi che annovera un lunga carriera come attore. Come si evince dal titolo il film narra vicissitudini all'interno del famoso borgo romano di Trastevere negli anni in cui inizia a perdere la sua anima originaria divenendo quartiere di moda e meta fissa di benestanti annoiati e hippy. Vi sono toni grotteschi e l'umorismo si mescola alla dramaticità di alcuni eventi dando un quadro sentimentale del cuore di Roma. Grande cast e grandi prove recitative. Nostalgico.
Viaggio nel cuore della Roma multicolore di Trastevere, dove sfilano i personaggi più folli e stravaganti. Naturalista, diretto, popolano, tragicomico, può essere visto come un’ideale anticipazione del Fellini più basso, villano, folkloristico e nostalgico (Amarcord) e della commedia trash più genuina, che si svilupperà negli anni immediatamente successivi. L’americana Mickey Fox viene trasformata in una assai credibile donna trasteverina.
Difficile vederlo e vederlo integrale pure di più. Film sgradevole ma non del tutto scentrato, anzi è forse meno sensazionalistico e insistente sui particolari trucidi di Brutti sporchi e cattivi. Certo sora Regina che muore esalando l'ultimo fetido respiro è notevole ma io credo che un po' della vera Trastevere degli anni 70 sia finita dentro. Rosanna Schiaffino finta indiana è una sventola indimenticabile.
Davvero non male. Un film che molto deve a Pasolini ma ancor di più ricorda Sergio Citti (anche se in questo caso si parla di contemporaneità), di cui riecheggiano la poetica borgatara, la sgradevolezza e la "volgarità" di immagini e situazioni, il gusto per il grottesco, l'umorismo volutamente di grana grossa, il protorealismo. Di conseguenza un film che piacerà certo ai fan di Citti, meno agli altri. Credo comunque che certi episodi del film, come quello di Cannavale, abbiano un valore intrinseco, diciamo "per tutti". Bella la canzone dei titoli.
MEMORABILE: La poesia finale di Tozzi, recitata a più voci; l'episodio di Cannavale; la famiglia di contrabbandieri di sigarette che deve decidere chi va in galera.
Tozzi firma un testamento d’amore nei confronti del caratteristico quartiere romano di Trastevere. Il film è presentato sotto forma di episodi incrociati con attori assortiti e non tutti romani, appunto per descrivere quanto il quartiere (in quel periodo) mutò la sua caratteristica romanesca per popolarsi di estranei al luogo che lo fecero proprio, snaturando perciò le peculiarità. Una forma d’analisi storiografica, ma anche con cenni psicologici - talvolta drammatici - di varie umanità.
Interessante. In questa pellicola viene ben descritto, quasi con un pizzico di nostalgia, il famoso quartiere romano. Tra ottimi attori (in questo caso più quelli di contorno piuttosto che Manfredi devo dire) e una buona sceneggiatura, il film funziona.
Il regista ci porta a vivere per un'ora e mezza nel caratteristico e bellissimo quartiere di Trastevere, che trasuda in ogni poro di romanità. Riesce a far capire benissimo la trasformazione da quartiere popolare a meta di ricchi e stranieri. Non manca nulla, dalla classica parlata dialettale, agli sciacquoni del bagno delle altre case che si sentono tirare, ai personaggi di strada. Il tono è nostalgico, ma l'atmosfera è magica.
Pittoresco affresco corale del popolare quartiere romano, colto nel momento in cui si andava trasformando in luogo di ritrovo di intellettuali e artisti (o sedicenti tali), hippies, stranieri, ecc. Non privo di estro figurativo, Tozzi commette l'errore di voler fare tutto da solo, firmando in toto soggetto e sceneggiatura e mettendo troppa carne al fuoco senza saperla padroneggiare adeguatamente. Il risultato non manca di suggestione ma le cadute sono tante, a partire dall'episodio, francamente penoso, con Manfredi e la Schiaffino "tossici".
MEMORABILE: Il pellegrinaggio finale al santuario con la morte di sora Regina e i commenti delle voci fuori campo al suo funerale.
Film pazzesco, squilibrato, eccessivo; eppure divertentissimo e a tratti persino struggente. Uno di quei singolari oggetti che lasciano per sempre nel dubbio: capolavoro possibile se vi fosse stata un'altra direzione, o miracolo naif ? Propendiamo tutto sommato per la seconda, indulgenti verso i difetti come il prete verso le sboccate vegliarde ("Dopo famo tutta 'na lavata") e toccati dalla sua ruvida, carnale grazia.
Roma capoccia der monno infame fa la stupida ogni sera; a snaturarne e imbastardirne radici e ali, orde barbariche di intellighentie reazionarie, aristocrazie, neoborghesie, brigate flowerpower e dandy, attorno alle quali il girotondo di brutti sporchi e cattivi (malamente sovrastato dalla simonìa di una scriteriata madre ecclesia) si sfilaccia e soccombe tra rabbia e rassegnazione. Il mondo è sempre più cane, e allo sguardo di un bulldog è affidato lo scempiato mosaico di anime a zero. Tesaurizzata la lezione di Citti, Tozzi compone una dodecafonia di allegro nichilismo e acre joie de vivre.
Ave Regina! Regina è un'usuraia, gonfia di anni e di vizi, ma Trastevere le è devota come a una Madonna, lei è la carne e lo spirito della vecchia Trastevere. Gli stranieri e i provinciali, trasteverini dell'ultima ora, invece, non hanno né carne né spirito, solo la vanità dell'apparire, al pellegrinaggio hanno sostituito il viaggio (lisergico), perciò sono fermi, mentre Regina danza fino all'ultimo il suo pio baccanale. E persino quel cagnolino da salotto si accoda al suo funerale, solenne come una processione, rumoroso come una festa. Un affresco... bruegheliano della vecchia Roma.
MEMORABILE: Il pellegrinaggio al Divino Amore; gli scambi di battute salaci tra Regina e il giovane macellaio.
Una Trastevere finta, cinematografica. Se si passa sopra a questa ricostruzione piena di eccessi, di macchiette e di situazioni inventate (non tutte per la verità, qualcuna è centrata, ma non cambia il carattere pittoresco-folkloristico a uso e consumo dei non romani) ci si può anche divertire; come caricatura di una realtà può anche funzionare. Lode a tutti i personaggi "in età", che offrono prestazioni attoriali notevoli; pregio maggiore di questo lavoro il cui intento ultimo (sempre che ce ne sia uno) rimane nascosto.
Una girandola forsennata di personaggi variopinti, più che una trama vera e propria, colora quest'opera prima (e ultima) di Fausto Tozzi, dove riesce bene lo spirito scanzonato romanesco, così pieno di sarcasmo, volgarità, amarezza esistenziale. I caratteri saranno anche un po' esasperati, ma tra i vicoli e le miserie di questa Trastevere di quaranta anni fa si ride a crepapelle, soprattutto riflettendo sulle nostre italiche miserie.
MEMORABILE: Le rumorose e interminabili flatulenze alla morte di Sora Regina, "rilassamento dell'organismo"...
Un viaggio nel cuore della Roma trasteverina che ormai appartiene a un passato che forse non tornerà più. La sora Regina incarna l’anima e lo spirito indomito di chi è nato a Trastevere e lì vuole morire. L’ironia truce e malinconica della romanità più verace e sanguigna è presente e coinvolgente e dilaga nella gita religiosa delle vecchie matrone romane. Si respira un’amarezza di fondo in tutto il film, ma è la stessa che ci accompagna durante la vita.
Spaccato della Roma più popolare e caciarona, non sempre riuscito a causa della frammentarietà della trama, ma con alcuni momenti decisamente gustosi. In particolare il finale, con la gita al Divino Amore che si trasforma in una goliardica tappa in osteria, è ben caratterizzato e grottescamente divertente. Il cast è ben scelto: De Sica batte tutti con la sua breve partecipazione, Caprioli è perfetto come sempre, la Fox diventa una credibile borgatara. Forse il più sprecato è Nino Manfredi. Non male.
Pur avendo subìto numerosi tagli, è un vigoroso e sentito omaggio a un quartiere popolare che stava diventando un’attrazione turistica visto attraverso gli occhi di un cane, filo conduttore delle vicende di vari personaggi che la felice scelta degli attori rende molto vividi (in particolare la matrona romana interpretata dall’esordiente americana Fox, ma meritano una menzione anche De Sica, Caprioli, Manfredi e Trieste). Qualche caduta di tono là dove Tozzi si richiama a Citti e Pasolini.
MEMORABILE: Manfredi descrive il paesello natìo; Il discorso del conte al bar; Il pellegrinaggio delle madonnare (molto profano e poco sacro).
Pur fra mille eccessi grotteschi, c'è un'intuizione centratissima alla base del film di Tozzi: la perenne lamentela (e non avevano visto nulla) per i cambiamenti che snaturano Trastevere, mentre il rione mostra fedeltà alla sua natura proprio nel passarci sopra, senza discriminazioni fra trasteverini di nascita e trasteverini d'adozione: così la ferocia del popolo non risparmia nemmeno la bara della "sua" Regina (di nome e di fatto) e la Roma bene di Lizzani e quella "male" di Pasolini trovano un humus condiviso. Piccolo miracolo.
MEMORABILE: Gli aforismi filosofici del drogato nero che parla romanesco in casa della Schiaffino.
Per il regista Fausto Tozzi è il film della vita, in cui si vuole documentare il passaggio della "sua" Trastevere da quartiere popolare a una sorta di Greenwich Village de noartri. La carne al fuoco è tanta, ma cucinata a puntino grazie alla presenza di grandi attori capeggiati da un Manfredi in stato di grazia. Un film corale, senza concessioni al politically correct, che ha dovuto rinunciare a più di 100 m di pellicola censurata. Bello, sporco e cattivo, questo piccolo capolavoro fa spesso anche ridere di gusto. Cosa volete di più?
MEMORABILE: "Quello che nun ho capito è se tu ar posto del cervello hai il peperone in umido o una manciata di segatura bagnata de piscio"; Cannavale e il figlio.
Tozzi salta come un cantore nell'eccesso del folklore di una Trastevere tanto romana quanto tesa al mutamento. Tracce di lunghi capelli, canne e satiri in un circo di coatti che galleggiano nella legale illegalità. Seppur l'affresco sia gradevole pecca di frammentarietà e così l'unico fil rouge pare esser il bulldog francese del baritono De Sica, ma da solo non è sufficiente. Manfredi non incide ma non ne ha colpe. RomaEducational Channel.
E se c'è Er Roma de Federico (e mo puro de Cuaron), Tozzi ce diede la sua ciumachella de Trastevere. L'unica regia dell'attore romano non sarà magari una rosa, un biggiù, 'na sciccheria (per citar appunto la canzone popolare) ma un caleidoscopico sonetto d'amore alla vitalità antica e brulicante di un quartiere e di un popolo intero (peraltro già in lenta ma incoercibile metamorfosi) quello sì. Fragilina la cornice col cagnetto, qualcosa non funziona nel montaggio, fisiologicamente episodico; potente la Regina di Mickey Fox, Ballista laido da grandeur. Daje!
L'inizio è assai scontato e greve. Più che a Roma e Trastevere, il regista pare interessato a una rappresentazione grossolana e facile di vignette locali. Poi, pian piano, il film prende consistenza grazie alla bravura dei singoli interpreti (Trieste, Ballista) e una costruzione d'atmosfera che si rende dolcemente popolaresca e malinconica pur nelle note ciniche. Si impenna nell'ultimo quarto d'ora raggiungendo vette espressionistiche e grottesche (la cicoria, l'osteria, la bara calata dall'alto) degne di Fellini. Sorprendente.
Opera prima del caratterista Tozzi, è un film sicuramente riuscito, tanto che si rimpiange il fatto che sia stata la sua unica regia. Un po' Pasolini, un po' Sergio Citti, un po' Scola (che ancora doveva venire), con un accento spiccatamente grottesco e compiaciuto. La narrazione non è lineare, ma la forza del film sta nella carrellata di personaggi che animano il quartiere romano: Ballista, la Fox, Trieste, Cannavale, Caprioli, tutti indimenticabili nelle loro caratterizzazioni, mentre paradossalmente quella di Manfredi, il più grande, è la meno riuscita.
MEMORABILE: Il consiglio di famiglia per scegliere chi arrestare.
Un cagnolino si perde e passa di padrone in padrone; affresco del quartiere romano con dichiarato omaggio allo stile del poeta Belli. Film corale in cui la sceneggiatura si dipana in diversi siparietti di vita romanesca. La migliore interpretazione la danno però attori non della capitale: la Fox supera anche le autentiche donne del luogo e Cannavale fornisce la propria impronta drammatica. De Sica e Manfredi hanno poco spazio oppure non centrano il personaggio. Le volgarità riguardano maggiormente il linguaggio, anche se l'intento è lo sfottò (vedi l'uso dello sciacquone).
MEMORABILE: Le candele sul pullman; I servizi alle prostitute; L'uccellin de la comare.
La lezione di Pasolini e quella di Citti portate alle estreme conseguenze in questo volgarissimo ma a tratti geniale affresco sulla Roma più autentica, quella nella quale cinismo e voglia di divertirsi attraversano uniformemente varie classi sociali. I signori della recitazione (Vittorio De Sica, Vittorio Caprioli...) si ritagliano ruoli gustosi, il film scorre diseguale ma al tempo stesso affascinante e non lascia indifferenti.
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La censura ha tagliato scene con tale prodigalità che i personaggi interpretati da Umberto Orsini, Martine Brochard e Riccardo Garrone sono letteralmente scomparsi dalle immagini come dai titoli di testa.
Per la serie "PUBBLICITA' (POCO) OCCULTE" volevo segnalare come in questo film appaia più volte la pubblicità del Punt e Mes. In questi primi due fotogrammi stiamo all'interno del bar.
In questo fotogramma bottiglia e posacere e anche una bottiglia di J&B. Se ci fate caso sono le uniche bottiglie girate verso la cinepresa:
Qui invece la pubblicità appare in un manifesto sulla piazza, inquadrato più volte durante il film.
MusicheAlex75 • 21/09/16 17:45 Call center Davinotti - 710 interventi
Il testo della canzone Trastevere, interpretata da Nino Manfredi, è di Fausto Tozzi.